Un look nuovo, che fa riferimento alla tecnologia e che rispecchia il modo di vivere attuale, attraverso il “riciclo” di ambientazioni passate.
In queste pagine ci occupiamo di uno stile di arredo moderno che imposta un nuovo metodo di raffrontarsi con la “tradizione” e il passato, concentrandosi interamente sulla ricerca di materiali e finiture propri del mondo industriale e tecnologico.
Esso affonda le sue radici nella tendenza “vintage” che ormai da qualche anno imperversa nel mondo della Moda, coniugando certe propensioni molto legate ad alcuni attualissimi comportamenti sociali (come il desiderio di “risparmio” e il fenomeno connesso alla tendenza ecologica del “riciclo”), con degli indirizzi stilistici prettamente derivanti dal mondo del lavoro. Non è però da confondersi con lo stile “professionale” che già dagli anni ’80 aveva preso piede fra gli orientamenti estetici del mondo dell’arredo. Nello stile industriale infatti, proprio a differenza di ciò che avveniva con il “professionale”, le forme e i materiali sono determinati più da considerazioni di carattere estetico che dalla loro reale ed effettiva funzione; quindi, alla parola d’ordine “praticità” che era considerata la linea di condotta del design specialistico (soprattutto nelle cucine) dello stile “professionale”, si è sostituito nel nostro caso il concetto di “recupero e revisione funzionale”.
L’effetto di insieme offerto dagli interni è comunque anche oggi nitido, ma non più luminoso sistemato, e pulito come era nello stile professionale, tanto che a volte si rischia addirittura di sconfinare nella disorganizzazione e nel disordine. Eppure anche in questo tipo di ambienti non c’è assolutamente spazio per gli orpelli o per i divani morbidi e confortevoli, ma le stanze possono stranamente apparire come colme di oggetti inutili. A questo punto è già chiaro che pur non trattandosi certo di uno stile adatto a chi si sente a proprio agio solo in mezzo a foto di famiglia incorniciate in argento, quadri antichi, mobili classici in tinta noce e credenze Luigi XVI, tanto meno esso si adatta a chi non può fare a meno dell’asetticità di un bel piano in acciaio inox, dell’ordine di una bella cucina “minimal” o del sobrio design di un bel soprammobile cromato. Quindi molto lontano all’high-tech (‘alta tecnologia’), ma molto vicino alla “archeologia industriale”, questo stile si serve di elementi originariamente progettati per un uso produttivo – quando sono dotati di un gusto particolarmente “crudo” ed in qualche modo anche un po’ “sporco” e usurato – proprio come avviene nel “Vintage” così di moda a proposito di abbigliamento.
Del resto non potrebbe essere altrimenti per ambienti dove il ferro nero o rugginoso, l’ottone sporco ed ossidato, la ceramica crepata, il legno massello consumato, grezzo e nodoso, i vetri anticati, e anche l’acciaio, ma solo in versione “Peltro”, trovano il loro più probo utilizzo. Per avere esatta concezione dello stile industriale, in pratica, bisogna insomma aver ben presente come erano le officine produttive di 100 e più anni fa. Ad esempio, si utilizzano tranquillamente parti di scaffalature che, tolte da qualche vecchio magazzino, vengono verniciate di nero “antracite” o di color ruggine per far bella mostra di sé in qualche cucina ed in qualche soggiorno. Le caratteristiche del look industriale lo rendono infatti particolarmente adatto per ambienti come la cucina e la zona giorno, dove sono consentiti richiami a vecchi materiali tecnologici di facile manutenzione.
I mobili tradizionali, come divani, poltrone, credenze e vetrine non sono esclusi dall’insieme, a patto però, anche questa volta, che essi siano di gusto attinente e di linea ben definita. Quelli più usati a questo scopo sono quelli che richiamano la mobilia anglosassone (sia però inglese che americana) di inizio ‘900, oppure alcune tipologie derivate direttamente dal design americano degli anni 40/50. I materiali più usati, come abbiamo detto, restano sempre quelli resistentissimi, di derivazione industriale, ma per quanto riguarda le tinte, lo schema di colore degli interni punta generalmente su toni neutri ma ombrosi, come il nero, il grigio, il Caffè e il metallizzato, accoppiati con i legni naturali e consumati, e ravvivati da alcuni rari accenti brillanti e vivaci, così come accadeva con le insegne presenti una volta nelle officine dei meccanici. Le pareti sono in tinta unita, beige e grigie, ma molto spesso vengono usate le carte da parati, che si limitano in genere a motivi geometrici e astratti, oppure simulano i muri in cemento o più di frequente quelli “scalcinati” con in mattoni a vista.
In teoria, nell’ambiente in cui si desidera riportare questo stile, le porte e le finestre dovrebbero essere molto grandi ed in ferro e i locali ampi e spaziosi, ma non sempre è così. Anzi.. Questo stile nasce dall’idea di “riutilizzo” che ha cominciato a prendere piede quando si è iniziato a “riconvertire” gli edifici produttivi Newyorkesi, trasformandoli in Loft già dalla fine degli anni ’70. In quegli ambienti si respirava davvero ancora l’originale aria di “factory” che si sentiva quando ancora erano delle vecchie officine o degli opifici dismessi. Quell’atmosfera era data dagli elementi architettonici degli ambienti stessi, dai loro pilastri in mattoni, dagli incroci in ferro e ghisa dei sottotetto, dai pavimenti in cemento e dai muri a cui, quasi sempre, non serviva certo la carta da parati per apparire sufficientemente Vintage. Per ottenere quel tipo di atmosfera anche in locali che niente hanno di industriale o di produttivo, si è allora pensato di trasportare anche nel “residenziale” degli elementi di arredo che ricordassero in maniera inequivocabile quel tipo di ambienti e lo si è fatto inserendo materie che spesso perdono la loro funzione originale trasformandosi in vero e propri contenuti “decor”.
Tante epoche per uno stile
Volendo fare un’esatta collocazione temporale del periodo da cui questo nuovo stile trae ispirazione, potremmo dire che “vi è dentro” tutto ciò che va dall’inizio dell’età industriale, fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Anche le plastiche degli anni ’50 e ’60 vanno bene, ma solo quando rappresentano chiari riferimenti al mondo della meccanica o dell’industria (come le insegne dei meccanici, quelle dei distributori di benzina, le targhe automobilistiche o le vecchie pubblicità dei prodotti industriali). Sono ammesse le strutture metalliche anche più recenti, però soltanto dopo un trattamento antichizzante che le riporti al colore naturale del ferro oppure le faccia sembrare uniformemente rugginose. Il legno, quando viene inserito tramite oggetti dal design anche più attuale, deve essere comunque grezzo, ruvido e in certi casi apparire addirittura consumato. L’acciaio, essendo un materiale high-teck non si intona con il nostro stile e allora deve essere rivisto e antichizzato fino a diventare molto simile al peltro. Insomma, Vintage, Old English, Newyorker Style ed almeno un’altra decina di stili si fondono per dar vita all’Industrial Style.
Arredamento, antichità, “meccanica” e disordine.
Gli elementi dello stile “industriale” del resto sono innanzitutto “ricordo, semplicità, robustezza e regolato disordine”. Sebbene sia richiesto l’impiego di complementi e arredi nuovi, magari di design, è dunque possibile (anzi plausibile) riciclare vecchi mobili di uso più corrente, senza però togliere loro la patina che li caratterizza. Ad esempio, nei grandi magazzini antiquari o nei negozi di arredamento specializzati, si possono trovare scrivanie e sedie adatte allo scopo, che pur non essendo d’epoca si adeguano egregiamente allo scopo. Anche alcuni pezzi “rustici” degli anni Sessanta si inseriscono perfettamente nello stile industriale; un vecchio “mettitutto” alle linee severe può essere perfettamente considerato “industrial”, perché poteva aver trovato posto negli anni ’70 all’interno dell’officina di un meccanico. Un’alternativa consiste nel ringiovanire vecchi oggetti laccati, sverniciandoli a grezzo e poi trattandoli con una mano molto leggera di vernice trasparente. Oppure nel riutilizzare vecchi carrelli da officina, invecchiandoli ulteriormente con un nuovo rivestimento che renda la loro superficie scura, opaca e consumata.
Lo stile industriale dunque, essendo prettamente uno stile “tecnologico” può essere in qualche modo “teorizzato”e condotto ad alcune linee essenziali: è “industrial” il banco del fabbro, ma anche il grosso “ceppo” del macellaio.
- Sono “industrial” gli impianti a vista, le tubature, gli evidenti elementi in metallo che finora tentavamo di nascondere “sotto traccia”.
- E’ “industrial” la scaffalatura presa direttamente in fabbrica, ma anche la vetrinetta “arte povera” realizzata però in rovere naturale anticato.
- Sono “industrial” le grosse lampade che una volta illuminavano l’interno dei capannoni, ma anche la ghiacciaia che una volta stava dietro al banco di un salumiere.
- E’ industrial la putrella, il traliccio ed il pilastro in ferro, tanto meglio se dotati di grossi rivetti a vista, ma anche le saldature sono ben intonate a questo stile.
- Sono “industrial” gli abbinamenti che prevedono inserimenti di materiali e di stili molto “diversi” all’interno dello stesso oggetto d’arredo, purché ricadano tutti sotto uno stesso comune denominatore. Proprio come avviene nel “vintage” della moda.
- E’ industrial la cucina a blocco di tipo “professionale” color ghisa, magari con finiture Peltro anziché cromo, così come è “industrial” la bassa vetrinetta ricavata da qualche mobiletto in ferro scovato in uno dei tanti mercatini che si trovano sparsi per l’Italia.
Il grigio metallizzato dei componibili e dei praticissimi banconi in massello di rovere, rappresentano quindi una scelta molto indovinata in una cucina che deve essere rappresentativa di questo stile, al pari delle piastrelle bianche lucide (anni ’50) per il rivestimento, della tenda “a veneziana” di colore nero e della moderna struttura color ruggine in cui potrebbe essere per esempio inserita la zona “lavaggio”.I tipi di pavimento consigliati sono resistenti e di facile manutenzione; i materiali più indicati sono perciò le piastrelle in graniglia, il legno in versione rustica, la gomma sintetica a bolli antisdrucciolo, il cemento in finitura naturale e le resine epossidiche in finitura cemento. La ceramica di tipo “moderno” può essere anche usata, però solo in tinte neutre che simulino i colori del cemento o le finiture del legno grezzo. In tema di piastrelle un inserimento molto indovinato lo si può ottenere infatti con le cosiddette “cemetine” le piastrelle in graniglia di forma quadrata o rettangolare che facevano bella mostra di sé nelle residenze degli anni ’20 o trenta del ‘900. Oppure con le piastrelle “azuleyos” che hanno adornato per un certo periodo anche alcune tradizionali cucine “shabby chic”. Anche in questo caso dunque un richiamo che nulla ha di industriale, ma che pure ricorda alcune situazioni in cui si poteva trovare chi aveva un tempo da frequentare gli uffici di qualche vecchia industria manifatturiera.
Nella definizione di uno stile però non bisogna mai trascurare la scelta del particolari. Per codificare ancora più precisamente questo nuovo stile vediamone quindi insieme un elenco abbastanza ampio ed esaustivo.
Le tende, a tutt’altezza sono in genere evitate e sostituite dai modelli a rullo, a pannello oppure a veneziana. L’importante sono il mantenimento dei colori scuri come il testa di moro, il grigio, l’antracite ed il nero.
Stessa cosa per gli infissi i quali saranno molto sottili e lineari, scuri e di disegno “rigoroso”. Proprio come quelli di uso industriale.
Le luci. Una lampada di inizi novecento in ghisa, sintetizza ad esempio in modo perfetto le peculiarità dello stile ‘industriale’, tutte mirate alla estrema praticità ed essenzialità. Il requisito fondamentale dell’illuminazione industriale infatti, a parte la funzione decorativa richiesta dal design, è senz’altro la funzionalità: questo stile esige infatti una luce decisa e brillante, che non crei sfumature o zone d’ombra in contrasto con i colori tendenzialmente scuri da cui è caratterizzato. La scelta degli apparecchi luminosi deve però cadere su lampade in metallo molto vistose, che assolvano bene al loro compito, attraendo anche l’attenzione per le loro abbondanti dimensioni oppure per l’originale design.
Contenitori.
Erano già essenziali per dare all’ambiente “industriale” un utilizzo ordinato ed efficiente e oggi rimangono comunque indispensabili per un uso abitativo.
Le possibilità di scelta sono tra optare per mobili nuovi realizzati artigianalmente in legno massiccio grezzo, come l’abete o il rovere, magari in stile rustico moderno, restaurare dei vecchi mobili industriali o comunque delle suppellettili di linea semplice ed essenziale oppure prediligere le moderne produzioni componibili che ultimamente hanno adottato alcune caratteristiche tipiche di questo stile. Tra queste l’uso del legno in finitura naturale nodata, le scocche in antracite e i piani in colore finta ruggine o peltro. Molto gradite le ruote, purché abbiano un design prettamente vintage ed un colore ferro o ruggine. Anche il tavolo e le sedie possono facilmente contribuire all’ottenimento di un ottimo risultato. Una serie di sedie pieghevoli in metallo con il sedile del tutto simile a quello delle macchine agricole, possono completare un piacevole insieme, quando accostate ad un tavolo, magari artigianale, dotato di un robusto telaio in ferro quadrato e rifinito con un piano in vero legno massello.
Le cucine.
Materiali grezzi, dal legno ai metalli ossidati, grandi scaffalature e linee essenziali danno l’imprinting industriale a questa tipologia di cucina. Non ha bisogno di grandi ambienti per esprimere tutte le sue potenzialità. Anzi, grazie a moduli compatti e superattrezzati è capace di adattarsi a qualsiasi esigenza di spazio.L’importante è crearvi all’interno dei veri e propri “mix d’effetto”. L’aspetto vissuto dei materiali, il legno delle ante, il metallo finitura peltro o ferro di alcuni contenitori e della cappa, i vetri retinati in finitura bronzo, danno al progetto una forte connotazione metropolitana. L’abile composizione di tutti questi elementi consente di ottenere diverse interpretazioni della cucina: industriale ma che punta all’eleganza della sua originalità. Attenzione nei dettagli: dal carattere decisamente industriale sono le nuove maniglie in metallo anticato che spesso adornano le ante troppo “minimal” e i contenitori a giorno, spesso in metallo o laccati in finitura peltro. Una risposta concreta ai problemi di spazio delle cucine “industrial” la offrono gli armadi “container” con zoccolo color peltro per la massima resa estetica: una stanza nella stanza che può nascondere la lavanderia, la dispensa e tutto quanto non si abbinerebbe troppo bene con questo stile così particolare.
E poi vi sono i cosiddetti “blocchi personalizzati”: vere postazioni di lavoro, attrezzate con le funzioni di cottura o lavaggio, che si trovano di frequente disponibili nelle produzioni di serie nelle dimensioni da 120, 150, 180 e 210 cm.. Sono questi gli inserimenti che consentono maggiormente di concedere un preciso gusto “industrial” ad una normalissima cucina componibile. Impreziosite da una cornice effetto peltro che conferisce un tocco quasi professionale alla zona operativa, oppure semplicemente caratterizzate da un evidente cambio nel colore delle ante, questi banchi di lavoro offrono spunti interessanti alla memoria e risultano particolarmente piacevoli a chi ama questi abbinamenti apparentemente così forzati ed invece molto gradevoli nell’insieme. Del resto all’interno di queste “isole” le ante possono essere personalizzate con tanti differenti tipi di texture : Il rovere nodato ed anticato in versione liscia , un altro tipo di legno, magari in variante “telaio”, il color “peltro” all’interno di una composizione tutta rovere, oppure un inserimento “Coffee”, di impronta decisamente vintage, che si abbina a tutte le tipologie di materiali “naturali”.
Accessori e complementi.
Come abbiamo detto non sono proprio ridotti all’essenziale e non hanno tutti una precisa funzione. I tradizionali vasi per le piante, ad esempio, possono essere sostituiti con dei veri e propri bidoni di metallo dalla linea pulita e rigorosa. Sopra alla cucina possono far bella vista di sé dei grandi “Orologi da stazione” o delle targhe americane logore e consumate. Anche le piante sono ammesse, perché aggiungono un tocco di vitalità all’ambiente, purché siano inserite in contenitori divertenti e significativi per lo stile in questione. Caloriferi e particolari architettonici dovrebbero anch’essi risultare in perfetta armonia con la linearità caratteristica dello stile. Termosifoni, scale a vista, tubature, prese elettriche, interruttori e fili saranno dunque evidenziati e di colore scuro, mentre i battiscopa, solitamente ‘discreti’, saranno volutamente messi in bella vista con colori adeguati e modanature rustiche.
Per concludere possiamo dire che il trucco per ottenere un effetto “industrial” davvero efficace sta nel saper comporre, quello che abbiamo chiamato “regolato disordine”. Fare questo, senza scadere nel banale o nel pacchiano non è molto facile, ma ci si può riuscire con alcune accortezze. Innanzitutto deve essere chiaro il criterio che permette l’abbinamento fra due o più “stili attigui” all’interno dello stesso mobile o ancora meglio della stessa cucina componibile. Poi bisogna immaginare l’effetto che tale abbinamento può causare all’interno del progetto che si sta per redigere e per ultimo abbinarci tutti quegli accessori, quei complementi e quelle finiture che possono contribuire alla definizione dell’ambiente secondo il canone “industrial”. Una regola precisa da suggerire in realtà non c’è, perché molto sta alla competenza ed alla fantasia, ma si può tranquillamente dire che questo articolo contiene tutto quanto può servire al “neofita” per ottenere il risultato voluto.
Conclusioni
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