La cameretta, come forse non molti sanno, è, insieme alla cucina, uno degli arredi più difficili da ideare, da progettare, da costruire e quindi anche da scegliere. Questo è dovuto a tutta una serie di fattori che, almeno in parte, proveremo in questo articolo a descrivere e di cui occorre tenere ben conto quando ci si trova ad arredare uno di questi ambienti così “speciali”.
Progettare una Cameretta
Innanzitutto occorre dire che questa tipologia di Camera da letto, diversamente da quello che avviene solitamente nella stanza dei genitori, è adibita a diverse funzioni che si svolgono in quasi tutte le ore del giorno e della notte; si tratta cioè di un ambiente che dovrà venir allestito in ogni caso con la massima ricerca della funzionalità, anche sacrificando, ove ve ne fosse bisogno, le esigenze estetiche. Ogni età ha poi certi passatempi e certi impegni: il bambino piccolo, più che di molto spazio negli armadi adibiti a contenitori per abiti, ha bisogno di un ambiente luminoso e privo di pericoli, cioè mobili e oggetti stabili e privi di sporgenze, pavimento «ammorbidito» da tappeti e tanto, tanto spazio per i giochi. Il ragazzo o la ragazza più grandi, hanno invece bisogno di più spazio interno agli armadi, e quasi sempre necessitano di un luogo apposito dove poter studiare o usare il computer per lavorare con comodità e senza distrazioni.
La scelta della mobilia da cameretta dovrebbe essere fatta dunque a “seconda dell’età”, come le regole Montessoriane dettano. Ciò comporterebbe dunque di dover adattare gli arredi della cameretta in base alla loro crescita.
Questo ragionamento però, purtroppo, va in diretto contrasto con le tasche della gente: molto spesso diventa infatti troppo dispendioso cambiare i mobili quando il bambino è diventato ragazzo; per questo motivo, un arredamento da Cameretta che si adatti ai diversi bisogni, è quello che rimane utile e funzionale anche così com'è oppure solo aggiungendo elementi nuovi e cambiandone magari alcuni con l’aumentare dell’età dei piccoli abitanti della casa.
Quindi, a livello progettuale, nella camera del bambino andrebbero inseriti, sin dall'inizio, armadi che non ingombrino troppo ma che si possano rivelare utili anche in futuro, quando aumenteranno gli abiti; scrittoi che servano prima per i giochi ma che siano sufficientemente grandi per studiarvi almeno fino a tutte le scuole dell’obbligo. Il letto, salvo quello piccolissimo da neonato, potrà essere del tipo che, dopo, permetta di essere completato con un secondo letto identico per costituire magari una struttura a castello, qualora si abbia idea di far arrivare presto un secondo figlio. E così via…
E’ bene evitare, d'altra parte, l'errore di acquistare mobili per adulti, cioè decisamente troppo grandi, troppo alti, e magari eccessivamente “seriosi”, pensando di far un acquisto che non verrà mai sostituito. Il bambino, quando è piccolo, ha bisogno di trovarsi in un mondo che sia a sua misura, ha bisogno di riporre oggetti e giochi senza arrampicarsi, senza sentirsi circondato da «cose» troppo grandi ed estranee. L'armadio avrà perciò un'altezza tale che gli consenta di appendere gli abiti e di estrarre i cassetti abbastanza agevolmente: qualora occorresse, un altro elemento si potrà accostare a un secondo armadio e solo dopo, quando il bambino sarà diventato grande, aumentare la struttura anche in quota. Un porta-abiti potrà ricevere abiti di diverse altezze nel caso in cui sia stato scelto il tipo con appigli regolabili; ci sono quindi una serie di norme di buon senso che indicheranno il mobile giusto per evitare di dover cambiare troppo spesso l'arredo del locale.
Vi è poi il caso in cui la cameretta sia utilizzata da parte di due fratelli, cosa che di frequente può generare litigi: ecco che, anche magari per due gemelli, si potranno acquistare due tipi di mobili diversi per la forma e per il colore, abbinandoli però in modo che nella stanza regni una certa armonia pur mantenendo una maggior vivacità negli arredi.
SFOGLIA IL CATALOGO
I letti per i figli esistono in diverse tipologie: in rapporto allo spazio si sceglierà la sistemazione che preveda la divisione tra zona-notte e zona-giorno, utilizzando un letto con un piccolo tavolino per i libri e la lampada, posta verso la parte della camera più in ombra. Nel resto dello spazio verrà sistemato l'arredo che serve per i giochi e per lo studio: la separazione eviterà che venga usato in ogni momento anche il letto. Se è possibile farlo con un risultato funzionale e di buon gusto si inserirà una divisione (ad esempio un paravento o una libreria bifacciale) che tenga appartato il letto. Quando i figli sono due e la stanza è veramente grande si possono mettere i due letti in tante posizioni se si vuole evitare la monotonia dei due lettini in fila contro la parete o il semplice letto a castello. Sono state progettate e pensate, a tale proposito, tante diversissime composizioni con disposizioni differenti, tutte legate a criteri diversi in rapporto allo spazio e ai gusti.
Il letto a castello, ad esempio, è spesso la soluzione preferita per le stanze piccole, perché consente davvero risparmio di posto e quindi una maggiore comodità. Bisogna però considerare che non vi sono solo letti a castello “tradizionali” ma che esistono anche soluzioni speciali fatte apposta per una cameretta piccola, che prevedono delle integrazioni fra contenitori e letti tali da permettere uno sfruttamento dello spazio davvero impensabile fino a poco tempo fa. Soppalchi dritti e angolari, letti che scompaiono dentro un mobile, quindi i divani-letto, le librerie da cui esce un letto e altre tipologie che vengono presentate nei nostri negozi “La Casa Moderna” e che hanno un grande vantaggio: possiedono caratteristiche progettuali eccellenti, con qualità all’altezza di ogni situazione, pur mantenendo un prezzo davvero molto conveniente.
Ma una cameretta non è solo composta da letto e armadio. In una stanza da bambini, sempre che vi sia posto, si potrà inserire ad esempio, oltre al piccolo tavolino basso per i primissimi giochi, anche un tavolo scrittoio, che inizialmente sarà in parte superfluo ma che diventerà molto utile in futuro per le ore di studio o in compagnia degli amici. Il tavolo scrittoio stretto, e lungo quanto serve, potrà venir addossato a una parete per occupare meno spazio e completato con delle mensole o una vera e propria libreria superiore, in modo che il resto della stanza rimanga abbastanza in ordine. Per riporre i giocattoli si potrà usare una parte dell’armadio oppure una libreria dotata di ante, una piccola cassapanca, oppure una serie di scatole da mettere l'una sull'altra; meglio ancora se nella cameretta vi sono degli appositi vani abbastanza grandi e facili da estrarre.
In una cameretta, oltre a questi mobili, ne possono essere inseriti altri, come ad esempio una poltroncina o un divanetto molto solidi e facilmente pulibili, magari con le fodere lavabili in lavatrice. Con il passare del tempo aumenteranno poi i libri, sia quelli scolastici che quelli di lettura; qualora non esistano sufficienti ripiani nell'armadio a parete, si potrà ricorrere alle librerie componibili, fatte completamente di laminato oppure dotate di supporti robusti d'acciaio, il cosiddetto “tubolare”, che con poca spesa ed in modo molto originale, aumenta di numero i ripiani sovrapponibili occupando solo lo spazio strettamente indispensabile.
I materiali costruttivi migliori per la Cameretta.
Nelle camerette la comodità d’uso e la funzionalità sono perciò le prerogative più importanti da tener presenti. Si deve cercare di evitare soprattutto superfici di cristallo di specchio o di altro materiale fragile, i colori che si alterano con la luce e l'uso, le vernici troppo delicate e facilmente segnabili, i rivestimenti di tessuto che sono sì piacevoli e vivaci ma facilmente deteriorabili. Quello della “praticità”, è un aspetto che, nel caso della “cameretta”, assume un valore davvero predominante rispetto all’estetica. Nella maggior parte degli altri mobili della casa, infatti, uno dei materiali più pregiati in assoluto, come il legno, ancora di più se laccato, riguarda una scelta assolutamente opportuna in quanto a qualità produttiva. Nel caso delle camerette no: la cameretta, quando è laccata, consente magari di poter essere scelta fra un assortimento di colori ben più ampio di quello esistente nei laminati, ma si tratta di una tipologia di mobilia bella ma molto delicata, che certamente non resisterebbe agli urti o anche al normale utilizzo che potrebbe farne un bimbo.
Quando si acquista una cameretta, molto importante è tenere conto della robustezza dei materiali, della solidità delle porte, delle cerniere e della scioltezza dei cassetti, i quali saranno del tipo “rallentato”, adatto a non venir estratti nemmeno con la forza, poiché i bambini hanno una straordinaria «propensione» a procurarsi ammaccature anche nell'ambiente più innocuo. Il loro armadio non dovrà avere ripiani sporgenti o spigoli eccessivamente taglienti: meglio che non abbia spazi vuoti nella parte inferiore e che le antine arrivino sino al pavimento per evitare faticose ricerche sotto i pochi centimetri tra i piedi di sostegno, dove andrebbe a cacciarsi una quantità incredibile di oggetti e di sporco. Le maniglie dovranno essere adatte a venir impugnate dalle piccole mani del bambino, non scivolose e facilmente pulibili.
Vi è poi tutto un discorso riguardante, appunto, la materia prima: un ragionamento questo che potrebbe naturalmente venir esteso anche a tutti gli altri mobili della casa, ma che nel caso specifico delle camerette assume un valore estremo, specialmente da un po’ di tempo a questa parte.
Il fatto è che da alcuni decenni si sono presentati infatti sul mercato produttori e distributori di camerette che, spacciando abilmente per “clamorose offerte speciali” arredi che presentano qualità di materiali a volte davvero infime, hanno creato nella testa di molte persone la convinzione che si possa arredare una cameretta con materiali sufficientemente buoni, anche con cifre investite davvero irrisorie. Potere del marketing… Purtroppo ciò non è razionalmente possibile: nessuno regala niente e siccome ogni struttura imprenditoriale per poter sopravvivere ha bisogno di guadagnare, tutto ciò che si trova in commercio a prezzi bassi non potrà che presentare caratteristiche tecniche direttamente proporzionali alla cifra investita in quel dato acquisto. Questo assioma risulta rivelarsi particolarmente vero nel caso dei mobili da cameretta, i quali essendo arredi senza dubbio “complessi”, sia a livello progettuale che costruttivo, non consentono possibilità di risparmio produttivo se non attraverso una diminuzione delle loro qualità intrinseche. Occorre dunque diffidare da chi smercia per “ottime”, camerette che costano poco, cercando di convincere che, come avviene nel caso dei “supermercati”, attraverso la grande distribuzione organizzata sia possibile ottimizzare costi che altrove sono impossibili da diminuire. Chiunque acquisti una Cameretta da Ragazzi deve dunque essere assolutamente consapevole che con i livelli tecnologici raggiunti attualmente, non esiste produttivamente un'ottimizzazione industriale o commerciale tale da poter produrre mobili ulteriormente meno costosi senza svilirne la qualità. Questo discorso, specie per chi acquista qualcosa per i propri figli, deve essere tenuto sempre ben presente.
SFOGLIA IL CATALOGO
E’ abbastanza ovvio: per una cameretta, occorre un tipo di materiale robusto che sia facilmente lavabile, dove i segni delle matite e delle penne si possano asportare senza rovinare la superficie. Un materiale che quando è plastico sia anche effettivamente impermeabile, in modo che non abbia un eterno velo di sporco, in un ambiente dove il piccolo abitante s'impegna già da solo a farne sempre tanto. Per questo motivo, nelle camerette moderne sono da preferirsi materiali, come il laminato, che rispondono perfettamente a queste precise caratteristiche.
Il laminato (o sarebbe meglio dire “Pannello nobilitato in melaminico”) è infatti un materiale composto da pannelli di particelle di legno (normalmente detto truciolare) rivestiti con una pellicola plastica colorata in modo uniforme (come nel caso delle camerette bianche) o che viene prodotta a somiglianza con l’impiallacciatura di legno. Tale materiale è costruito, nelle camerette di qualità, utilizzando particelle di legno leggero (come il pioppo) tenute insieme con collanti atossici. Ed anche la pellicola che le riveste deve avere tale caratteristica e deve, senza dubbio, possedere una resistenza tale da sopportare facilmente urti e graffi. Una cosa che ovviamente è molto difficile da ottenere con materiali di scarsa qualità.
E’ dunque assolutamente facile affermare che la materia plastica (nella versione ovviamente laminata), quando è di qualità, sia il migliore dei materiali per i mobili da ragazzi. In effetti anche il legno, ritenuto giustamente la materia prima per eccellenza per la costruzione di mobili, specialmente quando è laccato o verniciato al naturale, è delicato e non è un gradevole aspetto quello che può assumere un mobile in legno dopo anni di uso e «abuso» subiti in una camera di bambini o ragazzi. Certe concessioni all'estetica si possono fare se l’utente è quindi già piuttosto grandicello. Fino a poco tempo fa, in verità, si tendeva a non spendere molto in arredi che ragazzi, magari già grandi, si presumeva utilizzassero per poco tempo. Ora non è più così: in Italia i giovani rimangono nell’abitazione dei genitori anche molto a lungo e per questo spesso capita di arredare camerette che devono essere utilizzate da ragazzi che finiscono per utilizzarle a volte per decenni. In questo caso si può, a seconda anche delle proprie tasche, optare per arredi in legno o laccati o comunque con caratteristiche estetiche molto pregiate. Quello che rimane assolutamente indispensabile, anche in questo caso, è l’atossicità dei materiali, argomento che nelle camerette in laminato di tipo “economico”, non viene spesso assolutamente preso in considerazione, nè dai produttori nè dai clienti. Sì, in effetti a volte capita che siano venduti per “atossici” prodotti economici in laminato, solo perché vengono laccati con vernici all’acqua. Questo fattore però non garantisce affatto che i materiali usati solo per il fatto di essere appunto “laccati”, possiedano sufficienti caratteristiche di salubrità.
A proposito di Camerette in laminato laccato, occorre fare un'ulteriore indispensabile precisazione: esistono in commercio camerette prodotte e distribuite da importanti gruppi industriali e commerciali, che vengono fornite ai clienti in versione colorata. Questi tipi di finiture non vengono però ottenuti attraverso l’uso laminati di colori diversi, bensì derivano da un procedimento nel quale i pannelli in laminato vengono, come abbiamo detto, “verniciati” con delle apposite lacche che donano ai pannelli di ante e fianchi un aspetto molto gradevole. Questo tipo di lavorazione, specie quando eseguito in grande scala, permette alle industrie produttrici un notevole risparmio. Risparmio che sta nel non dover immagazzinare una grandissima quantità di pannelli di colori differenti, ottenendo lo stesso risultato tenendo pronta una sola tipologia di materiale anziché decine e decine di colori diversi. I pannelli in laminato infatti, in questi casi, vengono praticamente prodotti “just in time” cioè appositamente per il cliente, cosa che di per sè ha anche un certo pregio produttivo. Il problema di questo tipo di finiture sta però nel fatto che, mentre un pannello in laminato possiede un robusto spessore di materiale di rivestimento colorato inattaccabile, l’equivalente pannello in laminato “laccato” non possiede che pochissimi decimi di micron di spessore di vernice colorata. Tutto ciò rende le superfici colorate delle camerette “economiche” piacevoli a vedersi ma estremamente delicate e per questo, assolutamente inadatte al pubblico di utenti ai quali questo tipo di prodotto è destinato. Il laminato laccato, oltretutto, ha il problema di essere fotosensibile come tutti i laccati, argomento che affronteremo fra qualche paragrafo.
Gli spessori ideali dei pannelli per Cameretta
Un’importanza a dir poco basilare nella costruzione di una cameretta, ce l’hanno gli spessori dei materiali adoprati. Per questo tipo di realizzazioni vengono utilizzati dei pannelli che possono essere in legno (compensato, listellare, tamburato o altri) o in laminato, come avviene nella maggior parte dei casi.
Essendo la “cameretta” un arredo “complesso”, è necessario che la sua costruzione sia pensata e progettata con spessori che siano sufficienti ad adempiere allo scopo per cui sono usati. Nel caso del laminato, il materiale attualmente di gran lunga più usato a questo proposito, si utilizzano generalmente spessori che vanno da un minimo di 18 millimetri ad un massimo di 6 cm. Per quanto riguarda le ante, sono ritenute universalmente “di qualità” tutte quelle camerette che possiedono uno spessore superiore ai 18 millimetri ma questo parametro non è ritenuto indispensabile a definire la bontà di questa tipologia di prodotto. Un fattore invece assolutamente di primaria importanza è quello relativo allo spessore dei ripiani interni, i quali, in modo da sorreggere adeguatamente i pesi di cui possono essere caricati, devono avere uno spessore di almeno 2 centimetri e mezzo. I pannelli utilizzati per cielo, fondi e ripiani da 25mm di spessore, contribuiscono inoltre a dare solidità e stabilità agli armadi e a tutti gli altri elementi componibili. Un discorso a parte lo meritano i fianchi i quali possono essere anche più sottili fino a un minimo di 18 mm (specie quando si utilizzano due fianchi accoppiati, come vedremo) ma che, nel caso delle camerette migliori, possono raggiungere anche i tre centimetri di spessore.
SFOGLIA IL CATALOGO
Quello dei fianchi delle camerette è un argomento abbastanza complesso che merita dunque di essere un attimo approfondito. Il motivo è attinente a quello che concerne la costruzione degli armadi, che nel caso specifico delle camerette, presentano caratteristiche abbastanza peculiari. La loro particolarità risiede nel fatto che, generalmente, le camerette “componibili” - cioè quelle di derivazione industriale- possono essere composte in due distinte maniere: quella in cui si utilizzano dei singoli armadi a uno o due ante (detti “a bussolotto”) semplicemente accoppiandoli insieme con delle viti, e quelle in cui al contrario vengono costruite delle strutture armadio vere e proprie che si presentano come un corpo unico (dette “a spalla portante”) e che occorre montare in maniera contemporanea. Le due tipologie di strutture presentano ognuna dei pro e dei contro. Nel caso della struttura “a bussolotto “ci si trova di fronte a una tipologia di modulo che, prevedendo l’accoppiamento di due fianchi non necessita di spessori particolarmente elevati. Nel caso però degli armadi “a spalla portante” il caso è diverso ed essendoci un solo fianco a sostenere il peso di due distinti spazi in cui è magari suddiviso l’armadio, tale fianco necessita assolutamente di avere uno spessore tale (almeno 2,5/3 cm) da supportare il peso a cui sarà sottoposto.
Fra i due fianchi di un armadio viene solitamente incastrato lo schienale, ovvero la parte di mobile che serve a separare il mobile stesso dalla parete retrostante e che possiede anche delle caratteristiche spesso “strutturali”, in quanto è utile a rendere la struttura robusta e solida. Nel caso delle camerette di qualità, infatti, lo schienale è costituito da un robusto pannello in laminato spesso a volte anche più di 6 mm. Nelle camerette invece di qualità inferiore lo schienale è quasi sempre costituito da un sottile pannello in faesite (o materiale similare) con uno spessore ridotto inferiore a volte a 3 o 4 millimetri che non gli consentono di corroborare alla struttura del mobile stesso.
Cerniere e ferramenta delle Camerette: un'evoluzione continua…
Un altro elemento attraverso la valutazione del quale è possibile stabilire la qualità di una cameretta sono i suoi accessori costruttivi funzionali come le cerniere e gli elementi di giunzione o le guide dei cassetti. Tali elementi negli arredi, infatti, hanno assunto, specie dal secondo dopoguerra, un’importanza fino ad allora inutilizzata, diventando quasi essi stessi i principali protagonisti delle innovazioni che possono riguardare ultimamente il mondo dell’arredo.
Sono particolari salienti: le cerniere che caratterizzano una cameretta davvero di qualità devono essere molto robuste e devono essere costruite per supportare il peso notevole che possiedono gli sportelli in laminato. In un armadio guardaroba da cameretta normalmente alto (circa 250 cm ), le cerniere devono essere presenti in un numero non inferiore a 4 per ogni anta grande, devono essere in acciaio nichelato, regolabili su tre assi e devono essere garantite per supportare almeno 80.000 cicli di apertura e chiusura.
Le camerette moderne dotate di maggiore qualità sono quelle che hanno le cerniere del tipo “rallentato” in modo da impedire alle ante di essere sbattute, caratteristica questa che può essere ottenuta sia dotando le ante di una sorta di “rallentatore” meccanico, che ne attenua la chiusura, sia attraverso delle apposite cerniere già dotate, al loro interno, di questo tipo di meccanismo. La stessa caratteristica dovrebbero possederla anche i cassetti i quali, forniti di guide metalliche montate su cuscinetti a sfera, saranno senza dubbio fatti per supportare anche i pesi più importanti.
Una caratteristica rilevante a proposito di aperture è quella che riguarda le ante scorrevoli. Tale tipo di ante, nel caso di inserimento in un arredo da cameretta, devono necessariamente essere dotate di guide rallentate (anche per motivi di sicurezza) e devono possedere dei meccanismi tali da supportare senza alcuno sforzo il peso delle ante in laminato.
Quando si tratta di camerette un’altra caratteristica saliente è quella relativa al fissaggio dei ripiani. I ripiani di una cameretta devono essere fissati con tipologie di supporti che non consentano alle mensole stesse di ribaltarsi nel caso qualcuno (come ad esempio appunto un bimbo) vi si aggravi, magari nel tentativo di prendere qualcosa a cui non arriva.
I reggi-piani da cameretta devono essere perciò incastrati ai fianchi ed ai ripiani stessi in modo che non sia facile rimuoverli. Questa caratteristica di sicurezza comporta però il fatto che sia più difficile rimuovere i ripiani per variarne l’altezza o la posizione, così come avviene per quanto riguarda il perimetro strutturale degli elementi, i quali, devono essere fra loro uniti in modo da formare un insieme solido, che non tenda a traballare e che riesca bene a supportare i pesi che deve contenere.
I colori da scegliere quando si acquista una cameretta
Ed eccoci arrivati ad uno degli argomenti più ostici da affrontare per chi deve acquistare una cameretta: la scelta dei colori.
Cominciamo innanzitutto col dire che ciò che viene deciso per una nuova cameretta, a livello di colori, avrà una serie importante di implicazioni sia a livello di risultato estetico finale, che di utilizzo successivo.
L’importanza del colore nell’arredo di una cameretta appare evidente anche solo pensando che si stia parlando senza ombra di dubbio dei mobili più colorati che una casa possa avere. Il colore nella cameretta è sinonimo di brio, di allegrezza, di spensieratezza e di tutti quegli aspetti che dovrebbero obbligatoriamente far parte di un'infanzia e di un'adolescenza serene. Quando si parla di camerette infatti viene in mente automaticamente un qualcosa di colorato, di giocoso, un qualcosa che trasmette a tutti gli effetti l’idea di fanciullezza. Questo tipo di impostazione stilistica presenta però un problema: quello legato alla “moda” e al susseguirsi delle tendenze che anche in questo tipo di arredamento sono presenti e vi saranno (per fortuna) sempre. La cameretta è per questo motivo un tipo di mobilia che deve essere immaginato in modo che sia attuale ma che nel contempo sia anche capace di essere apprezzata in un futuro dove la cameretta potrà continuare a venir usata dai i suoi utenti, nel frattempo cresciuti. Per ottenere questo importante e soprattutto auspicabile risultato occorrono una serie di accorgimenti che è bene seguire con attenzione.
Innanzitutto occorre partire ricordandosi che l’estetica di una cameretta dovrebbe essere adeguata all’età di chi dovrebbe utilizzarla. Dopodiché andrebbe preso in considerazione il fatto che l’arredamento di cui si sta parlando verrà utilizzato presumibilmente per molto tempo, e per questo occorre che sia colorato in modo che non appaia disdicevole per quei ragazzi che l’hanno ricevuta magari in età prescolare e che si trovino ad utilizzarla ancora molto tempo dopo.
I colori che è plausibile utilizzare nell’arredo di una cameretta dipendono molto dalle mode e possono comprendere in pratica tutti i colori dello spettro. I più utilizzati (ed anche i più auspicabili) sono ovviamente quelli chiari, come il bianco, il beige e gli altri colori tenui che consentono alla stanza da letto dei ragazzi di mantenersi in ogni caso accogliente e confortevole ma ciò non vuol dire affatto che non possano essere utilizzati in questo caso colori anche molto scuri, come il marrone o il grigio oppure altri molto “evidenti” come il rosso ed il verde. Un ottimo trucco per far sì che una Cameretta appaia bella, gioiosa e appunto “colorata” è quello di utilizzare dei colori molto chiari per gli elementi strutturali e per i volumi più ingombranti come l’armadio e la scrivania, mentre si potranno destinare agli elementi più minuti, come cassetti, mensole, maniglie, piani, rifiniture varie ecc. i colori più appariscenti. Nella scelta di quest’ultimi bisogna necessariamente fare attenzione a preferire i toni tenui, poco accesi, in modo che, specie per i bimbi più piccoli, l’atmosfera che li accoglie appaia sempre rilassante e rasserenante. Il verde, dovrà essere dunque utilizzato nelle sue varianti più chiare o tendenti al celeste, il blu, dovrà essere preferito nelle varianti simili al “Carta zucchero”; il giallo nei suoi toni più tendenti al chiaro o al rosso e il rosa e il viola dovranno mantenere delle intensità molto molto lievi. Un discorso a parte lo meritano le varianti “legno” o create a somiglianza del legno, le quali sono ovviamente da preferirsi nelle versioni più chiare (come sono ad esempio il “frassino” e il “faggio”, che sono non a caso storicamente fra i legni preferiti per le camerette), ma possono essere anche inseriti magari in misura ridotta legni molto scuri come il rovere grigio o l’olmo scuro, anche in quelle camerette destinate ai bimbi piccoli. Nel caso si optasse per una cameretta in variante in legno chiaro, bisogna far attenzione al fatto che si decidesse di acquistarla in vero legno (ne esistono in commercio sia del tipo industriale che del tipo artigianale) esse tenderanno a scurirsi con il tempo a causa proprio del legno chiaro che, essendo abbastanza fotosensibile specie nelle sue finiture più naturali, assumerà un aspetto più vissuto. La stessa cosa può dirsi però delle finiture “laccate”, le quali, soffrono più o meno dello stesso problema di ingiallimento ed invecchiamento. Per il laminato questo è invece in pratica un problema inesistente. La melamina infatti (la melamina è il materiale con cui vengono rivestiti i pannelli in laminato usati per le camerette e la maggior parte dei mobili) non è fotosensibile e se non viene esposta proprio continuamente agli effetti dei raggi solari, difficilmente avrà modo di invecchiare e di ingiallirsi, anche nei suoi toni più chiari o più scuri.
Quando la cameretta è destinata ad un adolescente o ad una persona già grande, le varianti di colore possibili sono un tantino differenti da quelle utilizzate per le camerette da bimbo e, mentre per quanto riguarda i colori chiari non cambia di molto la propensione che detta le svariate scelte, per quelli scuri ci si può sbizzarrire in effetti maggiormente. In quel caso infatti, dovendo destinare questo tipo di arredi a degli adulti, è quasi opportuno pensare alla cameretta con gli stessi occhi con cui si guarda e si sceglie una camera matrimoniale. Per questo motivo saranno opportune quelle identiche preferenze che adesso destinano ad una camera matrimoniale scelte stilistiche che prediligono i legni scuri, i colori “terra” come i vari toni del grigio e del marrone (o come le tantissime varianti del canapa e dello juta) o tutti quegli inserimenti di colore “pastello” che oggi giorno sono di gran moda, sia negli arredi da camera che per quelli della zona giorno.
Quanto è opportuno far partecipare i bimbi alla scelta della propria cameretta?
Beh, rispondere a questa domanda è piuttosto insidioso e comporta il rischio di innescare una discussione che necessiterebbe approfondimenti ben più completi del presente.
Quello che è senza dubbio possibile dire è che i comportamenti e le scelte dei bimbi sono spesso dettati da fattori emotivi che, per loro stessa natura, hanno (e meno male che sia così...) ben poco di razionale. Un bimbo piccolo tende ad idealizzare la propria cameretta come un enorme “parco giochi” in cui sviluppare le proprie fantasie seguendo spesso canoni che possono trovarsi in contrasto con alcune norme di sicurezza o con la stessa funzionalità della stanza. Stesso discorso può dirsi per quanto riguarda i colori, la scelta dei quali, nella maggior parte dei casi, è frutto di aspre discussioni fra chi (i genitori) preferirebbero dei colori neutri, anche per i motivi a cui abbiamo poco fa accennato, e chi (i bimbi), ovviamente tendono a prediligere quei colori che sono capaci di stimolare la loro innata e immensa fantasia.
E’ giusto che sia così. E’ da questa sintesi fra interessi ed idee spesso contrapposte che quasi sempre emergono le scelte migliori a proposito di camerette. Sarebbe infatti un vero controsenso non prendere in considerazione le attitudini e le preferenze dei propri figli quando ci si trova ad acquistare un arredo così “personale”, come è spesso una cameretta da bambini o da ragazzi. L’importante per un genitore è saper calibrare bene quali sono le cose su cui sia possibile “cedere” alle richieste dei bimbi e quelle che non è proprio possibile accontentare. Se alla nostra bimba piace il colore rosa (alla domanda: “Quale colore preferisci ?” il 95% delle bimbe risponde: “il rosa”) perché non dovremmo prevedere degli inserimenti, magari ben pensati e piuttosto contenuti che prevedano tale colore? Se il nostro bimbo preferisce il letto a castello, perché non progettare una cameretta che presuma questo tipo di collocazione, magari prevedendone la possibilità di mutarne l’uso dopo qualche anno? In questo caso, tutto si gioca su di un difficile equilibrio che, per ogni genitore, si deve basare su alcune indispensabili e solide consapevolezze e mai su instabili scelte emotive.
Del resto, la cameretta, lo abbiamo detto più volte, non può essere considerata purtroppo un semplice arredo “usa e getta” che si prevede di sostituire dopo qualche tempo, come molti oggi fanno, perché ciò comporta quasi sempre delle scelte economiche capaci di andare ad incidere pesantemente (e negativamente) sulla salubrità e sulla sicurezza degli ambienti dove vengono fatti vivere i bimbi. Quindi causa forza maggiore, si è costretti a fare “di necessità virtù”, andando a progettare la propria nuova cameretta con dei criteri stilistici e qualitativi che consentano di utilizzarla anche per molti anni, magari con un occhio sempre attento al portafoglio ma senza dimenticare mai chi sono i destinatari finali dei nostri sforzi economici e progettuali.
Non serve però preoccuparsi troppo di questo aspetto: nei nostri negozi ogni cliente può trovare professionisti molto preparati che, grazie alla loro enorme esperienza, possono davvero trovare soluzioni a problemi che da soli sarebbero difficili da risolvere. Le cose da sapere per progettare e realizzare una cameretta sono troppe per pretendere di farlo da soli o di farlo fare a personale inesperto che, in quanto formato spesso da semplici “venditori”, non potrà mai avere tutte le consapevolezze necessarie a portare a termine con risultati accettabili un lavoro così complesso. Per questo nei nostri negozi “La Casa Moderna” ogni fase produttiva e progettuale viene tenuta severamente sotto controllo, dalla scelta delle materie prime, fino ad arrivare alla progettazione personalizzata e all'istallazione presso le case dei clienti fatta da personale appositamente addestrato. Una vera e propria “catena del valore” che solo i migliori fornitori di arredamento sono capaci di garantire.
La sicurezza in Cameretta: quali sono le norme da seguire?
Benessere, salute e tranquillità sono un diritto di tutti. Sono quindi benefici che devono orientare necessariamente la scelta degli arredi, specie quando si parla di Camerette. In questo caso, la parola “sicurezza” dovrebbe rappresentare un “faro” da tenere nella massima considerazione da tutti i punti di vista.
La cameretta è infatti il luogo dove i nostri figli avranno probabilmente da vivere la maggior parte della loro vita e sarebbe per questo quantomeno insensato non pensare a questo aspetto durante tutta la fase di acquisto e del successivo uso. Il problema è però che, come abbiamo già avuto occasione di dire, la costruzione di camerette, essendo un processo “complesso”, composto da una serie davvero notevole di condizioni e situazioni, consente a chi non opera con un’opportuna cognizione di causa di porre in commercio prodotti con caratteristiche non proprio del tutto attinenti alla parola “sicurezza”.
Quando dunque una cameretta può dirsi davvero sicura? Innanzitutto possiamo dire che gli aspetti da tenere presenti quando si parla di questa tipologia di mobili, sono davvero molteplici e riguardano i materiali costruttivi, la costruzione, la progettazione, la posa in opera e l’uso. Per quanto riguarda i materiali è ovviamente indispensabile, come abbiamo già avuto occasione di vedere in questo articolo, che essi siano assolutamente atossici ed adatti ad un uso infantile. Nel caso si tratti di prodotti in laminato essi dovranno quindi essere “a bassa emissione di formaldeide”, cioè composti principalmente da pannelli di fibra di legno, tenuti insieme con collanti che non emettano nell’aria sostanze nocive. Le stesse caratteristiche dovranno averle anche le vernici che, nel caso alcune parti dei mobili da cameretta siano laccate, dovranno essere a base acquosa e dunque prive di solventi capaci di emettere odori e vapori potenzialmente nocivi e certificate per i giocattoli dei bambini, quindi sufficientemente resistenti alla saliva e all’abrasione.
Nella pratica, in merito alla “costruzione” di una cameretta, le norme di sicurezza che le aziende costruttrici dovrebbero seguire sono quelle che riguardano i giocattoli, con i vari marchi e le certificazioni relative che sono richieste quando vengono posti in vendita oggetti che verranno usati dai bambini. A tale proposito sono state pubblicate anche alcune norme specifiche (come ad esempio la UNI EN 747 "Mobili - Letti a castello e letti alti: Requisiti di sicurezza, resistenza e durata", come la EN 1129-2:1995 – riguardante i Letti ribaltabili o come la EN 1130-2:1996 concernente le Culle per uso domestico) che citano abbastanza precisamente quelli che sono i parametri che dovrebbero avere tali prodotti. Senza addentrarci nel “tecnico” e senza neppure cercare di descrivere la legislazione vigente, si può cercare di sintetizzare in poco spazio i criteri principali da tener presenti in merito: innanzitutto si può dire che una cameretta deve essere costruita in modo che non rappresenti in nessun caso un pericolo per i suoi piccoli utenti. E’ dunque opportuno che gli spigoli siano opportunamente smussati, almeno dove risultino pericolosi; che i cassetti ed i ripiani siano “antiribaltamento” e che le ante siano impossibili da staccare dal mobile che le ospita ad opera di un bimbo. Una normativa abbastanza stringente riguarda poi i letti a castello per i quali esistono regole costruttive ben precise.
Per quanto riguarda però l’uso di questi letti, è importante sapere che è sempre opportuno far dormire in alto un bambino di almeno 4/5 anni, in modo che esso sia in grado di scendere autonomamente dalla scala, anche nel caso in cui si svegli durante la notte, senza il benché minimo pericolo. I letti a castello sono naturalmente da sconsigliarsi a chi soffre di insonnia o epilessia per i quali è preferibile predisporre una cameretta con letto a terra classico. Tali letti devono poi possedere obbligatoriamente delle protezioni, chiamate dispositivi anti-caduta, che sono fatti per evitare accidentali e pericolosi “capitomboli” durante la notte. Le protezioni in questione devono superare l’altezza del materasso di almeno 16 cm ed essere sufficientemente larghe da salvaguardare la persona per l’intera lunghezza del letto, lasciando eventualmente libero l’accesso, qualora la scaletta richieda tale spazio di ingresso.
Da non dimenticare il fatto che, in qualsiasi luogo si decida di posizionare il letto, esso deve essere necessariamente ben servito di una luce o di un interruttore tale da permettere di muoversi anche in piena notte. Questo aspetto evidenzia anche quanto stia nella “progettazione” la principale fonte di sicurezza di una cameretta. Questa deve essere quindi svolta con rigore e cognizione di causa da personale veramente preparato il quale, confrontandosi sempre con le norme di riferimento prima della messa in opera di un nuovo progetto, avrà modo di utilizzare anche la propria personale esperienza allo scopo di salvaguardare i propri piccoli clienti. Quindi, oltre a rispettare le normative sui dispositivi di sicurezza, il professionista dovrà opportunamente considerare anche le misure minime di distanza tra i vari elementi della cameretta e la disposizione consigliabile nella stanza a questo scopo.
Da non sottovalutare poi la scelta della giusta rete a doghe e del materasso più adatti, per permettere ai bambini di dormire comodamente e di non avere problemi di salute (soprattutto per quanto riguarda la schiena) durante la crescita.
L’ecologia in Cameretta? Come e perché?
Come visto in precedenza, le camerette “La Casa Moderna” sono sicure per i bambini anche perché vengono realizzate sempre con materiali 100% atossici e utilizzano solo ecopannelli di classe E1 a bassa emissione di formaldeide come disposto dal Decreto Ministeriale 10/10/2008. Questa tipologia di pannelli e realizzata con legno proveniente da piantagioni rinnovabili. Nel caso si decida di corredarle poi con parti laccate, esse vengono tinte con vernici all’acqua, composte prevalentemente da resine di derivazione vegetale che garantiscono la sicurezza dei bimbi. Le laccature sono realizzate con vernici all'acqua, per il massimo rispetto degli impatti ambientali. E' il frutto di un preciso impegno a favore dell'ambiente ma anche di una costante attenzione alla qualità della vita e della salute dei nostri consumatori e dei bambini.
Fin già da molto prima della pubblicazione del proprio Ecobook (gennaio 2011),La Casa Moderna punta a coniugare innovazione, altissima qualità e basso impatto ambientale nella realizzazione e nella commercializzazione dei propri arredi. La nostra scelta di puntare sulle vernici ad acqua per creare laccature colorate per le camerette, ha dunque anticipato di gran lunga la crescente ed attuale sensibilizzazione in tema di rispetto dell'ambiente.
Le vernici all'acqua e i pannelli ecologici infatti tutelano le persone: sia chi lavora con questi materiali, sia chi vive a contatto con tali prodotti. Garantiscono al tempo stesso garantiscono eccezionali risultati estetico-qualitativi e ottima resistenza chimico-fisica della finitura e del materiale stesso.
Abbiamo cercato in questa articolo di formulare una serie di consigli che sono soprattutto frutto dell’esperienza fatta in molti anni di professione all’interno dei nostri negozi “La Casa Moderna”.
Conclusioni
Speriamo che la nostra guida su come scegliere un letto imbottito ti abbia fornito le informazioni necessarie per prendere una decisione consapevole e soddisfacente. Presso Griva Arredamenti, siamo pronti ad aiutarti a realizzare arredamento su misura.
Ti invitiamo a visitare i nostri showroom di Pinerolo e Torino, dove potrai scoprire di persona la qualità e l’eleganza dei nostri mobili. Potrai toccare con mano i materiali, valutare le soluzioni di spazio e ottenere consigli personalizzati dai nostri esperti.
Se hai domande o desideri ulteriori informazioni, non esitare a contattarci. Saremo felici di fornirti tutte le risposte di cui hai bisogno dai nostri esperti interior designer.
L'idea di “cucina”, come arredo domestico dotato di un aspetto esteticamente definito, avrebbe sicuramente fatto sorridere i nostri nonni per i quali quella stanza in cui “si faceva da mangiare” non era altro che una sorta di locale di servizio, e, come tale, veniva confinato in una zona secondaria della casa. Vi erano eppure anche allora abitazioni in cui la cucina aveva la forma e le funzioni odierne del nostro “soggiorno”, nel quale c’erano anche il camino o la stufa, il lavabo e tutto quanto serviva per cucinare, proprio come avviene spesso al giorno d'oggi dei moderni appartamenti di città, dove il salotto è un "open-space" con sala da pranzo e la cucina. Nelle case di campagna o in quelle della “gente normale” di un tempo, di solito vi era la stessa situazione e finché le cucine sono rimaste il regno della servitù, o delle massaie dell’epoca, non ci si poneva certo troppo il problema di come arredare quelle stanze! Naturalmente, il carattere essenziale di queste vecchie cucine aveva comunque un certo fascino; la disadorna semplicità delle dispense in cui si conservavano vasellame, vivande, vino e prodotti caseari, insieme al fascino di certi caminetti rialzati o alla bellezza intrinseca di alcuni lavelli in marmo o pietra, restano ancora oggi canoni di arredo a cui, bene o male, si continua comunque a fare riferimento. Però la cucina dell’epoca era solitamente un luogo non confortevole, male illuminato, scarsamente arieggiato e decorato spesso solo per nascondere le zone sporcate dalle stufe a carbone, dal grasso dei cibi o dalle lampade a gas.
Dopo i vari mutamenti sociali conseguenti ai due conflitti mondiali però, quando cioè la cucina divenne progressivamente il campo d'azione della moderna ed emancipata “casalinga”, si iniziò a dare particolare enfasi all'estetica e all'ergonomia di questa stanza, con un’attenzione sempre più accentuata alla qualità dei prodotti d’arredo in essa contenuti. Ispirate alle nuove cucine modulari create negli Stati Uniti attorno agli anni '20 ed equipaggiate con gli elettrodomestici più all'avanguardia, molte cucine del dopoguerra cominciavano anche da noi a trasformarsi pian piano in veri e propri arredamenti: superfici rivestite in nuovi materiali laminati facili da pulire, legni utilizzati per la loro dote decorativa e non per quella meramente strutturale, piani di lavoro per i quali l’estetica contava sempre maggiormente. La reazione alla trascuratezza originale propria di questi ambienti nel periodo anteguerra, insieme al benessere e allo stile di vita sempre più informale che si affermò a partire dagli anni '60, portarono progressivamente all'emergere di un'infinita varietà di stili: le abitazioni di provincia avevano le loro cucine in stile “Classico” o “rustico”, in cui gli elettrodomestici di ultima generazione erano spesso addirittura nascosti dietro pannelli in legno con motivi ornamentali in tono, mentre in città il massiccio ricorso all'acciaio inossidabile ed ai materiali sintetici (come i laminati, appunto), elevava la cuoca di casa a esperta in tecnologia dell'alimentazione.
Le cucine si trasformavano dunque sempre più in uno status-symbol e le persone erano disposte a investirvi sempre più ingenti somme di denaro. Questo processo negli anni ha visto rimarcare l’interesse degli acquirenti di questo tipo di arredi, verso l’estetica e la qualità proprie dei materiali con cui essi erano prodotti.
Parlare della qualità di una cucina, obbliga però a definire due differenti tipi di peculiarità intrinseche: uno che riguarda la solidità, la robustezza e la durevolezza dei materiali con cui sono costruiti i mobili e un altro, di tipo ancor più prettamente tecnologico, concernente gli elettrodomestici, i piani di lavoro, le attrezzature e i sistemi di apertura. Ciò comporta il fatto che siano divenute dunque davvero tante le componenti da valutare quando si tratta di giudicare i requisiti di una cucina componibile!
Sotto questo punto di vista è abbastanza comprensibile il motivo per cui le persone, forse un po’ superficialmente, identificano spesso la “qualità” delle cucine con i pregi (o i difetti) dei materiali con cui sono costruite le sue ante: questa è infatti la parte di mobilia che risulta essere ovviamente più evidente nel complesso di una composizione. Del resto, le superfici verticali sono quantitativamente anche le parti in media di gran lunga più presenti in una cucina componibile. La vasta gamma di prodotti esistenti in commercio, nonché, a volte, la poca chiarezza dei produttori circa le caratteristiche tecniche dei materiali da loro utilizzati, genera però spesso un po’ di confusione.
E' necessario evidenziare però, che esiste a proposito di questo tema una continua evoluzione tecnologica. Le prime cucine “componibili ad elementi" di moderna concezione erano ad esempio costruite in metallo, con le ante stesse prodotte in lamiera curvata e sagomata, perché i produttori erano di frequente gli stessi che fabbricavano le “cucine economiche” che nel dopo guerra iniziarono a sostituire i caminetti e le stufe nelle case. Poi iniziò la vera e propria produzione industriale specifica, la quale si basava sul concetto costruttivo del “tamburato” ed utilizzava anche un nuovo materiale, il “laminato plastico”, per rivestire le superfici a vista, che prima di allora venivano fabbricate esclusivamente in legno o in legno impiallacciato. Il laminato (detto all'epoca "Formica" dal nome del suo primo e più famoso produttore) d'altronde era un materiale impermeabile, economico e che dunque si prestava sicuramente meglio a soddisfare le esigenze delle tante nuove casalinghe che dimostravano l'esigenza di acquistare questo "nuovo" tipo di arredo. Dopo questa primissima fase (anni 50/60) arrivarono nuovi supporti strutturali che sostituirono i telai in legno contenuti nei pannelli in tamburato, con i ben più economici e funzionali materiali compositi, come il compensato,
L’MDF (Medium-density fibreboard) e il truciolare; materiali quest’ultimi destinati a prendere velocemente il sopravvento sul mercato. Le loro caratteristiche tecniche, la loro velocità di produzione e trasformazione, il loro costo contenuto, li aveva resi i prodotti ideali per un'industria del mobile agli arbori, che aveva necessità di rendersi più accessibile possibile alle masse del nuovo ceto medio emergente in Italia.
Fu così che con l’andare del tempo, venne definito dalle industrie un certo standard produttivo che prevedeva (e tutt’ora quasi sempre prevede), per l’interno delle cucine componibili (fianchi, ripiani e schienale) l’uso di truciolare o MDF, rivestito con una pellicola melaminica formata da carte impregnate di resina, mentre per le ante si è andata declinando un’ampia gamma di varianti di materiali e sistemi produttivi, su cui gli acquirenti cercano di informarsi per cercare di individuare quello che avrà le caratteristiche migliori per soddisfarli. In realtà, ormai, i materiali con cui si costruiscono le ante delle cucine, hanno tutti doti sufficienti da poter adempiere più che adeguatamente allo scopo per il quale vengono usati. Acciaio, alluminio riciclabile, gres effetto pietra, laminato stratificato e film ecologici, aprono da poco tempo a nuove possibilità nel campo delle realizzazioni delle ante da cucina ma si affiancano a vetro, legno e laminato, in versioni sempre rivisitate ed evolute in talmente tante varianti tecnologiche da necessitare ormai un attento studio ed un'accurata classificazione, con la quale rendere più comprensibile le caratteristiche tecniche di ognuno, con i propri pregi ed i propri eventuali difetti. Cosa che tenteremo con modestia (vista la vastità dell'argomento) di fare con questo articolo.
Le ante da cucina in Laminato o Nobilitato.
Cominceremo, com'è giusto che sia, dalla tipologia più diffusa di sportelli da cucina, quella categoria che racchiude cioè tutte le ante costituite da pannelli in truciolare rivestiti con una speciale pellicola plastica di sottile spessore. Questo tipo di "porta" è utilizzata per costruire una grandissima quantità di cucine componibili e deve la sua ampia diffusione alla sua solidità, alla sua durevolezza ed alla sua indiscutibile economicità. Essa è infatti prodotta attraverso la sezionatura di pannelli (quasi sempre di truciolare) rivestiti con una notevolissima gamma di pellicole plastiche dagli effetti decorativi più disparati. Queste pellicole vengono applicate ai pannelli attraverso una procedura industriale detta "laminazione", in cui degli appositi macchinari applicano uno o più sottili strati di pellicola decorativa su supporti in truciolare dallo spessore variabile, nobilitandoli (da qui la denominazione gergale "Nobilitato") a seconda degli usi e del tipo di decoro che si vuole ottenere. L'applicazione di questa pellicola, realizzata con resine melaminiche, oltre a far si che i pannelli appaiano esteticamente molto belli, rende le superfici impermeabili e molto resistenti ai graffi e agli urti. Le resine melaminiche sono infatti resine sintetiche termoindurenti ottenute attraverso la policondensazione della Formaldeide con la Melamina. Tramite tale procedimento si ottiene una resina inodore, resistente all'acqua, agli agenti chimici, all'abrasione, al calore e con una grande resistenza alle radiazioni luminose.
Nel caso si debbano produrre delle ante con un effetto similare al legno si procede applicando un sottile strato di pellicola fotografica riproducente, in maniera più o meno fedele a seconda della qualità della produzione, la venatura ed il colore del legno in questione. Sopra a questa specie di "fotografia" sono poi applicati dei sottili strati di resina trasparente che "impregnano" la carta (da qui il nome di "carte impregnate", che viene a volte dato a molte ante costruite con questo tipo di laminato), sino a renderle un corpo solido dotato di una certa resistenza e di un adeguato spessore.
Le moderne evoluzioni tecnologiche hanno consentito di migliorare continuamente questa produzione fino ad arrivare a quella odierna in cui, grazie ad una particolare modellazione dell'ultimo strato di materia trasparente, di cui parleremo alla fine del paragrafo, si è arrivati a riprodurre fedelmente addirittura la porosità propria del legno.
In questo caso il materiale infatti, pur essendo "plastico", possiede superficialmente tutte quelle caratteristiche che lo fanno divenire talmente simile al legno da renderlo riconoscibile solo all'occhio esperto. Lo stesso procedimento viene utilizzato anche per produrre altre tipologie di decoro, come l'effetto pietra, l'effetto cemento e la finitura metallizzata. Un processo del tutto similare viene utilizzato per produrre anche le ante in tinta unita. In questo caso però gli strati che si sovrappongono uno all'altro possono essere trasparenti e coprire un primo strato colorato (anche qui, maggiori sono gli strati, maggiore è lo spessore della pellicola), ma si può optare anche per stendere tanti successivi strati di resina (di solito si tratta anche in questo caso di Resine Melaminiche) dello stesso colore, fino ad ottenere uno spessore sufficiente a resistere agli urti ed ai graffi.
La laminazione può essere però effettuata anche applicando un vero e proprio "foglio" di lamina plastica prodotto precedentemente. Di solito viene utilizzato questo sistema per le lamine di maggiore spessore, per le quali si utilizza di solito il termine di HPL (High Pressure Laminate) e CPL (Continuously Pressed Laminate). Il termine HPL (High Pressure Laminate) si utilizza per il laminato di spessore maggiorato, prodotto attraverso un procedimento che sottopone i vari strati da cui è composto a elevate pressioni, per migliorarne ulteriormente le prestazioni meccaniche. In questo caso l'ultimo strato ha una funzione decorativa, mentre gli strati interni raggiungono grazie alla pressione una durezza ed una resistenza tali da far divenire la lamina così prodotta molto rigida e resistentissima a compressione. Sulla superficie a vista di questo laminato, viene comunque applicato uno strato protettivo detto “Overlay”, formato da un foglio di cellulosa pura impregnato con resina trasparente. Questo tipo di processo produttivo consente di produrre dei laminati HPL di svariati spessori, fino ad ottenere dei pannelli "auto-portanti" che non necessitano nemmeno del supporto sottostante in truciolare, i quali vengono denominati "Compact" e che per le loro doti sono spesso utilizzati per produrre i piani di lavoro.
Il pannello di truciolare rivestito in laminato HPL è dunque caratterizzato da elevatissima resistenza al graffio, all’urto e al calore. Il suo costo di produzione lo rende però meno accessibile al grande mercato per il quale si preferisce solitamente proporre pannelli rivestiti in "CPL". Il CPL (Continuously Pressed Laminate) è un foglio costituito da diversi strati di carta impregnata (si va di solito da 2 a 4 strati, compreso l'Overlay che anche in questo caso è presente in funzione sia decorativa che protettiva), compressi attraverso un processo detto “in continuo”, tramite il quale si ottengono dei grandi fogli. Il laminato CPL, è considerato un prodotto dalle caratteristiche intermedie tra quelle di un laminato HPL e di una carta impregnata monostrato e per questo motivo, la moderna industria delle cucine utilizza il laminato monostrato (in gergo "Melaminico") per gli interni delle cucine, mentre predilige il CPL per le ante. Il melaminico viene utilizzato solamente per le ante delle cucine di tipo economico, visto il suo costo davvero contenuto.
Andando nello specifico dunque, si può tranquillamente dire che il CPL (in gergo detto "Laminatino", anche se tale nome rende poca giustizia alla sua qualità) è il materiale attualmente più utilizzato per le ante da cucina. Le sue caratteristiche di resistenza, indeformabilità, robustezza, durata e qualità estetiche, insieme al suo ottimo prezzo, ne fanno il preferito dai consumatori, i quali lo scelgono anche per le numerosissime varianti che esistono in commercio.
I Bordi Laterali delle ante in laminato
Finora abbiamo preso in considerazione i rivestimenti più comuni per le ante delle cucine componibili parlando esclusivamente delle loro superfici esterne o "Facce". Come abbiamo detto però un'anta in laminato si ottiene dalla sezionatura di grandi pannelli in truciolare rivestito, i quali, una volta tagliati, lasciano scoperto il proprio spessore per tutto il loro intero perimetro. In linea di massima si può dire che migliore è la bordatura, quanto meno è visibile ad occhio nudo. Per ricoprire queste superfici laterali, si utilizzano solitamente due tipi di lavorazione: la bordatura e la post-formatura. Nel primo caso si procede applicando al truciolare lasciato grezzamente "a vista", una sottile fettuccia in materiale plastico dello stesso colore del rivestimento oppure di un altro colore. Di solito questa fettuccia non è prodotta nello stesso materiale con cui è rivestita la faccia, bensì in un materiale apposito (come l'ABS ovvero acrilonitrile-butadiene-stirene o la Carta Impregnata con resina fenolica o melaminica) fatto apposta per eseguire questo tipo di lavorazione.
Il procedimento di incollaggio di questa sottile parte è di fondamentale importanza per far sì che le ante risultino robuste, abbiano un'ampia durata e non siano soggette ad infiltrazioni. Il primo fattore qualitativo da considerare è lo spessore della fettuccia di rivestimento, detta in gergo "bordo": ad uno spessore maggiore corrisponde solitamente una qualità maggiore del prodotto finito dovuta sia alla sua capacità di resistenza agli urti, sia all'aspetto migliore che possiede un'anta con gli spigoli leggermente smussati, rispetto ad una realizzata con un bordo più sottile e dunque con gli spigoli più "vivi". Per questo motivo è solitamente l'ABS il materiale ritenuto universalmente più adatto: esso è elastico, resistente agli urti, malleabile, e con il suo spessore permette di smussare gli spigoli dell'anta quel tanto che basta a renderli esteticamente piacevoli, sicuri e più resistenti agli urti.
Per l'incollaggio si procede, solitamente, attraverso appositi macchinari, applicando della "colla a caldo" al bordo e facendo poi aderire perfettamente il bordo al perimetro di anta rimasta scoperta dopo il taglio. Una volta raffreddata la colla, il bordo, di larghezza maggiore rispetto allo spessore della anta da chiudere, viene rifilato tramite un processo industriale che normalmente utilizza delle lame ma che nei prodotti di più alta qualità viene ottenuto attraverso dei precisissimi macchinari che tagliano la parte eccedente del bordo con il laser. L'esattezza con cui viene effettuata la rifinitura, è infatti uno dei requisiti fondamentali per determinare il livello di qualità di un'anta in laminato.
Se quindi la bordatura è indispensabile a impedire infiltrazioni, il suo aspetto estetico è altrettanto di basilare importanza. Per questo motivo il sistema di incollaggio subisce continuamente evoluzioni migliorative: per ottenere le migliori bordature molti produttori impiegano da diversi anni gli adesivi di tipo poliuretanico, perché essi risultano particolarmente resistenti alle sollecitazioni provocate dal calore, dal vapore e dall’umidità. Tali adesivi hanno pure il vantaggio di poter essere colorati in modo da risultare davvero quasi invisibili all'occhio dell'utente. Tant'è vero che per il laminato bianco (quello in cui è più facile ovviamente scorgere il rigo di separazione esistente fra rivestimento e bordo) si considera estremamente disdicevole trovarsi di fronte a delle ante bordate con colla trasparente o addirittura scura.
Un processo di bordatura del tutto differente è invece la “postformatura” (detta anche “postforming”). Attraverso questo tipo di lavorazione il laminato, anziché essere applicato al pannello precedentemente al taglio, viene normalmente incollato dopo il taglio e opportunamente piegato ai lati in modo da aderire al bordo. Questo processo consente la continuità del materiale che costituisce il rivestimento delle ante, anche ai lati, al fine di ottenere delle superfici senza giunzioni, o bordi riportati. Le ante così ottenute risultano per questo motivo esteticamente gradevoli ed evitano la creazione di tagli che potrebbero facilitare l’infiltrazione di acqua, sporco o vapore. Il problema più importante di questo tipo di lavorazione sta nel fatto che lo spessore del rivestimento consente di applicare il bordo solo su pannelli che abbiano lo spigolo molto stondato (minimo raggio 3 mm circa). Ciò è dovuto al fatto che il laminato più spesso, come ad esempio il "CPL" di cui abbiamo parlato prima, se piegato su di uno spigolo troppo vivo, tenderebbe a spaccarsi, rendendo inutile l'operazione di Postforming. Oltre a questo, solo su due (di solito i due laterali, destro e sinistro) dei quattro lati di cui è costituito il perimetro di una normale anta da cucina, possono essere rifiniti con questo procedimento, in quanto, a differenza del "Polimerico" o del PVC, di cui parleremo più avanti, lo spessore del rivestimento in laminato non consente di essere piegato su quattro lati.
Ante da cucina in Laminato "Poro Aperto", Laminato "Poro registro", Laminato "Tranchès" e Laminato effetto Malta, Marmo o Pietra
Andando nello specifico dunque, si può tranquillamente dire che il CPL (in gergo detto anche "Laminatino") è il materiale attualmente più utilizzato per le ante da cucina. Le sue caratteristiche di resistenza, indeformabilità, robustezza, durata e qualità estetiche, insieme al suo ottimo prezzo, ne fanno il preferito dai consumatori, i quali lo scelgono anche per le numerosissime varianti che esistono in commercio. Ultimamente infatti l'evoluzione tecnologica ha permesso di ottenere dalla lavorazione dell'Overlay (l'ultimo strato di resina) un effetto tridimensionale, che abbina all'alta qualità fotografica utilizzata per riprodurre l'immagine del materiale che si intende replicare, una superficie irregolare, ruvida o rugosa alla vista ed al tatto, tanto verosimile da simulare perfettamente l'aspetto del legno, della pietra o del cemento. Queste “asperità” superficiali (anche dette "effetto Wraky") oltretutto, tendono a mascherare gli effetti di deterioramento che possono derivare dall’impiego quotidiano delle superfici delle cucine (per questo tali finiture vengono anche proposte come “antigraffio”), ma occorre che non siano troppo accentuate per evitare che in esse possa annidarsi dello sporco.
Andiamo dunque a vedere più nel particolare queste ante in CPL o Laminatino che abbiamo detto essere più diffuse in commercio. La loro ampia popolarità è probabilmente dovuta alla verosimiglianza delle sue superfici, che abbinate alla loro indiscutibile resistenza ed al loro ottimo prezzo, ne fanno un materiale molto spesso preferito all'originale sostanza che il loro aspetto intende riprodurre. Partiamo in questa carrellata dal laminato detto "a Poro Aperto" che non è altro che un laminato di colore unito, al quale la lavorazione dell'Overlay consente di imprimere le venature tipiche del legno. In questo caso, si tratta della simulazione del legno laccato a poro aperto, perchè proprio come in quest'ultimo, rimangono su esso visibili in superficie solo alcuni dei pori che caratterizzano il legno, mentre la parte sottostante rimane completamente invisibile. Si tratta di un materiale che è stato posto in commercio per l'utilizzo in cucina ormai da diversi decenni. Risalgono infatti addirittura agli anni '70 le prime cucine in laminato "a poro aperto" poste sul mercato per ampliare una gamma che fino ad allora prevedeva solo cucine finto legno verniciato o cucine a tinta unica. Da allora diverse sono state le sembianze assunte da questo tipo di materiale e si è passati negli anni dal simulare il frassino, il rovere, fino al più recente Olmo. E' un tipo di materiale che può essere prodotto in ogni colore, ma che è presente in commercio principalmente in Bianco e in tutti gli altri toni chiari. Esso differisce da una nuova tipologia di laminato detta "a Poro registro", soprattutto da un'interessantissima caratteristica che possiede questo nuovo materiale. Come abbiamo detto infatti, il laminato a poro aperto è prodotto su base a tinta unica, dunque coprente, la quale non lascia quindi trasparire nient'altro che i piccoli pori che presenta naturalmente il legno impiallacciato in versione laccata. Il laminato Poro registro, al contrario, non possiede una finitura coprente, esso è bensì caratterizzato da una finitura trasparente o semi trasparente che simula il legno sia superficialmente che in profondità, grazie alla perfetta sincronia fra i pori che vengono riprodotti sull'Overlay e le venature che vengono riprodotte sotto di esso. Questo consente la produzione di ante in laminato che è effettivamente possibile riconoscere dal legno impiallacciato, in maniera sempre più difficoltosa. Tant'è vero che l'unico punto in cui tale materiale tradisce la sua essenza sono proprio i bordi che, rimanendo comunque in ABS, restano più facili da riconoscere per chi ha l'occhio più allenato. Più o meno caratterizzato dal solito procedimento produttivo del "poro registro" è anche il laminato "tranché" (in francese, affettato) che deve il suo nome alla superficie che sembra essere, appunto, appena sezionata da una grande sega "a nastro" ed in attesa di essere rifinita.
Tale effetto si raggiunge, come nel Poro registro, attraverso un giusto connubio fra la superficie del pezzo (che appare appunta frastagliata dalle lame della sega) e la venatura del legno sottostante. Un cosa abbastanza simile anche a ciò che avviene durante la lavorazione dei laminati Effetto malta o Effetto Pietra. Anche in questi casi infatti per un effetto realmente verosimile è necessario una corrispondenza fra la superficie del materiale e i variabili colori sottostanti che ne determinano proporzionalmente la qualità. In entrambi i casi si parte dal materiale originale che si intende riprodurre e se ne ricavano dei calchi superficiali e delle foto. Con le foto si procede alla produzione delle carte che ne riprodurranno i colori di base, i disegni i toni variegati, mentre con i calchi si provvede a produrre delle grandi superfici che attraverso speciali macchinari serviranno ad imprimere alla materia (superficialmente trasparente) la sembianza desiderata. Dunque più alta sarà la corrispondenza ottenuta fra la superficie del materiale ed il suo sottostante aspetto, più alta sarà di conseguenza la qualità del prodotto finito. E' opportuno precisare che riprodurre la malta o il cemento, può essere considerato relativamente semplice in quanto essi sono dei materiali originali prodotti della mano dell'uomo; il discorso diventa ben più complesso nel caso del laminato Pietra o Marmo perché l'occhio umano risulta particolarmente allenato a riconoscere i materiali naturali e ciò porta molto spesso questo tipo di materiali ad avere un costo molto alto, oppure a possedere delle caratteristiche estetiche non troppo verosimili.
Ante da cucina in Fenix Ntm®
Lanciato nel 2013, Fenix Ntm® è un innovativo tipo di laminato caratterizzato da pannelli in particelle di legno trattati con resine acriliche di nuova generazione, irrobustite e ancorate fra di loro (ed ai supporti) attraverso un processo altamente tecnologico chiamato EBM (Electron Beam Curing). Durante tale lavorazione i pannelli in truciolare classe E1, vengono verniciati elettronicamente tramite una sofisticatissima interazione fra Elettroni e resina, ottenuta grazie all'uso di un potente fascio elettronico, che viene accelerato in una camera ad alto vuoto e che, attraverso una lamina di titanio, entra nella zona di trattamento della vernice attivando la polimerizzazione dei componenti in essa contenuti. A causa dei costosi macchinari che servono a compiere questa operazione, tale sistema consente solo ad alcune industrie di grandi dimensioni (in questo caso specifico l'azienda è Arpa), di ottenere pannelli rivestiti con un materiale super opaco e soft touch adatto ad ante e piani da cucina come è il Fenix. Si tratta di applicazioni per le quali è assolutamente indispensabile sottolineare gli aspetti ecologici del sistema, per pressoché totale assenza di emissioni nocive nell’ambiente e per il fatto che tale materiale è assolutamente idoneo al contatto con gli alimenti.
Con una bassa riflessione della luce, la sua superficie è estremamente opaca, anti-impronta e molto piacevole al tatto, inoltre, le nanotecnologie con cui è prodotto conferiscono a questo materiale la capacità di rigenerarsi da eventuali micro-graffi superficiali tramite la sua alta riparabilità termica. Cosa che è considerata la vera novità relativa a questo tipo di materiale. E' infatti spesso sufficiente usare un ferro da stiro sulle superfici danneggiate per ottenere ottimi risultati: i grandi deterioramenti non sono riparabili, ma i piccoli micro-graffi si possono tranquillamente trattare passandoci prima una spugnetta melaminica non troppo ruvida e successivamente un ferro da stiro regolato dai 180 ai 200 gradi, avendo cura di proteggere la superficie con un foglio di carta assorbente inumidito. Tali caratteristiche rendono questo materiale adatto sia alla produzione di ante che di piani di lavoro da cucina, dando dunque la possibilità, da non sottovalutare, di produrre cucine totalmente monocolore.
Per le sue caratteristiche tecniche, le ante in Fenix hanno un costo dunque un po' superiore a quello delle normali ante in laminato, ma il loro aspetto esteticamente ottimo, ottenuto anche tramite un tipo di bordatura al laser (perfettamente in tinta col rivestimento) che le rende del tutto simili al "laccato", le fanno preferire da quei consumatori che desiderano magari investire un po' del loro denaro anche sulla praticità e la durevolezza della propria cucina.
Ante da cucina in PET
Validissima alternativa al laminato melaminico o al Fenix (con il quale condivide l'aspetto, ma non il costo) il PET, ovvero il Polietilentereftalato, è un materiale plastico di solito utilizzato per la produzione dei tappi delle bottiglie in plastica o come contenitore per gli alimenti. Poco più costoso del tradizionale laminato, si colloca su una fascia di prezzo molto competitiva e alla portata di chi non dispone di importanti budget da investire nell'acquisto della sua cucina. Prodotti tramite la lavorazione ed il riciclo di questo tipo di materiale, i pannelli rivestiti in PET sono usati per gli elementi verticali delle cucine, quindi per le ante, ma anche per mensole e ripiani. In questo tipo di rivestimento non avviene una stratificazione come nel caso del laminato; i fogli in PET, spessi di solito 0,25 mm, sono difatti direttamente applicati su pannelli di particelle di legno di media densità (MDF), a bassa emissione di formaldeide, tramite dei rulli che li fissano usando una speciale colla poliuretanica resistente a calore, vapore, umidità e acqua. Tale procedimento avviene per un solo lato del pannello, per questo motivo il lato interno delle ante in PET è solitamente in melaminico, ma in tinta con il frontale, almeno nei prodotti di migliore qualità. I bordi sono in ABS, anche questi dello stesso identico colore dell’anta, e nelle versioni qualitativamente migliori vengono applicati con colla in tinta e rifiniti con taglio al laser. Disponibile in più colori e sia in finitura opaca che lucida, il PET è adesso prodotto prevalentemente in versione opaca, sia per seguire le tendenze estetiche più attuali, sia per il fatto che questa finitura possiede un'estetica estremamente accattivante grazie al suo aspetto ultra-opaco che rende la sua superficie particolarmente "morbida" al tatto. Essendo un tipo di materiale plastico molto "puro" viene prodotto solo in tinte "unite", cioè "monocolore" e non sono previste decorazioni finto legno o di altro tipo.
Con questo tipo di prodotto, anche il comparto arredo si è evoluto verso l'utilizzo di materiali "green", grazie a due innate virtù di questo innovativo materiale: quella dell'eco-compatibilità e quella dell'eco-sostenibilità. Ma essendo comunque una materia plastica prodotta dal Petrolio e dal Metano, da che cosa derivano le doti ecologiche del PET ? Esso è innanzitutto riciclabile al 100%, perché non perde nessuna delle sue proprietà fondamentali durante il processo di recupero e si può così trasformare ripetutamente; oltre a questo è una materia che rispetta l'ambiente perché, alla sua inceneritura, emana solo acqua, ossigeno e anidride carbonica. Il PET è quindi un prodotto che non emette sostanze tossiche nell'ambiente e che, dunque, rispetta la salute del Pianeta e riveste le cucine di un materiale bello, resistente ai graffi, allo sporco, alla luce ed al calore.
Ante in Pvc o Polimerico
Con il termine "Anta in polimerico" si indica, nel settore del mobile, un tipo di frontale rivestito di PVC (cloruro di polivinile) usato per produrre mobili e cucine componibili. Per ottenere questo tipo di prodotto si sagoma di solito un pannello in MDF (in quanto più liscio ed uniforme del truciolare) dello spessore variabile dai 14 ai 24 mm, dandogli la forma di un rettangolo con gli spigoli perimetrici esterni un po' stondati. Tale pannello viene poi cosparso di collante (solitamente Poliuretanico o vinilico) e vi viene steso sopra un sottile foglio di polimerico in PVC. Tale materiale si diversifica dai laminati plastici solitamente usati a questo scopo per la sua capacità di deformarsi e stirarsi fino ad assumere perfettamente le sembianze del pannello a cui esso è applicato, più o meno come farebbe una vernice, ma con un tipo di resistenza maggiore. Per ottenere l'unione fra pannello e foglio polimerico, dopo l'incollaggio, l'anta viene infatti premuta contro il suo rivestimento attraverso una pressa che fa aderire perfettamente il foglio al pannello in MDF. Tutto questo avviene perchè la macchina "termoforma" il PVC, scaldando i due materiali uniti (PVC e Medium Density) e facendo espellere l'aria in eccesso, in modo da ottenere la loro perfetta adesione. La stondatura degli spigoli perimetrici del pannello serve ad applicare perfettamente il polimerico al Medium Density senza rischiare che dei suoi eventuali spigoli troppo acuti causino la rottura della pellicola stessa, durante la fase di piegatura e termo-formatura. Una volta raffreddato il pannello e controllata la qualità dell'applicazione, si procede a rifilare gli eccessi di plastica sporgenti dall'anta a causa della sua stessa lavorazione. Da notare il fatto che essendo il rivestimento polimerico applicato alle 5 facce "a vista dell'anta, è necessario che il retro, sia precedentemente rifinito o con un foglio melaminico o con una verniciatura di un colore simile al rivestimento frontale. Tale procedimento consente di realizzare ante che possono assumere l'aspetto di un'anta laccata (lucida o opaca), di un'anta che imita in maniera molto realistica uno sportello in vero legno, oppure una finitura metallica o effetto "malta", ma che si riconoscono da quest'ultime grazie al fatto che la giunzione fra il rivestimento in PVC e il rivestimento retrostante l'anta, formano uno spigolo "vivo", ovviamente evidente quando lo sportello è aperto. Tale giunzione può dirsi in verità l'unico punto debole di questo tipo di anta perchè essendo appunto il punto di congiungimento fra due materiali, essa può essere soggetta ai danni causati dall'umidità e dal vapore. Il fatto però che questa giuzione si trovi posteriormente e non frontalmente allo sportello, rappresenta già una importante garanzia per questo moderno e piacevole materiale di rivestimento.
Qualsiasi sia la finitura realizzata, al termine del processo il risultato sarà reso particolarmente piacevole, a livello estetico, dall'assoluta mancanza di bordi laterali o di giunzioni, le quali saranno presenti solo nella parte posteriore dell'anta, parte in cui il pannello è solitamente rivestito in melaminico bianco o in tinta con il frontale.
Esistono foglie polimeriche di vario tipo, prodotte con differenti tipi di resine plastiche, ma nonostante si sia iniziato da un po' di tempo ad utilizzare anche il PET per le sue proprietà ecologiche, il materiale più diffuso rimane attualmente comunque il PVC. Esso viene utilizzato solitamente in fogli dallo spessore variabile da 0.09 a 0.3 mm, a seconda della qualità e della forma del pannello che si intende rivestire. L'elasticità e la malleabilità del polimerico è infatti una caratteristica che risulta particolarmente importante quando si tratta di realizzare rivestimenti in 3D. Tant'è vero che, a differenza del laminato, il PVC grazie al suo basso spessore, consente di rivestire non solo pannelli completamente lisci ma anche pannelli sagomati, scorniciati o dotati di incavi ad uso maniglia. Questa sua proprietà comporta il fatto che il PVC abbia una resistenza al graffio certamente inferiore al laminato (questo è il motivo per cui non è usato per piani d'appoggio, bensì solo per le ante o le mensole) ma che, rispetto al "laccato" o al legno verniciato, abbia comunque una tenacia superficiale maggiore. Ciò è dovuto soprattutto alla sua migliore refrattarietà a danneggiarsi durante le fasi di pulizia ed alla sua maggiore resistenza ai micro-graffi. Tutto questo, unito al fatto che tale rivestimento offre costi molto accessibili ed una perfetta omogeneità di colori e materiali, lo fanno spesso preferire ad altri materiali. Il foglio polimerico permette inoltre di essere verniciato con le normali vernici da legno e ciò consente un suo sfruttamento per la produzione di altri tipi di ante "composte" e formate ad esempio da differenti pezzi di MDF rivestito in PVC, messi insieme a formare ante sagomate o scorniciate, come avviene ad esempio con l'Alkorcell di cui avremo modo di parlare adesso.
Ante da cucina in Alkorcell o Pvc "composto"
Con il termine commerciale ALKORCELL si denomina una pellicola decorativa a base di Polipropilene prodotta dall'azienda Renolit e utilizzata per il rivestimento di porte da interno e di ante da mobilia.
Il rivestimento in questione è facilmente lavorabile sia per la finitura di superfici piane, sia per la termoformatura da utilizzare per ricoprire sagome o cornici. Tale pellicola viene prodotta stampando su dei lunghi fogli di Polipropilene spessi 120 micron, delle fotografie riproducenti alcuni tipi di legno (o altri disegni); a quel punto i film vengono dotati attraverso degli speciali macchinari di una finitura 3D capace di riprodurre molto fedelmente la porosità e la rugosità di numerosi legni. Questi fogli, racchiusi in rotoli, vengono successivamente applicati (tramite incollaggio e termoformatura) su dei supporti realizzati quasi sempre in MDF. L'eccezionale malleabilità di questo materiale lo rende specificatamente adatto al rivestimento di cornici o sagome particolari; questa sua proprietà permette dunque di produrre ante da cucina dal design più "classico", anche molto lavorate, che vengono create mettendo insieme delle cornici e dei pannelli singolarmente rivestiti in Alkorcell (o in Pvc polimerico, a seconda del produttore), esattamente così come si farebbe con dei pezzi di legno massiccio.
Questo tipo di ante è dunque particolarmente adatto alla riproduzione del legno, tant'è vero che le ante rivestite con questa metodologia sono disponibili in tante varianti con effetto naturale, colorato, con superfici accattivanti e molto verosimili.E' importante sottolineare che nel settore arredo, con il termine Alkorcell si intendono spesso per analogia, tutte quelle ante costruite con questo sistema, siano esse prodotte con pellicole polipropileniche (come l'Alkorcell, appunto) sia quelle più comuni rivestite in PVC (in questo caso anche detto Polimerico).Circa le caratteristiche qualitative del prodotto in questione, valgono più o meno le cose citate prima a proposito delle ante in Polimerico, cioè discreta resistenza ai micro-graffi, ottima duttilità e eccellente aspetto; vi sono però da segnalare due importanti fattori
distintivi che non riguardano le proprietà dei materiali da rivestimento, bensì le modalità di costruzione delle ante prodotte con questo
sistema. Il primo interessa la forma che viene data all'anta in questione la quale, come abbiamo già detto, viene ottenuta mettendo insieme dei singoli pezzi rivestiti in pellicola termo-formata. Tali pezzi sono tenuti insieme tramite incollaggio e incastro, ma il sistema produttivo con il quale sono singolarmente realizzati non consente, una volta uniti, di sigillarne le commettiture in moda da renderli perfettamente impermeabili così come avviene con un'anta perfettamente liscia. Fra i regoli perimetrici che formano il telaio di un'anta "classica" e la sua parte centrale liscia (in gergo detta bugna o bozza), vi sono difatti (come avviene nelle ante in vero legno) delle fessure orizzontali e verticali in cui è bene non entrino acqua o vapore. Ciò per evitare che con l'andare del tempo l'umidità ivi imprigionata, faccia ingrossare il MDF interno, fino a danneggiarlo irrimediabilmente. Questo è da tenere ben presente soprattutto in fase di pulizia e di utilizzo della zona lavaggio. Ciò non è assolutamente da considerarsi un difetto perché non inficia assolutamente la qualità intrinseca del materiale, è però un fattore da tener presente per evitare, ad esempio, di lavare le ante con troppa acqua o impedire al vapore della lavastoviglie di penetrare nei bordi laterali degli sportelli vicini. Quello dei "bordi riportati" è del resto la seconda delle importanti differenze che esistono fra un'anta detta "in Polimerico" ed una detta "in Alkorcell". La lavorazione con cui sono rivestiti i singoli pezzi da cui sono composte le ante di questa tipologia, obbliga infatti i produttori a "bordare" in
ABS la parte laterale dei regoli sagomata o delle cornici. Questi bordi, sono presenti solo in una limitatissima parte
del perimetro laterale delle ante e sono perfettamente sigillati così come avviene per i bordi delle ante in laminato, sono solo da tenere in considerazione perché, a differenza di ciò che avviene nelle ante in polimerico che presentano una superficie unica su ben 5 lati, le ante in Alkorcell presentano diversi punti di giunzione e commettitura. Il loro bell'aspetto, d'altronde, sarebbe però irriproducibile con un'anta in polimerico a foglio unico quindi ciò rende preferibile questo materiale in numerosi casi. Tant'è vero che fra i tanti vantaggi che questo tipo di anta possiede, vi è pure quello di poter essere "laccata" in superficie, proprio come è possibile fare con le ante in legno massello o impiallacciato, ottenendone in pratica delle caratteristiche estetiche del tutto similari. Tale possibilità viene attualmente molto sfruttata dalle aziende produttrici di cucine, le quali, possono in questo modo contare su un infinità di colori da poter aggiungere alle tantissime pellicole riproducenti il legno naturale esistenti in commercio. D'altronde anche la resistenza che può offrire un tipo di anta "laccata" come questa, è del tutto simile a quella ottenibile con un'anta il legno impiallacciato o massello, ma con un costo notevolmente più basso. Anzi in verità si può dire che un'anta in PVC o Alkorcell laccata, possiede una resistenza meccanica addirittura superiore ad un'anta laccata in vero legno grazie proprio allo spessore della pellicola sintetica che la riveste.
Ante da cucina in Laminato solido "Stratificato", SolidTop o HPL "Compact"
Terminiamo la descrizione delle ante da cucina dotate di una superficie "sintetica" con una tipologia di sportello che in verità ha davvero poco a che fare con le varianti finora esaminate. Quelle viste sin qui sono infatti tutte ante costruite rivestendo in materiale plastico dei pannelli di sostegno costruiti in truciolare o Mdf. Tant'è vero che nel paragrafo relativo alle ante in laminato abbiamo già preso in considerazione l'uso dell'HPL o Laminato Stratificato in quanto "materiale da rivestimento". Da molto tempo a questa parte esso viene però utilizzato, nelle sue versioni più spesse e massicce, anche come struttura autoportante per la realizzazione di piani di lavoro ed ante. Nella tipologia che andremo adesso a esaminare è infatti la "materia plastica" a divenire la parte sostanziale del prodotto finito. Stiamo parlando in pratica del prodotto nato dall'evoluzione dell'originale prodotto commerciale chiamato "Formica", di derivazione americana, per ottenere il quale si sovrappongono tanti strati successivi di fibra di cellulosa impregnati con resina fenolica o melaminica, abbinandoli, vicino alla superficie, con un foglio decorativo stampato e colorato che ne nasconde l'interno scuro della materia e gli dona un aspetto interessante e variegato. In quest'ultimo caso si parla di PRINT HPL (High-pressure decorative laminates).
Essenzialmente il 60% del laminato HPL è costituito da carta, mentre il restante 40% è costituito da resine termoindurenti (resina fenolica per gli strati interni e resina melaminica per gli strati superficiali). Alcuni laminati HPL possiedono perfino degli strati metallici intercalati nel cuore del pannello, mentre talune tipologie hanno al loro interno lamine di metallo (per renderli resistenti alla fiamma diretta), o impiallacciature in vero legno come superficie decorativa.
Il laminato PRINT HPL o laminato stratificato (un altro suo nome commerciale è SolidTop) si presenta dunque come un corpo unico, massiccio, di spessore variabile a seconda degli usi che se ne deve fare e dotato di una superficie molto dura e resistente, che lo rende uno dei materiali ideali da essere utilizzato per l'arredo delle cucine. L'HPL è solido, robusto ma allo stesso tempo elastico, relativamente leggero, ma soprattutto perfettamente impermeabile ed inattaccabile da umidità e vapori da ogni lato del suo rivestimento e del suo perimetro. La sua superficie può essere decorata in tantissime varianti e, essendo prodotta inserendo uno strato ornamentale sopra a tanti altri strati di resina melaminica ma sotto ad un robustissimo strato di resina melaminica trasparente,
essa possiede caratteristiche tecniche eccellenti come la resistenza agli oli ed a tantissime altre sostanze chimiche. Quello però che lo rende
Per quanto riguarda le ante delle cucine componibili, per l'impiego di questo ottimo materiale, si utilizzano di solito pannelli dello spessore variabile dai 4 ai 6 mm. Il materiale in questione viene in realtà prodotto in spessori che vanno dai 0,6 ai 30 mm, ma viene utilizzato al nostro scopo in spessori relativamente bassi per non aggravare le cerniere dei frontali delle cucine con pesi eccessivi. Una volta sezionato in pannelli di dimensioni adeguate, il materiale si presenta come una serie di lastre dalla superficie decorata e dai bordi lasciati "al vivo" (il laminato stratificato non necessita infatti di bordi riportati) che possono solitamente presentarsi nei colori nero (come avviene nella maggior parte dei casi) oppure bianco o addirittura in tinta con il decoro davvero differente da tutti gli altri materiali con cui si costruiscono le ante di una cucina è la sua perfetta resistenza a temperature addirittura fino a 180°. Tutte queste eccezionali caratteristiche sono principalmente dovute al fatto che il materiale in questione, pur essendo dotato di un decoro superficiale e di un corpo centrale portante di diverso colore, non è costituito da elementi separati di natura differente, ma è bensì costruito come un unico solido spessore, realizzato sovrapponendo strati di fibre di cellulosa impregnati con resine termoindurenti e sottoposti ad un processo ad alta pressione (da questo il suo nome) consistente nella applicazione simultanea di calore e pressione. Ciò determina la fusione e la policondensazione delle resine usate, da cui si ottiene un materiale omogeneo, resistentissimo, non poroso e con la possibilità di essere dotato di un infinita variante di decori e colori che vanno dalle tinte unite, ai disegni, dai finti legno alle finte pietre e così via. Le sue doti sono dunque tali da potervi costruire non solo ante ma anche piani di lavoro e addirittura lavelli!
superficiale. Una volta sezionate le lastre vengono controllate e levigate ai bordi, smussandone nel contempo anche gli spigoli. Una volta completata tale lavorazione si procede con l'applicazione di queste lastre su dei telai in alluminio, realizzata attraverso l'applicazione di viti e collanti. Tali telai - disponibili di solito sia nei colori scuri (come il brown), sia nelle versioni chiare come l'anotizzato ed il bianco - hanno una larghezza ed uno spessore tali da poter alloggiare e sostenere le cerniere che uniranno l'anta alla scocca del mobile. L'anta così ottenuta ha di solito uno spessore variabile dai 22 ai 28 mm e possiede, grazie alla sua conformazione, eccellenti caratteristiche di leggerezza, resistenza superficiale, assenza di bordi riportati, robustezza e lunga durata. Un altro aspetto da menzionare riguarda le particolari superfici , "venate" o “goffrate” che ultimamente caratterizzano spesso questi materiali. Questa caratteristica specifica merita attenzione in quanto l'HPL o Laminato stratificato, grazie ai suoi metodi di produzione, consente di ornare la propria superficie con effetti in 3D riproducenti perfettamente le rugosità naturalmente presenti, ad esempio, sul legno e sulla pietra. Uno dei motivi per cui questo materiale ha un notevolissimo successo anche in quanto materiale di rivestimento sta proprio nel fatto che esso, nella sua versione sottile, può essere applicato a pannelli in mdf o truciolare successivamente bordati, mentre, nella versione "Solid" o "Compact", esso si presenta esclusivamente con i bordi laterali a vista e ciò ne denuncia bene o male la reale sostanza.
Ante in legno impiallacciato
Torniamo adesso a parlare di quella tipologia di anta che prevede l'utilizzo di un supporto in particelle di legno (truciolare) o di MDF, descrivendo quella tipologia di anta che possiede le superfici esterne rivestite con una sottile foglia di vero legno. Lo faremo - visto che stiamo parlando di legno - proprio cominciando a delineare le caratteristiche dei materiali che possono costituire l'interno di questo tipo di anta, la sua parte cioè predominante e strutturale, i quali sono per l'appunto realizzati specificatamente utilizzando il legno.
Storicamente l'usanza di "nobilitare" con essenze pregiate dei legni di più scarso pregio, risale già a tantissimi secoli fa ed era dovuta principalmente al fatto che la rarità, il pregio ed il conseguente costo maggiore di alcune tipologie di legno, erano problemi divenuti ad un certo punto "ovviabili" grazie all'evoluzione tecnologica che aveva consentito (più industrialmente a partire dalla metà del diciassettesimo secolo), di ottenere dei fogli molto sottili di legno, da applicarsi al massello di altre essenze più povere e morbide come il pioppo, il cipresso e l'abete. Nel secondo dopoguerra si è iniziato ad applicare questi fogli di legno ad altri materiali più "tecnologici" e meno costosi - grazie ai processi di industrializzazione con sui essi vengono realizzati - come il compensato, il Truciolare e l'MDF appunto. Con questi materiali era del resto possibile realizzare grandi superfici uniche, che con il massello non potevano essere create; senza contare che tali materiali possedevano caratteristiche uniche (come la grande indeformabilità e l'inattaccabilità degli insetti che li rendevano particolarmente adatti alla costruzione di arredi e cucine).
La moderna industria del mobilio, per la costruzione di ante e pannelli, è andata via via indirizzandosi verso l'uso di Truciolare e MDF per le loro indubbie doti di economicità e resistenza.
Da un po' di tempo a questa parte oltre ai motivi prettamente economici e tecnologici, questi due nuovi materiali vengono scelti anche per l'azione positiva per l’ambiente che la scelta di questa tipologia di pannelli produce. Al giorno d'oggi è infatti sempre più frequente l’utilizzo di pannelli in fibre di legno, ricavate dagli scarti di lavorazione del legno stesso, che consentono di ottenere un prodotto dagli ottimi parametri qualitativi.
Nello specifico con la parola MDF (ovvero Medium Density Fibreboard), si indica proprio un pannello di fibre (di legno) a media densità (quest'ultima è calcolabile più o meno tra i 500 e gli 800 kg/mc), costituito da fibre di legno finissime legate tra loro da particolari collanti, che rendono il risultato finale estremamente solido e compatto. A differenza del truciolato o del compensato, il legno MDF si presta a essere lavorato come il legno massello, evitando le classiche sbriciolature degli altri materiali, e ciò rende questa tipologia di supporto particolarmente adatta a supportare rivestimenti che hanno necessità di essere applicati su superfici lisce e ben rifinite.
Il truciolare è invece un pannello di fibre di legno la cui singola consistenza non è sottile, come nel caso dell'Mdf, ma è più grossolana (da cui la parola Truciolare). Questa sua caratteristica permette un costo di produzione molto basso, una leggerezza maggiore del pannello ma non consente la lavorabilità che permette invece l'MDF. Nelle versioni di truciolare utilizzate per realizzare ante e pannelli da cucina, la migliore è senza dubbio quella idrofuga, dalla caratteristica colorazione verde, che grazie a delle colle speciali utilizzate per tenere insieme le fibre che lo compongono, riesce a resistere molto meglio agli attacchi dell'umidità.
Esistono ante da cucina che vengono impiallacciate utilizzando come supporti altri ottimi materiali, come il compensato ed il listellare di legno. Questi sono pannelli costruiti con fogli sovrapposti (nel caso dell'impiallacciato) o listelli in legno accostati parallelamente (nel caso del listellare) che una volta messi insieme e uniti attraverso speciali collanti, formano dei robusti e durevoli supporti indeformabili, molto adatti all'uso in cucina e resistenti all'umidità. Il loro alto costo produttivo ha impedito però una loro ampia diffusione industriale, e la concorrenza degli altri materiali, come appunto il truciolare o l'MDF, ha relegato l'uso di questi materiali alla produzione artigianale o semi-industriale.
Quello che si vuole descrivere in questo paragrafo è però soprattutto il rivestimento che possiedono le ante impiallacciate da cucina; per questo motivo è indispensabile descrivere le interessanti fasi di lavorazione necessarie, onde ottenerne la loro produzione.
Una volta deciso il tipo di supporto da utilizzare, i pannelli interi in truciolare o Medium Density vengono ricoperti con un foglio del legno pregiato con il quale si devono impiallacciare le ante. Questo foglio è in quel momento ancora di legno grezzo, privo cioè di qualsiasi trattamento o vernici ed è prodotto della stessa larghezza del pannello che deve ricoprire (o meglio, poco di più, per consentire la rifilatura). Ciò è reso possibile tramite una procedura detta "Cucitura", grazie alla quale tanti fogli di legno di larghezza limitata (più o meno la larghezza del tronco da cui sono tratti), vengono messi insieme fino a raggiungere la misura del pannello che devono rivestire. I fogli di "piallaccio" in questione possono avere uno spessore variabile dai 0,4 agli 0,8 mm (lo spessore maggiormente utilizzato è lo 0,6 mm) e possono essere fabbricati più o meno in tutte le essenze di legno esistenti. Quelle più utilizzate, sono ovviamente quelle che la moda del momento rende più richieste dal grande pubblico e risalendo indietro con gli anni, possiamo ricordare che negli anni settanta, furono ad esempio molto di moda il frassino ed il faggio, durante gli anni ottanta il noce, a cavallo fra gli ottanta e i novanta il ciliegio, per poi arrivare successivamente al wengè, al teak, al rovere, fino ad arrivare alle odierne tinte scure dei legni color "tabacco". A proposito dell'essenza utilizzata per il rivestimento però, è importante sottolineare che essa non incide molto sulle qualità tecniche dello sportello: il foglio che si utilizza per impiallacciare le ante è del resto troppo sottile perché ne possano essere apprezzate le qualità meccaniche. Quello che magari è più opportuno valutare è la sensibilità delle diverse essenze nei confronti della luce solare. A proposito di questo si può dire che le essenze più chiare, come il frassino ed il faggio, sono quelle solitamente più soggette a ingiallire e scurire a contatto con la luce del sole; mentre quelle molto scure, sono le più soggette a "sbiadire" con l'andare del tempo.
L'unione del foglio di legno con il pannello di supporto avviene attraverso un semplice processo di incollaggio e pressatura "a caldo" che può essere ottenuto anche artigianalmente grazie ad un comune macchinario detto appunto "pressa".
Le colle utilizzate per questa lavorazione sono ultimamente quasi sempre fabbricate a base di Resina Ureica, per la bassa emissione di formaldeide che consente la loro applicazione, ma possono essere anche semplicemente "Viniliche" se si opta per una pressatura "a freddo" dei pannelli.
Durante questa fase è possibile effettuare una scelta delle migliori "pelli" che si hanno a disposizione per rivestire le ante, scartando di conseguenza quelle difettate o non conformi all'esigenza estetica specificatamente richiesta per quelle ante. E' in questa fase che ancora oggi, alcuni processi industriali ripropongono la lavorazione detta "in bilia" che era propria degli ebanisti di un tempo.
Tale lavorazione prevede che la singola impiallacciatura che si pone sopra ad ogni pannello (detta appunto in gergo Bilia), segua fedelmente quella presente nelle ante o nei frontali che gli dovranno stare accanto, una volta montato il mobile o la cucina componibile a cui sono essi destinati. Ciò comporta una lavorazione quasi certosina, che parte a volte addirittura dalla scelta dei singoli tronchi da ridurre in fogli, per passare poi a soprassedere alla fase della "cucitura" delle singole Bilie, per fare in modo che unendo sapientemente insieme le venature dei tranci di impiallacciatura ai vari pannelli, si arrivi a ottenere dei decori complessivamente unici ed esteticamente perfetti.
Una procedura che è molto simile anche nel caso delle impiallacciature dette "tranchè" (di cui abbiamo accennato nel paragrafo dei laminati) che, al contrario del normale impiallacciato presentano una superficie più irregolare che intende simulare l'aspetto del legno quando è grezzo, cioè quando è stato appena tagliato dalla sega e non è ancora stato piallato e levigato.
Questo effetto dona alle ante impiallacciate con questo tipo di finitura, una fisionomia molto affascinante, data dal suo aspetto piuttosto "rustico" capace però di intonarsi perfettamente con il design Minimale che definisce ogni cucina moderna.
Una volta impiallacciati, i pannelli vengono sezionati nelle dimensioni che richiedono i mobili di cui si devono costruire gli sportelli. A quel punto le ante si presentano grezze e con i bordi laterali da cui si scorge il materiale di supporto. Per rifinirli si utilizza dunque un sistema di bordatura del tutto simile a quello che si impiega per bordare le ante in laminato, usando però solitamente delle sottili strisce di legno dallo spessore variabile di solito dagli 0,4 millimetri agli 1,5 millimetri. Anche in questo caso, lo spessore del bordo è direttamente proporzionale alla qualità dell'anta così come lo è lo spessore del rivestimento. Un spessore maggiore del bordo oltretutto corrisponde di solito ad una maggiore qualità estetica del prodotto finito in quanto un'anta bordata con uno spessore più importante, permette di lavorare il perimetro delle ante smussandone maggiormente gli spigoli al fine di ottenere un risultato esteticamente e qualitativamente ineccepibile.
D'altronde, uno sportello impiallacciato con un bordo tale da poterne ottenere una evidente "spigolatura", è migliore anche dal punto di vista meccanico: meno infatti lo spigolo dell'anta sarà "vivo" (quindi acuto) e meno sarà la possibilità di danneggiarlo con gli urti e gli attriti che comportano il suo normale uso.
Una volta bordata, rifilata e spigolata intorno l'anta viene levigata finemente per poi venir passata al settore "verniciatura".
Fino a pochi anni fa, le vernici utilizzate per la verniciatura di ante da cucina erano prodotte esclusivamente su base sintetica, cioè utilizzando solventi chimici. Ciò è dovuto al fatto che le ante di una cucina, a differenza del resto della mobilia di una casa, hanno di certo bisogno di una protezione maggiore dagli attacchi dell'umidità, dei grassi e delle sostanze applicate per la pulizia. Da un po' di tempo a questa parte sono però apparse sul mercato anche vernici completamente all'acqua che, essendo prive di solventi, rispondono meglio alle esigenze ecologiche di salvaguardia della salute e dell'atmosfera terreste. Queste vernici infatti, una volta essiccate, presentano resistenze del tutto paragonabili a quelle ottenibili con le vernici al solvente anche se, almeno attualmente, con dei costi relativamente superiori. al suo perimetro l'anta verrà a quel punto opportunamente "stuccata" e levigata per presentarsi perfettamente liscia e priva di fessure al processo di verniciatura. Questa avviene dapprima applicando sull'anta un liquido colorante (solitamente all'anilina) se lo sportello non deve conservare l'aspetto naturale del legno, dopodiché avviene la vera e propria verniciatura.
Tale procedimento prevede l'applicazione di successivi strati di vernice (colorata o trasparente a seconda dei casi), intervallati a loro volta da altrettante fasi di levigatura. Un'anta impiallacciata da cucina viene solitamente trattata con un numero di "mani" di vernice (così vengono chiamati in gergo gli strati che vi si applicano) che varia in numero dai 2 ai 6. Il primo strato è composto solitamente da una vernice più liquida e più adatta per questa sua caratteristica a chiudere maggiormente i pori (da cui il nome gergale "Turapori" che il legno naturalmente presenta). Nelle "mani" successive si applicano invece tanti stati di vernice quanto sono necessari per raggiungere la resistenza e l'effetto estetico che si vuole ottenere. Generalmente sono sufficienti 3 o 4 mani per le finiture opache (solo quelle però in cui i pori del legno vengono lasciati in evidenza), mentre sono generalmente necessarie altre 2 mani, per far sì che i pori rimangano perfettamente chiusi e quindi invisibili alla vista e percettibili al tatto. Un discorso a parte riguarda le finiture lucide: per ottenere infatti una finitura "Ultra Gloss " (il gloss è l'unità di misura della lucidità o dell'opacità di una superficie), è necessario applicare ad un'anta in legno grezzo anche fino a 10 strati di vernice perché si possa ottenere una superficie uniforme, quasi "vetrificata", ambita soprattutto nell'Europa dell'est. Questo - unito al fatto che ogni successivo strato di vernice, oltre ad una propria specifica levigatura, ha ovviamente bisogno anche del suo regolare tempo di essiccazione - fa ben intendere il motivo per cui, quando si parla di verniciatura o laccatura, una finitura lucida è di solito molto più costosa di quelle opache.
Ante da cucina in laccato opaco, Laccato lucido Diretto e laccato lucido Spazzolato
Passiamo adesso a descrivere quelle che, insieme alle ante impiallacciate "in bilia", sono spesso considerate le ante di maggior pregio di cui possa essere dotata una cucina componibile. Esse sono principalmente costruite utilizzando dei pannelli di MDF, opportunamente tagliati, levigati e spigolati, al fine di ottenere delle superfici più lisce ed uniformi possibile. A questi pannelli rifiniti vengono poi applicate generalmente 2 "mani" (o strati) di vernice di "fondo" o Turapori, le quali servono a sigillare il più possibile per minuscole porosità del pannello grezzo che, specie sul bordo dell'MDF sono presenti in grandissima misura. Questa fase è una di quelle che maggiormente determinano il risultato qualitativo di un'anta in laccato, perché è durante questi primi passaggi di verniciatura che si creano le basi per una finitura superficiale perfetta. E' bene a questo punto immaginare il pannello come un enorme terreno incolto da adibire a prato all'inglese: con la lavorazione del taglio e della spigolatura di un'anta da laccare è come se si operasse una prima pulizia del terreno dai sassi e dalla sporcizia. Con la successiva fase di applicazione delle mani di fondo, è come se si pareggiasse piano piano il terreno riempiendolo di terriccio fine, per fare in modo che esso appaia sempre più liscio in superficie e che quindi non siano più visibili né dossi né avvallamenti. La levigatura che si rende necessaria infatti successivamente ad ogni mano di "fondo", serve proprio a pareggiare ulteriormente ogni strato, in modo che esso sia sempre più regolare e possa quindi meglio accogliere gli strati successivi di vernice che vi verranno posti sopra. La preparazione preventiva di un'anta che deve essere laccata ha una tale importanza che la moderna industria del mobilio preferisce di recente spesso laccare ante precedentemente rivestite in un apposito melaminico piuttosto che provvedere ad una preparazione che risulta spesso lunga e difficoltosa. L'anta in melaminico ha inoltre l'innegabile vantaggio di poter essere supportata tranquillamente anche da un pannello in truciolare, visto il suo totale rivestimento liscio, dato dalla resina plastica.
Per la laccatura delle ante di una cucina si utilizzano solitamente vernici al Poliestere oppure poliuretaniche prive di emissioni tossiche, ma si stanno affacciando anche in questo tipo di trattamento le verniciature all'acqua di tipo ecologico, applicate specialmente nelle fasi di rifinitura. A differenza di quasi tutti gli altri materiali con cui si costruiscono o rivestono le ante da cucina, la "laccatura" ricopre tutta la superficie del manufatto, dalla parte anteriore a quella posteriore dell'anta, passando dai bordi perimetrici: questo garantisce un risultato estetico eccellente perché il metodo di applicazione della lacca impedisce che si possano notare bordi e giunture una volta terminato il processo di verniciatura; l'assenza di giunture superficiali protegge inoltre maggiormente l'anta dall'eventuale infiltrazione di umidità o sostanze oleose che può verificarsi in cucina.
Per una laccatura di ottima qualità, una volta preparato il supporto con le sue superfici lisce, perfettamente uniformi ed esenti da avvallamenti, pori o fessure, viene applicato un doppio strato di lacca. I due strati di vernice vengono di solito applicati, come si dice in gergo, “bagnato su bagnato” questo consente di ottenere una uniformità cromatica, dovuta al fatto che le due mani di vernice si "fondono", liquefacendosi una sull'altra e raggiungendo per questo uno spessore notevole. Dopo un determinato tempo di essiccazione, si applica un terzo strato di vernice con finitura opaca, che permette di espletare al massimo l’effetto uniforme della laccatura.
Nel caso si debbano ottenere delle ante laccate lucide, successivamente alla stesura della vernice colorata, si applicano due o tre strati di vernice trasparente lucida, facendola essiccare parzialmente tra uno strato e l’altro, allo scopo di ottenere un alto spessore di vernice trasparente. Al termine dell'intero processo di laccatura le ante vengono lasciate essiccare per 7/10 giorni, in modo da consentire il perfetto indurimento delle vernici. A questo punto, se si intende ottenere veramente il massimo della perfezione superficiale, si procede ad una ulteriore levigatura delle ante, ottenuta con carte abrasive finissime, e si effettua la cosiddetta "Spazzolatura", un importante procedimento in cui, tramite l’utilizzo di spazzole di cotone e cere lucidanti, le superfici vengono lucidate al massimo togliendo anche i più impercettibili difetti che potrebbero essere ad esempio causati dalla polvere giunta sul pezzo in fase di verniciatura. Il risultato finale che si ottiene è un’anta lucida, brillante ed uniforme con una discreta resistenza superficiale, ma con un costo notevole, dovuto soprattutto all'ultima fase. La spazzolatura necessita infatti di costosi macchinari industriali di grandi dimensioni, visto l'enorme tempo che sarebbe necessario per effettuare tale operazione a mano. Da qualche tempo a questa parte vengono però prodotte ante da cucina verniciate attraverso un procedimento detto Laccato lucido diretto, in cui le ante subiscono le ultime fasi di laccatura in camere speciali in cui la polvere viene tenuta lontana dal pezzo oggetto di trattamento. Questa procedura ha un costo notevolmente più basso rispetto al lucido spazzolato ma non raggiunge il livello di perfezione ottenibile con quest'ultimo metodo.
Ante da cucina in Laccato "UV"
Una delle più recenti innovazioni tecnologiche in fatto di materiali per la costruzione e il rivestimento dei frontali da cucina componibile, è senza dubbio quella conosciuta come "Laccatura UV" o Laccato ai raggi Ultravioletti.
Si tratta di un procedimento molto avanzato che necessita di costosi macchinari di grandi dimensioni, atti ad intraprendere procedure produttive talmente complesse ed elaborate da essere ad appannaggio solo di alcune grandi e selezionate aziende del comparto.
Senza entrare eccessivamente sul "tecnico" si può dire che la laccatura a velo con tecnologia UV, può essere banalmente ma efficacemente paragonata con quel trattamento che viene realizzato - fra l'altro, con la stessa base acrilica e lo stesso sistema di essiccazione - per la ricostruzione e la decorazione delle unghie. Le signore che conoscono tale procedimento sanno che esso è ritenuto molto efficiente, sia per la grandissima resistenza che queste resine raggiungono, che per la grande stabilità nel tempo che possono garantire alla superficie trattata e al suo colore. Grossolanamente, il laccato UV può essere considerato quindi come una sorta di via di mezzo fra una laccatura ed un rivestimento in laminato. Il laccato UV non è infatti una "normale" verniciatura, bensì una sorta di film (acrilico al 100%) che, tramite speciali attrezzature, viene applicato su superfici piane. Questa tecnologia non prevede quindi la verniciatura a spruzzo dei pannelli in Truciolare o MDF utilizzati come supporto, bensì l’applicazione per caduta di un unico velo di vernice sulla sola superficie piana dei pannelli che rimane "a vista". Ciò si ottiene tramite macchinari industriali chiamati appunto "Velatrici" che, lavorando orizzontalmente sui pannelli predisposti, permettono di applicare in un unico passaggio delle pellicole formate da grandi quantità di resina, consentendo nel contempo un recupero senza spreco del materiale applicato in eccesso. Il procedimento così effettuato è capace di assicurare elevate velocità di produzione, unite ad un eccellente risultato estetico e ad una resistenza al graffio introvabile in qualsiasi altro prodotto laccato. In questo caso i prodotti applicati sono induriti grazie all’irraggiamento effettuato da speciali "forni" in cui, lampade che emettono luce ad alta energia nel campo dell’ultravioletto, consentono un indurimento assai rapido ed efficace delle resine, grazie alla polimerizzazione ottenuta dall'esposizione ai raggi. La superficie così eccezionalmente irrobustita, oltre ad essere molto dura, ha una facilità di pulizia quasi pari a quella del laminato (inteso come rivestimento ottenuto con carte melaminiche impregnate), ha una eccellente luminosità dovuta alla semitrasparenza delle resine acriliche (tanto che a prima vista, nelle versioni lucide, sembra del tutto simile al vetro) e riduce di molto la possibilità che la superficie con esso trattata subisca l'ingiallimento nel tempo.
Come abbiamo avuto occasione di sottolineare all'inizio di questo paragrafo, il trattamento "a velo" viene applicato tramite la Velatrice ad una sola faccia del pannello in fibra di legno predisposto a questo scopo. Ciò comporta che il pannello in questione, oltre ad essere levigato e profilato opportunamente, deve essere in qualche modo rivestito lungo i suoi bordi e sulla sua intera facciata "posteriore". A questo scopo, i pannelli in truciolare spesso 20/22 mm, solitamente usati per la costruzione di questo tipo di anta da cucina, vengono precedentemente rivestiti sul loro lato posteriore, con una lamina costituita da fogli impregnati di resine melaminiche dello stesso colore con cui verrà decorato il fronte dello sportello. La fase di applicazione del velo acrilico può avvenire sia prima che dopo la sezionatura dei pannelli necessaria per portarli alle dimensioni di uno sportello. C'è però fra i due diversi metodi una differenza sostanziale: quando si procede infatti alla laccatura UV sui pannelli di grandi dimensioni, ancora da sezionare, si ha ovviamente un forte risparmio sui costi, ma si corre il rischio che durante il taglio delle ante, la loro bella superficie subisca dei piccoli danni; quando invece la sezionatura avviene prima della laccatura questo problema non sussiste, le ante avranno dunque la loro superficie pressoché perfetta, ma con un costo di produzione più alto. Nelle produzioni qualitativamente più avanzate quindi, una volta opportunamente sezionati con le dimensioni delle ante che si devono ottenere, i pannelli passano al procedimento di Laccatura UV e, appena concluso quest'ultimo, essi vengono bordati con un bordo in ABS, esattamente come avviene nelle ante in laminato. Il fatto di poter sezionare le ante precedentemente alla bordatura, consente di ottenere un aspetto qualitativamente migliore a quello ottenibile dopo la bordatura di un'anta in laminato, perché i minuscoli danni provocati inevitabilmente sul perimetro dal taglio dei pannelli, vengono adeguatamente coperti dal velo acrilico che viene applicato sulla faccia degli sportelli. La perfezione frontale di questi laccati, unita alla eccellente luminosità delle resine acriliche di cui sono composti, permettono addirittura di fornire le ante trattate con finitura Lucida UV, di uno speciale bordo in ABS realizzato con due differenti strisce di colore, che insieme simulano perfettamente il profilo che avrebbero delle vere ante da cucina in vetro. Il risultato finale è difatti a prima vista quello di un frontale che, pur avendo le stesse sembianze di un'anta in vetro da cucina, è ottenuto con un costo nettamente inferiore. Attualmente questo tipo di rivestimento sta soppiantando la versione lucida del laminato monocolore per la maggiore bellezza superficiale e la grande resistenza ad urti e graffi che esso può garantire. Bisogna comunque ricordare che le grandi dinamiche industriali che stanno dietro ad un prodotto tecnologicamente avanzato come questo, determinano anche inderogabilmente un suo basso costo di produzione.
Un altro esempio dunque, di come l'innovazione tecnologica è sempre protagonista nel mondo dell'arredo.
Ante da cucina laccate a "poro aperto" e le ante verniciate effetto "Decapè"
Esiste un tipo di laccatura che consente di verniciare un'anta in legno in modo che rimangano perfettamente visibili tutti i piccoli pori che formano la sua bella venatura.
L'effetto ottenuto risulta particolarmente interessante perché lascia intatto l'estetica naturale tipica del materiale, pur dando al manufatto un aspetto elegante ed una notevole resistenza. Per il laccato a poro aperto (solitamente è opaco, ma ne esistono anche versioni lucide) viene solitamente utilizzata la stessa procedura che si porta avanti nell'applicazione del laccato opaco descritta nel paragrafo precedente, quello che cambia è solitamente il tipo di supporto, il tipo di vernice ed il numero di strati applicati. Per ottenere un'anta ad effetto venato è necessario infatti partire da un'anta rivestita da un impiallacciatura di legno molto "venato" oppure da un'anta decorata da uno speciale strato melaminico o polimerico riproducente in modo accentuato i caratteristici rilievi e pori che presenta un'anta in vero legno. Su queste basi, debitamente preparate, viene applicata in uno o due strati la lacca opaca, formulata ultimamente su base acquosa per ridurre quanto più possibile l’impatto ambientale di questo processo di rifinitura. Al termine della laccatura le ante vengono lasciate essiccare completamente per diversi giorni, al fine di consentire l’indurimento completo delle vernici. L’applicazione in pochi strati della vernice opaca è necessaria, in questo specifico caso, per far si che avvenga il corretto affioramento delle minuscole asperità e dei piccoli avvallamenti tipicamente presenti su di una superficie venata, è per questo indispensabile che la lacca sia di un tipo adatto a non chiudere troppo i pori.
Le maggiori differenze esistenti fra un'anta laccata a poro aperto su supporto in legno impiallacciato e uno sportello realizzato invece laccando su di un rivestimento sintetico, stanno principalmente in tre fattori: il loro costo, il loro pregio e la loro resistenza. Un'anta in vero legno, laccata a poro aperto, è infatti sicuramente più costosa e più pregiata dell'altra, ma a livello di resistenza il fatto di poter contare su di una ulteriore pellicola di protezione sottostante alla laccatura, avente uno spessore ben maggiore rispetto a quello che possono garantire i pochi strati di vernice applicati superficialmente, rende le cucine laccate su melaminico o polimerico più resistenti agli urti.
Ciò non si può altrettanto dire a proposito di graffi e micro-graffi per i quali, essendo uguali i procedimenti di verniciatura utilizzati solitamente per i due tipi di ante, si hanno più o meno le stesse prestazioni. Ciò deve essere tenuto nella massima considerazione soprattutto quando si tratta di manutenzione e di pulizia. La pulitura di una cucina laccata (qualsiasi sia la sua finitura) deve essere infatti eseguita con un panno morbido (magari in microfibra) o una spugnetta inumidita e usando detersivi non abrasivi o corrosivi. In caso di macchie ostinate può essere utilizzato, specie per i laccati lucidi, l'alcool etilico o altri tipi di sgrassatori, ma sempre in una soluzione molto diluita in acqua. Sono da evitare assolutamente i solventi come acetone e trielina, l'ammoniaca e l'utilizzo di creme abrasive o pagliette dure che finirebbero certamente per danneggiare irrimediabilmente le ante, così come è da evitare il bagnare troppo le ante, specie durante l'operazione di risciacquo.
Assimilabili alle ante laccate a poro aperto sono anche le ante con il cosiddetto "effetto decapè" o decapato che dir si voglia. Si tratta di una finitura che deve la sua diffusione all'abitudine, per lo più provenzale, di riportare "a Legno" quei mobili che erano stati precedentemente laccati o smaltati con colori chiari al fine di attualizzarli alla moda dell'epoca. Questo procedimento avviene tramite un lavaggio effettuato con acqua e acido (da qui il nome decapè) che toglie la pellicola di spesso smalto esistente in superficie, al fine di riportare in evidenza la bellezza del legno naturale. Ai nostri tempi questo tipo di finitura si ottiene verniciando con vernice trasparente un legno
precedentemente "macchiato" o colorato col tono desiderato. Dopodiché si procede "sporcando" l'anta con un leggero strato di lacca speciale chiara che, una volta rimosso tramite un lavoro di abrasione e levigatura prettamente artigianale, raggiunge il tipo di rifinitura richiesta. Una volta finito, il trattamento subisce un'ulteriore mano di vernice trasparente al fine di sigillare e rendere duraturo il risultato ottenuto. La particolarità di questa finitura sta nel fatto che con la fase di rimozione della superficie laccata - appositamente applicata per ottenere l'effetto in questione - il manufatto si presenta trasparente e mostra completamente la naturale bellezza del legno con cui è costruito. Siccome però con il lavoro artigianale non si riesce a rimuovere perfettamente il sottile strato di lacca applicato, quest'ultima rimane leggermente incuneata nei pori del legno, nelle sue venature e soprattutto nelle cornici e nelle modanature di cui sono caratterizzati soprattutto gli arredi da cucina ed i mobili "classici". Tutto questo processo rende difatti l'aspetto delle ante trattate molto interessante e "romantico" e conferisce alla mobilia un valore estetico "di memoria" senza dubbio di qualità superiore.
In gergo si indicano per similitudine ad "effetto decapè" anche quegli sportelli da cucina che, pur non mostrando completamente la propria naturale superficie, vengono laccati "a poro" aperto quasi sempre al fine di mantenerne il colore fra i toni più chiari come il bianco ed il canapa. In questo caso la dicitura decapè è dovuta ad una sottile "patina" di trattamento superficiale che una volta applicata e poi rimossa quasi per intero - proprio come avviene con il vero effetto decapè - dona al manufatto rifinito un'elegante e ricercata foggia "anticata".
Ante da cucina in Vetro opaco e lucido, Ante in vetro materico, serigrafato oppure in Cristal-ceramica.
L'usanza di inserire vetrinette, o comunque singole ante in vetro all'interno dell'arredo di una cucina risale a molto tempo fa. Del resto ogni massaia possedeva e spesso possiede tuttora un "servito buono" o qualche altro tipo di suppellettile che ha piacere ad esporre in evidenza, tenendo magari invece ben nascoste le altre tipologie di stoviglie. La moda che esiste ormai da qualche decennio di rivestire delle intere cucine componibili (per lo più quelle dal design moderno) con ante completamente ricoperte in vetro, prende spunto probabilmente proprio da questa usanza.
Per ottenere questo particolare tipo di frontale da cucina si utilizza più o meno lo stesso sistema descritto a proposito delle ante in HDL compact, procedendo cioè alla costruzione di solidi telai in metallo predisposti per le cerniere, a cui vengono applicati - in questo caso- delle piccole lastre in vetro temperato della misura necessaria a costruire i frontali. Il telaio di sostegno è realizzato solitamente di solido alluminio anodizzato, materiale senza dubbio da preferirsi per la sua leggerezza, la sua robustezza e la sua perfetta resistenza all'umidità esistente in cucina.
A parte i tanti colori di questo tipo di metallo disponibili sul mercato, esistono diversi tipo di telai in alluminio dal profilo adatto a questo scopo: ve ne sono alcuni predisposti per i fori di montaggio delle maniglie o dei pomoli, altri che attraverso un incavo esistente nel loro bordo permettono una facile apertura delle ante e altri ancora che racchiudono il vetro all'interno di una vera e propria "cornice" (di larghezza differente a seconda del modello) che, perfettamente e volutamente visibile dall'esterno, contiene e imprigiona completamente il vetro, senza rendere necessario alcun altro tipo di fissaggio.
Il moderno design minimalista che caratterizza le cucine componibili di ultima generazione ha reso però indispensabile la creazione di una tipologia di anta in vetro che sia capace di dare alla bellezza di tale materiale in maggior risalto possibile. Ciò ha fatto sì che il tipo di anta in vetro sicuramente più desiderato e popolare in questo momento, sia proprio quello con telaio "a scomparsa" o "invisibile". Tale tipologia di telaio esiste in due versioni. Nella più diffusa la porta è formata da un telaio che, integrando nel suo profilo una sottilissima lamina laterale alta poco meno dello spessore del vetro, riesce a contenere quasi interamente il suo spessore, coprendo completamente il perimetro dell'anta (di solito spessa dai 2 ai 2,5 cm) e pur restando invisibile a chi vede la cucina di fronte. Nel secondo caso il vetro viene invece ancorato ad un telaio di spessore adeguato, il quale, non coprendo per niente con il suo spessore il profilo del vetro, rende l'effetto complessivo più pulito e accattivante, ma anche, ovviamente, più soggetto a subire danni dovuti agli eventuali urti accidentali. In entrambi i casi, i pannelli in vetro temperato destinati a decorare le ante, vengono applicati e fissati ai telai in alluminio tramite incastri e collanti appositi e sono quasi sempre trattati o verniciati in modo da non lasciar trasparire il proprio telaio e l'interno del mobile.
Quello della "resistenza" e della "praticità" sono temi molto discussi da chi si approccia all'acquisto di una cucina con ante in vetro. Ancora oggi si associa infatti all'idea di vetro, l'idea di un materiale fragile e poco pratico e si dimentica troppo spesso tutte le altre tantissime qualità che un prodotto del genere può dimostrare nel suo utilizzo in cucina. Quindi è bene rammentare che il vetro è forse il materiale più resistente e che richiede meno manutenzione che esista sul mercato. Esso è inattaccabile dall'umidità, quindi è facilmente pulibile e non si rompe se non urtato con estrema violenza. Il vetro utilizzato per gli sportelli da cucina è infatti al giorno d'oggi quasi esclusivamente del tipo detto "temprato", perché esso rispetto ad altre tipologie di vetro, risulta essere maggiormente resistente ai graffi ed ai piccoli urti e garantisce quindi una maggiore durata del prodotto finito. I vetri temprati sono anche i più affidabili in termini di sicurezza, perché si ottengono attraverso un processo di riscaldamento e raffreddamento successivi che li porta, in caso di rottura, ad uno sgretolamento in piccolissimi frantumi. Ciò rende ovviamente più sicuro il suo utilizzo perché in tal modo si evita la formazione di grosse schegge appuntite di vetro che possono causare anche gravissimi incidenti domestici.
Il vetro temprato utilizzabile per rivestire una cucina, oltretutto, non esiste però in una sola versione ... anzi!
Prima di approfondire questo argomento, ricordiamo innanzitutto che quando si parla di un vetro adatto a rivestire le ante di una intera cucina esso deve essere quasi sempre "coprente", cioè non deve far di solito trasparire ciò che contiene il mobile che lo ospita. Anche se questo non è sempre vero (perché esistono anche cucine con tutte, o comunque quasi tutte, le ante in vetro trasparente o traslucido), di solito i vetri vengono di conseguenza "trattati" in modo da impedirne la trasparenza. Il tipo più diffuso di vetro utilizzato a questo scopo è il vetro "laccato", il quale, come dice il nome stesso, viene trattato attraverso un apposito procedimento di laccatura tramite il quale vengono applicati al lato interno di un vetro spesso 4 0 5 mm uno o due sottili strati di vernice colorata specificatamente studiati per rimanere perfettamente applicati al vetro per sempre. Questo procedimento è effettuato sul lato interno dell'anta in modo che la sua superficie "a vista", quella cioè a diretto contatto con l'ambiente, rimanga liscia e facile da pulire, mentre quella interna rimanga più protetta da eventuali urti o graffi che ne pregiudicherebbero la bellezza. Quando il vetro temprato è semplicemente verniciato in questo modo viene detto "Vetro Lucido Laccato", per la lucentezza della sua superficie esterna; quando invece la superficie esterna presenta un aspetto satinato viene detto "Vetro Opaco laccato". Questo tipo di vetro, a differenza dell'altro, viene sottoposto sul lato esterno ad un trattamento di satinatura o sabbiatura, che rende la superficie del vetro opaca. Durante questa operazione, che avviene sempre antecedentemente al processo di laccatura, la facciata del vetro viene “trattata” con un acido che gli conferisce un aspetto un po' più ruvido. La superficie in questione verrà poi successivamente "lucidata" al fine di donargli un aspetto più uniforme. Come abbiamo già detto, il vetro resiste alle macchie, non assorbe acqua o umidità ed è altamente igienico. Nella versione opaca l'attenzione che richiede è però maggiore perché venendo a mancare la superficie eccezionalmente liscia tipica del vetro, esso risulta più suscettibile a sporcarsi, specie con i grassi ed i prodotti che contengono solventi e siliconi. Per rimuovere lo sporco da un'anta in vetro opaco inoltre, possono essere usati i normali prodotti specifici per la pulizia del vetro, ma non possono essere usati detersivi o spugnette abrasivi. Attenzione poi a non graffiarlo! Il vetro opaco infatti è molto più delicato per quanto riguarda graffi o micro-graffi che possono essere causati da metalli, ceramiche o altri vetri.
Le stesse identiche cose, a proposito di pulizia e manutenzione, possono essere dette anche in merito ad un altro tipo di vetro da cucina, quello detto "serigrafato". Questo tipo di vetro invece di una colorazione, così come avviene in un vetro laccato, viene sottoposto ad un processo di "serigrafia", al fine di riprodurre sulla sua facciata un disegno o un motivo decorativo. Tale serigrafia è quasi sempre applicata nel lato retrostante del vetro, ma esistono anche ante da cucina in vetro che, per motivi prettamente estetici (la resa di una serigrafia vista in superficie è infatti solitamente maggiore e comunque diversa da quella vista "dal retro"), vengono decorate sul lato frontale dello sportello. Questo fatto comporta ovviamente che, se si ha a che fare con delle porte in vetro serigrafate sul retro si possa pulire e manutenere il fronte come si farebbe con qualsiasi altro vetro, mentre se ci si trova a dove trattare un vetro serigrafato sul davanti, esso richiederà una cura ed un'attenzione maggiore.
Questo problema può tranquillamente dirsi non presente nel caso si decida di acquistare invece una cucina dotata di frontali in Vetro Materico o in Cristal Ceramica. Si tratta di due tipologie che dipendono d due processi di produzione ben diversi, ma che portano a risultati estetici abbastanza simili fra loro. Lo scopo per cui si produce questo tipo di sportello è quasi sempre quello di ottenere una finitura simile alla pietra, al marmo o al metallo, grazie alle sue innumerevoli possibilità di personalizzazione.
Si chiama Vetro Materico quella tipologia di vetro che si ottiene dalla verniciatura decorativa del retro di un vetro espressamente prodotto, la cui superficie frontale non è liscia come di solito, ma viene bensì prodotta con una lavorazione speciale che gli dona un aspetto interessante e particolare simile alla superficie grezza della pietra. Una volta formato questo vetro possiede ancora la sua caratteristica trasparenza e può essere quindi utilizzato per la produzione di vetrinette, ma non sarebbe adatto a rivestire un'intera cucina. Esso viene allora colorato sul retro, in modo da rendere invisibile il suo interno e più verosimile il suo aspetto, specie se intende riprodurre la pietra o il metallo. La verniciatura del retro infatti viene realizzata molto spesso non con vernici o lacche "unite", bensì con procedimenti quasi artigianali che, grazie all'estro dei designer riescono a dare alle lastre degli effetti cromatici variegati, davvero molto piacevoli e attraenti. Anche in questo caso la superficie in vetro, non essendo decorata direttamente, ma soltanto nella sua parte retrostante, non ha problemi di pulizia o manutenzione. L'unica attenzione che si deve fare è quella di evitare che lo sporco rimanga magari incastrato fra le asperità troppo accentuate di qualche superficie di vetro materico finta pietra, in cui si è voluto dare molto risalto alle rugosità tipiche della pietra grezza.
A proposito di vetro "materico" è interessante sottolineare che, anche se attualmente le sue finiture più in voga sono quelle che simulano il metallo e la pietra, questo materiale è realizzato per le ante delle cucine (sia industrialmente che artigianalmente, nelle sue versioni "soffiate a mano") ormai da molti decenni nelle forme più svariate e nei decori più diversi. Ciò fa presupporre con una certa sicurezza che esso rimarrà ancora a lungo fra quelli preferiti per decorare, magari in modo originale ed estroso le nostre cucine componibili.
Quello della resistenza superficiale del vetro, o più in generale di quei materiali che vengono utilizzati per rivestire le cucine componibili è di certo un tema molto sentito dai consumatori che spesso cercano presso i rivenditori o su internet notizie utili a proposito di questo o quel materiale, al fine di orientare meglio le proprie scelte. Proprio per soddisfare le crescenti esigenze esistenti in tema di arredi funzionali, si è affacciato da pochissimo tempo un altro materiale innovativo capace di rispondere davvero egregiamente alle richieste che i consumatori fanno a proposito di resistenza, durata e facile manutenzione dei frontali delle cucine componibili. Questo materiale si chiama Cristal-Ceramica e viene utilizzato già da qualche tempo anche nel settore cucina per la produzione di piani di lavoro e piani da tavolo. E' ottenuto tramite l'accoppiamento di un sottile strato di vetro temperato con uno, altrettanto sottile di ceramica dall'effetto "materico"; grazie a tale tale accoppiamento il materiale ottenuto viene rafforzato e reso resistentissimo. La Cristal-Cermica, anche detta in gergo vetroceramica o super-ceramica è caratterizzata da durezza, leggerezza, resistenza al calore ed igiene superficiale. Anch'essa come il vetro è idrorepellente, oleo-repellente, resistente agli acidi, atossico, e inattaccabile dai raggi UV. Come lo stesso vetro e la ceramica, è usanza attuale produrre la Cristal-Ceramica decorandola con la forma ed il colore di diversi materiali naturali come il marmo, la pietra, il Corten e altre finiture metalliche.
Ante da cucina in Gres, Lastra ceramica o Laminam
E' ormai già dal secondo dopoguerra che l'alta tecnologia può dirsi entrata a tutti gli effetti nel mondo degli arredamenti da cucina. E dopo un incessante susseguirsi di successi commerciali e scientifici che hanno riguardato il settore è stata ancora una delle più recenti innovazioni tecnologiche a raggiungere i consumatori permettendo la realizzazione di lastre in ceramica e gres porcellanato, dotate di spessori talmente sottili da essere paragonabili addirittura a quelli del vetro. Ciò consente di realizzare delle ante da cucina utilizzando lo stesso sistema produttivo che si usa per le ante in vetro: Un telaio in alluminio - anodizzato solitamente nei colori argento o brunito - prodotto in svariati profili appositamente studiati, nel quale, anziché del vetro, viene alloggiata e fissata una lastra in ceramica dallo spessore variabile dai 3 ai 5 mm. Questo tipo di ceramica possiede delle caratteristiche tecniche eccellenti paragonabili a ben pochi altri materiali. La Ceramica tecnica per utilizzata per le ante della cucina è un materiale prodotto con argille nobili, arricchite da sostanze come quarzi, feldspati e caolini sinterizzati. Se ne ottiene una superficie compatta, omogenea, resistentissima agli sbalzi di temperatura, non assorbente, quindi igienica, antibatterica e non soggetta a variazione cromatiche. Il Gres è però soprattutto leggero, robusto e la sua durezza lo rende capace di superare prove di compressione e abrasione davvero quasi "impossibili", che lo rendono perfettamente adatto anche alla realizzazione di piani da cucina, lavelli e top per tavoli. Le ante da cucina in ceramiche tecniche esprimono dunque la loro resistenza anche rispetto alla durata nel tempo e alle proprie specifiche proprietà antigraffio, che assicurano una cucina che si mantiene eccezionalmente più integra nel tempo.
La ceramica inoltre presenta una notevole ricchezza dal punto di vista decorativo, poiché è possibile trovarne in commercio una notevole varietà di combinazioni cromatiche e decori. Il suo aspetto più diffuso e popolare è attualmente quello che simula il marmo e la pietra, materiali con i quali condivide però solo i pregi estetici, senza possedere nessuna delle difficoltà di uso che di solito accompagnano tali supporti. Bisogna tener presente che con questo tipo e spessore di lastre, vengono infatti rivestite intere pareti e interi pavimenti - come avviene spesso attualmente nei più lussuosi bagni di tendenza - e questo la dice lunga circa le sue eccezionali prestazioni. Tant'è vero che fra i tanti materiali proposti per realizzare e rivestire ante da cucina, il Gres rappresenta di certo la soluzione più innovativa ed una fra le poche che hanno il vantaggio di essere 100% naturale, in quanto non rilascia sostanze nocive nell'ambiente e può essere facilmente smaltito e reimpiegato in altri processi produttivi.
La nota dolente di questo materiale è generalmente ritenuta il costo: la ceramica però, come abbiamo detto, ha come punto di forza l’eccezionale durezza e questa sua eccellente connotazione comporta che in fase di produzione, si debbano forzatamente adottare tecnologie e macchinari molto costosi in quanto capaci di tagliare e lavorare lastre dotate di quelle eccezionali caratteristiche tecniche. Il suo costo dunque non è eccessivo, ed è del tutto paragonabile a quello di un'anta da cucina in vetro materico; la sua resa estetica è però davvero insuperabile e si presta a realizzazioni eccellenti dal design originale e innovativo. Certo, una cucina con le ante in Gres o Laminam (uno dei suoi numerosi nomi commerciali) non può dirsi sicuramente per tutte le tasche, ma il suo rapporto fra qualità tecniche, caratteristiche estetiche e prezzo, ne fanno di sicuro uno dei materiali con il più alto indice di gradimento.
Un'altra interessante peculiarità di questo materiale: è fra i pochi, con il quale è possibile realizzare sia le ante, che i piani che i rivestimenti murali di un'intera cucina componibile. Una possibilità più unica che rara, la quale non mancherà di stimolare i palati più fini!
Ante da cucina in finitura Cemento, Malta o Ecomalta
Ed eccoci tornare - dopo aver esaminato numerosi tipi di ante caratterizzati dall'essere supportati da un telaio in allumino - ad un tipo di frontale da cucina componibile realizzato tramite il supporto di un pannello in truciolare o MDF, spesso di solito dai 18 ai 27 mm. Con i termini Cemento, Malta o EcoMalta si denomina un tipo di vernice innovativa che, grazie ad una meticolosa ricerca tecnologica, è stata formulata allo scopo di realizzare una superficie "tridimensionale" altamente decorativa, che fosse possibile applicare ai normali supporti per anta da cucina in fibra di legno, nel totale rispetto dell’ambiente. Il prodotto, una volta applicato, si presenta nello stesso modo mosso e variegato in cui fa bella mostra di sé una splendida parete decorata artigianalmente a "Marmorino". Non a caso la malta utilizzata solitamente per rivestire le ante da cucina, proprio come il Marmorino, è composta da materiali quasi totalmente naturali: impasti composti da inerti finissimi, miscelati con vernici colorate totalmente all’acqua, e resi però nel contempo adatti all'uso "da cucina" grazie alle più recenti tecnologie. Personalizzabile nei colori e negli effetti decorativi più originali, ignifuga, resistente, flessibile, riciclabile e totalmente priva di sostanze tossiche, la malta cementizia utilizzata a questo scopo è impermeabile, ma allo stesso tempo traspirante alle molecole del vapore, qualità che fa mantenere in tutto il suo spessore la naturale traspirabilità delle imbiancature realizzate "a calce". Il risultato finale è una superficie continua (spessa da 1 a 3 mm), pratica e facile da pulire, che il suo aspetto caldo, morbido e quasi "vellutato", rende particolarmente adatto a chi desidera realizzare una cucina che - nelle sue superfici orizzontali - esuli completamente dalle normali finiture lucide e opache che si possono trovare usualmente in commercio.
La sua applicazione prevede addirittura sei differenti passaggi di finitura, che devono necessariamente essere eseguiti "a mano" da personale altamente qualificato, al fine ottenere il risultato ottimale. E' dunque data da questa sua lavorazione prettamente artigianale l'eccezionale qualità estetica di questo prodotto. Le prime mani, in realtà, sono quelle che fungono da "fondo", con cui si prepara il pannello - in truciolare o MDF precedente rifinito e profilato - a ricevere i successivi strati di vernice. Le ultime quattro mani vengono applicate utilizzando dapprima un pennello, in maniera da stendere uniformemente il prodotto, e poi una spatola metallica piatta con la quale l'artigiano decora nella finitura decisa, la superficie dell'anta. Lo scopo è quello di ottenere un prodotto sicuro e resistente, realizzato però attraverso susseguenti lavorazioni che, sovrapponendosi, danno risultati sempre diversi. Il movimento manuale della spatola durante la stesura del prodotto infatti genera - ogni volta in maniera più o meno marcata- delle discontinuità superficiali che creano interessanti variazioni cromatiche tridimensionali che sono, esse stesse, sinonimo di originalità, naturalezza e qualità estetica del prodotto finito.
Le spatolature tipiche di questo tipo di finitura, hanno un sapore lievemente "retrò" che stimola fortemente la memoria di chi lo vede e lo tocca e suscita per questo in tutti coloro che lo apprezzano per la prima volta un certo stupore. A parte il suo straordinario aspetto però, la malta cementizia deve soprattutto essere resistente: una malta che veramente può dirsi "di qualità" è infatti refrattaria allo sporco e alle macchie perché è igienica e impermeabile, è antistatica e non muta il proprio colore nel corso del tempo. In tal caso per la sua pulizia può essere utilizzata della semplice acqua calda, miscelata con l'aceto di mele. In alternativa possono essere usati anche i normali detersivi e disinfettanti esistenti in commercio (sempre diluiti in acqua), facendo però attenzione che non siano troppo aggressivi, come quelli alcalini o quelli contenenti alcol o solventi. Di facile manutenzione dunque, specie quando è fatta utilizzando materiale altamente tecnologico, la malta possiede una dote che ben pochi altri materiali utilizzabili per rivestire le cucine possiedono, quella di essere facilmente ripristinabile, anche a distanza di molto tempo. La sua formulazione rende infatti possibile riparare senza grossi problemi qualsiasi piccolo danno possa aver subito un'anta da cucina trattata con questo prodotto, anche a molti anni di distanza. Qualora, ad esempio, delle gocce di vino rosso, the o caffè (forse le sostanze con cui è più facile macchiare qualsiasi superficie naturale) fossero state dimenticate sulla sua superficie troppo a lungo, senza che esse siano state prontamente rimosse, è possibile effettuare un piccolo ritocco applicando su di esse con una spatola, un altro sottilissimo strato di vernice. Le naturali asperità che il materiale presenta a causa delle successive lavorazioni che subisce, impediranno che questa piccola riparazione appaia successivamente visibile ad occhio nudo.
Per ultimo una piccola curiosità: tutte le nuove superfici materiche realizzate in laminato, ceramica e quant'altro, simulanti il cemento o la malta - dai più svariati colori e dalle più svariate finiture esistenti sul mercato - devono la loro diffusione a questo prodotto che ha iniziato ad interessare il mercato delle cucine componibili già una decina di anni fa. Senza che fosse stato allora possibile apprezzare la sua bellezza, nessuno dunque avrebbe mai avuto la possibilità di possedere cucine componibili, dotate di alcune delle più moderne finiture "di tendenza" esistenti attualmente in commercio.
Ante da cucina in acciaio inox, anticato o effetto Peltro.
Come abbiamo detto all'inizio di questo articolo, le prime cucine composte da elementi accostabili ad affacciarsi sul mercato italiano nel dopoguerra, erano realizzate spesso in metallo perché quasi sempre prodotte dalle stesse aziende che fabbricavano le stufe a legna e le cucine elettriche o a gas (le cosiddette cucine economiche) che pian piano si diffondevano nelle case della nostra Penisola.
Poi, per motivi sia industriali che commerciali, il comparto dei mobili da cucina è andato prendendo direzioni differenti, con produzioni che prediligevano soprattutto l'utilizzo del legno e della fibra di legno, al fine di ottenere mobili più leggeri, sempre sufficientemente resistenti, ma soprattutto dotati di un costo che fosse accessibile a tutte le tasche.
La produzione di mobili in metallo per cucina però non è cessata, tutt'altro... ha finito però per interessare quasi esclusivamente il mondo delle cucine professionali, quelle dei ristoranti e dei cuochi per intendersi, in cui per la mobilia da cucina non viene praticamente utilizzato nessun altro materiale che l'acciaio inox. Questo fatto, unito alla indiscutibile bellezza estetica del metallo e alla sua perfetta igienicità quando è opportunamente utilizzato in ambiti culinari, ha finito però per continuare ad affascinare i designer delle cucine componibili e i loro committenti "privati" più esigenti. Per questo motivo si è venuta a creare nel tempo una certa tendenza stilistica detta proprio "Professional" che predilige anche in ambito domestico l'uso del metallo nelle sue versioni inossidabili dell'acciaio e dell'alluminio.
In verità queste soluzioni sono tra quelle più indicate per ottenere un mixage stilistico che sia capace di donare alla "normale" cucina componibile, degli aspetti qualitativi che siano evidenti e percettibili a chiunque. Per questo motivo, un po da sempre, l'utilizzo dei metalli inossidabili in cucina è diventato molto diffuso e popolare quando si desidera in qualche modo "impreziosire" gli arredi con degli inserimenti “hi–tech”. Esistono perciò in commercio molte collezioni che prevedono l'utilizzo di questi materiali per la produzione di qualsiasi suppellettile o contenitore possa essere inserito in una cucina componibile, fino ad arrivare addirittura a quelle produzioni industriali che permettono la realizzazione dell'intero arredo di una cucina. Per rimanere perfettamente in tema con questo articolo, noi ci concentreremo però con l'esaminare solo quelle produzioni che interessano la realizzazione di ante in metallo, adatte all'inserimento nelle cucine componibili. Principalmente i sistemi produttivi che è possibile individuare sul mercato a proposito sono due: quelli concernenti la produzione di ante in lamiera di acciaio inossidabile e quelle riguardanti la produzione di ante in alluminio.
Nel primo caso si tratta quasi esclusivamente di ante ottenute dal taglio, dalla piegatura e dalla saldatura di lamiera di acciaio inossidabile, a cui viene data con le successive lavorazioni la forma di una scatola, chiusa ermeticamente o usata semplicemente come rivestimento frontale e laterale di altri materiali. Nelle ante da cucina realizzate in acciaio inox esistono dei piccoli ma fondamentali dettagli che determinano la qualità dello stesso manufatto. Innanzitutto, lo spessore e la qualità della materia prima, la quale dovrà avere uno spessore tale da resistere senza alcun problema alle sollecitazioni che riceve una cucina componibile ma anche tale da non aggravare, con il suo peso, le cerniere con cui lo sportello verrà ancorato alla scocca. Poi la qualità della lavorazione, che prevedendo passaggi di per sé già molto difficoltosi, come il taglio di una spessa lamiera, la sua piegatura, la saldatura dei giunti e, importantissima in una cucina, la sua accurata rifinitura, dovrà essere effettuata con attrezzatura e competenze tali, da non essere facilmente reperibili ovunque. Anche la "progettazione" di un'anta in acciaio ha senza dubbio una notevole importanza. Il perché è presto detto: i metodi costruttivi che possono portare alla realizzazione di un'anta in acciaio da cucina, possono essere molteplici e partono dal banale ed economico rivestimento in sottile lamiera di un pannello in compensato o fibra di legno, fino ad arrivare a complesse strutture che prevedono l'uso di rinforzi angolari, speciali sostegni per le cerniere, riempimenti in materiale isolante leggero, saldature "speciali" totalmente invisibili e così via... Solo un'anta ben realizzata rende infatti l’acciaio inox il materiale ideale per l’igiene negli ambienti domestici. Oltre a non arrugginire un'anta in acciaio da cucina deve essere infatti facilmente lavabile e disinfettabile (l'acciaio di per sé è del resto biologicamente puro), non deve avere un peso eccessivo, deve essere priva di spigoli o sporgenze taglienti e deve essere esteticamente perfetta e rifinita. Per questo tipo di anta il sistema di costruzione ovviamente più semplice e economico è quello che prevede il rivestimento di un pannello "tecnico" di legno, tramite una lamiera che opportunamente tagliata e piegata riveste i cinque lati "a vista" e viene rivestita sul lato posteriore con lastra di alluminio anodizzato. Quest'anta, per mantenere però un peso sopportabile dalle cerniere con cui verrà fissata alla sua scocca, dovrà essere necessariamente realizzata con una lamina di acciaio ben sottile e ciò può compromettere la sua resistenza a proposito di urti o ammaccature. Danni che sono molto più difficili da causare ad un'anta di acciaio, ad esempio dotata di uno spessore di 2 o 3 decimi, così come avviene nelle ante qualitativamente più robuste, realizzate costruendo delle vere e proprie scatole autoportanti in lamiera, in cui sia gli angoli che in punti di giunzione sono rinforzati, oltre a possedere delle piccole vere e proprie strutture interne in cui trovano posto gli alloggi ed i fissaggi per le cerniere. In quest'ultimo caso, si tratta ovviamente di produzioni ben più complesse e costose che prevedono addirittura l'utilizzo di materiali del tutto inusuali in cucina come i pannelli compatti in isolante leggero che vengono inseriti all'interno delle ante in acciaio "scatolate" in modo da fungere da "anti-rombo", cioè di impedire al materiale di produrre fastidiosi e cupi rumori durante il suo normale uso. Qualità dunque, davvero, da ogni punto di vista.
D'altronde il materiale presenta già da solo caratteristiche tecniche tali da renderlo particolarmente adatto all'impiego in cucina: l'acciaio è un prodotto riciclabile al 100% è un materiale durevole nel tempo, è resistentissimo, funzionale e capace di superare tranquillamente le insidie del tempo senza perdere nessuna delle sue caratteristiche peculiari.
Da un po' di tempo a questa parte l'acciaio inox utilizzato negli arredi delle cucine, non è solamente disponibile nelle sue normali versioni lucide, ma viene anche trattato con prodotti nanotecnologici che, una volta applicati alle superfici, impediscono a sostanze come olio, grasso, calcare, ecc. di rimanere attaccati alle superfici e favorendo quindi una più facile pulizia. Attraverso tecnologie superficiali "avanzate" come queste è ultimamente possibile ottenere anche finiture molto belle e particolari come l'Acciaio Vintage o anticato e l'acciaio effetto Peltro. Nel primo caso, con trattamento artigianale di "micro-graffiatura" superficiale si dona all’acciaio inox uno speciale effetto “anticato” che lo caratterizza per unicità ed eccellenza estetica. Nel secondo caso invece si procede ad una leggera ossidazione superficiale che, anziché far arrugginire il metallo, lo opacizza e scurisce fino ad ottenere una superficie molto simile al Peltro. In entrambi i casi si tratta di finiture attualmente molto in voga per il recente diffondersi dello stile "industriale" che è possibile da qualche anno riscontrare in numerosi originali progetti di cucine componibili.
Ante da cucina in alluminio
Abbiamo già parlato di alluminio in queste pagine a proposito di tutte quelle ante che, dovendo supportare un pannello costituito da materiali "sottili" come il vetro, l'HPL o la ceramica, necessitano di un telaio, robusto ma leggero, in cui possa essere alloggiato il loro esile spessore. In effetti l'uso di questo eccellente metallo in cucina può dirsi assolutamente opportuno, specie se si considerano tutte le doti che questo materiale possiede. Fra questi, forse prima fra tutti è la leggerezza, fattore che quando si parla di ante (è sempre bene ricordarlo) ha davvero la sua bella importanza. L'alluminio è infatti uno dei metalli di cui è possibile apprezzare meglio l'altissimo rapporto che c'è fra la sua resistenza, la sua elasticità ed il suo davvero limitato peso. Esso viene principalmente posto in commercio in elementi pressofusi, in profili estrusi ed in lamiere e ciò permette una infinità di utilizzi che nell'ambito delle cucine componibili trovano vastissima applicazione: in alluminio sono ad esempio moltissimi dei profili (gole e zoccoli) che rifiniscono le più moderne cucine di design; in alluminio sono numerosi elementi "a giorno" che abbelliscono alcuni progetti degli ambienti cucina; e in alluminio sono, come abbiamo detto, i telai che compongono le ante delle cucine componibili della migliore qualità. Questo materiale è disponibile in tanti colori e tanti tipi di finiture anodizzate lucide, opache, brunite, oppure verniciate a polveri, questo, insieme alla sua indiscussa versatilità, ha consentito di utilizzarlo anche per produrre cucine interamente realizzate in alluminio, in ogni loro più piccolo particolare. Il loro aspetto restituisce molto il concetto di "cucina professionale" di cui abbiamo parlato a proposito di Ante in Acciaio. L'ambito stilistico è dunque più o meno lo stesso - anche se sia l'aspetto che il colore sono abbastanza diversi - ed è in questo ambito che trovano posto tutti quegli inserimenti che rendono interessante e piacevole l'uso dell'alluminio in tutte le parti in cui è composta una cucina. Dovendo però in questo paragrafo parlare esclusivamente di ante, è bene concentrarsi su di queste, partendo innanzitutto dai metodi in cui vengono costruite. Come abbiamo detto più volte, a differenza di ciò che succede con l'utilizzo dell'acciaio inox, costruendo una porta da cucina componibile con l'alluminio, non si ottiene un liscio parallelepipedo dal corpo unico e dalla forma simile ad una semplice scatola chiusa. Nel caso dell'alluminio si lavora utilizzando uno qualsiasi dei centinaia di appositi profili esistenti in commercio per creare, grazie a degli speciali elementi di giunzione (anch'essi in lega di alluminio, oppure in zama) che servono per fissare quelle viti indispensabili a tenere saldamente uniti i quattro lati del telaio. Ormai questo sistema produttivo è ampiamente diffuso e ciò ha permesso ai produttori di arredi per ambienti cucina di avere a disposizione una infinità di possibili soluzioni in merito al profilo in alluminio da utilizzare a tale scopo. Ve ne sono di quelli il cui spessore rimane completamente "a vista", all'esterno cioè, in maniera tale da disegnare come una specie di cornice sul profilo dell'anta che si va costruendo. Ve ne sono tipi che rimangono, invece, completamente "a scomparsa" e di cui è possibile intravedere solo lo spessore laterale senza aprire l'anta. Ve ne sono di dritti e di stondati lateralmente, di verniciati e di anodizzati, di molto spessi e di finissimi, di larghi ed evidenti e di stretti e poco invasivi. Quelli attualmente più in voga sono ad esempio quelli che presentano ad uno dei loro lati, una sorta di "smussatura" che serve per infilare la punta delle dita fase di apertura degli sportelli. Questa infinita possibilità di personalizzazione, consente di dare ad ogni cucina realizzata con ante in alluminio un design sempre unico ed originale, che permette oltretutto di variare il materiale con cui sono rivestite le ante da cui è composta la cucina, come abbiamo visto nei paragrafi precedenti. Parlando però di "anta in alluminio " è bene precisare che con questo temine, in generale, si intendono tutte le cucine che hanno all'interno dei propri frontali dei telai in alluminio e sono rivestite in tutti quei materiali di cui abbiamo già parlato, ma più nello specifico con tale denominazione si intende espressamente definire quelle ante che possiedono, sia il loro telaio che il loro rivestimento, realizzati nello stesso materiale. Per ottenere questo sono possibili due strade: o utilizzare una sottile lamiera in alluminio, magari supportata da un pannello in laminato plastico di basso spessore se serve irrigidirla, altrimenti provvedere a realizzare direttamente il pannello in HPL, un materiale che già comprende fra le sue finiture superficiali quelle che prevedono l'utilizzo di piccole lamine metalliche. Il risultato che si ottiene può possedere sia il design di un'anta dotata di un profilo laterale perimetrico, sia di quelle completamente lisce e prive di modanature, come avviene ad esempio nelle ante di acciaio. Per ottenere questo effetto è sufficiente scegliere un profilo di quelli che lasciano intravedere il loro sottilissimo spessore solo lateralmente all'anta (ne abbiamo parlato a proposito delle ante in vetro) ed ivi inserirvi un pannello in HPL avente la stessa finitura e lo stesso colore del profilo. E' evidente che l'effetto non sarà esattamente lo stesso che si otterrebbe con un'anta in acciaio, a causa dell'impercettibile giunzione che sempre rimane visibile frontalmente fra telaio e pannello, del resto però sarebbe impossibile ottenere un'anta in lamiera di alluminio piegato così come si fa con l'acciaio! Il suo spessore sarebbe troppo ridotto, per poter essere lavorato agevolmente senza compromettere la sua resistenza agli urti. D'altronde l'alluminio pur essendo un materiale resistente è anche abbastanza duttile ed elastico e per questo poco incline ad utilizzi gravosi.
Ante in legno massello o in listellare di legno massello.
Ed eccoci a concludere questa ampia carrellata di prodotti per la costruzione di frontali da cucina, con quella che molti ritengono ancora essere il materiale più pregiato ed ambito per questo tipo di realizzazione: il vero legno massiccio. Per parlare esaustivamente di ante in legno da cucina però sarebbe necessario disporre di un spazio di cui questa rubrica davvero non dispone. Ci limiteremo allora ad affrontare questo tema concentrandoci soprattutto su quegli argomenti che possono interessare chi si sta accingendo ad acquistare una cucina componibile.
Per prima cosa è opportuno chiarire di che cosa stiamo parlando: sono definite ante in massello, tutti quei frontali costituiti da pezzi di vero legno massiccio, tenuti insieme e incollati al fine di ottenere superfici sufficientemente grandi e sottili da raggiungere le misure di una normale anta. Per ottenere questo risultato si opera in diverse maniere: il metodo "classico" universalmente più comune, è quello di ottenere le ante in legno costruendo dei singoli telai perimetri in massello, in cui sia possibile incastrare una parte centrale piana detta bozza o bugna, realizzata con lo stesso materiale del perimetro. Tale metodologia consente di creare disegni e modanature che da tempi immemorabili sono considerati la vera essenza estetica della mobilia. Molti infatti pensano addirittura che le cornici tipicamente presenti sulle ante dei mobili realizzati in legno da tempi immemorabili, siano dovute più al desiderio di decorare e abbellire gli arredi, piuttosto che ad una semplice esigenza costruttiva. Tale esigenza è dovuta principalmente ad una fattore: il legno è una materia "viva" e nonostante sia frutto della sezionatura di una pianta che a seguito del suo taglio potremmo definire come "morta", il materiale che se ne trae mantiene inalterate alcune sue specifiche caratteristiche anche a distanza di centinaia di anni. Fra queste c'è senza dubbio quella che viene definita come idroscopicità, ovvero è la capacità di una sostanza o di materiali di assorbire le molecole d'acqua presenti nell'ambiente in cui si trova. Tale caratteristica influisce nel legno, andando a modificare quelle che sono le tensioni interne che esistono fra le fibre (e le relative sostanze) che lo compongono, fino a riuscire a modificare addirittura la struttura fisica della materia. Tutto ciò comporta l'impossibilità di utilizzare il legno massicio per la produzione di pannelli di grandi dimensioni, ma di ridotti spessori (come sono appunto le ante da cucina), senza operare con opportune tecniche di contenimento, tese ad impedire la deformazione dei pannelli. La metodologia telaio-bugna, serve dunque appunto per far sì che le ante dei mobili non si torcano, non si imbarchino, non si pieghino e non modifichino le proprie dimensioni.
Nell'ambito del comparto della produzione di cucine componibili questa usanza metodologica è stata adottata in ampissima misura. Molti di noi hanno infatti avuto il piacere, prima o poi, di possedere una bella cucina classica in legno massello, magari realizzata in qualche essenza fra le più preziose come il rovere, il noce, il ciliegio e il castagno. Tant'è vero che ancora oggi il mercato delle cucine Classiche con anta in
massello, soprassiede e difende orgogliosamente una sua bella e solida fetta del mercato. Del resto rimane senza dubbio inalterata ancora oggi la qualità estetica di un prodotto che con il suo design e con la matericità della sostanza di cui è composto è capace di trasmettere sensazioni praticamente uniche.
E' indubbio infatti che il legno massiccio abbia già di per sé una potenza evocativa che nessun altro materiale "da cucina" possiede. Questo fattore ha dunque portato i designer a tentare un utilizzo importante del massello anche in ambito prettamente moderno e contemporaneo, coadiuvati dall'indispensabile apporto delle nuove tecnologie. Sì perché se è vero che per costruire un'anta in massello è necessario fabbricarla con una forma che impedisca al legno di imbarcarsi, piegarsi e spezzarsi nel tempo, è anche vero che il moderno design "minimalista" non gradisce assolutamente le modanature e le scorniciature che quella metodologia produttiva richiede. Nel tempo, in verità, questo problema era già stato risolto brillantemente con il compensato e, più in generale con i supporti di fibra di legno impiallacciati, in quanto, quando si era tentato di produrre delle ante in massello sufficientemente lisce e minimali quanto serve per essere abbinate al concetto del moderno design delle cucine componibili, si era purtroppo dovuto fare i conti con la natura e l'ostinazione del legno stesso, il quale continuava a muoversi, nonostante tutti gli accorgimenti che potevano venire adottati. Sino ad alcuni anni fa, era dunque impossibile perfino immaginare delle cucine realmente "moderne" con gli sportelli realizzati in legno massiccio, per il semplice fatto che, per la sostanza stessa di questo materiale, era necessario l’utilizzo di ante a telaio.
Quest'ultima però rimaneva una soluzione stilistica più vicina al concetto di cucina classica, per questo essa è stata a lungo comunque coniugata con il concetto di "design moderno", grazie all'ottimo compromesso che permetteva e permette tutt'ora la produzione di ante a telaio completamente lisce (ma pur sempre in qualche modo modanate) che hanno interessato il settore per alcuni decenni. Solo di recente è stato possibile superare questo "impasse" e l'evoluzione delle più moderne tecnologie ha consentito la produzione industriale di ante da cucina in legno massello caratterizzate da un aspetto completamente liscio e minimale. In poco tempo si è passati dalla produzione di ante da cucina in massello di legno, mantenute dritte da solide "anime" in metallo, fino ad arrivare all'uso di stati di listelli di legno massiccio ricoperti da lastronature (uno spesso tipo di impiallacciatura) realizzate in legni nobili. E' stato solo di recente che, grazie ad una nuova tecnica di incollaggio e compressione, si è arrivati ad ottenere, proprio come avviene nel compensato, dei pannelli in massello composti da 3 strati di legno soprammessi "controverso" (cioè uno con venatura orizzontale e due con venatura verticale) perfettamente in grado di mantenere a lungo intatta la loro forma. In verità, a voler essere precisi, si tratta di una tecnica di produzione che attinge non solo alla tradizionale lavorazione da cui si ottiene il compensato, ma anche da quella più recente da cui si ottiene il listellare (altro materiale formato nel suo interno da listelli di legno povero). Nelle ante di questa tipologia infatti gli strati che vengono sovrapposti, incollati e compressi fra loro sono formati da tanti piccoli listelli di legno in modo che sia in tal modo ridotta la "forza" che sarebbe altrimenti sprigionata dalle sue fibre qualora fossero lasciate nella loro lunghezza naturale. Il processo in questione potrebbe a prima vista apparire anche piuttosto banale, specie all'occhio dei non esperti, ma sono stati in realtà necessari decenni di ricerche per far si che il sistema adottato desse effettive garanzie di funzionamento, e questo rende bene l'idea di quanto il tentativo di sfruttamento di un materiale senza dubbio "semplice", ampiamente diffuso e ormai più che conosciuto, continui a dare del filo da torcere all'estro umano. Con la sovrapposizione di tre piani in legno massello incollati tra loro, si è quindi finalmente trovata una soluzione che permette l’utilizzo di questo eccezionale materiale anche per i modelli cucina dal gusto minimale, tutto questo lascia però aperto il dibattito circa la "liceità ambientale" dell'utilizzo di un materiale naturale che, come il legno massello, dipende esclusivamente dall'abbattimento delle piante da cui deriva. Ciò ha portato le moderne industrie di produzione di mobilia in legno ad utilizzare esclusivamente legno proveniente da colture "a riforestazione controllata". Anche noi ecologisti fra i più attenti possiamo dunque dirci tranquilli: il legno utilizzato per costruire le cucine proverrà certamente da piantagioni appositamente create dai cui alberi il nostro pianeta potrà trarre il giovamento necessario a mantenerlo in buona salute, fino al momento in cui queste piante giungeranno al termine della loro vita e saranno sostituite da alberi nuovi, in buona salute e quindi sempre rigogliosi.
Concludendo...
Come speriamo avrà avuto modo di apprezzare chi si è cementato nella lettura di questo articolo magari per solo diletto, o ancora meglio per trarne importanti informazioni utili in relazione ad un suo prossimo acquisto, in questo resoconto abbiamo cercato di analizzare le varie tipologie di ante da cucina componibile, descrivendone il più possibile minuziosamente le loro caratteristiche più salienti, ma evitando opportunamente di stilare una "classifica" in cui fosse indicata la maggiore o minore qualità di un materiale, rispetto ad un altro, così come si è soliti fare ultimamente in rete. Del resto, il più delle volte è sufficiente stilare una mera lista di pregi e di difetti, per accontentare quel minimo desiderio di "sapere" che alberga in molti utenti del web. Il nostro scopo non è però quello di indirizzare le scelte di qualcuno, ne quello di avere il successo degli "influencer" ; il nostro unico obiettivo è quello di informare, e desiderando farlo, approfonditamente e obiettivamente, senza che il nostro parere da esperti divenga una sorta di insindacabile giudizio, preferiamo evitare di esprimere opinioni in merito ai soggetti protagonisti dei nostri pezzi. Nel caso specifico delle cucine componibili lo facciamo però soprattutto perché riteniamo che la produzione industriale italiana di cucina componibile abbia raggiunto ormai una maturità tale da non avere più la necessità di porre in vendita prodotti che non siano almeno qualitativamente più che buoni. Certo esiste in Italia la Grande Distribuzione Organizzata e le produzioni che interessano esclusivamente il cosiddetto "basso di gamma" con le loro "offerte speciali", ma tutto ciò non può e non deve riguardare chi si interessa della qualità dei prodotti che sta acquistando. Perché per chi acquista "quei" prodotti, è assolutamente inutile informarsi circa la bontà degli arredi che sta comprando. Nel settore dell'arredo il problema della qualità dei prodotti non ha purtroppo la rilevanza che meriterebbe, e i nostri articoli vogliono dunque essere solo il nostro modestissimo contributo alla più ampia diffusione del concetto di qualità, così come è giusto che sia compreso da tutti.
Conclusioni
Speriamo che la nostra guida su come scegliere un letto imbottito ti abbia fornito le informazioni necessarie per prendere una decisione consapevole e soddisfacente. Presso Griva Arredamenti, siamo pronti ad aiutarti a realizzare arredamento su misura.
Ti invitiamo a visitare i nostri showroom di Pinerolo e Torino, dove potrai scoprire di persona la qualità e l’eleganza dei nostri mobili. Potrai toccare con mano i materiali, valutare le soluzioni di spazio e ottenere consigli personalizzati dai nostri esperti.
Se hai domande o desideri ulteriori informazioni, non esitare a contattarci. Saremo felici di fornirti tutte le risposte di cui hai bisogno dai nostri esperti interior designer.
Quante coppie si sono trovate in difficoltà a dover arredare una camera da letto e per far questo hanno dovuto lungamente riflettere e magari “guerreggiare” sulle dimensioni più giuste per il proprio armadio? Del resto la presenza di un mobile così ingombrante nella camera da letto condiziona molto la sua distribuzione e, se si potesse, a volte se ne farebbe volentieri a meno. Però avere l’armadio in camera è una comodità davvero irrinunciabile e poi, in fin dei conti, gli armadi di oggi pur essendo molto voluminosi sono anche veramente molto belli.
L’aspetto esterno assume quindi una grande importanza per chi vuole inserire in maniera adeguata ed esteticamente valida un armadio nella propria camera, ma la suddivisione degli spazi interni (ripiani, ante, cassetti) è ancor più importante per una buona sistemazione degli indumenti. Il criterio fondamentale da seguire dunque, quando stiamo decidendo l’armadio che ci accompagnerà per buona parte della vita, sta nel riservare a ogni capo uno spazio adatto che non sia troppo grande, per evitare sprechi inutili, né troppo stretto per ovvie ragioni pratiche (disordine o sgualcimento degli indumenti) e dopo confrontare ciò che abbiamo (o che avremo) da inserire nell’armadio con lo spazio fisico di cui disponiamo dentro alla stanza per alloggiarvelo.
sfoglia il catalogo
L’interno dell’armadio
In generale gli indumenti da donna e da uomo appesi occupano al massimo 140 cm in altezza per 50 in profondità (vedi schemi), per cui la soluzione più logica è di sistemare gli abiti di profilo in contenitori profondi 60 cm che, guarda caso, è proprio la profondità degli armadi standard. Tuttavia si possono trovare in commercio (o si possono far costruire) armadi per abiti profondi meno di 60 cm. Sono contenitori utili quando un ambiente è molto stretto, ma in questo caso il bastone appendiabiti invece di andare da un lato all’altro dell’armadio va dal fondale all’anta, fissandosi alla struttura appena sopra all’anta: gli abiti si vedono quindi di piatto e, in una larghezza di circa 120 cm (cioè in un armadio a due ante), si possono sistemare due bastoni che saranno lunghi quanto la profondità dell’armadio, cioè 45-50 cm, su ciascuno dei quali possono essere appesi 7-8 vestiti da uomo. Il vano interno di un armadio dove vanno appesi abiti e soprabiti non deve essere inferiore ai 135 cm di altezza e il vano per gli abiti da uomo non meno di 110 cm.
Per le maglie, le magliette ed i lenzuoli è bene predisporre dei cassetti o degli appositi vassoi estraibili (cm. 60 x 40), che al massimo contengano quattro capi. La biancheria in genere e gli altri indumenti ripiegabili troveranno posto su ripiani mobili, avendo l’accortezza di lasciare tra un ripiano e l’altro uno spazio di cm. 45 circa per ovvie ragioni pratiche. Gli abiti più corti, come le giacche e le camicie da donna appese, misurano dai 60 ai 110 cm in altezza. Quindi per comodità all’interno dell’armadio si possono prevedere due zone, una bassa, accessibile da terra, che servirà per gli abiti di stagione, l’altra più alta per gli abiti fuori stagione. Quando vi sarà il cambio stagione basterà sostituire gli abiti sopra con quelli sotto per avere sempre tutto a portata di mano. Oltretutto esistono in commercio degli appositi meccanismi che consentono di estrarre gli abiti che si trovano nella parte alta degli armadi senza bisogno di salire su scalette o sgabelli, quindi ogni operazione diventa davvero molto facile.
Le attrezzature interne di un armadio in fin dei conti sono molto semplici, basta qualche cassettiera per la biancheria personale e le camicie, un mobiletto attrezzato per le scarpe, e dei ripiani per la biancheria della casa, per valige e borse. I piumini racchiusi in sacchi di plastica troveranno posto su ripiani sistemati in alto, nella posizione più scomoda, in modo da rendere più facile l’accesso agli altri capi. Per facilitare l’igiene sarà bene utilizzare gli appositi profumatori da armadio che evitano i cattivi odori e tengono ben lontane le tarme (quasi invisibili, ma davvero distruttive) dai capi in lana. Se lo spazio disponibile lo permette, in ogni camera matrimoniale sarebbe sempre bene sacrificare almeno una parte della stanza per ricavare un armadio che sia perfettamente sufficiente per due (per lei e per lui) e degli scomparti accessibili molto comodamente, nei quali sistemare le vestaglie, le camicie e le scarpe. E’ evidente che una simile soluzione richiede qualche compromesso, ma i “costi” sono sempre senz’altro ripagati dai “vantaggi” dalla praticità.
Come si progetta un armadio.
Quando si vuole acquistare un nuovo armadio è dunque assolutamente necessario avere chiaro quella che può essere la comparazione più adatta alle nostre specifiche esigenze. Dopo aver quindi provveduto in qualche modo a “contabilizzare” quelle che saranno le cose che avremo da disporre all’interno del nostro armadio, sarà necessario provvedere a redigere una “piantina” in scala, o comunque un disegno abbastanza veritiero della stanza su cui ci troveremo ad operare. Una volta eseguito il rilievo ed averlo perciò riportato in scala, passeremo al vero e proprio “progetto” della camera matrimoniale partendo dal posizionare il letto (che in fin dei conti è davvero l’unico elemento indispensabile in una camera), e nel contempo verificare la posizione e le dimensioni dell’armadio che sarebbe maggiormente compatibile con gli ingombri del letto stesso. Una volta dunque individuati e posizionati gli ingombri per così dire “maggiori”, potremo procedere con l’inserimento del comò, dei comodini e degli altri eventuali complementi.
I moduli disponibili per i guardaroba
Siccome, nella maggior parte dei casi, gli armadi vengono suddivisi in moduli verticali di misura piuttosto standard, si può tranquillamente parlare di dimensioni di un armadio in larghezza, abbinando queste al numero di moduli da cui esso è composto.
Esistono infatti dei moduli standard che in generale di larghezza sono 45, 50 e 60 cm per le ante singole a battente e 90, 100 e 120 cm per le ante doppie. Componendo queste misure si può in pratica arrivare a riempire qualsiasi parete disponibile. L’attenzione, quando ci si cimenta in tale lavoro, va rivolta soprattutto alla proporzione degli spazi adoperabili in quanto, qualora ci si trovi a dover posizionare un armadio in una nicchia o a stretta tra due pareti, si potrà anche decidere di riempire completamente il vano, mentre se si dispone l’armadio in una parete che lascia scoperto uno dei suoi fianchi, è opportuno che tutto sia calcolato in modo da riempire lo spazio senza che la stanza o i suoi vari “passaggi” ne rimangano impediti.
Circa l’altezza, sono di solito disponibili anche per gli armadio cosiddetti “di serie” numerose misure. Le più comuni sono 200, 230, 260 o 300 cm circa. Nel caso si possieda una stanza con un’altezza di 270 cm si potrà dunque decidere di posizionarvi un armadio alto 260 cm, oppure uno altro 230, a seconda del nostro desiderio di impattare più o meno con il grande volume dell’armadio stesso sullo spazio a disposizione nella camera. Qualora invece si disponga di una stanza alta tre metri o anche più, si avrà la possibilità di scegliere fra usare la parete con un armadio normale, alto circa 260 cm, oppure di riempire la parete con un mobile veramente grande di altezza fino ai 300 cm. Bisogna però essere molto accorti: gli armadi alti tre metri sono molto comodi perché possono essere divisi in due in altezza, ottenendone due vani in cui entrano tutte le tipologie di abiti, anche i più lunghi come le pellicce o i cappotti, però si verifica il problema che i vani o i pali appendiabiti posti più in alto diventino difficili da raggiungere anche con le usuali attrezzature che vengono usate per rendere più facile l’accesso agli abiti appesi molto in alto.
In linea di massima si può tranquillamente dire che per posizionare il vestiario necessario per una persona, sono normalmente sufficienti 3 moduli alti 260 cm, il che sta a significare che in una camera matrimoniale dovrebbe trovar posto almeno un armadio composto con 6 moduli da 45 (270 cm) o uno composto con 6 moduli da 50 cm ( per un totale di tre metri) con un’altezza di 250/260 cm.
La posizione migliore dell’armadio
Il posto che l’armadio occuperà all’interno della camera ha molta importanza, poiché incide notevolmente sulla disposizione degli altri mobili. La soluzione più logica sarebbe quella di utilizzare completamente un’intera parete e trattare tutto il resto nel modo più semplice e meno invadente possibile per evitare di rimpicciolire l’ambiente, però non è facile rinunciare ai comodini o ad una grande cassettiera per avere un armadio più capiente. Oltretutto se la sbagliata posizione della porta impedisce la completa utilizzazione della parete destinata all’armadio, sarà bene sistemare quest’ultimo nel punto in cui esso risulti meno ingombrante, perché non c’è peggior cosa che entrare in un ambiente e trovarsi davanti un ostacolo grande e grosso come il fianco di una armadio “stagionale”.
Del resto, quando lo spazio lo permette, si possono sistemare gli armadi più liberamente, ma quando la stanza possiede dimensioni limitate è bene fare attenzione ad ogni centimetro.
Quanto alle dimensioni degli armadi infatti, queste possono variare da modello a modello e anche di molto.Per tale motivo è meglio scegliere un tipo componibile (o modulare) o farlo fare su misura, perché in tal modo esso si adatterà sempre bene alla parete e, se occorre, si potrà cambiarne l’ordine degli elementi, unirne altri per ampliare la composizione, o suddividerla se, cambiando casa, lo spazio si modifica.
E’ vero: tutti sanno che l’armadio con ante scorrevoli è il più pratico quando lo spazio è ridotto e non c’è la possibilità di spalancare un’anta senza battere contro il letto o il comodino, ma questo, come vedremo, pur facilitando la situazione in taluni casi, non riduce assolutamente le dimensioni dell’armadio stesso.
Esaminiamo ad esempio la situazione di una stanza da letto “tipo”, cioè di misure piuttosto standard, con una porta ed una finestra posizionate in maniera “tradizionale”. In questo comunissimo caso le pareti a disposizione dove poter posizionare un armadio sono normalmente tre:
- La parete ove si trova la porta, a fianco della quale c’è di solito l’interruttore della luce centrale della stanza.
- La parete a fianco della porta, e dove purtroppo spesso una parte dello spazio viene occupata dalla porta stessa quando si trova in posizione aperta.
- La parete opposta alla porta, che sarebbe ovviamente la più grande perché non subisce decurtazioni di spazio dalle aperture, ma che di solito è destinata ad ospitare più comodamente il letto.
Nel primo caso possiamo trovarci di fronte a una parete che, una volta tolto lo spazio della porta avrà delle dimensioni libere disponibili che variano da 240 cm ai 3 metri e trenta. Ovviamente sono molto più comuni i casi in cui, per mantenere accessibile l’interruttore, rimane a disposizione una larghezza non superiore ai 250/260 cm. Quando si desidera posizionare l’armadio in questa situazione, la cosa migliore da fare è acquistare un armadio a 5 ante (se i moduli sono da 50 cm) e magari dotarlo di un’ultima anta a trapezio (o smusso) per fare in modo che la sua profondità non sia visivamente d’impiccio a chi entra in stanza.
Nel secondo caso (quello che prevede la soluzione preferita dalla maggior parte delle persone) ci troveremo probabilmente di fronte ad una parete disponibile che varia dai 300 ai 400 cm a seconda se la porta aperta occupa o meno una parte della parete in questione impedendo l’inserimento di una porzione dell’armadio. In questo tipo di situazione esiste di solito sempre la possibilità di inserire in questa parete un armadio di dimensioni “standard” di circa 300 cm di larghezza. Quando però la misura della parete disponibile è molto vicina ai 3 metri allora conviene optare per tre possibili soluzioni: o dotare l’ultima parte di un modulo a trapezio (in modo da attenuarne l’ingombro visivo entrando in stanza); o dotarlo di una zona “a giorno” laterale composta da delle mensole o da una libreria che avrà il compito di “occultare” in qualche modo il fianco, attenuando l’impatto che avrebbe la profondità dell’armadio stesso in chi entra; oppure semplicemente preferire una armadio di dimensioni un po’ ridotte, come un armadio a 5 moduli da 50 (250 cm) oppure uno da 6 moduli da 45 (270 cm), in modo che il fianco dell’armadio sia sempre abbastanza dalla persona che entra in camera.
Nel terzo caso, qualora si decida invece di posizionare l’armadio nella parete grande dal lato opposto a quello della porta, si otterrà la più grande misura di parete disponibile nella stanza. Di solito le camere matrimoniali variano dai classici 14 mq (misura minima per una matrimoniale) a stanze che hanno superfici anche superiori ai 25 mq. Nel caso in cui ci si trovi di fronte ad una stanza di misure “normali” (quello ovviamente più comune), avremo quindi a disposizione sul lato opposto alla porta una parete di circa 4 metri o anche più. Questo sta a significare che, in linea di massima, potremmo inserirci un armadio di ben 8 moduli da 50 cm, che può essere già considerato un ottimo spazio per un grande guardaroba. In questa situazione sono altre però le problematiche che possono venirsi a creare perché, se posizioneremo il letto sulla parete di lato alla porta, avremo la necessità di uno spazio a disposizione di almeno 3 metri, per potervi alloggiare sia il letto che i comodini. Se nel contempo posizioneremo un comò di fianco alla porta avremo bisogno di uno spazio che risulti sufficiente, sia per disporvi il cassettone stesso, sia per lasciarci lo spazio necessario alla profondità dell’armadio (60 cm circa), nonché quello indispensabile per la sua apertura (50/60 cm).
Vi sono poi comunque tante altre posizioni e composizioni in cui è possibile situare un armadio.
Una situazione abbastanza frequente è quella in cui si trova chi ha la possibilità di arredare con un'armadiatura una camera dotata di due pareti contigue anziché di una soltanto. In questo caso si predilige quasi sempre la comparazione “angolare” che è quella che permette di sfruttare meglio lo spazio con un contenitore grande ad armadio.
Anche per questo caso specifico è però opportuno fare alcune precisazioni.
Esistono diverse maniere per sfruttare l’angolo e, a parte quelle che prevedono delle vere e proprie “cabine armadio”, quella più comune -quella cioè che prevede di “girare” l’angolo con due ante di ugual misura poste a 90° pur nella sua semplicità a volte risulta un po’ complessa da essere compresa. In questo caso infatti è come se si dovessero in qualche modo “accoppiare” due armadi, mettendoli insieme sovrapponendoli uno all’altro in modo perpendicolare uno all’altro. Questo accoppiamento è quello che però crea confusione in chi deve progettare il proprio armadio ad angolo. Per spiegarsi bene, affrontiamo dunque il caso di che si trova a dover arredare con armadio due pareti prospicienti che abbiano una misura di 200 cm l’una e 3 metri l’altra. Il ragionamento a prima vista più ovvio che verrebbe da fare è che in due pareti con queste misure dovrebbero entrarvi 10 moduli da 50 cm per un totale di 10 ante, 4 dal lato di tre metri e 6 dal lato di tre metri. In realtà l’angolo, dovendo occupare per sua stessa natura l’intera profondità dei due armadi sovrapposti, (cioè 60 cm per ogni lato), viene a occupare un quadrato di 60x 60 cm, in cui non possono essere alloggiate ante. Questo fa diminuire dunque di un'anta ogni lato dell’armadio e avviene perciò che da 10 le ante “teoriche” del nostro armadio ad angolo diventino soltanto otto. E’ bene però aver chiaro che questa diminuzione di ante non pregiudica lo spazio interno che permetterà comunque di adoprare senza problemi un volume pari ad un armadio a 6 ante dal lato di 3 metri e di un armadio di circa 3 ante (due metri meno un'anta a causa della profondità di 60 cm occupata dall’angolo) dall’altro.
Un altro caso che è bene prendere in considerazione nella nostra disamina è quello che prevede l’utilizzo dei cosiddetti armadi “a ponte”. Molto più frequenti nelle camerette da bambini o da ragazzi, queste tipologie di armadi trovano la loro più ideale collocazione in quelle stanze, particolarmente strette e lunghe in cui sarebbe difficile far trovar posto ad un letto ed ad un armadio posti di fronte. In questi casi estremi, si predilige quindi la scelta di uno speciale tipo di armadio in cui viene creata una sorta di “vano” o incavo, dove la profondità dell’armadio viene azzerata (almeno nella parte bassa) e dove dunque può agilmente trovar posto un letto, un comò o una scrivania. La difficoltà progettuale dell’armadio a ponte è legata principalmente alla lunghezza del “ponte” stesso, il quale, per poter essere sufficientemente sicuro, non può superare certe lunghezze. La misura massima consentita per un normale ponte da armadio è di circa 3 metri, ma occorre precisare che le moderne comparazioni “sospese” - le quali consentono la produzione di armadi che possono essere addirittura appesi al muro - permettono in teoria di allargare ulteriormente il vano del ponte, fino ad arrivare addirittura a 4 metri. In una misura di tre metri però è già possibile inserire comodamente un letto matrimoniale completo di due comodini e questo, nel caso delle camere matrimoniali, può già dirsi un ottimo risultato, che libera in pratica una parete attraverso il riempimento di una sola parte della stanza.
I tipi di anta disponibili per gli armadi
Come abbiamo già accennato, anche il tipo di anta però può incidere sugli ingombri complessivi di un armadio. Nel caso di un mobile ad anta “battente”, infatti, oltre alla profondità standard di 60 cm che l’armadio possiede quando è chiuso, è necessaria un’ulteriore misura che varia da 45 ai 60 cm per permetterne l’apertura delle ante. Nel caso delle ante scorrevoli invece, questo spazio non è indispensabile, è però lo stesso assolutamente necessario lasciare davanti all’armadio una superficie di pavimento libera tale da potervi far sostare una persona, che agisca comodamente di fronte all’armadio per prendervi o riporvi gli abiti. Un altro modello di anta, che però è adesso caduta un pò in disuso è quella cosiddetta “a soffietto”, in questo caso le ante di un modulo “doppio” anziché essere incernierate sui rispettivi fianchi, vengono incernierate l’una alle altre in modo da creare un’apertura appunto “a soffietto”. L’unico utilizzo realmente efficace di questo tipo di apertura è quello che si ottiene quando si dividono le ante in tante piccole ante di larghezza molto ridotta (20 0 30 cm) in modo che esse consentano di ingombrare poco in profondità quando si aprono. Non sempre però il risultato estetico di queste piccole suddivisioni verticali del frontale dell’armadio risulta gradevole alla vista.
Conclusioni
Speriamo che la nostra guida su come scegliere un letto imbottito ti abbia fornito le informazioni necessarie per prendere una decisione consapevole e soddisfacente. Presso Griva Arredamenti, siamo pronti ad aiutarti a realizzare arredamento su misura.
Ti invitiamo a visitare i nostri showroom di Pinerolo e Torino, dove potrai scoprire di persona la qualità e l’eleganza dei nostri mobili. Potrai toccare con mano i materiali, valutare le soluzioni di spazio e ottenere consigli personalizzati dai nostri esperti.
Se hai domande o desideri ulteriori informazioni, non esitare a contattarci. Saremo felici di fornirti tutte le risposte di cui hai bisogno dai nostri esperti interior designer.
L’evoluzione del concetto dell’abitare ha portato di recente a una diversa fruizione della zona notte che si è espansa verso usi finora piuttosto sconosciuti. In questa stanza, sin qui principalmente deputata al sonno e al riposo, adesso si legge, si ascolta la musica, si telefona per confidarsi con gli amici, oppure più semplicemente, si guarda la TV. E avviene anche che sempre più persone oggi considerino la camera da letto anche come il luogo ideale per prendersi cura del proprio corpo, magari facendo ginnastica, oppure dilettandosi in rilassanti esercizi Yoga. Così, accanto al letto trovano posto impianti audio, poltrone, tavolini, scrittoi, libri, computer e attrezzi ginnici. Sottoposta dunque a un uso molto più intenso e variegato, la camera richiede oggi un’attenta progettazione, che permetta di rispondere a esigenze di massima funzionalità senza mai rinunciare all’estetica. Pur tenendo conto di questa versatilità, che ne fa un ambiente aperto e multifunzionale, la camera da letto possiede però sempre una propria speciale peculiarità che la rende diversa ad ogni altra stanza della casa. La camera continua infatti ancora oggi a rivestire la funzione di spazio prettamente intimo: è il locale “privato” nel luogo più personale che possediamo, ovvero, la nostra stessa casa. Anche nel caso di un l0ft o di un monolocale, la camera da letto è una zona che si tende a separare dagli altri ambienti, magari ricorrendo a schermature mobili o non interamente occultanti, ma sempre posizionate nell’ottica di “dividere” questo luogo speciale da tutto il resto. Tant’è vero che nella camera da letto non c’è quasi mai la necessità di un arredo di rappresentanza, non ci sono particolari vincoli nella scelta di colori, accessori e finiture.
La camera è il luogo “della libertà” e come tale è importante che sia progettata sulla personalità di chi la vive. Le caratteristiche della stanza da letto rispecchiano in questo le trasformazioni sociali ed economiche avviate a partire dal XVII secolo, che hanno coinvolto la progettazione dell’intera casa. In precedenza solo le classi più abbienti potevano permettersi vani diversificati per le specifiche attività· casalinghe. La maggior parte degli alloggi erano caratterizzati da un unico ambiente, dove mobili “flessibili” e rimovibili, si utilizzavano durante il giorno e la notte in maniera continua, ma sempre diversa. Le case dei ricchi, invece, avevano spesso stanze da letto tanto ampie da rendere necessari i cosiddetti “letti a baldacchino” i quali, chiudendosi, formavano una specie stanza nella stanza, capace di isolare chi vi dormiva dal freddo e dal rumore. Nelle case comuni i letti non erano spesso altro che giacigli che, all’occorrenza, potevano essere alzati o spostati al fine di liberare lo spazio e contribuendo così alle altre funzionalità dell’unico locale nel quale venivano svolte tutte le attività del nucleo familiare. Con le dovute differenze, nel trasformismo del mobilio delle normali case di un tempo, troviamo quasi un’assonanza con la flessibilità che caratterizza gli odierni alloggi. Oggi c’è una maggiore attenzione alle esigenze individuali e una tendenza alla personalizzazione degli ambienti impensabile fino a pochi anni fa, ma quella necessità di rendere comodo e funzionale ogni utilizzo specifico, che vada al di là del semplice dormire e riposare, è rimasta più o meno la stessa. La vera sfida odierna è dunque quella di creare stanze da letto che siano capaci, non solo di soddisfare le nuove esigenze di funzionalità, ma che diano anche la possibilità di modificarsi con l’evolversi di tali esigenze.
Sontuosa o minimalista, accogliente o disadorna, la camera da letto moderna è dunque sempre di più un luogo che deve necessariamente “parlare” la nostra “lingua” e che deve essere capace di assecondarci.
La camera “open Space”
Corre ogni giorno più veloce il ritmo della vita e la casa muta di conseguenza il proprio aspetto, portandosi con se un forte segno di contemporaneità. La camera da letto non sfugge a questa continua evoluzione, ma essendo essa tendenzialmente composta sempre dai soliti elementi d’arredo (letto, armadio e contenitori a cassetti) si presenta spesso la difficoltà di coniugare questo aspetto evolutivo con degli arredi statici ed immobili nelle loro forme. Il design, sotto questo aspetto può essere molto utile sia dal punto di vista dell’arredo che dell’architettura di una camera. Pur mantenendo infatti invariata la principale funzione di spazio “intimo” dedicato al riposo, la camera può essere pensata come un luogo non più isolato e fine a se stesso, ma bensì come una stanza aperta alla vista ed in comunicazione con altri ambienti della casa. Fondamentale in questi casi, prima di mettere mano alla progettazione e iniziare a rimuovere porte o abbattere tramezzi, è valutare bene il suo rapporto con il resto dell’abitazione e con gli usi che si intende fare della propria stanza da letto. Vi sono case che, ad esempio, non permettono grosse modifiche strutturali, ma che possono lo stesso permettere l’integrazione di due ambienti come la camera da letto ed il bagno. Vi sono invece case che, pur non consentendo nessun tipo di modifica permettono l’inserimento di arredi il cui scopo è essenzialmente quello di allargare gli orizzonti ed aprire alla vista. Due vetrate di dimensioni considerevoli come quelle che fanno bella mostra di se in questo grande armadio, si prestano sia per evidenziare e rendere più fruibili degli spazi (specificatamente quegli degli abiti), sia per rendere più originale ed inedito un arredo che, come avviene spesso nel caso dell’armadio, è quasi sempre uguale a se stesso ormai da secoli. La verticalità e la trasparenza di questi elementi conferiscono un carattere particolarmente elegante e “Luxury” all’intera camera.
La stanza da bagno che fa “capolino” in questa foto è il migliore coronamento per questa filosofia di arredo, perché la completa e l’amplifica, rendendola unica e irripetibile. Anche però chi non può o non vuole fare a meno dell’intimità del proprio bagno in nome dell’immagine e del lusso, può sempre ricorrere ad “escamotages” piacevoli e funzionali. Perché non corredare ad esempio il collegamento fra la propria camera ed il proprio bagno con una splendida anta scorrevole in vetro, magari in finitura opaca o riflettente e magari pure in abbinamento con le ante a vetro dell’armadio? Chiunque vorrà utilizzare il proprio bagno in perfetta intimità potrà in questo modo farlo senza grossi problemi, mentre al momento più opportuno le due stanze potranno godere della propria vista reciproca ampliando gli spazi e incrementando l’idea di opulenza. Il filo conduttore è la luce che, tramite il vetro, concorre ad accentuare l’importanza degli arredi e dell’architettura dell’ambiente. Perché è bene precisare che non sta tanto nella trasparenza del materiale la chiave del discorso, quanto nella sua capacità di amplificare e tramettere l’effetto benefico della luce naturale e quello prettamente funzionale della luce artificiale. A contrasto con il bianco degli arredi, del soffitto e dei complementi tessili, alcune pareti possono spiccare attraverso colori accesi ed evidenti, tanto quanto basta da rendere particolare ed originale l’ambiente. A quel punto, tutto il resto sarà abbastanza facile ed ogni altro arredo troverà il posto, molto naturalmente, nello spazio rimanente.
La camera “Borghese ed elegante”
Il gusto “borghese” che spesso si sente nominare a proposito di arredi eleganti è un qualcosa di molto conosciuto a livello stilistico, che però è abbastanza difficile da definire in maniera precisa. Si tratta in pratica di un insieme di elementi ben determinati che possono però essere combinati in innumerevoli maniere senza che alla fine cambi il risultato. Un sistema che spesso a per base l’uso del legno scuro (a volte scurissimo), ma che può dipanarsi anche attraverso l’atmosfera particolare e rigorosa propria del metallo, fino ad arrivare all’opulenza delle imbottiture più eclatanti e raffinate. La comunicazione visiva che avviene fra questi differenti elementi si presta particolarmente alla camera da letto, luogo in cui, per antonomasia, certi tipi di atmosfere contribuiscono in maniera importante a rendere l’ambiente notte piacevole e confortevole. Il risultato però assolutamente più evidente, in questo tipo di abbinamenti, è quello relativo all’eleganza stilistica che si ottiene nelle stanze da letto così arredate.
La gamma di arredi, finiture, accessori e materiali che la ricerca ed il design hanno col tempo messo a disposizione per chi ama questo tipo di stile è attualmente davvero notevole, ma non è sempre facile costruire una camera che sia davvero elegante, pur utilizzandoli. Il punto di partenza probabilmente risiede nella scelta dei colori che in questo caso non dovranno mai essere sgargianti o evidenti, ma che dovranno altresì rappresentare un’idea di sobrietà e morigeratezza stilistica. Ciò non significa che nella camera “borghese ed elegante” non ci si possa sbizzarrire in “eclettismi” ed inserimenti originali, anzi, tutt’altro ! Ogni particolare che potrà dirsi infatti “degno di nota” sarà ben visibile ed evidente in questo tipo di stile e per questo motivo potrà facilmente contribuire a mitigare quella certa “monotonia”, che può divenire il vero problema di questi progetti.
Stiamo parlando di quelli inserimenti “eccellenti”, quali possono essere ad esempio un letto imbottito di misure eccezionali, un camino antico come quello della foto, un quadro di gusto eclettico, oppure un’opera d’arte particolarmente estrosa, che si evidenzi magari per la sua originalità ed il suo colore, senza però fare a cozzi con il resto degli arredi. Così facendo, se materiali e colori ritornano, pur con sfumature e dettagli diversi, l’ordine tipico delle camere realizzate con questo stile si traduce in un più ampio respiro. Ultimamente, ad aiutare chi preferisce questo tipo di ambienti notte, sono arrivati, e subito divenuti molto di moda, gli inserimenti di oggetti e rifiniture realizzati in metallo dorato e ramato. Questi “sprazzi di luce” consentono la realizzazione di abbinamenti che, pur restando negli stessi rigorosi canoni stilistici del resto della camera, suscitano l’interesse e l’ammirazione di chi li osserva.
L’utilizzo di questo tipo di metallo può essere vario e può riguardare le lampade, gli accessori come sedute e tavolini, i soprammobili più disparati oppure semplicemente le maniglie e le rinifiture degli arredi. L’importante, anche in questo caso, è non esagerare e centellinare con la massima attenzione gli apporti, evitando accuratamente di superare quella sottile linea di confine che, soprattutto in camere da letto di questo tipo, esiste senza dubbio fra “l’eleganza” ed il “cattivo gusto”. Collocata dunque in stanze di dimensioni adeguate, la camera da letto “borghese ed elegante” dialoga forse in misura minore con le altre stanze della casa, ma contribuisce molto ad impreziosire ed a rendere veramente unica ogni abitazione.
La Camera moderna “di Design”
Una camera è costituita da pareti, soffitto, pavimento e aperture. La combinazione di questi elementi, magari realizzata coi materiali e nelle sembianze più disparate, fa da coronamento agli altri elementi architettonici importantissimi di ogni stanza da letto che sono costituiti dagli arredi che vi vengono inseriti. Una camera matrimoniale deve avere una superficie minima di 14 mq e un’altezza che, almeno nella maggior parte del nostro paese, non deve essere inferiore ai 270 cm. Queste indicazioni, pur apparendo evidentemente basilari ad ogni progettista, suonano tuttavia completamente sterili al fine di una visione estetica, almeno se non considerate in una giusta alternanza di “pieni e vuoti” che tenga ben presente le caratteristiche di ogni finitura, colore e materiale che si intende utilizzare.
La camera da letto “di design”, nasce proprio come perfetto connubio fra l’architettura dell’ambiente ed il progetto estetico e funzionale degli arredi. Del resto, ogni ambiente notte è costituito sempre dai soliti elementi d’arredo, ovvero il letto, l’armadio ed il gruppo dei contenitori a cassetti. Questo fa sì che se si desidera veramente dare un aspetto un po’ più originale alla stanza in cui si passa la maggior parte del tempo, occorre operare delle scelte che, pur non avendo necessariamente un comune denominatore (come nel caso qui fotografato) devono rispondere a degli esatti criteri estetici. Come in una partitura musicale si parte dal “silenzio” di una camera vuota, cercando di riempire di note il nostro ipotetico “pentagramma” partendo proprio con la struttura che ne determinerà il “ritmo”, ovvero, nel nostro caso, gli spazi architettonici costituiti dalla mura e dal resto dei materiali costruttivi e decorativi. Nell’esempio qui fotografato si è partiti dando una connotazione molto originale all’ambiente dotandolo innanzitutto di uno splendido pavimento in resina di colore beige chiaro, che contrasta in maniera molto leggera col colore grigio/azzurro delle pareti realizzate a “marmorino”.
Lo stesso tipo di finitura è stato poi utilizzato nel soffitto, ma con un colore che richiama maggiormente (e non a caso) quello del pavimento. Completano la “decorazione” di questa splendida camera da letto, una bella parete realizzata in listelli di legno naturale e una porta “pavimento-soffitto” in vetro opaco laccato ed alluminio. Architettonicamente dunque, i colori e le finiture presenti già si coordinano fra di se in maniera egregia pur essendo, evidentemente, molto differenti fra loro. Il perfetto connubio però si realizza con l’inserimento degli arredi i quali, se pensati e progettati a priori, come in questo caso, apportano all’ambiente notte un carattere davvero indiscutibile. Eppure stiamo parlando di elementi per niente coordinati fra loro e realizzati addirittura in materiali molto diversi.
Eppure essi coesistono perfettamente in questa camera da letto perché integrati con una logica ineccepibile. L’armadio, con la sua finitura lucida ed il suo colore neutro, si sposa perfettamente col pavimento ed il soffitto; il letto, imbottito in tessuto azzurro, determina un’unione imprescindibile col colore delle pareti e della porta, mentre il gruppo comò e comodini, completamente in legn0, pare fatto apposta per abbinarsi alla parete retro-letto. Il resto degli accessori, come il tappeto ed i tavolini, non sono a quel punto che il facile complemento di un ambiente già perfettamente combinato. Il design è essenzialmente questo: un connubio ideale fra arredi, architettura che si compie unendo perfettamente estetica e funzionalità.
La camera “Minimal”
Con in testa la verità indiscutibile che in arredamento “il vero lusso sta nell’eleganza dell’essenziale”, proviamo adesso a codificare un arredo da camera da letto che si caratterizzi soprattutto per la sobrietà del suo stile e per la semplicità delle sue linee. Fermo restando la presenza degli elementi imprescindibili di ogni ambiente notte, ovvero armadio, letto e contenitori a cassetti, è fuori dubbio che le loro dimensioni, i loro colori e le loro forme, costituiscono la base su cui si viene a determinare quel “tono particolare” e quella precisa impronta che si intende ottenere in ogni arredo, indipendentemente dalla sua importanza.
I colori chiari, le linee pulite e rigorose, l’uso di materiali semplici e poco evidenti, parlano da soli di “storia del design” e di architettura moderna, passando da culture di impronta industriale e da dinamiche tipiche del design del ‘900. E’ il cosiddetto “minimalismo formale” che dipanandosi dal “razionalismo” che ha caratterizzato l’architettura dell’inizio del secolo scorso, ha preso piede in tutto il mondo, investendo ovviamente anche l’arredamento d’interni. Nel caso delle camere da letto, questa evoluzione ha preso il via attraverso una profonda revisione stilistica che ha portato i progettisti a evidenziare gli aspetti funzionali dell’arredamento, piuttosto che quelli prettamente estetici. Certo, in una camera da letto “minimalista” gli arredi non possono essere solo elementi semplicemente funzionali e fini a se stessi, altrimenti si rischierebbe di scadere nel mediocre o peggio ancora nello sgradevole, per questo motivo quando si allestiscono zone notte di questo tipo occorre un design (e spesso, di conseguenza, un designer) d’interni che miri al bello oltre che al confort.
Ciò può sembrare effettivamente complicato per chi si trova a lavorare con mobili estremamente semplici e sobri, ma bastano in realtà pochi segni distintivi per rendere ogni camera di gusto minimale, una bella camera da letto. Nella foto in questione ad esempio, gli arredi sono molto “spartani” nelle loro linee e nel loro colore bianco, eppure è bastato dotare la parete retro-letto di una sgargiante carta da parati per rendere l’ambiente divertente e piacevole. Il pavimento poi, in legno naturale contribuisce a dare alla camera da letto un aspetto caldo e confortevole che dialoga in modo perfetto con il panorama che si vede dall’ampia apertura finestrata.
Il legno, in effetti, è senza dubbio il materiale preferito per pavimentare le camere da letto. Più o meno pregiato, chiaro, scuro o venato, il legno di quercia, betulla, faggio, rovere e doussiè, rappresenta una soluzione ideale per l’ambiente notte perché garantisce un calore ed un confort che sono realmente difficili da replicare con altri materiali da pavimentazione. Per ciò che invece riguarda gli arredi, tutto si ripete nelle modalità usuali di ogni stanza da letto, ma attraverso connotazioni tipiche di chi preferisce la sobrietà e l’eleganza dello stile minimale. Il letto, pur essendo anche qui protagonista della stanza, è infatti semplice e lineare, ma viene impreziosito da un sottile bordo colorato che riprende i toni della carta da parati retrostante. L’armadio, è un facile mobile a sei ante che è stato reso particolarmente interessante solo attraverso la realizzazione di una contro-parete in cartongesso che simula l’incasso di un armadio a muro. Nel suo insieme, una stanza da letto che pur con i suoi arredi minimali, tramette un’estetica ed un confort, davvero degni di nota.
La camera Colorata
Chiunque si sia trovato ad arredare una camera da letto, si è trovato regolarmente di fronte al problema di quali colori utilizzare nel suo allestimento e nel suo arredo. E in effetti, il colore è il primo elemento che definisce un’atmosfera e uno stile, anche nell’ambiente notte. Rilassante, stimolante, caldo, gioioso, esotico, tradizionale, “classico” o di tendenza, ognuno di questi aggettivi può essere identificativo di un certo tipo di gusto, ma anche di un certo colore.
Qualsiasi “linguaggio” si voglia dunque impartire alla propria camera da letto, non si può prescindere dal fatto che il colore ne è, e ne sarà per sempre, parte integrante. La luce, con le sue rifrazioni, ha infatti la capacità di alterare la percezione dei colori e quindi degli ambienti, sia per ciò che concerne le dimensioni, sia per ciò che riguarda le sensazioni che ogni luogo provoca (anche inconsciamente) in ogni individuo. Ecco il motivo per cui una stanza sembrerà più piccola o più grande a seconda che siano stati usati per allestirla colori chiari o scuri ed ecco il motivo per cui una camera da letto può apparire più fredda o più confortevole a seconda dei toni utilizzati per allestirla.
Il concetto fondamentale di questo ragionamento si basa principalmente su di un assioma indiscutibile: il nero fa sembrare più piccolo un ambiente perché assorbe più luce, mentre il bianco è capace di amplificare ogni spazio perché al contrario la diffonde. Lo stesso concetto vale dunque per i colori scuri e per quelli chiari. Allo stesso modo si può dire che i più colori tenui sono quelli attraverso i quali è possibile creare ambienti più rilassanti, mentre quelli più accesi, sono da ritenersi senza dubbio quelli più capaci di connotare ambienti gioiosi e divertenti. Nel caso delle camere da letto, essendo questi ambienti dedicati al riposo, la cosa migliore da fare è dunque, ovviamente, quella di utilizzare colori tenui, lasciando magari quelli accesi per altri ambienti. Ma c’è un “ma”…
Il concetto secondo il quale l’utilizzo di colori tenui è più consono per le stanze da letto ha infatti col tempo portato ad una certa “uniformazione” delle proposte arredative, per cui, molto più spesso di quanto forse si dovrebbe, per le camere si tende ad impiegare in arredamento colori molto sobri come il bianco ed il beige ed il canapa. Questi colori, pur essendo strettamente correlati col concetto di “minimalismo” che regna negli arredi moderni, hanno il problema di “appiattire” a volte troppo gli ambienti rendendoli spesso simili gli uni agli altri. Utilizzare dei colori diversi anche in queste stanze quindi, può avere l’indiscutibile vantaggio di proporre arredamenti originali che, se ben bilanciati, possono restituire effetti molto più piacevoli della solita camera da letto di colore bianco.
Questo ragionamento porta forzatamente ad affrontare un argomento che è sempre più strettamente correlato col mondo dell’arredamento ovvero quello riguardante la “moda” e le “tendenze”. A differenza di chi intende utilizzare per i propri ambienti notte il bianco o gli altri colori “neutri”, chi desidera dare un tono di colore più importante ed evidente alla propria camera da letto, deve fare i conti con la moda del momento e con gli effetti che essa provoca sui gusti di ognuno. Sì perché nella scelta di un colore, sia che si parli di abbigliamento che di mobili, le tendenze in atto giocano un ruolo fondamentale. Innanzitutto, sono proprio le aziende produttrici a seguire con molta attenzione ciò che avviene sul mercato ed ha proporre di conseguenza i colori più in voga al momento.
Questi colori però sono decisi a loro volta “a monte” e diffusi come “un’onda” che partendo spesso proprio dal mondo della moda investe gli altri comparti. Tale fenomeno, nel caso degli arredi da camera da letto, è particolarmente evidente perché riguarda ambienti personali e intimi: tutto ciò deve essere tenuto nella massima considerazione da chi effettua questo tipo di acquisto. Un armadio o un gruppo comò e comodini infatti, non sono come degli abiti che chiunque può cambiare con una relativa facilità, sono al contrario degli oggetti destinati a volte a coabitare molto a lungo con le persone che gli acquistano e devono essere scelti con molta cognizione di causa. Il trucco è quello di preferire sempre i colori che si giudica meno soggetti a passare velocemente “di moda” e per riconoscerli con più facilità basta seguire delle semplici regole.
I colori chiari, ad esempio, sono tendenzialmente più longevi di quelli scuri. Stessa cosa si può dire per quelli tenui rispetto a quelli accesi, ma anche per quelli più caldi rispetto a quelli più freddi. Ciò non significa che non si possano usare anche dei colori più particolari ed originali! Per ciò che concerne le camere da letto un accorgimento abbastanza facile da seguire, specie per chi desidera arredare con dei colori più estrosi, è quello di usarli sono in quelle parti che sono più facili da sostituire come i complementi tessili (tende, tappeti e coperte), alcune limitate parti di mobile o i letti. Quest’ultimi, in questo senso, possono risultare un ottimo compromesso fra il desidero di colore e la necessità di arredi “longevi” e vedremo proprio nei prossimi paragrafi in che maniera.
La camera moderna con “Armadio divisorio”
Nell’utilizzo moderno dell’architettura d’interni, ci si trova spesso a escogitare soluzioni innovative per problemi ancestrali. L’apertura delle stanze e l’abbattimento di pareti fino ad adesso considerate intoccabili, ad esempio, avendo interessato anche le camere da letto, ha creato di nuovo la necessità di separare in qualche modo degli ambienti divenuti spesso troppo grandi, in maniera da poter distinguere, anche visivamente, i diversi luoghi funzionali. Una camera da letto può essere dunque in qualche modo separata semplicemente utilizzando un letto posizionato in centro stanza, oppure un paravento, un muretto, oppure una grande superficie vetrata, magari scorrevole, posta in modo da rendere il guardaroba una stanza a sé stante. L’obbiettivo è sempre quello di evidenziare una certa zona o distinguere aree con funzioni diverse, quali possono essere il guardaroba appunto, oppure la zona “lettura” e l’antibagno. Nell’esempio di questa foto si può vedere una stanza di dimensioni ragguardevoli nata grazie all’abbattimento di un muro di separazione che divideva in due una finestra, rendendo inoltre indispensabile due porte per accedere ai due differenti ambienti.
La camera da letto così ottenuta aveva però il problema di avere dimensioni troppo grandi per essere arredata in maniera tradizionale. Si è optato allora per usare l’armadio come “quinta naturale”, posizionandolo in mezzo alla stanza anziché appoggiarlo a muro. In questo modo si è potuto ottenere, all’interno della stesso ambiente notte, una zona guardaroba separata che, oltre a ottimizzare e sfruttare al massimo lo spazio, permette una maggiore fruibilità della zona destinata ad ospitare il letto. Quest’ultimo viene ad assumere in questo modo un importanza particolare grazie sia alla sua posizione (centrale in parete e dunque in evidenza), che grazie alla dimensione che ha potuto in tal modo assumere.
In stanze da letto come questa è però senza dubbio la luce a “dirigere i giochi”. L’assenza di pareti intermedie e la dimensione della camera permette infatti alla finestra di trasmettere la propria luce in ogni angolo della stanza, senza che questa venga in qualche modo interrotta da muri divisori. Oltre a tale indiscutibile vantaggio, in queste camere c’è anche quello di avere sempre una visuale dell’ambiente talmente ampia da rendere tutto l’insieme di arredi fruibile allo stesso momento, pur trovandosi in presenza di una “zona notte” ben separata e distinta. Ciò consente di creare anche luoghi funzionali addirittura più specifici, come ad esempio gli angoli lettura o gli studioli per il computer, senza compromettere minimamente l’estetica complessiva della stanza.
La stanza da letto “tutto armadio”
In camera, chi ha bisogno di spazio interno ai mobili è quasi sempre necessariamente costretto a costruire arredi che abbiano un gran volume. Questo è possibile solo per chi possiede stanze di dimensioni adeguate ad alloggiarvi degli armadi di misure superiori alla norma. In stanze da letto di grandezza standard l’armadio previsto dai progettisti è solitamente di 300 cm di larghezza circa per 60 cm di profondità. Per quanto riguarda l’altezza, questa è andata via via crescendo negli armadi con l’andare degli anni e l’aumentare della disponibilità degli abiti che occorre conservare, fino ad arrivare a toccare quasi il soffitto. Le altezze minime delle stanze da letto sono solitamente 270 cm e questo ha condotto le aziende produttrici a realizzare armadi di altezza circa di 260 cm. La camera da letto nella versione qui fotografata è realizzata invece con un armadio a 8 ante di 400 di larghezza per 60 di profondità. Per l’altezza è stata utilizzata la possibilità che hanno molti armadi della collezione “La Casa Moderna” di essere realizzati completamente su misura. Ciò permette uno sfruttamento “al centimetro” dello spazio disponibile, che risulta principalmente utile quando ci si ritrova a dover fare i conti con abitazioni di misure ridotte. Complessivamente l’armadio fotografato possiede un volume interno di circa 4 metri cubi e mezzo, che risulta dunque ben maggiore rispetto a quello di un armadio guardaroba normale.
Nelle camere da letto moderne “tutto armadio”, l’attrezzatura interna del guardaroba assume un’importanza davvero notevole. Anche perché per avere ben chiaro il volume interno che avremo a disposizione nell’armadio sarà necessario operare un compromesso con lo spazio che lo stesso occupa nella camera da letto. A tutti piacerebbe infatti un enorme armadio, magari a 10 ante, per potervi stipare tutto quanto è umanamente possibile, ma in quanti possono permettersi realmente di farlo? Per riporre al meglio gli indumenti e sfruttare bene lo spazio, l’armadio va progettato dunque con molta attenzione anche per ciò che concerne il suo interno. I vani vanno suddivisi immaginando già gli abiti e i diversi tipi di biancheria che vi verranno disposti, facendo molta attenzione a ciò che dovrà essere appeso, ciò che dovrà occupare lo spazio orizzontale dei ripiani e ciò che invece dovrà essere riposto nei cassetti. Un armadio da camera matrimoniale di dimensioni “normali” possiede di solito sei vani separati: quattro di questi sono alti 130 cm circa e sono usati per il cosiddetto “cambio stagione, un vano viene adibito a cassetti, mentre un vano rimane più alto in modo da appendervi gli abiti lunghi. Tutto ciò che in più a questa comparazione “base” sarà possibile inserire, potrà sicuramente rendersi utile in fase di utilizzo.
A causa dei notevoli spazi a pavimento occupati dall’armadio, una stanza di questo tipo richiede di essere arredata in maniera conseguentemente più leggera del solito. Nello specifico esempio mostrato in foto, non è stato dunque un caso l’aver preferito arredare il resto della camera con oggetti molto semplici e poco voluminosi. Al posto del classico contenitore a cassetti (detto comunemente comò o cassettone) si è preferito inserire un mobile componibile “sospeso”, in modo da rendere più libera la parete di fronte al letto, mentre i normali comodini sono stati sostituiti da dei piacevoli tavolini a tre gambe dall’originale design. Un discorso a parte lo merita invece il letto. Quest’ultimo, in una camera di dimensioni normali è di solito il mobile che occupa la maggior parte dello spazio a pavimento. Quando si è in presenza di armadi particolarmente voluminosi, a meno che non si possegga una camera molto estesa, è necessario quindi optare per un letto che abbia delle forme sobrie e delle misure limitate.
Quello presentato in questa foto è, ad esempio, un letto molto lineare rivestito in pelle marrone che, essendo privo del contenitore, possiede una fascia “giro-letto” abbastanza leggera e contenuta. La sua testata poi, essendo molto sottile e dritta, mantiene il letto in dimensioni complessivamente abbastanza ridotte e comunque tali da poter essere tranquillamente inserito in ogni stanza “matrimoniale”.
La camera con l’armadio “a vetro”
La dimensione intima e personale di ogni stanza da letto è stata ultimamente superata da una tendenza che porta a considerare gli “spazi armadio” come fossero delle vetrine da esposizione. Il vetro in effetti ha di per sé la proprietà di smaterializzare gli elementi ed, allo stesso tempo, di valorizzarli . Dotando anche una sola parete di ampie vetrature, magari ad effetto riflettente, si focalizza infatti l’attenzione su di essa con il risultato, indiscutibile, di rendere l’intera stanza più ampia ed elegante. A chi sostiene che si tratta di soluzioni di gusto “Luxury” se non addirittura “Kitch”, è facile rispondere che quello di rendere ogni ambiente originale e non banale, è un traguardo che si ottiene non lasciando nulla al caso e ponendo una grande attenzione alle proporzioni, al gusto ed allo stile. Partiamo però innanzitutto da porsi una domanda: in una stanza da letto che si desidera elegante e fuori dal comune, quanto si è disponibili a cedere alle lusinghe dell’estetica? Perché se c’è una cosa che è sicura è che un’armadio a vetro è un mobile oggettivamente “bello”. La profondità degli spazi che esso offre, ancor più se corredati di una valida illuminazione interna, è infatti un motivo di grande effetto estetico, anche in stanze di dimensioni non molto generose. Gli arredi del resto, sono anche in camera da letto i protagonisti dello spazio e definiscono il tono generale della stanza.
Per sentirsi a proprio agio durante il nostro riposo è però importante che i vari componenti risultino anche estremamente funzionali allo scopo. Un sapiente connubio fra praticità ed estetica diventa perciò l’unica strada percorribile a chi decide di intraprendere questo tipo di percorso. Si è disponibili a tenere costantemente il nostro armadio in perfetto ordine? Possediamo abiti degni di essere esposti? Istagram e Facebook sono pieni di immagini di enormi guardaroba che alcune star del web amano mostrare al loro pubblico di “Followers”. In quelle immagini gli abiti e gli accessori sono sempre ordinati negli armadi in maniera impeccabile. Se anche noi ci sentiamo effettivamente in grado di mantenere quella stessa compostezza, allora possiamo senza dubbio permetterci di acquistare un armadio con le ante a vetro.
L’effetto che otterremo nella nostra stanza da letto sarà davvero impareggiabile. Ma qualora si desideri non esagerare nell’esporre le proprie cose, ecco che esiste la possibilità di inserire nell’armadio solo alcune ante a vetro, lasciando chiuse le altre. L’effetto complessivo risulta anche in tal caso molto piacevole e il fatto di interrompere la monotonia tipica dei volumi dell’armadio, aiuta molto nell’appagare ogni più che lecito desiderio di originalità.
La camera “multifunzione”.
Visto che le persone lavorano e che il tempo che si passa in casa è spesso limitato all’uso di poche stanze, ecco che nasce la necessità di camere da letto “poliedriche” che possano soddisfare ogni necessità pratica. Del resto, le abitazioni più nuove sono spesso sempre più piccole e non mancano i casi in cui, per non sacrificare la “zona giorno” si preferisce attrezzare la propria camera da letto con accessori che, qualche tempo fa, mai ci saremmo sognati di inserire. E’ questo il caso dello “spazio TV” e dello “spazio lavoro” che sempre più spesso coesistono in stanze da letto con gli altri suoi tradizionali arredi. Si tratta per lo più di inserimenti in verità poco ingombranti che si caratterizzano quasi sempre per la loro “ambi-valenza”, ovvero per essere utilizzati in maniera differente a seconda del momento specifico. Il televisore, ad esempio, un tempo rappresentava un vero problema per la camera da letto. Le sue dimensioni, a causa della presenza del tubo catodico, erano tali da rendere spesso necessario l’uso di un elemento porta tv “aggiunto” (quindi molto ingombrante in stanze di dimensioni normali in cui coesistevano già armadio letto e gruppo comò e comodini). Nei peggiori dei casi si era addirittura costretti ad utilizzare il piano del comò (o “cassettone”, qualora si preferisco utilizzar questo termine) creando degli effetti estetici davvero deleteri.
La comparsa sul mercato dei televisori al “plasma” ed al “led” ha però dato una svolta importante a questa situazione. Adesso i televisori possono essere appesi alle pareti come fossero quadri e questo facilita molto il loro inserimento. Ma non solo! Chi ad esempio ha lo spazio di fronte al letto predisposto per alloggiare l’armadio può pensare all’uso di soluzioni molto semplici e pratiche che permettono di applicare un televisore ad una apposita anta dell’armadio senza dispendio di spazio interno. L’anta in questione, oltretutto, aprendosi può permettere un migliore orientamento della tv nei confronti di chi deve guardarla. Un discorso a parte lo merita lo “spazio lavoro” che sempre più di frequente viene ospitato nelle nostre camere da letto. In quel caso si tratta di una necessità spesso molto pratica e ben meno “ludica” di quella concernente il televisore. Il computer è un accessorio che è ormai spesso presente in tutte le case e non è raro che si presentino problemi per il suo alloggiamento. Di certo, anche in questo caso l’evoluzione tecnologica è venuta in aiuto a chi ha problemi di arredamento e la presenza sul mercato dei computer “portatili” ha senza dubbio consentito di ridurre gli spazi necessari al loro uso e di migliorare l’ordine complessivo in ogni stanza ove essi si trovino.
La recente pandemia, ha ulteriormente ampliato le problematiche relative all’utilizzo del computer in casa; in ambito di “Smart Working” infatti si ha la necessità di lavorare in un ambiente isolato dal resto della propria abitazione e per questo la camera da letto risulta essere spesso l’ambiente ideale. A questo scopo possono essere utilizzati nelle stanze da letto diverse soluzioni: la più semplice è quella di predisporre un piccolo scrittoio, magari in abbinamento con il resto degli arredi; in caso non si possegga però lo spazio sufficiente, è comunque possibile attrezzare il proprio comò con un piccolo piano di appoggio (magari da utilizzare anche come toilette) oppure alloggiare una mensola con profondità adeguata da usare come appoggio, anche in camera da letto.
La camera con “armadio a muro”
Vi sono spesso in camera da letto delle nicchie e dei vani che possono essere facilmente predisposti per l’alloggiamento di un armadio. Nel caso questi vani posseggano delle dimensioni adeguate si può fare in maniera che le ante di un armadio incassato facciano il pari con le pareti circostanti al fine di creare una sorta di “parete unica” in cui il mobile risulta una parte integrante e perfettamente “integrata”. Del resto, in ogni camera da letto, le abbondanti dimensioni degli attuali armadi guardaroba, rendono spesso questi mobili visivamente molto ingombranti e la possibilità in qualche modo di “nasconderli”, inserendoli in maniera opportuna all’interno di una parete, risolve egregiamente il problema. Tant’è vero che tale tipo di soluzione viene spesso riprodotta “artificiosamente” grazie a delle modifiche strutturali della stanza.
Si tratta in questi casi dell’applicazione di contro-pareti in gesso alleggerito (altrimenti detto “cartongesso”), poste alla stessa esatta profondità delle ante dell’armadio, che si rivelano spesso particolarmente utili anche per nascondere tubi, colonne e pilastri sporgenti. L’effetto complessivo risulta particolarmente bello ed elegante e consente, con alcuni modelli di armadio, di poter colorare le ante con lo stesso tono con cui sono dipinte le pareti.
Per ciò che concerne la tipologia dell’armadio, questa modalità di inserimento è particolarmente adatta agli armadi cosiddetti “a battente”, perché quest’ultimi a differenza di quelli scorrevoli, permettono di essere inglobati a delle strutture esterne senza particolari problemi. Gli armadi scorrevoli moderni, sono invece quasi sempre dotati di guide e binari superiori che devono essere lasciati liberi e non possono essere per questo uniti insieme a strutture in legno, oppure in metallo e cartongesso. In verità questo problema può essere risolto in maniera artigianale creando delle strutture in cartongesso dotate di apposite nicchie, ma questo tipo di alloggiamento non consente una facile manutenzione dell’armadio.
A proposito di armadi a muro è assolutamente necessario precisare anche che, in alcuni casi, questi risultano molto adatti ad un’utilizzo completo dello spazio a disposizione. Per come sono predisposte le camere delle abitazioni più moderne, le pareti dove è previsto l’inserimento di un armadio, possiedono infatti quasi sempre una profondità tale da essere utilizzata fino ad un minimo di 60/65 cm.
Questo permette dunque, molto spesso, di creare degli armadi realizzati perfettamente “su misura” riempiendo completamente la parete a disposizione, senza l’ausilio di ulteriori strutture in cartongesso o legno. Tale utilizzo, considerando le misure minime di una stanza da letto, può consentire di costruire armadi davvero molto capienti, con lunghezze a volte superiori addirittura ai 4 metri ed altezze fino a tre metri. In questo caso l’effetto “a muro” è creato dall’armadio stesso, il quale è come se assumesse la forma della parete stessa, non modificando dunque l’estetica complessiva, ma variando esclusivamente la profondità totale disponibile in camera da letto.
La Camera ad elementi contenitori integrati
Quando lo spazio manca, anche in camera da letto non si può fare a meno di ricercare soluzioni che ci aiutino a risolvere i nostri problemi, senza mettere a repentaglio l’estetica della stanza. Proprio per rispondere a questa tipologia di esigenza, esistono dei mobili componibili da camera matrimoniale che, sulla scorta di ciò che avviene per le camerette, permettono di integrare elementi contenitori di natura differente come armadi, comò, scrittoi, porta tv e comodini. In realtà, come abbiamo detto, non si tratterebbe di nulla di particolarmente innovativo se non fosse per il fatto che, anziché trovarsi ad usare dei componibili come quelli delle camerette da ragazzi, che sono fatti apposta per essere in qualche modo sovrapporti ed integrati, nel caso delle camere matrimoniali ci troviamo di fronte a mobilia che viene prodotta apposta a questo scopo.
Si tratta dunque in pratica di armadi guardaroba a cui vengono applicati dei cassetti esterni, i quali vengono poi ripetuti in dei contenitori posti accanto in modo da formare dei veri e propri comò. E’ da notare come la perfetta fusione fra i diversi elementi sia garantita anche dalla scelta di colori adeguati. Nell’esempio qui fotografato, mentre per l’armadio e le sue ante si è preferito un colore bianco, i suoi stessi cassetti, come quelli degli elementi che vi sono accostati, sono evidenziati nel loro caldo tono di grigio.
Gli elementi d’arredo così costruiti si rivelano molto adatti in quei casi in cui, proprio come quello fotografato, l’esigenza di chi utilizza la camera è quella di occupare una sola parete, sia per inserire l’armadio che il mobile contenitore a cassetti. L’eventualità di accostare due mobili separati, ovviamente, sarebbe stata ugualmente possibile, ma l’avere due diversi arredi poggiati su di un unica stessa parete, avrebbe senza dubbio creato una ideosincrasia a livello estetico. Lo stesso tipo di concetto può essere utilizzato anche in quei casi in cui a dover essere assiemati, sono anche elementi particolarmente differenti fra loro come ad esempio un armadio ed una scrivania. Anche per questo tipo di necessità infatti, qualsiasi tipologia di camera può essere attrezzata di un armadio, magari un po’ più grande del normale, al cui interno sia contenuto uno scrittoio oppure un piano estraibile ad uso scrivania.
La camera moderna con “armadio a ponte”
Anche in questo caso, rimaniamo in una delle situazioni descritte nel precedente paragrafo nelle quali, per una serie di motivi che possono essere anche molto diversi da loro, si ha la necessità di inserire due mobili diversi e voluminosi nella stessa parete della camera da letto. Stiamo parlando per lo più di quelle stanze strette e lunghe in cui la profondità a disposizione non consente di lasciare un adeguato spazio libero fra l’armadio ed il letto, qualora venissero posti uno di fronte all’altro. In tali situazioni si rivela particolarmente utile la possibilità, che hanno numerosi armadi, di poter essere costruiti “a ponte” ovvero con una sorta di “nicchia” in cui posizionare un letto. Si tratta di un mobile che era nato principalmente per essere utilizzato nelle camerette da ragazzi che, notoriamente, possiedono delle misure molto contenute ed in cui molto spesso è necessario porre il letto all’interno dell’armadio. Queste soluzioni, diffuse per lo più alla fine degli anni settanta, avevano nelle camerette proprio lo scopo di ridurre gli ingombri complessivi, senza diminuire troppo gli spazi interni all’armadio. Per questo stesso motivo si è pensato poco dopo di utilizzare tale concetto anche per le camere matrimoniali che sono locali in cui, per ovvi motivi, lo spazio a pavimento occupato dal letto risulta sempre un notevole problema.
Le camere matrimoniali “a ponte” sono dunque la soluzione ideale per chi, pur possedendo una stanza da letto di dimensioni adeguate, è costretto a fare i conti con una profondità ridotta o con delle pareti occupate da troppe aperture. Le misure dei mobili, sono in questo caso un elemento di basilare importanza: il letto matrimoniale (almeno in Italia) occupa solitamente uno spazio che è largo dai 160 ai 180 cm e questa dimensione fa sì che per poter essere alloggiato all’interno dell’armadio, il vano ove è destinato debba essere almeno pari a due metri, misura che permette di alloggiarvi sopra quattro ante basse di armadio. Qualora però si intenda fornire il letto di uno o due piani d’appoggio (se non di veri e propri comodini) laterali è necessario raggiungere una misura di ponte superiore ai 240.
Relativamente agli armadi a ponte per camera matrimoniale, la difficoltà più grande a cui capita di andare incontro risulta proprio quella riguardante la lunghezza del “ponte”. Gli armadi di questo tipo infatti necessitano di una costruzione apposita che consenta di ottenere un volume “contenitore” sopra al letto che sia capiente e solido, ma che allo stesso tempo possa essere tranquillamente sostenuto dall’armadio stesso. Per ottenere questo scopo, solitamente. i “ponti” vengono costruiti sovrapponendo degli elementi componibili dotati di ante a delle solide travi in ferro chiamate in gergo “barra ponte”. Quest’ultime, a seconda dei modelli di armadio, possono rimanere “a vista”, ovvero visibili sotto ai moduli che sostengono, oppure “a scomparsa”, ovvero nascosti in qualche modo all’interno degli stessi moduli superiori ad ante.
Questo tipo di sistema, di gran lungo più bello ed elegante grazie alla pulizia delle sue linee, è però solitamente più costoso di quello che prevede le “barre ponte a vista”. Ciò è dovuto ad una maggiore complicatezza costruttiva ed ad una più importante attenzione agli aspetti estetici del mobile stesso. Gli armadi a ponte fotografati in queste immagini, prevedono ad esempio entrambi un tipo di soluzione “a scomparsa” che priva l’armadio di ogni possibile ulteriore “orpello” e ne mantiene pulite le linee. In questi casi, per chi vuole, è possibile dotare il vano ponte di una o più mensole da utilizzare come piani d’appoggio a servizio del letto matrimoniale. Per fare ciò è però necessario ampliare il vano ponte quel tanto che basta a far sì che le mensole non limitino la libertà di movimento di chi utilizza il letto matrimoniale sottostante.
A questo proposito è importante fare un po’ di chiarezza: se si intende dotare il proprio armadio a ponte di una mensola (come nel caso mostrato nella seconda foto) da posizionarsi in alto nel vano (sopra alla testata del letto matrimoniale) è necessario che quest’ultima sia posizionata al meno a 130 cm dal suolo. L’altezza ideale è di 150/160 cm, misura che però comporta la riduzione delle ante superiori di almeno 20 o 30 cm. Se invece si intende creare uno spazio laterale laterale ad ognuno dei due lati del letto, necessario ampliare la larghezza del ponte fino almeno a 270 cm.
La camera moderna “tipo Hotel”
Attenzione al titolo: stiamo parlando di camere “Tipo Hotel” e non certo di camere “da Hotel”. Fino a questo punto abbiamo trattato le camere matrimoniali considerandole spesso dal punto di vista del loro contenimento oltre che della loro estetica. Sulla scelta di una stanza da letto possono però influire scelte che esulano dalle normali esigenze abitative (estetica e contenimento) e prediligono invece altri aspetti come la praticità e la velocità di uso. Stiamo affrontando uno di quei casi di arredamento da “zona notte” in cui la capacità di contenimento di una camera rappresenta un aspetto secondario, in quanto la quantità di abiti e di suppellettili che si ha la necessità di conservare e mantenere a disposizione è ridotta rispetto alle esigenze, ad esempio, di una normale coppia che lavora. Pensiamo invece alle “seconde case”, ai “pied-à-terre”, alle “foresterie” e a tutte quelle abitazioni in cui, per lavoro o per svago, si ha la necessità di soggiornare solo per periodi brevi di tempo. Ci sono però anche casi di camere matrimoniali che, grazie alla presenza in casa di grandi stanze guardaroba, hanno bisogno di un design (nel caso specifico, dell’armadio) che non preveda grandi contenitori chiusi, quanto piuttosto degli spazi in cui riporre velocemente e con comodità soltanto quegli che sono gli abiti e gli accessori da adoprarsi quotidianamente.
La soluzione presentata in questa foto, ad esempio, è frutto della necessità di una coppia di disporre di una piccola quantità di vestiti, senza doversi ogni volta recare nella loro grande stanza guardaroba. Si tratta in effetti di una soluzione comoda e pratica: Nelle due ante alte laterali si posizionano gli abiti puliti e tutto ciò che può essere appeso; nella ante in alto vanno invece coperte e lenzuoli, mentre il vano centrale ospita un grande specchio ed un piccolo appendiabiti “a vista” dove possono essere facilmente appoggiati gli abiti da usarsi al mattino seguente. L’anta alta, posizionata accanto al vano aperto, nasconde invece una grande cassettiera (per la biancheria) ed un vano a giorno ove poggiare gli accessori. Il tutto viene illuminato da una bella luce al led che rende il mobile bello e senza dubbio interessante. Inutile dire che chi opta per questo tipo di funzionalità, può averne bisogno, non solo per la propria camera matrimoniale, ma anche per altri ambienti della casa, quali possono essere ad esempio gli ingressi ed i corridoi. In questi casi l’armadio infatti può diventare un valido contenitore per gli abiti degli ospiti, oppure uno spazio in cui la famiglia ripone i soprabiti usati quotidianamente, senza occupare spazio internamente agli armadi delle stanze da letto.
Nel progetto qui mostrato, è anche facile notare la felice convivenza in stanza di accessori inusuali come lavandini e vasca da bagno. E’ una conformazione tipica della “camera Hotel”. Questi accessori da bagno collaborano essenzialmente a definire un’idea di rapidità e comodità totale che è attualmente molto considerata nell’architettura della “zona notte” e che è invece appunto usuale nell’hôtellerie. Sono soluzioni che richiedono però ampi spazi o un particolare talento nel mettere in corrispondenza volumi ed estetica dell’ambiente. In questi casi le vasche da bagno diventano spesso veri e propri oggetti di design che, come fossero delle sculture, offrono il loro profilo per trasmettere un certo senso di “confort” e armonia.
La camera “Mansardata”
Se un tempo la “mansarda” era considerata un luogo secondario della casa, se non addirittura un vero e proprio locale di servizio, oggi rappresenta spesso una stanza di cui si può difficilmente fare a meno. Sono infatti numerosi i terra-tetto e le villette a schiera che vengono costruite con l’intento proprio di utilizzare il sottotetto al fine di destinarlo a locali di primaria importanza, come la camera da letto. Del resto un locale mansardato si presta ad essere usato come “zona notte” per numerose ragioni. Una fra le più importanti di queste è relativa a ciò che concerne la quantità di luce che di solito è disponibile nelle mansarde. In una zona notte, per ovvi motivi, è sufficiente una limitata luce naturale, chi è quindi così fortunato da disporre di un ambiente così particolare, ma solitamente poco luminoso, come lo è appunto una mansarda, difficilmente riesce a rinunciare al piacere di crearvi un piacevole angolo dove dormire.
La mansarda, ovvero il locale ricavato dal sottotetto, è senza dubbio infatti un luogo “a sé”, diverso sotto molti aspetti dalle stanze normali. Sarà per la sua conformazione, sarà per le piccole finestrelle dalle quali si gode a volte di una bellissima vista, sarà per le sue contenute dimensioni, fatto sta che la mansarda offre in ogni caso un’atmosfera intima e romantica, difficilmente riscontrabile in egual misura in un altro ambiente della casa. Perché non crearvi allora un’accogliente camera da letto? In tutta l’Europa del Nord le mansarde (solitamente più presenti e sfruttabili che in Italia, grazie ai tetti più spioventi che si trovano dove sono più frequenti le nevicate) sono, non a caso, il rifugio più ricercato per le giovani coppie. Del resto, per creare un ambiente “notte” mansardato, basta relativamente poco. Occorre verificare innanzitutto se il nostro sottotetto possiede un altezza sufficiente a questo scopo. In caso contrario, si può controllare se, abbassando il soffitto del piano inferiore, è possibile rintracciare quei centimetri necessari a rendere la mansarda per lo meno “vivibile” e dunque “a norma”. Dopodiché bisogna pensare a come collegare la camera mansardata con il resto della casa. Spesso, la scelta migliore è rappresentata da una scala di ridotte dimensioni -come ad esempio quelle “a chiocciola”- che occupi poco spazio e sia facilmente utilizzabile. Una volta risolto anche questo problema si potrà pensare agli arredi ed alla decorazione.
Come abbiamo detto le mansarde, oltre ad essere solitamente basse, non sono mai molto grandi, di conseguenza per quanto riguarda i colori ed i materiali da inserire, specie se stiamo parlando di una camera, è bene orientarsi su combinazioni che abbiano la caratteristica di allargare lo spazio e dissimulare le differenti altezze. Per realizzarvi una camera da letto sono molto indicati dunque i colori chiari e le fantasie minute, a meno che non si desideri dar libero sfogo all’inventiva per ottenere un effetto particolarmente scenografico sulla parete dotata dell’altezza maggiore. A questo scopo possono risultare molto utili le carte da parati che, magari posizionate dietro la parete del letto, possono davvero dare una svolta estetica ad ogni ambiente notte mansardato.
Per ciò che concerne i mobili il discorso si fa un pochino più complesso. La forma irregolare della stanza, il soffitto inclinato, le finestre di forma originale, magari posizionate in luoghi davvero inconsueti, sono infatti elementi che possono rappresentare un grande problema in fatto di arredi, specie per l’inserimento dell’armadio e del letto. Se la camera da utilizzare è ad esempio piuttosto stretta, occorre valutare diverse soluzioni arredative differenti, che tengano comunque presente principalmente la posizione del letto matrimoniale, anche (o soprattutto) in relazione all’altezza del punto dove ci sembra più conveniente metterlo. Nel caso delle camera mansardate di proporzioni più regolari, il problema principale è invece rappresentato quasi sempre dall’armadio. Presupponendo infatti che si posizioni il letto presso la parete più alta, onde evitare di sbattere la testa ogni volta alzandosi, ci si accorgerà presto che -a meno eccezionali colpi di fortuna- il nostro armadio dovrà necessariamente essere realizzato “su misura”. I casi che si presentano principalmente sono due: il primo è quello in cui l’armadio viene posizionato sulla parete più bassa, il secondo quello che prevede la realizzazione di un armadio detto “in pendenza”. Nel primo caso ci troveremo ad affrontare un problema essenzialmente di spazio: se abbiamo la fortuna di possedere in mansarda una parete “bassa” di altezza sufficiente, potremo pensare di alloggiarvi un piccolo armadio e ci sarà in quel modo possibile contare su di un contenitore capace di mantenere al suo interno tranquillamente gli abiti appesi; Se al contrario avremo a disposizione solo una limitata misura di altezza (inferiore ai 130 cm), allora avremo la necessità di sfruttare tale contenitore tramite cassetti o ripiani.
Per questo motivo, l’armadio “tagliato in pendenza” anche detto in gergo “mansardato”, è una delle soluzioni preferite nelle camere in mansarda: esso rappresenta un buon compromesso che permette di sfruttare meglio lo spazio a disposizione, pur possedendo solitamente dei costi di realizzazione più alti rispetto a quelli relativi ai normali armadi guardaroba. In questi casi, il sistema costruttivo più diffuso è quello che prevede la fabbricazione di contenitori di forma regolare (detti scocche) di altezza leggermente inferiore al punto più basso della parete in cui devono essere poggiati. Questi elementi singoli, una volta accostati gli uni agli altri in modo da formare un armadio “a scala”, vengono poi dotati di ante. Quest’ultime, per far si che si possano aprire senza sbattere contro il soffitto, saranno tagliate “in pendenza” proprio con la stessa inclinazione che possiede il soffitto. In questa maniera sarà possibile ottenere un ottimo armadio guardaroba “mansardato” senza che il suo diventi davvero esorbitante. In tale situazione, la cosa principale che bisogna tenere sempre presente è che, ovviamente, il nostro armadio sarà costituito solo da elementi singoli (dotati cioè di una sola anta e quindi aventi una larghezza massima di 60 cm) e sarà dotato di ante che si aprono tutte per il solito verso (destro o sinistro) in maniera che, aprendosi, esse non vadano a sbattere contro al soffitto.
Il tetto spiovente di una camera da letto posta in una mansarda, crea inoltre molto spesso degli angoli di forma particolare che, almeno a prima vista, possono apparire del tutto inutilizzabili. Osservandoli con attenzione però si può riuscire a sfruttarli grazie all’aiuto di un buon falegname o di un buon mobiliere. In questi casi può risultare particolarmente utile anche l’uso del cartongesso il quale, se opportunamente progettato, può diventare la soluzione a numerosi problemi. Se il soffitto inclinato risulta troppo alto nel suo punto massimo, si può pensare ad esempio di ribassarlo solo per una certa superficie in modo da alloggiarvi un armadio di dimensioni adeguate e privo di lavorazioni particolari. Se invece ci troviamo di fronte ad un grosso scalino o ad una nicchia, magari ricavata proprio sopra al vano scale sottostante, si può pensare di ricavarne una piccola zona “studio” completa di piano scrivania e mensole.
La camera moderna “Decorata”
Spesso si dà alla parola “decorazione” una connotazione diversa dal suo significato originale, che porta la nostra mente ad associarvi ambienti “ampollosi” e ricchi di orpelli di gusto classico.
La “decorazione”, invece, andrebbe invece sempre intesa nel suo significato originale, ovvero quello con cui si denominano tutte quelle operazioni tese ad “abbellire” ed a migliorare l’oggetto delle nostre attenzioni. Nel caso delle camere da letto “moderne” potrebbe dunque apparire strano l’accostamento con una parola che evoca istintivamente stilemi tutt’altro che moderni. Del resto la nostra attuale è una cultura architettonica che, privilegiando il minimalismo formale derivato dal razionalismo, parrebbe avere poco in comune con con tutto ciò che “aggiunge” qualcosa ad un ambiente, anziché toglierlo. Vi sono però dei casi in cui grazie proprio alla decorazione si possono effettivamente migliorare ambienti che, proprio come accade per le camere da letto, devono risultare caldi ed intimi e che dunque poco si confanno con le spesso rigide e fredde linee degli ambienti minimali. I “gusti sono gusti” e nessuno può discuterli, non vi è dubbio però che dormire in una camera da letto troppo severa, scevra di arredi, priva di qualsiasi orpello e soprattutto fredda, renda difficile il soggiornarvi. E’ un terzo della nostra vita quello che passiamo in camera da letto, dunque ci pare ampiamente giustificato il desiderio di dare alla nostra camera, benché modernissima, uno stile che ce la renda più intima, calda e totalmente rispecchiante i nostri gusti personali. Via libera dunque, anche negli arredi più sfacciatamente moderni, a quelle camere da letto capaci grazie ad alcuni sapienti tocchi decorativi, di trasmettere calore, relax ed intimità. Indipendentemente dallo stile che si preferisce, in camera da letto forse più che in altre stanze, non bisogna aver paura di “trattarsi bene” osando decorare con carte da parati, pitture artistiche fatte a mano, boiserie in legno pregiato e tutto quanto può essere capace di rendere piacevole il nostro risveglio. Ma attenzione!! Non è affatto detto che tutto ciò si traduca sempre in un discorso impegnativo sotto il profilo economico: molto spesso bastano solo pochi piccoli accorgimenti, come una cambio di colore o una piccola cornice applicata a parete, per dare ad ogni ambiente carattere e personalità.
Quello che è davvero importante è cercare di immaginare il tipo di decorazione più adatto ai nostri gusti ed alla nostra camera da letto. Ognuno di noi è diverso ed ogni stanza da letto possiede le sue caratteristiche specifiche le quali, oltretutto, necessitano di essere lette all’interno del progetto complessivo dell’abitazione. Tutto deve essere pensato in maniera molto armonica altrimenti il rischio più grosso che si corre è quello di ritrovarsi con ambienti notte che anziché essere migliorati, vengono addirittura peggiorati dalle decorazioni che si è pensato di applicare.
La camera moderna con “Quinta di separazione”
Adatta principalmente ad arredare le camere da letto troppo grandi, la tendenza che prevede di inserire all’interno della stanza un muro di separazione (detto appunto “quinta), sta prendendo sempre più piede. Questo tipo di arredamento parte di solito dal principio che in ogni ambiente notte il “letto” debba sempre e comunque il vero protagonista, mentre gli altri arredi debbono assumere un ruolo da comprimari. Del resto, come abbiamo avuto occasione di dire più volte in questi nostri articoli, l’armadio ha con il tempo assunto un volume predominante nella camera da letto, con l’aumentare degli abiti che si hanno a disposizione. Per questo motivo le sue generose dimensioni vanno a volte a cozzare con quelle delle stanze da letto in cui viene inserito, creando una vera e propria ideosincrasia con il letto, che è invece l’arredo che nelle camere matrimoniali occupa più spazio a pavimento. Qualsiasi sia il modello che sceglieremo infatti, il letto sarà capace di imporre la sua presenza in camera. Che ci più essere dunque di meglio che nascondere l’armadio dietro ad muro divisorio in modo da dare il massimo rilievo proprio al letto matrimoniale ? Questo tipo di soluzione presenta oltretutto anche altri vantaggi: per prima cosa infatti riesce in qualche modo a valorizzare anche l’armadio stesso che, pur rimanendo celato dietro una parete può essere abbellito con luci e contro-pareti costruite ad hoc. In secondo luogo la parte retrostante il muro divisorio (solitamente posta proprio fra il letto matrimoniale e l’armadio), può essere attrezzata come un piccolo guardaroba (magari per appendervi gli abiti usati quotidianamente) oppure per realizzarvi un piccolo studiolo. Forse, proprio sotto questo punto di vista, la recente pandemia a dato un nuovo impulso a questo tipo di tendenza. Non sono infatti pochi coloro che , prevedendo magari di dover lavorare in casa, si sono preoccupati di creare in camera da letto un piccolo luogo appartato, dove poter poggiare il proprio computer portatile e dove poter scrivere qualche appunto durante lo “smart working”. D’altronde il design e l’architettura devono essere sempre a servizio delle nuove esigenze della clientela, anche quando si tratta di ambienti intimi come la camera da letto.
La camera “per il letto”
Come abbiamo visto nel paragrafo precedente, che sia matrimoniale o singolo, il letto impone inevitabilmente la sua presenza in una camera. E spesso si tratta una presenza molto ingombrante, specie in relazione alle dimensioni delle case di recente costruzione. In certi casi addirittura, è tale il suo “ingombro” che più si cerca di mimetizzarlo e più che il letto finisce per “troneggiare” nella stanza. In alcune situazioni quindi conviene dargli volutamente importanza, accentuando il suo ruolo, per renderlo con una sola parola il “protagonista” della nostra camera, se non addirittura della nostra intera casa.
Questo è un obbiettivo che può essere raggiunto in vari modi. Scegliendo un letto importante in quanto a linea; oppure preferendone uno che abbia delle dimensioni generose, quando non addirittura esagerate. Un altro modo è quello di sottolineare la sua importanza, inserendo il letto in una struttura appositamente studiata per valorizzarne i profili. Un altro è quello di vivacizzarlo, molto semplicemente, con un copriletto molto particolare o con una decorazione retro letto particolarmente originale. Naturalmente optare per una soluzione piuttosto che per un’altra dipende dalle dimensioni della stanza, dagli altri elementi d’arredo che dovrà contenere e, soprattutto, dal proprio gusto personale. Sono queste tutte variabili che rendono ogni stanza da letto un caso unico e a se stante. C’è però un requisito di base che non va mai dimenticato: per quanto adibito ad altri usi (studio, lavoro, svago ecc.) la camera da letto deve pur sempre rimanere un’oasi personale, un ambiente che deve naturalmente invitare al relax e alla distensione, un luogo insomma, dove si possa stare con se stessi, lontano dai rumori del resto del mondo.
In ogni caso, per costruire una camera “intorno al letto” bisogna anzitutto aver ben chiare le dimensioni, non solo del letto stesso o della stanza che lo deve contenere, ma anche di quelle degli altri elementi d’arredi che ci necessitano. Lo scopo è quello di avere bene chiaro quelli che sono gli ingombri, in maniera da definire perfettamente gli spazi liberi necessari a rendere davvero vivibile e confortevole la nostra zona notte.
Un letto matrimoniale occupa solitamente uno spazio di 180 cm per 210 cm, anche se, a seconda del modello scelto, queste misure possono variare e di molto raggiungendo addirittura i 210 x 250 cm. Anche le altezze possono cambiare da modello a modello, almeno per ciò che concerne le testate. Per quello che riguarda invece i “piani materassi” (ovvero l’altezza dell’insieme giro-letto più materasso che è il piano su cui ci si corica) i più diffusi sono i letti bassi, ovvero quelli che si aggirano intorno ai 40/45 cm totali.
In merito agli ingombri ed ai passaggi che occorre lasciare liberi, sui tre lati del letto sarebbe ideale lasciare libero uno spazio di circa almeno un metro; se ciò non è possibile, 60 cm sono la misura minima che consente di lasciare agibile l’accesso al letto ed il suo rifacimento. A questo proposito è importante dire che in Italia, lasciare uno spazio laterale libero intorno a tre lati del letto è una regola considerata ferrea. Vi sono invece paesi, soprattutto nel nord Europa in cui questa regola non viene affatto rispettata e spesso si preferisce accostare il letto matrimoniale al muro, anche lateralmente, in maniera da lasciare più spazio nel resto della stanza. Pur essendo dunque a tutti gli effetti una questione di “punti di vista”, bisogna però comunque considerare che il rifacimento di un letto matrimoniale nel nostro paese è un’operazione che è resa più complessa dalla presenza dei lenzuoli e delle coperte, per la sistemazione mattutina dei quali, come è ben noto, l’avere l’accesso laterale al letto facilita molto le operazioni. Se lo spazio è davvero molto esiguo la tendenza attuale è quella piuttosto di fare a meno dell’armadio in camera, destinando a questo scopo altri ambienti della casa (come i corridoi e i ripostigli) adibendogli a guardaroba.
Per chi al contrario possiede stanze molto grandi e vuole comunque valorizzare il proprio letto matrimoniale, un’altra soluzione è rappresentata dalla “pedana”. Si tratta in pratica di uno scalino a pavimento, da realizzarsi proprio intorno al letto, che serve per sopra-elevare quest’ultimo rispetto agli altri arredi al fine di valorizzarlo. Si tratta ovviamente di soluzioni che trovano poca diffusione nelle camere da letto di dimensioni normali, ma che possono comunque risolvere alcune situazioni in cui, ad esempio, ci si trova di fronte a stanze molto alte oppure ad ambienti in cui è necessario effettuare dei passaggi impiantistici, pur non avendo la possibilità di ripavimentare.
La camera moderna “Urban”
Prendiamo adesso in esame il caso (molto frequente) di chi nella propria camera da letto, preferisce trovare un’atmosfera sobria, ma capace comunque di trasmettere sensazioni positive e divertenti. Oppostamente a ciò che avviene in altri casi, chi predilige questo tipo di “stile” (perché di questo si tratta), ha un’innata predisposizione alla valorizzazione di tutto ciò che può essere trasmesso tramite le tante proprietà legate ai colori, ai materiali ed agli effetti che essi riescono a dare ad ogni arredo. In concetto è un po’ quello di trasferire l’atmosfera “urbana” che si respira in ogni grande città, anche all’interno delle stesse abitazioni che la compongono. La camera da letto “Urban” indirizza dunque le proprie linee verso la semplicità e orientando nel contempo le scelte di chi la preferisce verso altri valori, come la “singolarità” di alcuni materiali, l’originalità di certi colori e la innata predisposizione di alcuni abbinamenti ad essere inserite in locali differenti da quelli propri di una camera da letto. La missione può sembrare a prima vista facile, ma non lo è in verità per niente, soprattutto quando si tratta di arredare stanze intime e personali come sono gli ambienti notte. La grande difficoltà sta nell’utilizzo di colori e materiali diversi dalla norma, senza che questa operazione diventi sinonimo di “Kitch”, se non addirittura di “Trash”. La cosa migliore da fare, per chi desidera una stanza da letto di questa tipologia, è partire con l’eliminazione del superfluo, concentrandosi subito dopo nel trovare tutto ciò che può rendere inusuale lo stile complessivo senza aggravare gli allestimenti di orpelli inutili. Questo scopo può essere raggiunto con un uso oculato del colore (ad esempio limitandolo, come si vede nella foto), fatto però con un ottica di ampio respiro, che non si limiti a guardare l’arredamento come frutto delle tendenze del momento ma che, al contrario, sia capace di individuare quei “toni” capaci di superare le “sirene” della moda. Allo stesso modo, anche l’uso di materiali particolari (come ad esempio, il legno, la pietra, il mattone, il cemento) può rivelarsi di grande aiuto. In questo caso, sta infatti nella miscellanea di questi elementi diversi (colore – materiali) a fare la differenza. Solo chi saprà infatti sapientemente amalgamare queste componenti, sarà capace di ottenere risultati soddisfacenti con lo stile “Urban”. L’eccedere in una direzione oppure in un altra può infatti creare stanze da letto sicuramente originali e inconsuete, ma prive di un filo conduttore o di una logica di fondo. Chi invece rinuncerà ad “osare”, per paura di oltrepassare il limite della “elegante semplicità” che desidera ottenere, sarà destinato a doversi accontentare di una stanza da letto, povera e insignificante, pur se colorata e originale.
La camera da letto “Soggiorno”
Chiariamoci subito: non stiamo parlando di “monolocali”, bensì di vere e proprie stanze da letto.
Come abbiamo infatti visto all’inizio del paragrafo, complice anche la recente pandemia, si è sviluppata oramai da tempo una tendenza che predilige un uso multifunzionale delle stanze da letto, soprattutto in un ottica “Living”. Questa dicitura, che evoca il “soggiornare” in un ambiente, anche se non rende bene l’idea del suo specifico significato (perché in realtà le stanze da letto sono occupate per lo più di sera e di notte), evidenzia però comunque abbastanza efficacemente l’evoluzione di questo locale, specie nella direzione di un uso diverso da quello usuale legato al semplice dormire. Anche questo tipo di stanza è dunque una camera in molti sensi “Multifunzione”, ma differisce dalla camera così già denominata in uno dei precedenti capitoli di questo articolo per la presenza di elementi prettamente tipici della zona giorno della casa, ovvero il divano, il tavolo ed il mobile porta tv. Potremmo dunque assimilare questa stanza da letto più ad una “suite” che ad una vera e propria camera. Si tratta di un ambiente notte, che può rivelarsi particolarmente adatto in quelle abitazioni in cui non è presente un vero e proprio “living” ed in tutte quelle in cui c’è la necessità di creare due ambienti separati in cui sia possibile ad esempio lavorare, leggere, rilassarsi o guardare la televisione in completo isolamento. La vita di coppia si sviluppa ormai su ritmi di vita molto faticosi a causa del lavoro, della cura dei figli e di tutte le altre situazioni che possono divenire a volte fonte di stress.
La possibilità dunque di avere un angolo proprio dove poter passare un po’ di tempo in totale autonomia, può essere una valida ragione per arredare la propria stanza da letto seguendo questi moderni criteri. La metodica da seguire per farlo è, in fin dei conti abbastanza semplice: basta aggiungere agli arredi “tradizionali” di ogni camera da letto un mobile per la televisione, un piccolo divano dove potersi rilassare o leggere ed infine uno scrittoio o un tavolo da utilizzare al bisogno come piano d’appoggio. Per poter installare un arredamento di questo tipo occorre una stanza di almeno 30 mq, ma anche chi ha la possibilità di evitare l’inserimento dell’armadio in camera, perché magari può usare un guardaroba altrove, può ottenere lo stesso obbiettivo con stanze da letto di circa 25 o addirittura 20 mq. In quel caso per poter creare un angolo “living” in una camera da letto di dimensioni normali, basterà utilizzare la parete solitamente destinata all’armadio per poggiarvi un divano (magari letto) ed un tavolo da usarsi anche come scrittoio, mentre la parte di camera su cui tradizionalmente sarebbe poggiato il comò (o il cassettone) potrà facilmente essere utilizzata per disporvi un mobile porta televisione, magari dotato comunque anch’esso di capienti cassetti.
La camera moderna con guardaroba “a vista”
Specie fra le giovani coppie, coloro che nella propria camera da letto preferirebbero una bel “guardaroba a vista”, al posto del tradizionale armadio, sono la stragrande maggioranza. Sarà per gli influssi che ci provengono dalla Tv o dagli altri Media, sarà per le numerose immagini che pervadono i Social, fatto sta che la Cabina armadio è divenuta negli ultimi tempi un vero e proprio “Must” a cui spesso si fa fatica a rinunciare. Certamente questa popolarità è dovuta in parte anche a quell’idea di “Lusso” che solo mobili di questo tipo riescono a diffondere. Del resto quale “Influencer” mostrerebbe mai i suoi tanti abiti posti all’interno di un “normalissimo” armadio ad ante? Molto meglio “esibire” la propria collezione di vestiti all’interno di un capiente guardaroba, magari grandissimo, come si conviene giustamente ai personaggi più ricchi e famosi! In effetti la dote principale che un guardaroba a vista possiede rispetto ad un armadio da camera è proprio quella di riuscire a mostrare immediatamente il proprio intero contenuto a chi desidera scegliere un abito fra i tanti che possiede, ma anche quello, indiscutibile di esibire la propria “collezione” di vestiti anche agli altri.
In camera da letto il guardaroba a vista assurge dunque al ruolo di protagonista grazie al fatto che il suo arredamento non è racchiuso in una stanza separata, ma è parte integrante della stessa. Tutto ciò comporta l’assoluta necessità di fare preventivamente alcune considerazioni sia di carattere estetico che pratico, a proposito del suo utilizzo, tali da farci prima di tutto pensare che, mettere un guardaroba “brutto” in una camera da letto così congegnata sarebbe un vero e proprio delitto di cui ci si pentirebbe molto velocemente. Il guardaroba a vista è infatti un tipo di mobile già particolare di per sé, che nascendo per essere posizionato in camera al fine di ostentarlo, deve possedere delle caratteristiche “impeccabili” di bellezza ed eleganza. Dal punto di vista pratico invece è importante essere consapevoli del fatto che, a differenza della cabina armadio “chiusa”, che vedremo nel prossimo capitolo, il guardaroba aperto necessita di una certa manutenzione per fare sì che gli abiti appesi non si riempiano di polvere più del dovuto.
La camera con cabina armadio
Chiunque di recente ha avuto la fortuna di poter costruire la propria casa o ha avuto modo di ristrutturarla demolendo delle pareti per ricostruirle magari altrove, ha preso sicuramente in considerazione l’allestimento una stanza guardaroba o di cabina armadio. Per grande o piccolo che sia, infatti, quella di creare un locale appositamente studiato per riporre gli abiti è una soluzione molto in voga che obbliga però i progettisti a definire a priori degli spazi appositi che siano capaci di contenere questo tipo di arredo. La cabina armadio è infatti a tutti gli effetti una stanza a sé stante, ma che differisce dalla “stanza guardaroba” vera e propria per il fatto di essere completamente comunicante con la camera da letto tramite un’apertura o una serie di porte, che lasciano intatta la perfetta interezza dal locale. All’interno di questa “stanza nella stanza”, vengono poi installati degli arredi particolari, fatti apposta per contenere gli abiti appesi. La particolarità di questi mobili sta nel fatto che non si tratta di normali armadi, bensì di contenitori, quasi sempre privi di ante, costituiti da degli elementi modulari disponibili in più tipologie, su cui vengono applicati i pali appendi-abiti, i ripiani e le cassettiere. L’effetto che si ottiene è un po’ simile a quello che potremo trovare negli scaffali dei negozi d’abbigliamento, con la differenza che, in questo caso, il mobile viene costruito in maniera da sfruttare tutta l’altezza disponibile.
Si tratta dunque a tutti gli effetti di un “locale di servizio” che però, specie negli ultimi tempi, ha assunto una valenza quasi iconografica a proposito degli arredi da camera da letto. Questo fenomenale recente interesse è dovuto sia al grande effetto scenografico che questi arredi riescono a offrire, sia all’idea di “lusso” che portano intrinseca al loro interno.
Tant’è vero che una delle soluzioni più diffuse per questo tipo di arredo è quella che prevede la realizzazione di una chiusura ad ante (spesso scorrevoli a vetro) che servono per dividere la camera da letto dalla cabina armadio solo quando la si vuole tenere chiusa. Quando si parla di “cabina armadio con ante scorrevoli”, si parla dunque in realtà di due elementi d’arredo contraddistinti. Il primo è rappresentato dalla sua chiusura, ovvero dalle sue porte (che possono essere una o più di una a seconda dell’apertura che si deve coprire), mentre il secondo è rappresentato dall’attrezzatura interna con cui è arredata la stanza stessa.
Le ante ad esempio attualmente più richieste per questo tipo di arredamento sono quelle in vetro, spesso preferite per il vantaggio di avere sempre ben esposto il contenuto della cabina armadio; quest’ultime possono però assumere un aspetto molto differente a seconda del tipo di “telaio” utilizzato per costruirle e del tipo di vetro. Per le camere da letto moderne si predilige principalmente il vetro trasparente ed il telaio color Brunito, non mancano però anche le realizzazioni di cabine armadio con ante in vetro sabbiato (che non mostra il contenuto) ed il telaio in metallo dorato o argentato. Le “chiusure” sono universalmente ritenute come un elemento molto importante delle stanze guardaroba. Esse infatti rappresentano una barriera per la polvere a protezione degli abiti che, è sempre bene ricordarlo, in questo tipo di mobilia rimangono “a vista” e depositati in alloggiamenti privi di ante.
Un discorso a parte lo meritano infatti gli interni delle cabine, dei guardaroba a vista e delle stanze guardaroba. Per questo genere di arredo ci sono in commercio, ormai da qualche tempo, numerose soluzioni che variano di molto, sia per il loro prezzo che per la loro conformazione. Le più semplici sono quelle realizzate costruendo in pratica degli armadi privi di ante. In questo caso è necessario prevedere uno spazio interno alla cabina profondo almeno 130 cm per fare si che la profondità del mobile (60 cm circa) non impedisca alle persone un utilizzo comodo dell’interno. Le stanze guardaroba più complesse e articolate sono al contrario quelle che prevedono l’istallazione di vere e proprie “boiserie” in legno o altri materiali su cui, una volta applicate a parete tramite delle apposite cremagliere, vengono attaccati i vari accessori come ripiani, pali appendi-abiti e cassettiere. Fra queste due tipologie di cabine armadio si pongono poi diversi altri modelli di attrezzatura che variano soprattutto a seconda dei loro supporti verticali e di conseguenza del loro costo. In questi mobili i supporti verticali possono essere costituiti da dei pali in allumino o in ferro -come avviene nei modelli più eleganti e minimali- oppure da degli stretti fianchi in legno (simili a quelli delle librerie), come avviene nei modelli più robusti e funzionali. Grazie a questo grande assortimento, è possibile arredare qualsiasi cabina o guardaroba, in camera da letto o fuori di essa, a seconda del tipo di budget che abbiamo a disposizione e del tipo di immagine che desideriamo ottenere per il nostro arredamento.
La camera da letto con Stanza Guardaroba separata
In genere di dimensioni superiori a tutti gli altri, questo tipo di guardaroba prevede la realizzazione di una stanza apposita prospicente alla camera da letto padronale. Non sempre però è necessario possedere dei locali enormi per poter poter godere di un luogo separato dove riporre i propri abiti, eliminando la presenza dell’armadio in camera: grazie a diverse tipologie di sistemi modulari si possono infatti comporre soluzioni guardaroba “su misura” che sfruttano le pareti al centimetro anche in presenza di locali di misure contenute. Possono bastare anche solo 6 o 7 metri quadrati per ottenere uno spazio per gli abiti comodo e super organizzato.
La caratteristica principale di questo tipo di “ambiente guardaroba” sta nel fatto di essere unito alla stanza da letto da un unica apertura e di essere dunque fisicamente ben separato da essa tramite una struttura in muratura o carton-gesso. Il vantaggio principale di questa netta divisione sta nella possibilità di chiudere ermeticamente la stanza guardaroba tramite una porta, in modo da preservarne il contenuto dalla polvere. Quello della polvere è infatti un problema da tenere ben presente quando, in camera da letto o fuori di essa, si decide di sostituire il proprio armadio allestendo al suo posto una stanza guardaroba, o una cabina armadio. Venendo a mancare infatti la protezione delle ante, sugli abiti posti direttamente “a vista” in una cabina armadio o in un guardaroba, tende ad accumularsi della polvere che deve essere frequentemente rimossa, a meno che non si utilizzino a protezione degli abiti delle scatole o dei sacchi appositamente studiati.
Lo sviluppo interno di una stanza guardaroba può prevedere lo sfruttamento di una sola parete, di due pareti prospicenti in modo da formare un angolo, oppure di tre lati ad “U”, questo a secondo della forma e delle misure della stanza. Le dimensioni minime necessarie per l’attrezzatura di un guardaroba da camera matrimoniale si calcolano intorno ai 3 metri di larghezza ed ai 2,60 cm di altezza (più o meno la grandezza di un armadio a sei ante) anche se, per sfruttare davvero al meglio questo tipo di arredo, la larghezza ideale varia dai 360 ai 400 cm di larghezza. Un discorso a parte lo meritano gli angoli i quali, proprio com’è negli armadi, devono essere pensati come uno spazio contenitivo solo parzialmente sfruttabile, specie se si intende utilizzargli per appendere i vestiti. Un altra importante considerazione da fare a proposito delle stanze guardaroba è quella relativa agli spazi liberi da lasciare a pavimento.
A meno che, infatti, non si possegga una casa davvero di dimensioni ragguardevoli e ci si possa permettere di costruire una stanza guardaroba molto grande, molto spesso ci si dovrà scontrare con questo tipo di problema. Considerando infatti che lo spazio minimo che è necessario lasciare di fronte al guardaroba al fine di usarlo comodamente, è di circa 70/80 cm, è d’obbligo possedere una stanza che sia profonda almeno 130/140. Si tratta di una misura che non è molto facile da ottenere quando si tenta di ricavare una stanza guardaroba in camera da letto di dimensioni “normali” ovvero intorno ai 20 mq di superficie. Quando si hanno spazi ridotti occorre dunque fare molta attenzione per non incappare nell’errore di rinunciare ad un pratico armadio, solo per la bramosia di possedere una stanza guardaroba che può rivelarsi alla fine estremamente scomoda a causa delle sue ridotte misure.
La camera da letto “Classico-moderna”
Nelle varie chiavi di lettura che l’arredo di un ambiente notte può consentire, non è raro trovare degli accostamenti che a volte esulano da quelli consueti, al fine di rendersi più attinenti ai singoli gusti personali. La camera da letto del resto, è un ambiente molto “intimo” e tutte quelle accortezze che nel suo arredamento possono portare all’obbiettivo di rendere la stanza più accogliente e confortevole, sono sempre tenuti nella massima considerazione. Parlando specificatamente di camere da letto “moderne”, vi sono infatti casi in cui un arredamento troppo minimale e tendente alla sobrietà delle proprie linee, può rendersi indigesto a chi lo deve utilizzare, oppure essere poco attinente all’ambiente “Casa” che lo deve ospitare. In una stanza da letto prettamente “classica” a livello architettonico, come quella qui fotografata in cui sono presenti stucchi, decorazioni e materiali che richiamano spiccatamente agli stilemi del passato, è possibile inserire un arredo moderno e perfettamente attuale? Certamente sì! Basta seguire alcune accortezze capaci, già da sole, di creare quella sorta di “trait d’union” che serve appunto a far comunicare epoche e stili differenti.
Per prima cosa i colori: nell’accostamento fra arredo classico e moderno non c’è nulla infatti di peggio che partire da dei toni errati, cercando di abbinarli in un vano tentativo di amalgama che non si basa su dei concetti fondamentali, bensì sulla sola disponibilità di oggetti, colori e materiali. Tonalità neutre e naturali per letti, armadi e complementi in “nuance” rendono infatti l’atmosfera di questo tipo di “zona notte” soft ed elegante, ammorbidendo i contrasti che potrebbero invece venirsi a creare con degli elementi più lavorati e “classici”, dotati di colori non attinenti al resto. Ciò non significa che non possano essere utilizzati anche colori più scuri come il marrone o il nero: l’importante in questi casi è non eccedere verso i toni accesi, come i gialli, il blu e i rossi, mentre possono essere tranquillamente utilizzati tutti i grigi e i toni più chiari del verde.
Allo stesso modo occorre far attenzione agli inserimenti che prevedo l’uso di mobili antichi. Non sempre infatti è facile accostare il pezzo “originale” ad un arredamento prettamente moderno. I mobili antichi hanno spesso la peculiarità di possedere un colore “noce” che può risultare “di troppo”, in situazioni in cui possono creare molto contrasto con il rimanente degli arredi. In questi casi è opportuno operare una scelta molto selettiva dei mobili da inserire, andando a preferire sempre quelli che, con il loro stile e le loro dimensioni, riescono a non sovrastare il resto. Un discorso a parte lo merita poi il letto. In un giusto abbinamento fra classico e moderno infatti può rientrare ad esempio l’inserimento di un letto “capitonnè” in tessuto o pelle, oppure in ferro battuto lavorato, all’interno di un arredamento al contrario prettamente moderno. In questi specifici casi l’accostamento è più facile perché agevolato da ciò che si trova in commercio. Le aziende produttrici di letti, generalmente, prevedono sempre la produzione di articoli dal design prettamente “classico”, ma fatti apposta per essere inseriti in un contesto realmente moderno.
Per ultimo una considerazione di carattere generale: la camera “classico-moderna” è un tipo di arredamento piuttosto complesso da realizzare il quale, per non cadere in errori, necessita quasi sempre dell’esperienza di un consulente d’arredo. In questi casi infatti il “fai da te” è da sconsigliarsi. Troppe sono le insidie capaci di far sbagliare gli abbinamenti o di creare confusioni stilistiche. Se si desidera arredare la propria camera da letto con questo stile è meglio sempre affidarsi a dei veri professionisti che sappiano consigliarci al meglio.
La camera da letto in “stile industriale”
Un ambiente gradevole è certamente il risultato di arredi ben accostati e di cromatismi equilibrati, ma dipende per prima cosa da un preciso punto di partenza, che è la conoscenza profonda del “contenitore” dove verranno posizionati tutti i mobili che andremo ad utilizzare. Le stanze da letto, in questo senso, si presentano di solito in maniera piuttosto usuale e quasi sempre uguale a se stessa, ciò significa che quando si ha la possibilità di affrontare ambienti in qualche modo “diversi” per dimensioni, per caratteristiche e stile, occorre essere davvero pronti a sfruttare queste opportunità al fine di creare camere veramente uniche ed originali. E’ questo il caso del tipo di ambiente notte che andremo adesso ad esaminare, il quale, per sua stessa natura, è più legato all’aspetto della stanza che lo ospita piuttosto che ai suoi arredi. In ambiente “urbano” è molto frequente incappare in ristrutturazioni che hanno lo scopo di recuperare vecchi edifici produttivi o commerciali, al fine di renderli abitativi a tutti gli effetti. In questo tipo di intervento l’allestimento di una camera da letto moderna, che sia capace di caratterizzarsi in una maniera specifica grazie alle sue peculiarità architettoniche, è da considerarsi a tutti gli effetti un grosso vantaggio.
Un fabbricato industriale trasformato ad esempio in loft, può infatti ospitare un ambiente notte estremamente moderno, che però tragga ispirazione dal suo uso originario per rendersi unico ed assolutamente originale. In questi ambienti l’allestimento di una camera da letto moderna in perfetto “Stile Industriale” è facilissima. La stanza, come abbiamo detto, dovrà in qualche modo “raccontare” la sua storia tramite alcuni particolari lasciati pressoché intatti; questi possono essere ad esempio gli infissi metallici, dei mattoni, delle putrelle a vista, un bel soffitto a travi di legno oppure un pavimento in cemento lucidato. A quel punto l’inserimento degli arredi dovrà avvenire con una attenzione massima ad abbinare lo stile dei mobili con quello dell’abitazione, utilizzando ad esempio colori scuri, particolari metallici, elementi vintage come la pelle ed il tessuto “naturale” ed una linea che abbia la capacità di richiamare in qualche modo l’unicità dell’edificio oggetto della ristrutturazione, senza scadere nel banale o nel “finto”. In questa difficile ricerca di “accostamenti perfetti” molto giocheranno anche gli accessori d’arredo, come quadri, soprammobili, complementi tessili e tappeti. Tutto ciò contribuirà a dare un’idea ben precisa del sapore “vintage” e “industrial” che si intende dare alla nostra camera da letto moderna.
La camera moderna “Romantica”
In arredamento sono presenti alcune accezioni ed alcuni oggettivi che possono assumere un diverso significato a secondo del contesto o della situazione in cui si vengono ad usare. Nel parlare di stili, ad esempio, può sembrare un vero e proprio paradosso accostare termini come “classico” o “romantico” ad un idea di arredamento moderno, ma esaminando con più attenzione l’argomento ci si potrà accorgere che quando si ha a che fare con ambienti intimi e particolari, come sono ad esempio le camere da letto, tutto questo è assolutamente lecito. L’arredo di design italiano, diventato famoso in tutto il mondo, generalmente è molto sobrio e lineare e, sia pure con certe libertà interpretative, impone una forte disciplina anche nei dettagli.
La camera da letto “moderna” predilige dunque mobili lineari strettamente funzionali, colori mai eccessivi e poco spazio alla fantasia: tutte cose che rischiano di rendere alcuni ambienti troppo freddi ed inospitali. A questo proposito, abbiamo parlato più volte di quanto può essere a volte dunque necessario caratterizzare un “ambiente notte” in modo da “elevarlo” dal minimalismo formale dell’arredamento moderno, proprio con l’obbiettivo di renderlo più personale e confortevole. A tale scopo può essere utile dare un “sapore” più particolare alla camera da letto “contaminando” direttamente i suoi arredi, tramite l’uso particolare di taluni elementi e di taluni materiali. I mobili in quel caso rimangono sempre funzionali e piuttosto rigorosi, ma alcuni dettagli si staccano dalla ferrea disciplina stilistica e si evolvono in altro. Negli ambienti notte qui fotografati, si è ad esempio utilizzato il legno massello per in qualche modo “ammorbidire” le linee rigorose di una tipologia di arredo prettamente moderno, volgendo lo stile dell’ambiente verso un’atmosfera più romantica. Il risultato ottenuto è quello di una camera da letto molto calda e intima che, proprio grazie al materiale con cui è costruita, si evidenzia e si esprime in uno stile specifico unico ed assolutamente originale. Ad ampliare la connotazione “romantica” dell’ambiente notte, può contribuire anche l’applicazione di tendaggi e l’uso di complementi tessili appositi, ma è grazie al design di alcuni elementi d’arredo importanti, come ad esempio il letto, che si possono ottenere gli effetti più scenografici. Un letto “a baldacchino”, circondato da teli leggeri o da drappeggi può davvero cambiare totalmente l’atmosfera di una stanza da letto moderna.
Non è d’obbligo una stoffa particolarmente lavorata o romantica: anche un tessuto grezzo o un telo leggerissimo possono sortire infatti un effetto straordinario. In questo caso la paleria in alto che segue l’intero perimetro del letto dà la possibilità di disporre i teli in vari modi e dona al letto il ruolo di vero protagonista. E questo senza alterare minimamente la struttura stilistica prettamente moderna dell’intera camera da letto. In alternativa a soluzioni così drastiche e importanti, che interessano il design dei mobili, risulta ottimo anche l’uso della carta da parati, magari applicata proprio sulla parete dove viene poggiata la testata del letto matrimoniale. E’ possibile però anche utilizzare a scopo decorativo una mussola drappeggiata lungo il capo-letto oppure un arazzo a parete.
Pure in questa situazione un ruolo fondamentale possono giocarlo i soprammobili e le suppellettili da appendere come quadri, foto ecc. Gli altri particolari possono essere di tipo architettonico e non riguardare dunque lo stile e la forma della mobilia, bensì solo la forma e l’estetica della stanza che la ospita. In queste stanze da letto di gusto romantico un pavimento in legno grezzo, un caminetto in stile antico ed un colore davvero particolare dato alle pareti, possono essere le cose che servono a completare la personalità di una stanza da letto, rendendola confortevole e riscaldandone l’atmosfera.
La camera da letto tecnologica
Destinata principalmente ad un pubblico “giovane”, questo tipo di camera da letto moderna si caratterizza non solo per l’uso di impianti tecnologici di ultima concezione e di apparati elettronici evolutissimi, ma anche per l’inserimento di elementi d’arredo funzionali e dallo stile molto definito. Generalmente sono quelle stanze da letto in cui è molto presente il “metallo” di colore chiaro (acciaio e alluminio, soprattutto) ed altri materiali tecnici come il vetro e il laminato. E’ bandito il legno e tutti gli altri materiali naturali che rievocano anche in minima parte ciò che è “passato” o non dunque inedito. A differenza di ciò che avviene per la Camera in “Stile industriale” ed in quella “Urban”, il ferro (nelle sue versioni colore nero e antracite) non viene utilizzato in questo tipo di arredo, proprio per le sue capacità “rievocative”. La Camera “tecnologica” può essere dunque definita per questa ragione la più “moderna” in senso assoluto. Il suo metallo è infatti solitamente cromato o satinato, il vetro lucido e brillante, con connotazioni di trasparenza o di riflettenza a seconda dell’uso che se ne intende fare. La Camera Tecnologica è semplice, comoda ma soprattutto dedita alla funzionalità: nessun orpello superfluo che non sia prettamente legato ad un uso specifico è preso minimamente in considerazione, preferendo tutti arredi schiettamente pratici nonché facili da pulire e da mantenere. In questi ambienti notte il letto, quando non è realizzato in metallo, può essere rivestito in ecopelle o tessuto tecnico di ultima generazione. Il suo stile sarà quindi lineare e minimalista, senza alcun tipo di compromesso. I complementi, semplici ed essenziali, si riducono a contenitori a cassetti dal disegno pulitissimo ed a piani di lavoro assolutamente disadorni da utilizzare quali scrittoio o da appoggio per il computer, ovviamente senza alcuna funzione decorativa. L’armadio, protagonista della stanza grazie al suo grande volume, è realizzato in questi casi quasi sempre in vetro e con le ante rigorosamente scorrevoli al fine di ridurre al massimo gli spazi inutilizzati.
Nella camera da letto “tecnologica” le luci giocano un ruolo fondamentale. L’illuminazione, completamente realizzata “al led”, viene disposta nella stanza con un rigore scientifico che ne prevede l’uso sia sotto forma di strisce luminose che di “punti luce” dislocati in diversi punti della stanza e regolabili tramite domotica. Gli altri impianti tecnologici prevedono la diffusione sonora e un posizionamento ideale della tv che, unita al computer, diventano il fulcro poli-funzionale della stanza da letto.
La Camera moderna “Black & white”
Il letto, l’armadio (o la cabina), una cassettiera, due comodini e forse qualche piano d’appoggio in più: i mobili della camera da letto sono tutti qui. Un locale da arredare “a occhi chiusi” quindi? Non proprio … e l’accurata selezione necessaria prima di effettuare ogni acquisto di arredo da “zona notte” lo dimostra ampiamente. La gamma di prodotti in commercio è così vasta che talvolta può mettere in serio imbarazzo. Ma allora su che basi operare le proprie scelte? Ad esempio individuando un “filo conduttore” che ci aiuti a definire i nostri gusti in fatto di stile. Moderno, classico, romantico, quasi ogni tipo di arredamento è ammesso in camera da letto. Ma una volta individuato il carattere che si intende dare alla nostra stanza da letto bisogna sceglierne il colore. Con la propria camera occorre sentirsi per prima cosa in sintonia: l’atmosfera, i materiali ed i toni ci devono corrispondere ed aiutare a vivere bene nella nostra stanza da letto. C’è chi preferisce utilizzare i toni accesi di un tessuto per vestire il proprio letto in maniera “eclettica” e c’è chi utilizza caldi colori pastello per tutti gli arredi. C’è chi invece di “colore” non vuol nemmeno sentir parlare e preferisce arredare il proprio ambiente notte con il bianco, con il nero, o con entrambi i colori. Quest’ultima è una scelta condivisibile, specie in talune situazioni in cui il bianco può esserci d’aiuto per dare luminosità alla stanza, mentre il nero può fornire quel “carattere” che ci può essere utile per spezzare la monotonia del bianco candido.
Questa tipologia di camere da letto possiede numerosi vantaggi fra cui i più importanti sono forse la facilità di abbinamento esistente fra le suppellettili che compongono l’allestimento di queste stanze, ed il fatto di non “passare mai di moda”. E’ dagli anni 70 che si costruiscono e vendono camere da letto moderne in “bianco e nero”, questo stile ha passato indenne la rivoluzione stilistica del minimalismo formale, il post-modernismo degli anni ottanta, il design eclettico e creativo degli anni novanta fino a superare il “Green design” ecologista del primo ventennio del nuovo secolo. Certamente fra “alti e bassi”, si è passati dai bianchi e neri “lucidi” degli anni ’70 e ’80 ai “materici” di oggi, attraversando decine di altre varianti sempre piacevoli ed interessanti. Ma il bianco ed il nero, sono sempre lì, a disposizione di chi vuole utilizzarli perché hanno mantenuto indenni il loro fascino, fino ad arrivare ai giorni nostri. Adesso, questi colori sono preferiti in camera da letto soprattutto per dare un po’ di originalità ad un arredo che in questo tipo di stanza si basa ormai su criteri molto diffusi e definiti, ma a volte anche troppo monotoni. Dopo ne parleremo…
La camera da letto moderna “Floreale”
Si fa presto a dire “notte”, due sillabe in tutto e un bel suono che scorre via veloce… ma basta parlare di “casa” e di “arredamento” che la parola “notte” si carica di significati e assume un peso rilevante che bisogna saper gestire seguendo delle regole. C’è da scegliere il letto giusto, da risolvere il problema dell’armadio (che non è mai grande quanto lo si vorrebbe), da essere razionali nel definire la forma del comò e dei comodini, ma senza dimenticare mai l’estetica. Insomma una vera e propria “giungla” da cercare di attraversare indenni per raggiungere l’obbiettivo di tutti, ovvero “la camera da letto perfetta”. Le tendenze dell’arredo che hanno caratterizzato i decenni a cavallo del cambio di millennio, sono state descritte con largo uso dei termini “rigore di linee”, “minimalismo” e funzionalità. Sono gli stessi con cui una settantina di anni fa si illustrava una nascente filosofia di progetto, ovvero il “design”. Il design “moderno” è, del resto, una derivazione diretta del cosiddetto “Funzionalismo”, ovvero la teoria enunciata da l’architetto americano Louis Sullivan, secondo cui gli edifici (e di conseguenza i loro arredi) dovevano essere modellati soprattutto in rapporto alla loro funzione; gli interni delle abitazioni dovevano essere quindi soprattutto razionali, e gli stessi progettisti ne avrebbero dovuto disegnare i mobili evitando qualsiasi superflua forma di decoro. Tutto questo, ha accompagnato l’evolversi soprattutto “accademico” del design d’interni, fino a quando qualcuno, stanco di vivere in ambienti “freddi” e poco confortevoli, ha riscoperto la “funzione” (attenzione a questo termine!) propria della “decorazione” e di qualsiasi altro processo che ha per fine solo il mero “abbellimento estetico”. L’idea di “confort”, di benessere fisico e psicologico, se a volte può essere in qualche modo coniugata con la filosofia del “sobrio”, del “rigoroso” e del “minimale”, molto spesso invece ci “cozza” e si verifica nell’essere umano quello strano fenomeno secondo il quale si vive meglio in un ambiente che ci sembra bello e che, di conseguenza “ci piace”, piuttosto che in uno che non gradiamo. Ma allora che fare? Continuare a prediligere il “funzionale” dimenticando tutto ciò che è bello però superfluo, oppure dirigere le proprie scelte verso ciò che esteticamente ci aggrada, lasciando alla praticità d’uso un ruolo secondario?
Beh, lo abbiamo visto più volte in queste pagine: il dubbio è più che lecito e la risposta più logica al quesito sta, come avviene in molti casi, probabilmente “nel mezzo”. Questo specialmente in luoghi come la camera da letto in cui, a differenza di ciò che avviene spesso in altri locali della casa come la cucina o il soggiorno, si ha più bisogno di intimità personale e di confort. Il concetto di base è più o meno lo stesso espresso a proposito della “Camera Moderna Decorativa” già trattato in questo articolo: forme pulite ed essenziali sono necessarie nelle stanze da letto al fine di dare massimo risalto alla funzione ed alla praticità; una certa sobrietà di stile è necessaria anche per far si che l’ambiente si mantenga gioviale e sempre attuale, ma un impegno massimo sui dettagli che possono essere capaci di “riscaldare” la percezione dell’ambiente senza modificarne il design di base, può essere davvero indispensabile per ottenere il confort ideale per chi abita quell’ambiente notte. Nello specifico caso della “camera moderna Floreale” la funzione “decorativa” si arricchisce di una connotazione ben precisa, quella di abbellire gli spazi con motivi prettamente figurativi che derivano dalla natura e dalle sue molteplici forme. Evoluzione moderna del “country tradizionale” tipico delle case coloniche inglesi, questo tipo di stile può rivelarsi molto efficacie per arricchire gli arredi composti da armadi lisci e rigorosi, oppure gruppi comò e comodini troppo squadrati, magari accompagnati da letti matrimoniali perfettamente lineari e minimali. L’applicazione del “decoro floreale” può essere fatta su numerose superfici di una camera da letto. La forma più diffusa in questo momento è quella che ne prevede un utilizzo come “carta da parati” da porre solitamente sulla parete dietro il letto la quale, notoriamente, è di solito quella che rimane maggiormente sguarnita. Non mancano però i copriletto ed i tendaggi che si abbinano perfettamente agli arredi moderni pur essendo pieni zeppi di felci e di fiori. Basta cercarli fra i tanti in commercio: sono solitamente produzioni molto attualizzate che cambiano di frequente, proprio per mantenersi sempre nuovi ed “alla moda”, adatti cioè agli arredi moderni.
Chi vuol rendere la propria camera moderna, più personale, divertente e colorata, con questi tipi di “textures” può dunque farlo senza grossi problemi. Il risultato ottenuto sarà ottimale specie se si riuscirà a non esagerare, soprattutto in rapporto al proprio gusto. Spesso basta davvero poco (e non a caso abbiamo parlato appunto di “dettagli”), per far si che un ambiente notte freddo, austero e razionale si trasformi in una piacevole esplosione di fiori e di colori. Si tratta comunque di un look molto sofisticato che per non scadere nel “Kitch” deve essere perfettamente calibrato all’ambiente, all’arredo ed alle caratteristiche specifiche della camera da letto a cui si intende applicarlo.
La camera da letto “materica”
Come sempre alla ricerca di qualcosa di originale ed innovativo, anche i designers del terzo millennio, proprio come facevano quelli del secolo scorso, hanno tratto ispirazione dalla “natura” per progettare forme e materiali innovativi che però richiamano alla mente qualcosa di già esistente. E’ questo il caso dei cosiddetti “materici” che altro non sono che dei “laminati” (ovvero dei pannelli rivestiti con lamina melaminica) che possono venire abbelliti tramite delle “carte decorative” che riescono a simulare diversi materiali. Sono “facciate” che grazie alla loro grande versatilità offrono grandi possibilità dal punto di vista del design. La grande novità di questi ultimi anni sta nel fatto che questi materiali possono essere adesso prodotti con “effetto 3D” ovvero riproducenti non solo l’immagine della sostanza che simulano ma anche il relativo effetto che essa produce al tatto.
Fino a poco tempo fa i materiali di questo tipo più utilizzati per la costruzione di arredi erano quasi esclusivamente quelli che simulavano il legno, nelle sue diverse essenze e nei più svariati colori. Da qualche anno a questa parte invece, si sono cominciati ad utilizzare a questo scopo anche altri laminati che hanno le sembianze ad esempio delle malte (calce o intonaco) oppure dei marmi e delle pietre. Gli effetti ottenuti sono molto adatti alla realizzazione di mobili, anche di grandi dimensioni e si prestano dunque egregiamente ad essere utilizzati anche nelle camere da letto moderne. Sono superfici le cui “textures” possono essere utilizzate praticamente ovunque. Vengono applicate alle ante dell’armadio (magari in alternanza con altri colori, proprio come nel caso fotografato), oppure alla testata del letto matrimoniale, come anche ai cassetti ed alle altre superfici dei comò e dei comodini. In genere i materici finta malta, nelle camere moderne vengono molto apprezzati anche in abbinamento al legno (materico o impiallacciato ) o al laccato, proprio per il loro aspetto originale e inusuale.
Chiunque dunque voglia, per la propria camera da letto moderna, un arredamento che sia innovativo ed particolare anche nei materiali, oltre che nei colori, può dunque utilizzare tranquillamente i laminati materici: il loro costo è infatti solitamente abbastanza più basso di altri materiali tradizionali (come il vero legno o il laccato), mentre la loro resistenza ad urti e graffi è addirittura maggiore di quest’ultimi.
La camera da letto moderna in “vero legno”
Noce, ciliegio, faggio, acero, rovere, frassino, abete: ecco le essenze più adatte per arredare una camera da letto moderna. Il suo design, specie se raffinato ed originale, saprà di certo sfruttare l’eclettismo e la versatilità innata di questo materiale fatto apposta per chi ama le atmosfere dalle tonalità calde e chi vuole mobili che durano nel tempo. Quelli in vero legno sono i mobili preferiti da chi ama l’arredo tradizionale e di pregio. Le essenze più apprezzate sono infatti spesso anche le più preziose e costose. Il Noce Nazionale, il Ciliegio e il Rovere naturale sono destinati a chi ama i toni caldi della casa classica e borghese. L’Acero, l’Abete, il Frassino ed il Faggio sono invece preferiti da chi vuole colori chiari e possiede un gusto più “nordico” e minimalista. In mezzo a questi legni “tradizionali”, utilizzati ormai da centinaia di anni per la realizzazione di mobili, vi sono decine e decine di altre essenze, come il Wengè, il rovere sbiancato o il Teak che sono invece adatti a chi è molto attento alle proposte più di tendenza al momento. In qualsiasi essenza lo si prenda in considerazione il legno è però sempre e comunque considerato il materiale più capace di dare ad ogni arredo quel tocco in più di preziosità ed eleganza che tutti desiderano, specie in ambienti intimi e personali come sono appunto le camere da letto.
Per utilizzare il vero legno per le grandi superfici lisce dei mobili da ambiente notte è quasi sempre necessario utilizzarne la versione impiallacciata. In questo caso i pannelli semi lavorato che si impiegano per la costruzione dei mobili, sono realizzati in listellare, truciolare o MDF, vengono rivestiti da un sottile strato di legno (variabile dagli 0,5 ai 3 mm di spessore) , in modo che rimanga nel tempo inalterata la loro forma ed evitando così imbarcamenti e piegature. Le forme leggermente ricurve o sagomate sono realizzate in “Compensato”, ovvero legno multistrato che viene curvato. In questo caso il pannello è costruito da più strati di legno incollati, sagomati o curvati sotto l’azione del calore.
In alcuni specifici casi, come abbiamo visto anche precedentemente, per la fabbricazione delle camere da letto moderne può essere utilizzato il legno massello. Con esso vengono solitamente costruite le strutture portanti, a volte le maniglie di armadi e gruppi comò comodini, le cornici, i piedini di alcuni mobili e talune parti del letto, ma ci sono aziende, diverse per dimensioni e tipologia, che costruiscono arredi per la zona notte prodotti interamente (o quasi) in massello. In questo caso si tratta di produzioni che potremo definire “di nicchia”, le quali si caratterizzano per un design che ricorda un po’ quello “Montano”, ma che possiede in realtà un ottimo contenuto stilistico. Fino a pochi anni fa i mobili moderni in legno massello erano prerogativa di alcuni paesi del Nord Europa, come la Germania e la Svezia, in cui questo materiale veniva e viene apprezzato soprattutto per la sua solidità e la sua impareggiabile qualità. Con l’andare del tempo la sua diffusione è andata però espandendosi in tutta Europa anche grazie alle valenza “ecologica” che questo materiale è arrivato ad assumere.
Ritenere il legno massello un materiale ecologico può sembrare a prima vista di per se un paradosso, in realtà non è così: Possedere una camera moderna in massello infatti significa oggi possedere un prodotto nato con legname appositamente coltivato che viene lavorato con sistemi molto simili a quelli utilizzati nella costruzione di mobili già millenni fa e che, oltretutto, per il suo normale utilizzo non richiede trattamenti o lavorazioni particolarmente aggressivi per l’ambiente. Tutti questi materiali “naturali” infatti, per poter essere utilizzati nelle camere da letto moderne, come in qualsiasi altro mobile, devono subire trattamenti che siano capaci di irrobustire le loro strutture e di rendere più impermeabili le loro superfici. Si tratta per lo più di vernici e collanti che, se prodotti in maniera ecologica come richiedono le normative più stringenti, garantiscono il fatto di non essere nocivi, ne per le persone che ne vengono a contatto, ne per l’ecosistema terrestre.
Come in tutte le cose però, c’è anche da considerare un “rovescio della medaglia”: che sia massello o impiallacciato, il vero legno infatti, proprio per tutte le sue ottime caratteristiche fin qui descritte, possiede un costo molto alto che è di solito nettamente superiore a quello di qualsiasi altra tipologia di materiale usato per la costruzione di mobili. Si tratta inoltre di un materiale completamente naturale, dunque “non tecnologico” che permette di essere utilizzato per superfici non molto ampie e per tutti quegli elementi strutturali che non sono soggetti a imbarcarsi come le grandi ante di un armadio. Per poterlo usare in questi casi, sono quindi necessari delle lavorazioni e degli spessori particolari che aumentano ulteriormente il costo dei manufatti.
Oltre a questo, il legno rimane un materiale abbastanza delicato che, pur subendo verniciature apposite, resiste poco ad urti e graffi. Nelle camere da letto moderne piccoli incidenti di questo tipo possono verificarsi, perché pur essendo questa una stanza utilizzata soprattutto per dormire, ci sono parti dei mobili come le testate dei letti, i piedini, gli zoccoletti che poggiano in terra ed i piani d’appoggio, che possono venir facilmente rovinati da un uso troppo frequente o improprio. Il legno è quindi da considerarsi un materiale estremamente prezioso che va usato e trattato con molta cura, in modo che mantenga inalterato nel tempo il suo insuperabile aspetto.
La camera da letto moderna “per il relax”
Progettare una buona camera da letto moderna significa soprattutto immaginarvi un buon sonno, ma anche prevedere per essa tutti quegli usi che un tempo erano ad appannaggio esclusivo di altre stanze. Le case nuove, ormai, sono molto più piccole di quelle del passato e questo ha richiesto un ripensamento funzionale di ogni stanza, anche in relazione alle ore in cui, quotidianamente, vi si è soliti soggiornarvi.
Immaginiamo una casa di 50 o 70 mq, con un soggiorno abbastanza esteso, una bella cucina ed una grande camera da letto, in cui occorre progettare un luogo dove rilassarsi e riposare. Quale luogo può essere migliore della camera da letto che già per sua stessa natura possiede quei requisiti minimi necessari per effettuarvi un buon riposo? La camera per il “relax” è questa: una stanza che a prima vista può dunque sembrare facile da realizzare, ma che in realtà necessita il superamento di numerose difficoltà.
Partiamo dal letto matrimoniale: In una camera “normale” il letto è studiato e fatto principalmente per dormirci; Nella camera “relax” invece esso è congegnato per dormirci, per risposarci sopra, per rilassarsi guardando la Tv, leggendo un libro o seguendo i social sul proprio telefonino. Questa tipologia di utilizzazione prevede dunque la presenza di una testata del letto che abbia un altezza sufficiente per starvi comodamente appoggiati e che possegga un confort tale da poter essere in tutto e per tutto paragonata allo schienale di una divano.
Un discorso a parte lo merita il materasso e la rete i quali, in questo tipo di camera da letto moderna chiamata non a caso “Relax”, assumono un importanza addirittura maggiore che in altre. Secondo i più recenti studi infatti, mal di schiena, sciatalgie ed insonnia sono in gran parte imputabili a letti mal progettati o di scarsa qualità costruttiva. La più diffusa filosofia che tratta e disciplina le regole del benessere, ovvero il Feng Shui, ad esempio, ritiene che un buon riposo sia garantito solo da un letto con struttura in legno massiccio, trattato a cera o vernici naturali e realizzato con semplici incastri a secco, senza l’uso di alcun collante, giunti o parti metalliche. Il letto “imbottito” in questo caso è ammesso, purché possegga comunque le caratteristiche descritte.
Che si voglia comunque seguire alla lettera queste filosofie orientali o meno, nella camera moderna “Relax”, il letto deve fornire al corpo un supporto che sia rigido ma anche abbastanza flessibile da accompagnare i movimenti durante il sonno; va collocato possibilmente lontano da campi elettromagnetici e posizionato orientando la testata a nord, parallelamente alla finestra e con quest’ultima rivolta ad est, in modo da seguire i ritmi naturali del sole. A parte il letto, la stanza “relax” non necessita di molti altri mobili, in quanto al posto dei grandi armadi e delle cassettiere (collocati altrove in appositi guardaroba) saranno da disporre nella camera da letto, gli altri strumenti tipici del “benessere” come la vasca idromassaggio, il box doccia con sauna incorporata e la chaise-lounge da utilizzarsi per il riposo dei brevi periodi. Anche in questo tipo di stanza la luce gioca un ruolo fondamentale. Quella naturale deve essere fruibile per la maggior parte possibile delle 24 ore, mentre quella artificiale deve essere egregiamente distribuita, il più possibile simile alla luce naturale e assolutamente priva di emissioni nocive.
La camera moderna con armadio ad angolo
Profondamente diversa da tutte le altre trattate in questo articolo, questa tipologia di camera da letto moderna utilizza la parete della stanza dove viene solitamente posizionato il comò o la cassettiera, per ampliare la lunghezza dell’armadio guardaroba. Quest’ultimo viene dunque ad occupare due pareti prospicenti formando appunto un “angolo” che può assumere numerose forme. Si tratta di scelte spesso dettate dall’esigenze di spazio, che sono diventate così diffuse e popolari da rendere spesso necessario uno sfruttamento ottimale degli ambienti, sia a livello dimensionale che estetico. Per quanto riguarda le misure, la moderna produzione esistente in commercio per gli armadi guardaroba, consente praticamente di realizzare mobili angolari “al centimetro, i quali prevedono oltretutto diverse maniere per sfruttare l’angolo, sia in larghezza che in altezza.
In ugual misura, anche dal punto di vista dell’estetica, si è raggiunto un’ottima varietà di modelli che offrono la possibilità di creare camere da letto moderne molto eleganti e belle, nonostante la presenza di un mobile imponente come può risultare un armadio angolare. Una delle versioni attualmente più in voga è quella che prevede addirittura lo sfruttamento dell’angolo tramite un ampio mobile di forma trapezoidale chiamato in gergo “angolo spogliatoio”. Esso è costruito ponendo di fronte all’angolo dell’armadio una serie di due o più ante poste in tralice (solitamente apribili “a soffietto”, in maniera da creare un volume interno chiuso, molto simile ad una stanza a se stante. In questo vano, pur essendovi racchiuse le attrezzature interne, si può in teoria entrare per poter cambiare abito. Adatto ovviamente solo alle camere da letto più grandi e meglio disposte, questo modello di armadio angolare si presta in particolar modo anche a quelle stanze “guardaroba” in cui, anziché inserire una scaffalatura senza ante come si fa di solito in questi casi, si preferisce inserire un vero e proprio armadio chiuso.
Per sfruttare al massimo le capacità di contenimento di queste camere da letto moderne, ogni spazio va progettato con attenzione prima dell’acquisto. La profondità, che negli armadi è fissa a circa 60/65 cm, nel caso delle composizioni angolari può creare qualche problema di ingombro specie in prossimità di porte e finestre. A tale scopo sono stati inventati dei moduli detti “terminali” che alleggeriscono la pesantezza dell’armadio dovuta alla sua profondità, assottigliandolo proprio quando si viene a trovare vicino a delle aperture. La larghezza di questi armadi si sviluppa invece con una modularità che varia in diverse misure di ante, che vanno da un minimo di 30 ad un massimo di 60 cm. Ciò consente di coprire in pratica qualsiasi misura anche se, ovviamente, sono sempre da preferirsi quelle composizioni che prevedono una misura di anta simile per l’intera larghezza dell’armadio.
Per ciò che concerne l’altezza, le camere da letto moderne prevedono di solito un’altezza massima di armadio di circa 260 cm, fatto apposta per le stanze alte 270 cm. Non sono però rari i casi in cui, grazie a pareti di dimensioni maggiori è possibile costruire anche armadi ben più alti. L’altezza sfruttabile è un altro di quegli aspetti che è da tenere nella massima considerazione in queste tipologie di camere “angolari”: tenendo infatti presente che abiti, camicie, giacche e giubbotti, occupano di solito un’altezza di almeno 130 cm, mentre le gonne ed pantaloni ne occupano circa un metro, poter contare su di un armadio più alto del normale può risultare in qualche situazione particolarmente utile, anche se si ha la possibilità di sfruttare un’ampia larghezza.
Chi vuole utilizzare due pareti della propria camera da letto con una grande armadio angolare dovrà poi fare i conti con la mancanza del comò o comunque della cassettiera che sarebbe stata posizionata probabilmente su una di quelle due pareti. Questa carenza deve essere considerata quando si prevede l’attrezzatura interna dell’armadio. In questo caso infatti una parte di esso dovrà essere attrezzata con dei cassetti o con un numero di ripiani superiore al normale. Solitamente si calcola che per la biancheria di una coppia siano necessari almeno 6 cassetti larghi circa un metro (proprio la misura relativa ad un modulo armadio a due ante) ed alti 20 cm ciascuno. Bisogna però pensare che l’uso dei cassetti dipende molto dalle abitudini. Chi è ad esempio abituato a riporre nei cassetti anche le maglie, le magliette o le camicie avrà infatti bisogno di un numero certamente più alto di cassetti oppure di ripiani estraibili. Chi è invece abituato ad appendere la maggior parte dei propri abiti, avrà probabilmente bisogno di meno superfici orizzontali interne al proprio armadio.
La camera da letto moderna: misure e ingombri
Come abbiamo visto, contrariamente a quanto succede per la maggior parte delle stanze di cui è composta una casa, nella camera da letto la scelta del tipo di mobili (e in particolare del tipo di letto e del tipo di armadio) è sempre molto condizionante rispetto all’impostazione generale della stanza. E’ per questo motivo che abbiamo voluto esaminare le varie possibilità esistenti per un tipo specifico di camera da letto, ovvero quello in stile moderno. Oltre alle forme però, in arredamento è altrettanto importante conoscere anche le caratteristiche tecniche dei mobili che si possono utilizzare e le loro misure.
Il tradizionale letto matrimoniale, per esempio, occupa all’incirca uno spazio di 180 x 210 cm, ma il suo ingombro aumenta decisamente se la sua testata risulta essere in qualche modo attrezzata oppure particolarmente inclinata verso la parete. Questo per ciò che concerne le dimensioni orizzontali che non sono variate molto nel tempo; quelle verticali sono invece profondamente mutate rispetto alla tradizione: un tempo i letti erano relativamente alti, alcuni addirittura molto alti rispetto al pavimento, tanto da rendere difficoltoso il loro stesso utilizzo. Oggi, invece, l’altezza media da terra del letto si è standardizzata intorno ai 40/45 cm. Si tratta, più che di un cambiamento funzionale, di una variazione estetica: rimpicciolendosi gradatamente le dimensioni delle camere dove veniva posto il letto, la sua presenza risultava sempre più massiccia e ingombrante, a volte perfino imbarazzante. E’ venuto dunque quasi spontaneo abbassare il livello del mobile -così da rendere meno incombente la sua presenza- e si è rapidamente arrivati alla situazione odierna, caratterizzata da un letto matrimoniale alto da terra più o meno quanto il suo materasso e per questo visivamente poco evidente. Tale modifica estetica, tipica delle camere da letto moderne, ha portato come conseguenza un altro cambiamento funzionale che ha visto modificarsi l’altezza, prima dei comodini e poi del comò ad essi abbinati. Tutto ciò non è invece accaduto per l’armadio il quale, sia per la riduzioni del contenimento di altri mobili come comò, comodini e cassapanche, sia per l’accrescimento delle esigenze di contenimento dovuto al maggior benessere economico, ha visto aumentare le proprie dimensioni soprattutto in altezza.
Oggi la camera da letto viene dunque progettata come l’insieme di due zone ben definite e dalle caratteristiche visive opposte: una zona a “piattaforma”, sviluppata in orizzontale e formata da letto, comò e comodini, ed una verticale costituita dal blocco armadi. Come abbiamo visto nei precedenti articoli, siccome la qualità della composizione della camera dipende essenzialmente dalla combinazione con cui saremo in grado di articolare queste due zone, può capitare di dover prevedere di spostare le armadiature fuori dalla camera o di disporle in maniera originale ed inusuale tramite, stanze guardaroba, cabine armadio, angoli spogliatoi ecc.. Ciò consente infatti una disposizione molto più agevole, gradevole ed omogenea dei mobili, che vengono in tal modo limitati alla sola zona “orizzontale della camera. Un design particolarmente apprezzato specie per ciò che concerne le camere da letto moderne.
In ogni caso, qualsiasi disposizione si intenda operare, in essa si dovrà tener conto delle dimensioni non solo del letto, ma anche degli altri componenti della stanza e, naturalmente, dei loro spazi d’uso. Intorno al letto occorre lasciare un vuoto di almeno 60 cm sui tre lati che deve servire all’accesso ed al suo rifacimento. Meglio ancora sarebbe avere uno spazio di un metro circa per rendere più vivibile l’ambiente, ma come abbiamo visto in queste pagine ciò non è sempre possibile a causa delle dimensione medie delle stanze da letto. Le teste di questo spazio potranno essere comunque occupate dai comodini che in media misurano dai 50 ai 60 cm di larghezza. I comò moderni, hanno il vantaggio di essere disponibili in diverse misure e se non si possiede quindi una parete capace di contenere una cassettiera che normalmente è larga intorno ai 120/130 cm, potremo comunque contare sui vari “settimanali” che esistono in commercio in tantissime misure. Gli armadi, se presenti in stanza, richiedono una profondità di circa 60 cm, cui vanno aggiunti almeno altri 60/70 cm per permetterne l’accesso e l’apertura delle ante. Quanto alla larghezza ogni elemento di un moderno armadio componibile si aggira intorno ai 45/50 cm, anche se, come abbiamo visto, non sono rari i casi in cui questo tipo di multiplo raggiunge i 60 cm.
Quello che è necessario comunque sapere è che, in qualsiasi modo si sia bravi a disporre la nostra camera da letto moderna, sarà praticamente inevitabile avere degli angoli morti, delle zone (soprattutto a parete) mal risolte o che ci parranno poco sfruttate. Infatti la forma molto particolare dei mobili in gioco e la rigidezza del loro “ingombro funzionale” lasceranno sempre delle parti di stanza vuote che sarà obbligatorio valutare nel loro complesso. Una camera da letto necessita infatti sempre di spazi che devono essere per forza lasciati liberi se non si vuole che la nostra stanza diventi un insieme di mobilia sconclusionato.
Con questo nostro articolo abbiamo visto ed esaminato quante varianti e possibilità consentono le camere da letto moderne e quanto può essere difficile arredare un ambiente come questo, apparentemente semplice, ma in verità pieno di insidie. Ciò è servito a dare almeno una “base di partenza” a chi si troverà a dover arredare il proprio ambiente notte. L’apporto basilare di un valido professionista come quelli presenti nei negozi La Casa Moderna, può essere comunque necessario, per far si che il consiglio di un esperto possa rendere ogni camera da letto, una stanza davvero speciale.
Conclusioni
Speriamo che la nostra guida su come scegliere un letto imbottito ti abbia fornito le informazioni necessarie per prendere una decisione consapevole e soddisfacente. Presso Griva Arredamenti, siamo pronti ad aiutarti a realizzare arredamento su misura.
Ti invitiamo a visitare i nostri showroom di Pinerolo e Torino, dove potrai scoprire di persona la qualità e l’eleganza dei nostri mobili. Potrai toccare con mano i materiali, valutare le soluzioni di spazio e ottenere consigli personalizzati dai nostri esperti.
Se hai domande o desideri ulteriori informazioni, non esitare a contattarci. Saremo felici di fornirti tutte le risposte di cui hai bisogno dai nostri esperti interior designer.
Quando si vuole migliorare le condizioni di utilizzo della propria cucina, una delle cose più intelligenti da fare è pensare ad un’organizzazione ottimale della zona intorno al lavello. Stiamo parlando di un elemento essenziale dell’arredo da cucina che è rimasto più o meno invariato per diversi decenni e che è però al giorno d’oggi possibile scegliere tra un ampio assortimento, sia per la parte superiore (quella del lavello vero e proprio, per intendersi) sia per quella inferiore, detta “sotto-lavello”.
Partendo dal concetto incontrovertibile che prima di ogni acquisto bisogna valutare bene le proprie necessità per fare in modo che la scelta si dimostri valida nel tempo, cominciamo ad analizzare dunque questo “punto funzionale” così importante per la nostra cucina, esaminando proprio il “lavello” stesso, cioè precisamente dall’oggetto predisposto in questo luogo al lavaggio delle stoviglie e degli alimenti.
Generalmente un lavello è composto da uno o due avvallamenti, dotati di scarico, detti “pozzetti” o più comunemente “vasche”, i quali sono solitamente abbinati ad un rubinetto ed ad un piano di appoggio detto “Gocciolatoio”. La larghezza di una vasca rettangolare da cucina è di circa 40 cm, mentre la profondità ottimale varia dai 17 ai 19 cm. La vasca di un lavello è il suo componente fondamentale, dal quale non è possibile prescindere essendo l’unico luogo funzionale ove è possibile lavare oggetti ed alimenti evitando di bagnare il resto della stanza e degli arredi. Sopra alla vasca è infatti posizionato sempre il rubinetto, ciò determina che le sue dimensioni siano obbligatoriamente tali da permettere il contenimento degli oggetti e dell’acqua che è necessaria per il lavaggio.
Per quanto riguarda l’altezza da terra, nei modelli da incasso corrisponde più o meno a quella dei piani di lavoro (80-90 cm), ma ci sono casi in cui il lavello viene in qualche modo rialzato di 10 o anche 15 cm, in modo da facilitarne l’uso, specie per le persone più alte. In ogni caso infatti, la posizione del lavello dovrebbe permettere a chi lavora di raggiungere il fondo del pozzetto chinandosi il meno possibile in modo da non sforzare troppo la schiena.
Lavello da appoggio, da incasso, a “filo top” e da sotto-piano. Cosa significano queste diciture?
Come abbiamo visto più volte il design dei lavelli da cucina si è andato via via evolvendo, con l’evolversi degli arredi componibili nati per arredare questa stanza così importante della nostra casa.
Inizialmente infatti i lavelli esistevano soltanto nella versione “ad appoggio”, essi cioè venivano collocati sopra il mobile del sotto-lavello, come fossero una sorta di coperchio. In questo caso la cucina componibile non veniva infatti concepita con la connotazione attuale di “mobile unico”, tenuto insieme da un elemento comune chiamato Top o piano di lavoro; essa era pensata piuttosto come la somma di componenti separati, dotati dotati ognuno di un suo piano e rifiniti dai lati, che una volta accostati gli uni agli altri davano alla cucina componibile la forma e la misura che si desiderava dargli. Il fatto però che questi elementi separati, specie nella zona del lavello, creassero delle problematiche di infiltrazione a causa dell’acqua che poteva in qualche modo penetrare fra mobile e mobile danneggiandone la struttura, ha fatto sì che si ricercassero soluzioni capaci di evitare questo inconveniente. E’ stato a quel punto che si è cominciato a pensare all’utilizzo di “piani di lavoro unici” (i cosiddetti “Top”, appunto) -quasi privi di giunture- in cui gli accessori come il piano di cottura ed il lavello potessero venir “incassati” (da cui la dicitura “lavello da incasso”) senza interrompere la continuità della loro superficie di lavoro. In questo caso infatti il Top non viene tagliato per permettere l’inserimento degli accessori, ma viene bensì opportunamente “forato” in modo da potervi applicare saldamente il lavello ed il piano di cottura.
Ciò permette ovviamente di ridurre davvero al minimo l’incidenza delle infiltrazioni e consente di ottenere un effetto estetico eccellente. Il passaggio successivo è stato quello di dare a questo tipo di inserimento una sembianza che risultasse sempre migliore e a questo scopo è nata l’idea di incassare i lavelli “a filo top” e “sotto-piano”. Sono tipologie di inserimento che sono possibili sono su alcuni materiali come il marmo, il quarzo, l’HPL ed il granito, cioè i tutti quei modelli di piano in cui il foro di incasso non può diventare veicolo di infiltrazione come può invece avvenire nel normale “Laminato”. Nel primo caso si tratta di lavelli caratterizzati da un bordo superiore talmente sottile da poter essere incassati nei top in maniera da non sporgere dalla loro superficie. Per ottenere questo effetto il top, dopo essere stato forato, viene profilato in maniera da ottenere un alloggiamento perimetrale di qualche millimetro in cui possa trovar posto il sottilissimo bordo del lavello, il quale, per ovvi motivi, può essere realizzato in questo specifico caso solo in un materiale come l’acciaio inox. Nel secondo caso invece il foro da incasso, praticato nel piano in maniera tradizionale a seconda delle dimensioni del lavello da alloggiare, viene levigato e rifinito in maniera da poterlo rendere bello esteticamente ed impermeabile; dopo di che sotto di esso viene avvitato ed incollato il vero e proprio lavello che a quel punto non sarà più visibile sulla superficie del top, bensì solo all’interno del suo foro di incasso. Questa metodologia di inserimento permette l’utilizzo di lavelli realizzati in numerosi materie e forme diverse, su cui andremo da qui in avanti ad approfondire.
Lo faremo iniziando a esaminare le tipologie di lavello che possono trovarsi in commercio, suddividendole per prima cosa a seconda dei materiali con cui sono realizzati e successivamente a seconda della loro forma.
Il lavello in acciaio
Ci sembra assolutamente opportuno partire in questa rassegna da quello che è di gran lunga il materiale più utilizzato per la produzione di lavelli da cucina, ovvero l’acciaio inox. Il suo utilizzo massiccio per questo scopo è relativamente recente e risale più o meno agli inizi degli anni settanta. Prima di allora, i lavelli per le cucine cosiddette “componibili”, erano quasi sempre realizzati in ceramica e prima ancora dell’avvento dei “componibili”, erano per lo più fatti in “graniglia”, marmo, pietra o granito. Tutti materiali a cui accenneremo comunque successivamente.
Il motivo della diffusione massiccia del lavello in acciaio è sicuramente derivato dalla sua grandissima resistenza e dalla sua funzionalità. Un lavello Inox (dal francese Inoxidable, ovvero, inossidabile) infatti (a differenza di quello ad esempio in ceramica), non si rompe quando viene urtato e anche se si può certamente ammaccare o graffiare, qualsiasi tipo di danno esso possa subire non ne pregiudica praticamente mai l’uso e l’igiene. Tutto ciò deve essere apparso di grande utilità alle massaie dei primi anni ’70, principalmente perché un lavello da cucina, per essere considerato “buono” deve essere senza dubbio molto resistente, ma deve anche possedere quelle doti di facile pulizia e di ineccepibile igiene capaci di renderlo un prodotto adatto ad essere utilizzato per il lavaggio di contenitori per cibi.
L’acciaio inox è infatti universalmente considerato fra i materiali più salubri in assoluto, per la facilità di pulizia che consente e per la estrema semplicità con cui è possibile renderlo asettico senza correre il rischio di danneggiarlo. Tant’è vero che esso è il materiale “per eccellenza” con cui si realizzano le cucine “professionali” di ristoranti e bar, grazie appunto alla sua impareggiabile resistenza alla ossidazione e alla corrosione, anche in caso di utilizzo di sostanze molto aggressive quali possono appunto essere i disinfettanti. Questa sua capacità è dovuta principalmente alla presenza del Cromo nella lega di cui è composto; quest’ultimo permette infatti all’acciaio inox di ricoprirsi di uno strato sottile e aderente di ossido, praticamente invisibile, che riesce a proteggere superficialmente il metallo sottostante dall’azione dell’ossigeno e delle altre sostanze capaci di danneggiarlo ossidandolo. Tutto ciò rende questo materiale incredibilmente bello e gradevole alla vista, ma è anche il motivo del suo unico reale svantaggio: quello della difficoltà che si trova a mantenerlo brillante e lucente. Tutti lo sanno: un lavello in acciaio, dopo il suo uso, necessita infatti di essere asciugato con un panno perché non vi appaiano sopra quei leggeri aloni provocati dal calcare e dai detersivi, così odiati da chi vuole che la propria cucina sia perfettamente pulita.
Questo in realtà non può essere considerato un difetto poiché è soltanto la conseguenza della patina che si produce sul materiale e che funge su di esso da protezione, ma è comunque un fattore che deve essere tenuto in considerazione durante la scelta. A differenza di ciò che avviene infatti per altri oggetti prodotti in acciaio inox nelle cucine componibili -come cappe, frigoriferi e forni- la superficie di un lavello non può essere trattata in modo da ridurne le impronte che vi possono rimanere impresse , in quanto nessun tipo di trattamento “anti-impronta” sarebbe compatibile con lo sfregamento che si produce di continuo sulla superficie di un lavello durante i normali lavaggi. Allo scopo di ridurre comunque i piccoli danni che possono derivare dal suo uso quotidiano, è stato inventato un tipo di processo capace di rendere la superficie del lavello inox leggermente zigrinata, in modo da resistere maggiormente ai piccoli graffi. Questo tipo di lavorazione viene comunemente detta “finitura Dekor”.
Grazie alla sua diffusione, il lavello inox è quello di cui, sicuramente, è possibile trovare più versioni. Da una a tre vasche, con o senza sgocciolatoio, provvisto di tagliere o meno, in numerosissime misure disponibili: esso è sicuramente il tipo di lavello che permette la maggiore scelta, anche per quanto riguarda la sua possibilità di inserimento. Il suo sottile spessore infatti permette di posizionarlo sia nella normale posizione “ad incasso” (quella cioè in cui il suo bordo copre completamente il foro del piano di lavoro), sia in quelle da “sotto-incasso”, nonché a “filo top”, che più avanti vedremo.
Il lavello in acciaio in “Resina Sintetica” o materiale “Composto”
Negli anni ottanta, dopo la grandissima diffusione dell’acciaio inox, divenuto in poco tempo l’unico materiale con cui in pratica venivano realizzati i lavelli dopo gli anni 60, si vide l’affermarsi sul mercato di una nuova tipologia di materiale di natura “sintetica” derivato dalla miscelazione di alcuni tipi di plastiche con materiali inerti. Si tratta di quelli che oggi vengono chiamati lavelli in Fragranite, Asterite, Metalquartz, Silgranit, Metaltek, Granitek ecc. ecc. a seconda della azienda produttrice e della miscelazione con cui vengono formati. La loro realizzazione avviene infatti con dei procedimenti industriali tramite i quali si “formano”, in degli appositi stampi, le più svariate forme di lavello, utilizzando a tale scopo una miscela fra materia plastica e, appunto, del materiale “inerte”, quale può essere polvere di marmo e granito (da cui derivano i vari nomi commerciali Fragranite, Telmagranit ecc.) oppure ceramica o polvere metallica. Indipendentemente dal prodotto specifico, l’aggiunta di questi materiali “inerti” serve essenzialmente a rafforzare il materiale in modo da rendere il manufatto solido ed indeformabile e aumentare la sua resistenza all’uso.
A parte però l’indiscutibile tenacia, dal punto di vista pratico il grande successo della Resina Sintetica in questo specifico campo è dovuto soprattutto alla facilità di manutenzione che questo tipo di materia consente. A differenza dell’acciaio infatti, la pulizia della resina non causa aloni e ciò consente di asciugare e detergere il lavello più velocemente e con minor fatica. Tutto ciò rende sopportabile anche la minore resistenza al calore che questo tipo di lavello possiede a confronto con tutti gli altri materiali presenti sul mercato. Un lavello in Resina è infatti per sua stessa natura più suscettibile agli effetti del calore, il quale in taluni casi, quando è superiore ai cento gradi di una normale acqua bollente, è capace alla lunga di far sbiadire i lavelli in resina nei colori più scuri e di far ingiallire quelli più chiari. Un’altro fattore aggressivo per questi tipi di lavelli sono alcuni agenti chimici come i solventi o le sostanze più aggressive come la candeggina o gli acidi forti. Quando si utilizza questi prodotti è dunque opportuno non farlo dentro ad un lavello in resina, onde evitare cambi di colore o aloni.
A parte questi piccoli inconvenienti, fra i tanti fattori che invece hanno determinato il recente successo di questi lavelli vi è senza dubbio il loro aspetto estetico. La superficie di questi materiali si presenta infatti molto piacevole al tatto e alla vista e la facilità con cui avviene la loro miscelazione permette di realizzare i relativi lavelli con tutti i colori più di tendenza, in modo da abbinarli perfettamente agli arredi moderni. A causa di questa loro grande versatilità, all’inizio della loro diffusione questi lavelli presentavano il problema del loro possibile abbinamento con il colore del piano di cottura, tant’è vero che le aziende produttrici di elettrodomestici (spesso le stesse che producono anche i lavelli) si sono ben presto preoccupate di realizzare dei modelli di piani di cottura smaltati in modo da avere dei colori capaci di abbinarsi a quelli dei lavelli in resina. Oggi giorno questa esigenza è diminuita grazie all’ampia diffusione dei piani di cottura in vetro ed a quelli ad induzione i quali, essendo realizzati in un materiale (il vetro, appunto) che non necessita di essere coordinato al resto, permettono l’inserimento nelle stesse cucine di lavelli dedicati più simili alla superficie dei piani di lavoro in cui essi vengono inseriti, piuttosto che al piano di cottura. A questo scopo, sono molte infatti le aziende produttrici di lavelli in Composito ad essersi preoccupate di produrre dei lavelli realizzati con gli stessi identici colori dei piani di lavoro dei materiali più in voga come il quarzo e il Gres Porcellanato.
Il Lavello in Ceramica
I primissimi lavelli che furono adottati per essere alloggiati nelle cucine componibili di “nuova generazione”, a cavallo fra gli anni ’50 e ’60, furono realizzati quasi esclusivamente in Ceramica. Essi venivano, non a caso, prodotti da quelle stesse aziende che si occupavano fin dal secolo precedente della realizzazione dei cosiddetti “sanitari” da bagno (cioè vaso, bidet e lavabo), le quali fecero in fretta a realizzare degli stampi che si adattassero alle misure dettate dai produttori di cucine. Si trattava principalmente di lavelli dotati di due vasche e di un piccolo piano rigato, detto “gocciolatoio” che serviva a rendere più facile la vita delle massaie mentre erano intente al lavaggio delle stoviglie. La loro forma era originariamente abbastanza diversa da quella con cui sono realizzati i lavelli attuali e riprendeva in buona sostanza quella con cui erano fatti i lavelli più antichi, in marmo o pietra, i quali si presentavano come un unico blocco levigato di forma rettangolare entro cui venivano ricavate le vasche (una o due a seconda dei casi), anche dette per questo motivo “buche”.
Le loro sembianze erano simili in tutto il mondo occidentale e si diffusero infatti in egual misura sia negli Stati Uniti che in Europa, luoghi dove sono rimasti in uso fino al giorno d’oggi pur essendo stati in buona parte sostituiti dall’acciaio e dai materiali sintetici. Chi sceglie oggi il lavello in ceramica lo fa infatti essenzialmente per la sua forma (particolarmente “classica” e rotondeggiante) e per le sue qualità estetiche, in quanto a livello di praticità questo tipo di materiale risulta essere molto delicato all’uso e di difficile collocazione. Durante i primi anni ottanta ne fu tentato un certo utilizzo, specie in alternativa all’acciaio inox, nella realizzazione di lavelli “da incasso”, ma per questo uso si iniziò ben presto a preferire le resine sintetiche perché ben più resistenti e versatili a livello di colore. Attualmente il lavello in ceramica viene quasi esclusivamente inserito in tutte quelle cucine “classiche” che tramite le loro linee stilistiche richiamano ad un gusto prettamente anglosassone.
Il Lavello in marmo o pietra naturale
Prima ancora di tutti gli altri materiali che via via sono divenuti di uso comune, i lavelli erano realizzati nei materiali più adatti allo scopo fra quelli presenti in natura, come il marmo e tutte le altre pietre naturali. Originariamente questi manufatti venivano infatti semplicemente realizzati ricavando da dei blocchi rettangolari di materia grezza una o più vasche, le quali potevano essere a loro volta corredate con dei piccoli piani rigati, detti “Gocciolatoi” per la loro funzione di raccolta e convogliamento delle gocce provenienti dalle stoviglie bagnate ivi lasciate ad asciugare. Questa tipologia poteva essere utilizzata, nonostante il suo enorme peso, perché originariamente i lavelli venivano sostenuti da strutture in muratura. Con il diffondersi invece dei mobili da cucina (componibili e non) si è preferito optare per tipologie di lavelli più leggere e maneggevoli, nonostante questo però i materiali più “antichi” hanno mantenuto intatto il loro fascino ed il loro gusto originale e per questo motivo hanno continuato, fino ai giorni nostri, ad essere usati per alcune specifiche tipologie di arredi. A questo scopo, è stato inventato un sistema che permette di realizzare dei lavelli in marmo, pietra o granito in maniera più economica e leggera. Stiamo parlando dei lavelli “assemblati” anche detti “scatolari, i quali vengono costruiti unendo con degli appositi collanti delle lastre dello spessore di 2 o 3 centimetri, a formare delle vasche che assumono per questo le sembianze di una scatola aperta. Questo modello di lavello risulta particolarmente adatto alle cucine componibili, prima cosa perché estremamente più leggero dei lavelli “monoblocco” e poi perché permette la realizzazione di strutture più “sottili” che per la loro stessa forma sono più adatte ad essere inserite all’interno dei mobili. I lavelli scatolati, assemblati in marmo o in altre pietre, possono infatti essere tranquillamente montati “sotto-piano”, lasciando cioè la superficie superiore del “top” della cucina perfettamente liscia, integra se non per il foro della vasca e per questo priva di tutte quelle sporgenze tipiche di tutti i lavelli “ad incasso”. Attenzione però: a differenza dei lavelli in blocco (o in “massello” che dir si voglia) questo tipo di lavello è caratterizzato da delle vasche che hanno al loro interno gli spigoli “vivi” tipici di ogni “scatola” (da qui il suo nome) e questo rende un po’ più complessa la sua pulizia rispetto alle vasche dalle forme stondate realizzate scavando i lavelli in massello.
A proposito dei materiali con cui si può trovare questo tipo di lavello, si può dire che la loro scelta dipende in massima parte dal tipo di piano che si è deciso di scegliere per la propria cucina. Ormai da qualche decennio a questa parte le pietre naturali più utilizzate a questo scopo sono generalmente i marmi e i graniti per la loro grande resistenza e la impermeabilità delle loro superfici una volta che esse vengono levigate (o ancora meglio “lucidate”) e appositamente trattate. Circa questo essenziale aspetto è però importante fare un po’ di chiarezza: la pietra, il travertino, il marmo e il granito, pur essendo tutti delle “pietre naturali”, sono materiali abbastanza differenti fra di loro per la loro estetica, per la loro resistenza agli urti e per la compattezza, caratteristiche queste che li rendono più o meno adatti a contenere dei liquidi.
La pietra è ad esempio fra questi sicuramente il materiale più friabile, il meno tenace e probabilmente quello che più presenta la caratteristica di assorbire liquidi. Questo non lo rende però un materiale meno adatto alla costruzione di lavelli, tutt’altro… L’uso di un materiale come questo deve però essere corredato dalla consapevolezza circa le caratteristiche specifiche del prodotto e delle problematiche attinenti. Lo stesso discorso vale per il Travertino il quale, pur essendo un materiale molto meno poroso della pietra, presenta numerose cavità naturali e per questo può essere tranquillamente usato per costruire lavelli, ma solo se opportunamente lavorato affinché non si verifichino perdite o rotture. Da questo punto di vista il “Marmo”, nelle sue numerose varianti, è universalmente considerato uno dei materiali migliori per la costruzione di lavelli. Anch’esso però non è completamente privo di svantaggi in quanto, come ogni prodotto naturale, è certamente anch’esso soggetto a macchiarsi ed ad ungersi specie se non viene opportunamente lucidato, trattato e soprattutto manutenuto nel tempo. Forse, almeno a livello di praticità, fra quelli descritti in questo paragrafo, i lavelli che garantiscono una più sicura comodità di utilizzo sono i lavelli in Granito. Quest’ultimo infatti è una pietra molto tenace e compatta che pur presentando delle difficoltà maggiori per la sua lavorazione ( è un materiale molto più duro della pietra e del marmo e per questo più complesso da segare e levigare), una volta perfettamente levigato, lucidato e trattato, mantiene più a lungo l’impermeabilità della propria superficie e garantisce una migliore resistenza a urti e graffi.
Il lavello integrato in Corian, Quarzo, HPL e Gres porcellanato
Di recente le nuove tecnologie hanno consentito l’invenzione di materiali inediti e altamente evoluti con i quali realizzare, oltre ai Tops delle cucine, anche dei lavelli perfettamente integrati al loro interno, in quanto realizzati con lo stesso identico materiale in modo da ottenere un effetto di perfetta contiguità. Si tratta di soluzioni esteticamente eccellenti tramite le quali è possibile ottenere un perfetto connubio fra un design bello e ricercato ed una estrema praticità. Essendo però prodotti principalmente usati per la realizzazione di Piani di lavoro da cucina e solo in secondo luogo, di lavelli, rimandiamo ad un prossimo articolo un più accurato e specifico approfondimento tecnico su tali materiali, concentrandoci adesso soltanto sul loro uso per la realizzazione di lavelli.
A parte i marmi, le pietre ed i graniti uno dei primi materiali con cui, in ordine di tempo, è stato possibile realizzare Tops da cucina con all’interno lavelli integrati nello stesso materiale è stato il Corian. Questo materiale di produzione Dupont, è una resina sintetica molto malleabile con la quale vengono realizzati un gran numero di manufatti e con i quali è ovviamente possibile realizzare degli splendidi piani di lavoro da cucina caratterizzati da una superficie continua priva di giunzioni o di separazioni. Per la realizzazione di questi piani viene infatti utilizzata una speciale tecnologia che permette la giunzione di due o più differenti piani di lavoro tramite l’uso di un collante speciale che altro non è che un derivato della stessa materia prima con cui è costruito il top stesso. Con tale sistema è possibile quindi anche attaccare delle vasche “sotto top” al piano di lavoro stesso, lavorazione che avviene utilizzando dei pozzetti preventivamente realizzati colando lo stesso materiale in degli appositi stampi dotati delle forme più svariate. L’effetto che si ottiene è quello di una perfetta integrazione tra lavello e piano di lavoro in cui, il materiale stesso del top, pare in qualche modo adattarsi agli utilizzi specifici, avvallandosi opportunamente nella zona del lavello e formandovi una o due vasche a seconda delle necessità.
Gli ultimi anni hanno visto successivamente affacciarsi sul mercato anche altri materiali tecnologici, sempre più evoluti e resistenti, come è ad esempio il “Quarzo”. In questo caso si tratta di lastre dallo spessore variabile fra i due e i tre cm, realizzate in “composti” che hanno preso piede in quanto validissime alternative alle pietre naturali come i marmi ed i graniti. Stiamo parlando di veri e propri “derivati” in quanto sono materiali realizzati miscelando particelle di marmo, granito e quarzo, con amalgame cementizie e resine apposite, le quali vengono inserite nell’agglomerato con lo scopo di migliorare le performance del prodotto, sia in quanto a resistenza che in quanto a impermeabilità ai liquidi. Proprio grazie a queste loro eccellenti caratteristiche. con i quarzi è dunque possibile realizzare anche dei lavelli che vengono costruiti assemblando delle sorte di “scatole”, composte da diversi pezzi incollati insieme; esattamente come abbiamo visto per i lavelli assemblati detti “scatolari”. Anche in questo caso l’obbiettivo è quello di ottenere superfici dall’aspetto continuo e uniforme che, grazie alle specifiche caratteristiche estetiche dei quarzi, si presentano in una forma estremamente moderna e perfettamente integrata con lo stile degli arredi più attuali. Proprio come nel caso dei lavelli in marmo o granito, stiamo parlando di manufatti che vengono realizzati con vasche che presentano degli spigoli “vivi” i quali, per ciò che concerne l’interno, qualche volta possono essere complicati da pulire a fondo, e per quanto riguarda il loro bordo esterno, possono risultare delicati agli urti. L’effetto complessivo è però effettivamente eccellente e se non fosse per il costo abbastanza alto del prodotto, reso notevole dalla lavorazione prettamente artigianale che questo tipo di lavello richiede, sarebbe da considerare fra le migliori soluzioni esistenti nel panorama dei moderni arredi da cucina.
Fra le più recenti novità a proposito di materiali con cui realizzare piani e lavelli da cucina vi è senza dubbio anche l’HPL, anche detto “laminato stratificato”. In realtà si tratta di una novità piuttosto “relativa” in quanto stiamo parlando di un materiale che è presente sul mercato già dal secolo scorso e con il quale vengono realizzati mobili e suppellettili da moltissimo tempo. E’ la sua ampia diffusione in quanto materiale di uso comune per la realizzazione di Tops da cucina e di lavelli che è invece sicuramente abbastanza recente. Si tratta di una materiale sintetico che viene formato sovrapponendo tanti strati successivi di fogli impregnati di resine melaminiche, i quali essendo sottoposti ad alta pressione (da cui il nome HPL: High Pressure Laminate) si compattano a tal punto da formare un’unica lastra, dotata di una resistenza a flessione e compressione davvero inaudita. L’Hpl è dunque una superficie plastica eccezionalmente resistente e perfettamente impermeabile che, grazie alle sue caratteristiche tecniche ed al suo spessore molto ridotto, si rende particolarmente adatto alla realizzazione di piani e lavelli. Per quanto riguarda quest’ultimi, il sistema produttivo che consente la loro costruzione è lo stesso dei lavelli assemblati o scatolari di cui abbiamo parlato poc’anzi. In questo caso specifico però per la realizzazione delle vasche si utilizza un supporto in acciaio che si presenta come una vera e propria vasca, la quale viene prima incollata sotto al piano di lavoro e poi tappezzata con dei piccoli pannelli di Hpl incollati fra di loro ed alla vasca stessa. Questo specie di “doppio fondo” è necessario a causa del ridotto spessore delle lastre e consente al materiale una durata maggiore ed un rischio di perdite praticamente inesistente. Considerando che l’HPL può essere utilizzato sia per la produzione di Top e lavelli, che per la produzione di ante da cucina, è facile immaginare l’eccellente effetto estetico che tramite questo eccezionale materiale è possibile ottenere. In quanto alle sue caratteristiche tecniche infatti l’HPL non ha molto da invidiare agli altri materiali da lavello fin qui trattati, anzi, sotto alcuni aspetti è da considerare molto spesso migliore; gli svantaggi in questo caso sono dovuti alla minore resistenza al calore di queste sostanze rispetto ad altre e all’alto costo di questo tipo di lavello che, solitamente realizzato nelle versioni “mono vasca”, supera abbondantemente quello di qualsiasi lavello da incasso “Composto” in resina sintetica, pur possedendone più o meno le solite ottime proprietà pratiche.
L’ultimo dei materiali per lavello che tratteremo in questa rassegna è anche quello che è arrivato sul mercato più recentemente, ovvero, il Gres Porcellanato.
Si tratta, né più e né meno, dello stesso materiale con cui vengono prodotti da decenni sia i pavimenti che i rivestimenti, lavorato però, grazie alle più recenti tecnologie, in maniera da ottenere delle grandi lastre larghe circa tre metri, da cui è possibile ricavare ben due piani da cucina profondi fino a 70 cm dello spessore variabile da 1 a 3 cm. La più importante caratteristica di questi piani sta nella loro insuperabile resistenza a urti e graffi, prerogative che rendono tale materiale particolarmente adatto anche alla realizzazioni di lavelli integrati. Pure in questo caso stiamo parlando di lavelli del tipo “assemblato” o scatolare, quelli cioè che, come abbiamo già visto, vengono costruiti incollando insieme dei pezzi di lastra spessi almeno 2 cm e che possono assumere diversi aspetti grazie alla lavorazione prettamente artigianale che è necessaria per ottenerne la costruzione. I lavelli integrati in Gres porcellanato, differiscono dunque per numerosi aspetti dai lavelli in ceramica di cui abbiamo parlato ad inizio articolo. Per prima cosa per il materiale, che è una particolare ceramica compatta in cui non vi è una parte interna più tenera detta “biscotto” ed una esterna più resistente detta “smalto”, ma vi è bensì un unica pasta uniforme e sulla cui superficie viene effettuata una operazione estetica di finitura.
Ad osservare in sezione una superficie realizzata in gres porcellanato, è infatti facilmente riscontrabile che non ci si trova di fronte a due materiali di differente resistenza e compattezza ma bensì ad un unica sostanza, alla quale viene applicata superficialmente una specie di “vernice” capace di renderla bella esteticamente, ancora più resistente agli urti e totalmente impermeabile. Tant’è vero che le normative tecniche UNI, definiscono quale “Gres porcellanato” solo quelle ceramiche che possiedono un coefficiente di assorbimento all’acqua minore dello 0,5%. Il materiale di per sé dunque non ha nulla a che fare con la ceramica con cui venivano e vengono ancora oggi costruiti i lavabi ed i lavelli “di vecchio tipo”, ma anche la forma che tale materiale è capace di assumere è molto diversa nel caso dei lavelli. Il lavello assemblato in Gres ha infatti, a causa delle sue forme necessariamente squadrate tipiche della sua lavorazione, un aspetto molto moderno e minimalista. La quantità praticamente infinita di colori e di finiture disponibili lo rendono inoltre di una versatilità paragonabile solo a quella dei quarzi o dei laminati. Un fattore che già da solo rende questo modello di lavello ben diverso da quello tradizionale, in ceramica bianca, a cui siamo abituati normalmente a pensare.
Una vasca, due vasche, con o senza gocciolatoio? Qual’è il lavello più adatto alle nostre esigenze?
Indipendentemente dal materiale che sceglieremo, anche la forma del lavello che completerà la nostra cucina componibile dovrà essere scelta attraverso una riflessione che tenga presente numerosi fattori. Uno dei più importanti riguarda la sua misura in quanto, a seconda dello spazio che avremo a disposizione, dovremo optare per un lavello che sia il più possibile proporzionato al luogo dove sarà collocato senza dimenticare l’uso che dovremo farne, facendo però attenzione a non esagerare. Sì perché, pur volendo dare alla comodità la massima rilevanza possibile (un lavello, ovviamente, più grande è e meglio è), bisogna poi fare i conti con gli spazi che necessitano per gli altri accessori indispensabili che collaborano a rendere ogni cucina adeguata e funzionale. Questo è probabilmente il motivo per cui il “lavello da cucina” che, come abbiamo visto, inizialmente veniva prodotto in pratica in una sola versione (due vasche più gocciolatoio), è adesso disponibile in numerosissimi modelli, diversi sia per forma che per dimensioni. Del resto, gli spazi della maggior parte delle abitazioni moderne sono sempre molto ridotti e riuscire ad ottimizzare al massimo anche un arredo importante, come è quello di una cucina componibile, è diventata un’esigenza oramai primaria. Ha senso dotare dunque di un lavello da 120 cm, una cucina che ha solo un metro e ottanta di piano di lavoro? E viceversa: è giusto alloggiare un lavello ad una vasca, quando si ha a disposizione una cucina grandissima? Dipende. La scelta di un lavello infatti non è legata solo allo spazio che possiamo arredare, ma anche ad altri fattori, come le abitudini personali, gli eventuali utilizzi specifici, l’illuminazione su cui la stanza può contare, la presenza o meno della lavastoviglie ecc. Molto spesso a noi arredatori viene chiesto un consiglio in merito a quale sia il miglior lavello da inserire in un progetto. La risposta a questo quesito, non può essere però né semplicistica, né banale e deve essere basata su di un vero e proprio studio che sia preceduto da un’intervista accurata da fare ai futuri utilizzatori della cucina che stiamo progettando. Il lavello infatti non può essere scelto come un elemento a se stante, ma va visto come facente parte di un progetto complessivo, che tiene ben di conto di tutti quei parametri che è necessario considerare all’interno di una cucina componibile. Il fatto che oggi si abbia a disposizione tante differenti varianti non deve essere dunque visto come un problema, bensì come un’opportunità che è indispensabile sfruttare per fare sì che ogni progetto sia composto come un perfetto Puzzle, in cui anche le più banali abitudini familiari contano. Se si cucina poco, e di conseguenza si immagina un utilizzo limitato del lavello, è piuttosto inutile sceglierne un modello particolarmente grande. Se al contrario, pur trovandosi a progettare uno spazio piccolo, ci troviamo di fronte alla necessità di cucinare molto, sarà necessario trovare una soluzione che rappresenti un giusto compromesso per entrambe le problematiche.
Vediamo a questo punto di fare una rassegna che sia il più possibile esauriente a proposito dei differenti modelli di lavello che è possibile trovare in commercio, partendo da quella tradizionalmente più comune, ovvero quella con due vasche ed il gocciolatoio, per poi affrontare tutti le altre soluzioni più diffuse.
Il Lavello a due vasche più gocciolatoio
Si tratta come detto del lavello tradizionalmente più comune, il primo ad avere ampia diffusione con l’affermarsi delle cucine componibili, nonché quello che viene universalmente riconosciuto come il lavello “per antonomasia”, cioè quello a cui più si riconduce l’immaginario collettivo, quando ci si trova a parlare di lavello. Esso è formato da due avvallamenti di forma più o meno rettangolare che fungono da vasca e che possono essere posizionate indifferentemente sia sul lato destro che sul lato sinistro del manufatto. All’interno delle vasche viene alloggiata la cosiddetta “piletta” che altro non è che lo scarico dove le acque reflue che vi vengono convogliate raggiungono il “sifone” sottostante che porta al tubo di uscita. Sopra alle vasche è sempre alloggiato il rubinetto, il quale può essere posizionato sul lavello (ed in quel caso il manufatto sarà stato precedente forato per permettere il suo alloggiamento), oppure sulla parete retrostante su cui viene poggiato il lavello stesso. Il resto dello superficie (di solito circa un terzo o un quarto dell’intero spazio) è occupato dal Gocciolatoio, una specie di superficie piana su cui vengono praticati dei piccoli canali i quali hanno il compito di convogliare nella vasca più vicina tutta l’acqua proveniente dai cocci che vi vengono posti ad asciugare. Tutto intorno al perimetro del lavello è presente un piccolo scalino che serve per far si che l’acqua che viene utilizzata per il lavaggio venga in qualche modo contenuta e che non vada a bagnare la mobilia o il resto del piano di lavoro. Anche questo lavello, come la maggior parte di quelli di cui parleremo, esiste in tantissime versioni: è infatti possibile trovarlo nella soluzione “da incasso”, in quella “da appoggio”, in quella integrata, in quella da semi-incasso e in quella da “sotto-piano”. In tutti questi casi a cambiare è solo la metodologia di inserimento nel mobile, mentre la forma complessiva muta solo limitatamente ai parametri necessari per rendere possibili i differenti tipi di alloggiamento.
Ma perché il lavello da cucina componibile è nato con questa specifica forma? Beh come molto spesso succede il design di un oggetto dipende essenzialmente dal suo specifico utilizzo. In particolar modo il lavello rappresenta un esempio eclatante di come il design si sia in qualche maniera messo a disposizione della praticità d’uso con lo scopo di ottenere un prodotto che fosse capace di facilitare veramente la vita. Stiamo parlando circa del periodo a cavallo degli anni ’60 in cui stava prendendo piede l’abitudine di arredare ogni stanza adibita alla cottura dei cibi con degli arredi specificatamente studiati che presero presto il nome di “cucine componibili” in quegli anni le esigenze del cosiddette “casalinghe” erano ben chiare: avere un posto dove cucinare, uno dove conservare il cibo ed uno dove poter lavare le stoviglie una volta utilizzate. A questo scopo furono studiate le metodologie di lavaggio più comuni e si decise di progettare una forma di lavello che assecondasse molto semplicemente i movimenti di ogni massaia ovvero, il lavaggio, il risciacquo, l’appoggio su di un piano e l’asciugatura. Ebbene la forma del lavello a due vasche più gocciolatoio segue esattamente questo tipo di processo: nella prima vasca si poggiano i piatti sporchi lavandoli con l’acqua; una volta lavati si passano nella seconda vasca (ovviamente più pulita della precedente) dove poter effettuare un accurato risciacquo, per poi poggiare le stoviglie sul gocciolatoio in attesa di procedere con l’asciugatura. Niente di più semplice. Bisogna tenere presente che stiamo ancora parlando di tempi in cui la lavastoviglie era solo un miraggio e di situazioni in cui, molto spesso, ci si trovava ad arredare non delle vere e proprie cucine ma soltanto dei piccoli e angusti cucinotti in cui era davvero difficile far combaciare tutto. Per questo si optava quasi sempre per arredi mobili “ad appoggio” invece delle soluzioni continue ad incasso. E’ in questo tipo di ambito che è necessario immaginare la creazione del design di questo tipo così universale di lavello: un modus progettuale in cui non vi era quasi mai la disponibilità di piani di lavoro, ma soltanto la possibilità di usufruire di elementi singoli, di per se dotati di pochissimi spazi dove appoggiare le stoviglie ed i cibi necessari per cucinare.
Il lavello a due vasche
Con l’evolversi dei sistemi abitativi si è andati a dare un’importanza sempre maggiore alla cucina, in quanto complesso di arredi specificatamente studiati per cucinare, nonché a tutti quei suoi singoli elementi ritenuti indispensabili per un utilizzo comodo e pratico. La cosa che più di tutti è stata valorizzata fino a partire dall’inizio degli anni ’70, cioè dal momento in cui hanno cominciato a diffondersi le moderne cucine componibili, è stata probabilmente il “piano d’appoggio”, chiamato anche “Top”. Come abbiamo detto precedentemente, si era infatti partiti all’inizio col posizionare nelle cucine degli elementi singoli, separati gli uni dagli altri (frigo, cucina economica, lavello e mobile “mettitutto”) e capaci di sopperire alle più basilari esigenze, ma che non erano degli arredi realmente “integrati”ed in grado di migliorare la praticità e l’estetica complessiva della mobilia. Ad un certo punto però si sono diffuse (anche grazie alla Tv) delle tipologie di arredo del tutto inedite, basate per lo più su idee provenienti dagli Stati Uniti (da cui il nome “cucina all’americana”) con cui venivano risolti numerosi problemi pratici, ivi compreso quello relativo allo spazio necessario alla preparazione dei cibi.
Le cucine all’americana erano infatti dotate di un design unico che aveva un comune denominatore: un piano d’appoggio continuo che serviva per uniformare gli arredi, rendeva impossibili le infiltrazioni d’acqua fra i mobili e si rivelava particolarmente utile per la preparazione dei cibi grazie alla sua ampia superficie. Fino ad allora infatti le pietanze venivano per lo più preparate sopra il tavolo da pranzo, ma quest’ultimo è notoriamente basso (circa 75 cm) e richiede di essere usato necessariamente da seduti. Il piano d’appoggio della cucina è invece alto ben 90 cm e per questo motivo può essere più comodamente usato da una persona che, dovendosi velocemente spostare dalla zona cottura a quelle del lavaggio e della conservazione, deve poter lavorare in piedi. Proprio per dare massimo spazio al piano d’appoggio sono stati sviluppati dei lavelli che essendo privi del gocciolatoio permettono di ampliare il piano di lavoro di ben 30 o 40 cm. Il lavello a due vasche senza gocciolatoio è dunque molto adatto in tutte quelle cucine che pur carenti di piano di lavoro, sono però dotate di lavastoviglie (da cui i piatti escono asciutti) o che possono almeno contare su di un luogo dove riporre i piatti ad asciugare come avviene nel “pensile scolapiatti”. Le misure di questo tipo di lavello variano solitamente da un minimo di 80 ad un massimo di 100 cm, ma mentre la misura più comune esistente in commercio è quella tipica da 90 cm, è possibile anche trovare dei lavelli corredati di vasche molto piccole che complessivamente misurano addirittura 70 o 60 cm.
Il lavello ad una vasca con gocciolatoio
Quando, a differenza del caso trattato nel paragrafo precedente, si ha a che fare con una cucina di piccole dimensioni, ma non si vuol proprio rinunciare alla comodità di uno spazio apposito dove poggiare le stoviglie bagnate, ecco che si può optare per un lavello ad una sola vasca con gocciolatoio. Si tratta di una delle soluzione attualmente più in voga per chi ha una cucina piccola ma dotata di lavastoviglie, perché in questo specifico caso è possibile effettuare un breve risciacquo delle stoviglie nella vasca del lavello che abbiamo a disposizione (la quale misura al solito almeno 38/42 cm di larghezza) per poi poggiarle provvisoriamente sul piano del gocciolatoio in attesa di riempire la lavastoviglie. Anche questo è un ovvio caso in cui l’ottimizzazione degli spazi è resa necessaria dalla misura sempre molto ridotta di molti appartamenti di nuova costruzione. Nelle cucine delle piccole abitazioni di città. nel medesimo spazio di 120 cm in cui una volta si posizionava un lavello con due vasche e gocciolatoio, adesso si usa posizionarvi un lavello ad una sola vasca, magari con la lavastoviglie posizionata sotto al gocciolatoio del lavello stesso.
A proposito di questa situazione, in verità diventata ormai abbastanza comune, è necessario fare un po’ di chiarezza. Il concetto che spesso risulta di difficile comprensione sta nel fatto che la lavastoviglie può essere inserita, almeno in parte, nello spazio che è occupato dal lavello stesso. Ciò significa che nel conteggiare i centimetri occorrenti per alloggiare lavello e lavastoviglie da incasso, non dovremmo sommarli uno all’altro (ad esempio: lavello di 90 cm ad una vasca più gocciolatoio, più lavastoviglie di 60 cm = 150 cm totali) bensì dovremo aggiungere ai 60 cm della lavastoviglie solo lo spazio necessario ad alloggiare la vasca del lavello. Siccome la vasca viene inserita di solito, o in un sotto-lavello di 60 cm, o in uno di 45 cm, ciò consente di ottenere un mobile “lavello con lavastoviglie” che occupa uno spazio di soli 105 o 120 cm. In casi di effettiva necessità è addirittura possibile ridurre ulteriormente questo spazio a soli 90 cm. Per far questo è necessario però incassare sotto al gocciolatoio del lavello una lavastoviglie da 45 cm, la quale sommata ad un mobile sotto-lavello di 45 cm (il minimo possibile per poter accedere agli allacci idraulici) porterà appunto la misura complessiva a 90 cm netti. Le misure di questo modello di lavello variano di poco e dalla misura standard di 90 cm finora citata (esattamente 86×50), possono variare da un minimo di 60 cm (con vasca e gocciolatoio ridotti al minimo) ad un massimo di 120 cm. In quest’ultimo caso, piuttosto raro da trovare in verità, si può sfruttare maggiormente in larghezza sia la vasca (larga fino a 56 cm) sia il gocciolatoio.
Il Lavello ad una vasca e mezza
Questo modello di lavello nasce da una pressante richiesta dei consumatori i quali, pur di rinunciare alla comodità dell’avere due vasche, preferiscono ridurre al minimo l’ampiezza di una delle due. In questo caso ci troviamo infatti di fronte ad una sorta di “ibrido” in cui la misura complessiva del lavello viene portata a circa 100/105 cm ed in cui vengono inseriti una vasca di misure normali (circa 35/40 cm di larghezza), un gocciolatoio ed in mezzo una piccola vasca di servizio. Circa la reale utilità di questa piccola cavità centrale tipica dei lavelli da una vasca e mezzo i pareri sono molto discordanti. C’è chi la considera una indispensabile risorsa necessaria per sciacquarvi quelle stoviglie che, una volta passate al lavaggio nella vasca grande, attendono di essere poste ad asciugare sul gocciolatoio o messe in lavastoviglie. C’è invece chi, al contrario, considera questa vasca troppo piccola per essere utilizzata a questo scopo e la usa solo per riporvi le spugnette o gli scovolini. Ad ogni modo, si tratta di una tipologia molto diffusa sul mercato attuale che, per questo motivo, necessita di essere osservata opportunamente. Partiamo da un presupposto: essendo nato come risposta ad una certa riduzione dello spazio a disposizione, sia sul piano di lavoro che nella misura complessiva di ogni cucina componibile, questo tipo di lavello deve essere considerato solo da chi pensa davvero di averne bisogno. La misura effettiva della seconda vasca infatti non giustifica il suo uso in cucine in cui, senza creare troppi problemi, è possibile inserire un lavello a due vasche di misure normali.
Questa può essere pensata effettivamente come una soluzione alternativa ma solo ed esclusivamente dopo aver preso in considerazione tutte le altre disponibili. Il conteggio da fare in queste situazioni del resto è abbastanza semplice: si calcola o rileva la larghezza complessiva del futuro Top (piano di lavoro) della cucina, vi si sottrae i cm necessari al piano di cottura e a quel punto si calcola quello che è lo spazio rimanente da destinare al lavello ed al “piano di appoggio”. Se si ha poco spazio e si è prevista la presenza una lavastoviglie, il lavello sarà sufficiente anche ad una vasca, ma se si ha uno spazio più abbondante, ma non vi si può lo stesso alloggiarvici un lavello a due vasche, allora è più semplice e vantaggiosa questa soluzione “intermedia”. La questione sulla utilità della “seconda vasca” diventa infatti a quel punto abbastanza secondaria: sarà la larghezza complessiva del lavello, in quanto maggiore dei classici 90 cm, a fare la differenza in termini di comodità e non la larghezza effettiva della seconda vasca. D’altronde, siccome più grande è un lavello e maggiore è la sua capacità di contenere gli schizzi prodotti durante le fasi del lavaggio, in quei tanti casi in cui l’inserimento di un lavello di dimensioni tradizionali non è proprio possibile, poter contare su di un lavello che è largo solo 20 cm meno del normale (100 cm, anziché i 120 cm di quello a 2 vasche più gocciolatoio) può rivelarsi molto utile.
Il lavello ad angolo con vasche simmetriche ed asimmetriche
Quando si ha a che fare con problemi di spazio sempre più pressanti, capita spesso di farsi venire in mente soluzioni estremamente ingegnose che difficilmente sarebbero venute in condizioni normali. E’ questo il caso del lavello in angolo, tipologia entrata sul mercato nella prima metà degli anni ’80, che rapidamente si è diffusa per le sue peculiarità capaci di risolvere molti problemi di incasso, specie nelle cucine di piccole dimensioni. Partiamo con l’esaminare la sua forma: si tratta in pratica di poligono formato da due rettangoli che si intersecano l’uno con l’altro a 90° e dai quali manca un triangolo di circa 20 cm per lato nella loro parte posteriore.
Le sue misure sono ideate per far sì che il lavello possa essere incassato in un mobile base di 90×90 (anche se questo non avviene quasi mai e vedremo dopo il perché) e consentono uno sfruttamento pressoché completo dell’angolo della cucina. In questo modello di lavello infatti, le vasche sono collocate agli estremi laterali del poligono e questo libera posteriormente uno spazio trapezoidale, in trovano posto un piccolo gocciolatoio ed il rubinetto messo a servizio delle due vasche. In alcuni casi questo spazio posteriore viene occupato anche da una vasca di minutissime dimensioni, la quale va a prendere buona parte del gocciolatoio, riducendolo davvero ai minimi termini. Più recentemente si è diffuso un ulteriore modello di lavello ad angolo in cui le vasche sono poste in posizione “asimmetrica”. In questo specifico caso ci si trova davanti ad un manufatto dalle forme del tutto simili ai precedenti, in cui però le vasche sono posizionate in fila da un lato solo del lavello stesso, mentre nell’altro trova spazio lo gocciolatoio. E’ una soluzione particolarmente gradita da chi preferisce sacrificare un po’ una delle due vasche (che in questo caso si trova nel lato posteriore del lavello) al fine di poter usufruire di un gocciolatoio degno di questo nome sotto al quale, in caso di necessità è addirittura possibile inserire una lavastoviglie.
Il lavello ad angolo è in definitiva uno dei modelli di lavello più “particolari” che esiste in commercio e la sua specificità è dovuta non solo alla sua forma, ma anche al suo speciale tipo di alloggiamento ed alla posizione che deve tenere chi lo utilizza. Vediamo di capirne di più, partendo proprio dal posizionamento all’interno del piano di lavoro di una cucina componibile angolare, il quale avviene per questo lavello attraverso la produzione di un foro di forma poligonale realizzato proprio dove è presente la congiunzione fra i Top che provengono dai due lati della cucina. Questo crea subito una problematica di cui è bene essere consapevoli.
I piani di lavoro cosiddetti “in barra” (cioè quelli come il laminato che vengono prodotti in pannelli larghi 60 cm, come sono profonde le basi di una cucina), per poter essere posizionati “ad angolo” vengono uniti attraverso una “giunta” che crea un piccolo taglio fra i due piani di lavoro. Questo piccolo taglio, pur essendo sempre durante il montaggio opportunamente sigillato tramite collanti e siliconi, nel caso di incasso di un lavello ad angolo può creare qualche piccolo problema di “tenuta”. Ciò è dovuto a numerosi fattori che alla lunga finiscono per danneggiare il materiale stesso del top a causa delle infiltrazioni che con tempo riescono a raggiungere sia l’interno del top spesso che la mobilia sottostante. Cosa che ovviamente non può avvenire nel caso si utilizzi al contrario dei materiali reperibili “in lastra” (come il marmo, il granito, il quarzo e l’Hpl) nei quali la dimensione delle lastre in cui sono realizzati, consente la produzione di piani angolari continui, privi quindi di qualsiasi tipo di giunzione nella parte dove deve incassato il lavello ad angolo e scevri quindi da problematiche di infiltrazione. In questo caso infatti l’eventuale giunta viene in fase di produzione “allontanata” dal foro d’incasso del lavello ad angolo, in modo da salvaguardare la salubrità dei materiali.
Andiamo a vedere a questo punto le specificità relative al posizionamento di questa tipologia di lavello all’interno di una normale cucina componibile. Come abbiamo detto, le misure del manufatto (esattamente 86×86 cm) consentirebbero il suo incasso all’interno di un mobile di 90×90, questo però comporterebbe la creazione di un sotto-lavello le cui ante misurano solo 30 cm ciascuna. Le problematiche in questo caso sarebbero essenzialmente due: la prima riguarderebbe il montaggio degli attacchi del lavello in quanto, ovviamente, il passaggio attraverso le ante sarebbe talmente limitato da rendere molto difficoltoso (se non addirittura impossibile) il lavoro dell’idraulico.
Il secondo riguarda invece il posizionamento della lavastoviglie. Nel caso di incasso di un lavello ad angolo infatti, pur essendo innegabile un certo “risparmio” di spazio per ciò che concerne il rimanente piano di lavoro, bisogna considerare la posizione che la persona che utilizza il lavello è costretta a tenere quando accanto al lavello è alloggiata una lavastoviglie. E’ infatti facile immaginare quanto sarebbero difficoltosi i movimenti di una persona che lava i piatti se fosse costretta, fra i due lati, dallo stesso Top angolare dove è posizionato il lavello e da un terzo lato, dalla lavastoviglie in posizione aperta, pronta per essere caricata. Per evitare problemi dunque è bene ricordare che per rendere un lavello angolare effettivamente comodo è assolutamente necessario che un’eventuale lavastoviglie sia posizionata almeno a 60 cm dall’angolo stesso, in maniera di consentire la libertà di movimento necessaria in questi casi.
Il Lavello “Mono-vasca”
La scelta di questo modello di lavello è quasi sempre dovuta a ragioni diametralmente opposte rispetto a quelle che fanno prediligere i lavelli precedentemente trattati. La soluzione ad una vasca unica era stata infatti quasi abbandonata già all’inizio del diffondersi dei primi arredi specifici da cucina con i quali, per decenni, si è andata via via delineando una certa preferenza verso i modelli a una o due vasche separate, ma sempre corredati di gocciolatoio. I lavelli mono-vasca erano invece considerati quelli tipici delle epoche antiche che, realizzati in pietra o in marmo, facevano bella mostra di sé in ogni abitazione dotata di una “cucina” degna di questo nome. Tant’è vero che i lavelli ad una vasca unica, pur continuando ad esistere imperterriti anche dopo la diffusione delle cucine componibili, erano stati alla fine relegati ad arredi di nicchia, per lo più destinati ad un “lavoro di memoria”, specie nelle cucine “classiche”, utili a rendere più particolare ed efficace esteticamente ogni arredo stilisticamente ricercato. E’ certamente per lo stesso identico “movente estetico” che i lavelli ad una vasca sono tornati ultimamente di gran moda perché, è inutile negarlo, essi sono indubbiamente belli. Pur esistendo nelle più svariate misure essi danno un senso di ampiezza incomparabile che è dovuto principalmente all’assenza di separazioni ed alla sobrietà delle loro linee. Una semplice ed unica vasca, realizzata nei più svariati materiali, con misure che possono variare dai 40 fino ai 100 cm di larghezza.
Quelli piccoli, sono quelli destinati alle mini-cucine ed a tutti quelli spazi in cui è impossibile alloggiare un lavello che sia dotato anche solo di un ben che minimo gocciolatoio laterale. Quelli grandi, dagli ottanta ai 100 cm di larghezza, sono invece destinati ai grandi spazi, alle cucine ampie, ariose, siano esse moderne o classiche, nelle quali sia comunque sia necessario poter godere della sottintesa “opulenza” e di quel certo senso di “lusso” che solo un grande lavello mono-vasca è capace di trasmettere.. Perché di questo, alla fine, si tratta. Non c’è infatti in realtà nessun motivo “pratico” in chi opera questo tipo di scelta… Sì, senza dubbio un lavello mono-vasca è facilmente utilizzabile, ma che utilità pratica può effettivamente avere, lavare i piatti in una vasca unica di oltre 80-90 cm di ampiezza? Con tutta probabilità, si otterrebbe una maggiore comodità di lavaggio utilizzando un tradizionale lavello a due vasche con gocciolatoio… Però cerchiamo di immaginare una splendida cucina moderna corredata con un normalissimo, vecchio ed “onesto” lavello a due vasche da 120 cm… e subito dopo pensiamo alla stessa cucina, ma in cui fa bella mostra di sé un magnifico lavello mono-vasca, magari da 100 cm di larghezza… Il risultato finale è certamente diverso, e questo è il motivo del grande e recente successo di questa tipologia di lavello, il quale, senza dubbio, è capace già da solo di cambiare radicalmente l’estetica di ogni cucina.
Ben diverso è il discorso quando si parla di lavelli mono-vasca di piccole o piccolissime dimensioni: in quel caso le motivazioni della scelta sono infatti invece sempre strettamente legate a motivi carenza di spazio. Del resto, è facile capire quanto può risultare più conveniente inserire un lavello di soli 40 0 50 cm di larghezza al posto dei ben più comuni 90 0 120 cm dei lavelli “tradizionali”, quando si ha a disposizione spazi davvero ridotti e non si può “tagliare” altrove. La necessità diventa a quel punto quella di ottimizzare ogni spazio e, visto che i tanti prodotti presenti sul mercato lo consentono, si può tranquillamente optare per un piccolo lavello che ci consente un risparmio di “piano di lavoro” magari più utile altrove. I lavelli che nascono a questo scopo vanno infatti da una misura minima di 35 cm ad una massima di 55 cm, che è quella più grande da poter essere inserita in un sotto-lavello da 60.
In ogni caso, per grande e piccolo che sia, chi sceglie un lavello mono-vasca deve fare i conti con il suo unico reale svantaggio, ovvero l’assenza del gocciolatoio. Vi sono però per fortuna numerosi “escamotages” che consentono, con poco, di ovviare a questo piccolo problema. Il più usato è quello di dotare il proprio piano di appoggio di una sorta di “gocciolatoio artificiale” creato attraverso l’uso di un tagliere o di qualsiasi altra superficie capace di trattenere lo sgrondo dell’acqua. Per chi può contare su una vasca grande, è invece possibile dotare il lavello stesso di un simile accessorio, il quale, a quel punto, può essere rimosso o usato a seconda delle necessità senza compromettere l’estetica complessiva del lavello e, di conseguenza, della cucina. Per ultima la soluzione forse più banale, ma probabilmente più funzionale, quella cioè di utilizzare la vasca solo come “contenitore” per i piatti sporchi, in modo da poterli passare sotto al rubinetto e riporli direttamente dentro la lavastoviglie senza ulteriori passaggi.
In questo breve excursus abbiamo cercato di fare un po’ di chiarezza circa quell’importantissimo accessorio che è, da sempre, il lavello da cucina. La nostra però, non può essere una dissertazione davvero completa e esauriente, perché anche se oggi in rete è possibile trovare informazioni praticamente su qualsiasi argomento, è importante non dimenticare che sono spesso la competenza, l’esperienza e la professionalità a fare la differenza. Specie in un lavoro complesso e articolato come è quello dell’arredamento. Per questo motivo i professionisti dei negozi La Casa Moderna sono sempre a disposizione nei propri negozi per dare a chiunque ne abbia bisogno tutte le informazioni necessarie a far si che ogni arredo sia davvero bello e funzionale. Perché è proprio scegliendo opportunamente quegli accessori importanti, come il lavello appunto, che alla fine si riesce realmente a decretare il successo di un buon arredamento.
Conclusioni
Speriamo che la nostra guida su come scegliere un letto imbottito ti abbia fornito le informazioni necessarie per prendere una decisione consapevole e soddisfacente. Presso Griva Arredamenti, siamo pronti ad aiutarti a realizzare arredamento su misura.
Ti invitiamo a visitare i nostri showroom di Pinerolo e Torino, dove potrai scoprire di persona la qualità e l’eleganza dei nostri mobili. Potrai toccare con mano i materiali, valutare le soluzioni di spazio e ottenere consigli personalizzati dai nostri esperti.
Se hai domande o desideri ulteriori informazioni, non esitare a contattarci. Saremo felici di fornirti tutte le risposte di cui hai bisogno dai nostri esperti interior designer.
Che salotto possiamo mettere nel nostro soggiorno di 20 mq? Come possiamo disporre i divani nella nostra stanza di 4 metri per 6? Che divani ci consigliano per il nostro salotto?
Queste sono le domande a cui più frequentemente gli arredatori La Casa Moderna si trovano a dover rispondere quando si parladi mobili imbottiti da soggiorno. Del resto, da professionisti quali sono, chi potrebbe essere più adatto di loro per consigliare disposizioni d’arredo che, spesso, chi “vende semplicemente salotti” ha difficoltà perfino ad immaginare? L’arredamento d’altronde è una cosa seria: materia di studio approfondita anche a livello universitario (la laurea in architettura di interni è una delle più popolari e desiderate), essa viene considerata a tutti gli effetti una “scienza” e per questo non può che essere ben lungi dal poter essere demandata a dei semplici venditori o degli improvvisati ed “interessati” commessi. La necessità però di avere ben chiare le numerose e importanti regole d’arredo che stanno dietro a questo tipo di progetto, specie quando si pensa di allestire stanze ritenute “semplici” come il salotto, è meno sentita da parte della gente. Perciò è sempre più frequente imbattersi in stanze da giorno arredate in maniera molto approssimativa o banale, quando addirittura non capita di trovarsi di fronte ad ambienti completamente “sbagliati” in cui si ha persino difficoltà ad entrare.
Tutto ciò accade perchè la maggior parte delle persone quasi mai considera il “salotto” (inteso come insieme di mobili imbottiti; divani e poltrone insomma), un arredo che necessita di essere in qualche modo “progettato”. E capita dunque di imbattersi nei problemi di cui abbiamo appena accennato.
Nei negozi “La Casa Moderna” i nostri architetti sono invece abituati per loro stessa natura a pensare in maniera differente: partono dalle misure della stanza, ascoltano le esigenze del cliente, valutano insieme agli utilizzatori le differenti soluzioni disponibili e, cosa da non sottovalutare cercano di immaginare anche quelle soluzioni che pur non essendo disponibili, possono essere comunque prodotte da chi, come loro, può contare su di una produzione di alto artigianato che consente di costruire anche divani “su misura” per il cliente.
Le soluzioni dei nostri arredatori sono dunque appositamente pensate per ogni singolo soggiorno che può capitare loro di arredare e vengono escogitate sempre seguendo dei criteri di base molto precisi che cercheremo in questo articolo di spiegare, per quanto o spazio a disposizione ci consenta.
Mai acquistare solo “con gli occhi”
Quando si deve comprare un divano si comincia col valutare la dimensione della stanza destinata a soggiorno molto banalmente con i propriocchi; molto spesso però lo spazio per i mobili pare non bastare o, al contrario, sembra di averne a disposizione tantissimo; le finestre e le porte creano ingombri che sono difficili da gestire, le pareti vuote sono obbligatoriamente da sfruttare per contenitori o per accessori (come la Tv) di cui non si può certo fare a meno e, come se non bastasse, ci si trova molto spesso di fronte a stanze che, oltre ad essere “soggiorni”, sono anche “ingressi”, se non addirittura “cucine”. E pensare che qualcuno continua a considerare i soggiorni come stanze facili da arredare! In realtà arredare un soggiorno significa operare delle scelte ( in primo luogo prettamente dimensionali) che difficilmente possono essere fatte senza un aiuto professionale, perché per farlo non basta pensare alle forme di un salotto o di un divano, considerando semplicemente quelli che è possibile vedere in qualsiasi negozio; occorre una visione d’insieme, serve uno studio preliminare sulle esigenze familiari, bisogna distribuire gli spazi in maniera equa e soprattutto non limitarsi semplicemente ad immaginare le soluzioni basandosi solo su quelle che si riescono ad inserire “visivamente” nel proprio ambiente.
Quando si posiziona un salotto in una stanza è indispensabile valutare: le larghezze degli elementi che lo possono comporre, la presenza o meno di ingombri non utilizzabili per sedervi (come i braccioli, le parti sporgenti o gli eventuali piani di appoggio), le altezze degli schienali, le profondità di seduta e quelle totali, il numero di sedute indispensabili per i componenti della famiglia e quelle necessarie per gli eventuali ospiti, le fonti luminose che occorrono a chi vi siede, la presenza o meno di una Tv in stanza e, ultimo ma non ultimo, lo spazio disponibile in soggiorno per alloggiare il salotto stesso. Tutt’altro che facile quindi…
Le possibili disposizioni funzionali di un salotto
Cominciamo subito dicendo che quando si parla di mobili imbottiti da soggiorno, si possono individuare principalmente cinque tipologie di utilizzo:
- Il salotto da conversazione
- Il salotto relax
- Il salotto “Tv”
- Il salotto giorno/notte
- Il salotto multifunzione
Vediamo dunque nel particolare questi tipi di arredamento, individuando innanzitutto le caratteristiche che si evidenziano in ognuno di essi:
Il salotto da conversazione
E’ essenzialmente il salotto per le case grandi e anche quello per le stanze in cui le persone che vi abitano non amano vedere la Tv in soggiorno, preferendo di gran lunga utilizzare tale ambiente come luogo conviviale per la propria famiglia o per ospitarvi amici e parenti.
La caratteristica principale di questo tipo di salotto è facile da individuare: sono gli ambienti in cui le sedute sono sempre una di fronte all’altra oppure poste in maniera per cui chi vi è seduto possa avere un contatto visivo molto agevolato nei confronti degli altri posti a sedere. E’ quindi il salotto per il quale sono ideali i divani “lineari” (cioè la forma più classica di divano con braccioli), posti in maniera frontale, oppure abbinati con poltrone adeguatamente posizionate. Nei casi di stanze molto grandi non è raro trovare questo tipo di salotto formato da tre divani messi a “ferro di cavallo” che, a seconda della larghezza dei divani stessi, può anche ospitare un gran numero di persone. La soluzione più funzionale da adottare in questi casi è quella dei due divani posti in maniera frontale, ma la più comune da trovare è invece quella che prevede una disposizione angolare dei due divani (posizione che consente di ottimizzare lo spazio in profondità), magari abbinati a due poltrone posizionate di faccia a quest’ultimi. L’uso delle poltrone è molto frequente nei salotti da conversazione; esse consentono infatti alle persone di poter disquisire in tranquillità, ma non possedendo strutture fisse ed ingombranti come i divani, sono molto comode e facilmente spostabili e per questo motivo consentono un utilizzo dello spazio più versatile. La poltrona abbinata al divano da conversazione, del resto, può avere molteplici forme che vanno dalla classica “berger” dotata di schienale alto e braccioli molto comodi, fino a delle piccole poltroncine che sono poco più che sedie con braccioli. L’importante quando si sceglie una poltrona da conversazione è saperla ben arredare al resto del salotto.
Se infatti un tempo era abbastanza facile trovare dei salotti composti da divani che avevano già abbinati con sè due poltrone della stessa fattezza, adesso è molto più difficile operare questo tipo di abbinamento: i divani sono quasi sempre progettati in quanto “divani” appunto, e si preferisce per questo produrli e acquistarli in forme che non prendono spesso nemmeno in considerazione l’eventualità di abbinarvi delle poltrone. In questi casi occorre agire quindi con gusto ed arguzia, cercando quegli abbinamenti che consentono accostamenti fra divani e poltrone che possono apparire anche molto originali. E’ il caso ad esempio degli abbinamenti realizzati con tessuti in coordinato che possono tenere egregiamente insieme anche modelli di imbottito molto differenti fra loro; così come avviene quando si accostano poltrone molto piccole, ma comode, a dei divani molto ingombranti e vistosi. Quando ci si trova a dover operare scelte di questo tipo, il trucco sta nell’individuare una sorta di “filo conduttore” che unisca in qualche modo divani e poltrone. Questo filo conduttore possono essere le forme, il tessuto oppure semplicemente il colore; anche alcuni specifici particolari come ad esempio il tipo di cucitura o di rifinitura dei bordi. Quello che è importante è creare un “coordinamento logico” che consenta in qualche modo di ricondurre mentalmente le due tipologie di imbottiti (divani e poltrone) a un qualche criterio stilistico o logico. In tal modo si possono operare anche scelte molto azzardate ed estrose senza mai cadere nel pacchiano o nel ridicolo.
Parlando di forme, si possono tranquillamente individuare delle linee abbastanza comuni nei salotti da conversazione: una delle caratteristiche più ricorrenti è ad esempio la fattezza dello schienale, che nei salotti fatti “per parlare” è quasi sempre abbastanza dritto, per consentire alle persone di mantenere il busto in posizione piuttosto eretta e per questo conversare più comodamente con chi sta di fronte. Per quanto riguarda l’altezza invece, non c’è una regola veramente fissa: i divani da conversazione hanno solitamente schienali molto bassi, ma non è affatto raro, al contrario, trovare poltrone da conversazione dota
te di schienale molto alto (come la “Berger” o la “Voltaire”) che permettono al busto di stare eretto, ma senza dover fare a meno di un comodo appoggio per la nuca.
Il salotto “Relax”
E’ il salotto comodo per eccellenza; forse l’accezione universalmente più gradita della stessa parola “salotto”. In realtà questo termine è riferibile esclusivamente ad una vasta ma abbastanza precisa categoria di imbottiti che per la natura di alcuni particolari, riesce ad assumere delle forme molto adatte al “riposo”.
Si tratta quasi sempre di salotti infatti molto comodi: imbottiture morbide ed ergonomiche, schienali adatti ad appoggiarvi la nuca, posizioni dunque solitamente molto inclinate per la schiena e, ove possibile, un confortevole appoggio per gambe e piedi. Quasi un posto per dormire, più che per riposarsi! In realtà invece il salotto Relax risponde egregiamente ad alcune ben precise richieste del mercato, quelle delle persone che considerano il salotto il luogo dove rilassarsi (da qui la parola “Relax”), riposarsi e, perchè no, farsi anche qualche piacevolissimo sonnellino.
Il salotto Relax è dunque il posto più comodo e confortevole della casa e per ottenere questo “status” ci vogliono caratteristiche veramente uniche. Una fra queste è la possibilità di essere dotato di “meccanismi” che permettono al salotto stesso di assumere posizioni il più possibile adatte al riposo; come avviene con gli schienali reclinabili che si sollevano a sostenere la nuca oppure con le sedute estraibili che quasi magicamente vengono fuori da sotto il cuscino inferiore, in modo da essere di sostegno alle gambe.
Un componente abbastanza comune del salotto “relax” è la cosiddetta “penisola”, un elemento d’arredo divenuto di gran moda durante gli anni ottanta che unisce in sè le caratteristiche di un vero e proprio letto con quelle ben più normali (per un ambiente “giorno”) di una comoda seduta. Una penisola può avere al giorno d’oggi le dimensioni e le forme più disparate: può essere larga o stretta, lunga o corta, tradizionalmente di forma rettangolare oppure stondata e addirittura trapezoidale; l’importante è che sappia mantenere inalterata la sua principale caratteristica, quella cioè di saper divenire comodo appoggio per delle gambe in cerca di riposo. Le penisole più comuni da trovare sono semplicemente delle estensioni che aumentano, a volte più del doppio, la profondità della seduta di un normalissimo divano. E’ come se si prendesse un cuscino e lo si “tirasse” verso l’esterno per prolungare il posto dove la persona può stare seduta: più ampia è dunque la dimensione di tale “seduta” in profondità, più comodo sarà potervisi riposare.
Quando si parla di salotto Relax però non ci si riferisce quasi mai ad una forma specifica di salotto ma bensì alle sue caratteristiche più “peculiari”.
Il salotto qui fotografato ad esempio può spiegare questo concetto: si tratta in fin dei conti di un normalissimo divano “ad angolo” di quelli che è possibile trovare in tantissime case. La caratteristica che lo rende però a tutti gli effetti un divano “relax” sta nella particolarità del suo schienale che, “sollevandosi” attraverso un comodo meccanismo a cremagliera nascosto, permette di assumere una posizione comodissima per la schiena di chi vi si siede. Ciò è dovuto principalmente a due fattori: all’inclinazione dello schienale che fa assumere a chi lo usa una posizione molto confortevole e alla possibilità di alzare lo schienale fino a potervi appoggiare perfettamente la nuca. Questa della posizione della nuca è un fattore di comodità di notevolissima importanza. Immaginatevi per un attimo di trovarvi seduti in un salotto, magari comodissimo, ma che non vi permette in alcun modo di poggiare la nuca: a lungo andare la testa, dovendo essere continuamente sostenuta dal corpo comincerà piano piano a “pesare” creando una situazione di grande affaticamento. Un divano relax è fatto apposta proprio per evitare questo tipo di problemi; una sorta di “letto”, in cui le membra possono facilmente riposare anche senza dormirvi.
Il salotto “Tv”
Concettualmente (e spesso anche morfologicamente ) legato alla tipologia di salotto appena descritta come “Salotto Relax”, il Salotto “Tv” differisce da quest’ultimo soltanto per la posizione che esso deve assolutamente occupare all’interno della stanza in cui si trova: quella direttamente di fronte al televisore. In realtà infatti un salotto Tv non è una tipologia di salotto che si contraddistingue per una specifica forma, bensì per il fatto che esso viene composto e posizionato in esclusiva relazione alla posizione della Tv stessa. Un salotto Tv dunque può essere composto da un divano con due poltrone, da due divani messi in angolo, da un divano unico di forma angolare, da un divano a cui è abbinata una comoda “Chaise Longue” oppure da un divano con penisola. Quasi tutte le composizioni possono essere adatte per essere posizionate di fronte alla Tv; le cose in realtà indispensabili da tenere presente in questo caso sono: la comodità delle sedute e la visuale diretta della televisione.
Per quanto riguarda quest’ultima, quando si pensa di arredare un salotto predisponendolo per una comoda visuale del televisore, la distanza che intercorre fra le sedute di un divano e la Tv stessa, assume una grandissima importanza. A questo proposito sono due le variabili da tenere nella massima considerazione: la grandezza del televisore e il numero di persone che dovranno avere la possibilità di vederlo in contemporanea. Attualmente per quanto riguarda il salotto, le misure di televisore preferite vanno dai 42 pollici in su fino ad arrivare anche ai 90 o addirittura ai 120 pollici delle tv a Maxischermo. Ovviamente maggiore é la grandezza della TV tanto più grande dovrà essere la distanza che dovrà rimanere fra lo spettatore ed il televisore. In linea generale si considera giusta per un Tv a 42 pollici una distanza di circa 2,50/ 3,00 mt; misura che sale a circa 3,50 mt per le Tv a 50/55 pollici e così via. Anche il numero di persone che contemporaneamente si prevede che possano vedere la TV va però considerato in questo conteggio. Se infatti tre o cinque persone possono posizionarsi di fronte ad una Tv in modo abbastanza equidistante il discorso cambia quando si ha a che fare con un gran numero di sedute; in quel caso, ovviamente, occorre considerare la distanza che passa fra la posizione più distante e il televisore, cercando di dimensionare quest’ultimo in modo adeguato. L’importante, in questi casi, è evitare assolutamente che avvengano situazioni in cui, ad esempio, uno spettatore si trova troppo vicino ad un televisore troppo grande mentre qualcun’altro si trova a vedere i programmi Tv ad una distanza abissale. Si tratta di uno di quei classici casi in cui occorre trovare una giusta via di mezzo che possa accontentare tutti, senza creare troppi disagi a nessuno. Ma attenzione! Quando si considera la miglior distanza fra salotto e Tv, bisogna anche tenere ben presente un fattore prettamente estetico! Se ci troviamo infatti a dover posizionare il divano o le poltrone al centro della stanza, per ottimizzare al meglio la visuale della Tv, bisogna assolutamente che il salotto che intendiamo posizionare sia sufficientemente bello e rifinito anche sul “retro”, altrimenti ci troveremo di fronte a una situazione in cui, paradossalmente, la parte bella (quella frontale) del salotto rimane nascosta alla vista, mentre quella meno bella (il resto appunto), diventa la parte più osservata dell’intero soggiorno!
Inizialmente abbiamo detto che il salotto Tv non differisce dal salotto Relax che per la posizione che può assumere all’interno della stanza. Questo è ancora più vero quando si vanno a considerare le caratteristiche morfologiche ideali che dovrebbe avere un salotto Tv. Il salotto Tv infatti, proprio come il salotto Relax deve essere principalmente comodo. La comodità del Salotto Tv differisce però da quella del salotto Relax da un particolare: il fatto che la persona che vi è seduta, dovendo vedere la televisione, ha necessità di mantenere la testa in una posizione piuttosto “eretta”. In questo specifico caso assume un valore davvero notevole l’eventuale appoggio su cui si può contare per posarvi la nuca. La nuca infatti proprio per la sua stessa forma diventa l’unico sostegno possibile per la testa qualora si abbia la necessità di mantenerla in una posa piuttosto dritta. Per ottenere appoggi adeguati sono numerosi i sistemi che attualmente si trovano disponibili sul mercato a proposito di salotti; i più in voga sono quelli che permettono ai cuscini degli schienali dei divani di “alzarsi”, inclinandosi verso l’alto in modo da creare l’appoggio ideale per la testa. Attraverso queste speciali soluzioni il corpo si adagia in maniera perfetta per la visione di un punto della stanza (nel nostro caso ovviamente è la TV) che dovrebbe essere posto ad un’altezza non inferiore ai 120 cm. In tal modo la testa può rimanere inclinata quel tanto che basta per poter giacere comodamente.
In merito alla comodità, un ruolo davvero notevole lo giocano la posizione delle gambe. Quando il corpo si rilassa infatti ha bisogno di bilanciare i flussi sanguigni e per questo motivo prova sollievo quando si sollevano le gambe potendole poggiare su di un sostegno. A tale scopo è possibile utilizzare sia sistemi considerabili in qualche modo “fissi” (come possono essere le varie Chaise Longue, penisole o i Pouf) e dei sistemi estraibili come quelli utilizzati nel caso dei salotti Relax. Questi sistemi, nel caso dello spettatore di un televisore, sono davvero utili; essi consentono infatti di usare tali sostegni solo e soltanto nel momento in cui si comincia a guardare la televisione, senza che essi rimangano ad ingombrare davanti al salotto quando non servono. Ne esistono di diversi tipi; quelli più comuni sono quelli che prevedono l’estrazione del cuscino inferiore della poltrona o del divano, fino al punto di divenire una vera e propria penisola. Altri invece, anche grazie a meccanismi meccanici o elettrici, sollevano la parte sotto il cuscino della seduta in questione fino ad ottenere un vero e proprio “poggiapiedi”. E’ ovvio che parlando proprio in termini di comodità, le soluzioni “automatiche” sono quelle che risolvono meglio certi tipi di problematiche; ma bisogna assolutamente tener ben presente un concetto: qualsiasi sia il tipo di meccanismo si consideri di inserire all’interno di un mobile imbottito come i divani e le poltrone, è assolutamente necessario che essi siano perfettamente integrati a livello estetico nel design complessivo del mobile. Ogni “forzatura” infatti, diventa in caso contrario assolutamente deleteria e pregiudica il risultato estetico complessivo in maniera a volte davvero molto grave.
Il salotto giorno/notte
Ci sono situazioni al giorno d’oggi che obbligano ad un utilizzo molto versatile delle stanze di cui è composta la casa. Le abitazioni, ormai si sa, sono sempre più piccole ed è quindi sempre più frequente la necessità, ad esempio, di dover allestire un salotto in modo da poterlo utilizzaresia come soggiorno che come camera da letto. In questo caso si tratta ovviamente quasi sempre di utilizzare divani, o comunque delle sedute, che consentano in qualche modo di poter essere trasformati in veri e propri letti.
Non è questo l’ambito in cui approfondiremo l’argomento riguardante il tema dei divani o delle poltrone-letto, prendendo magari in considerazione le tante peculiarità che possono caratterizzarli. In questo paragrafo infatti ci concentreremo nel precisare le regole necessarie da tenere ben presenti nel posizionare questo tipo “speciale” di imbottito all’interno di un salotto.
Cominceremo col dire che, in linea generale, ogni divano o poltrona che si può trasformare in letto, proprio a causa di questa particolare caratteristica, può vedere modificate anche di molto le proprie dimensioni e questa è ovviamente la cosa da tenere nella maggiore considerazione in questi casi. Il sistema più ovvio per progettare quindi un salotto che possa essere utilizzato anche per dormirci è quello di prevedere gli ingombri che quest’ultimo occuperà all’interno della stanza una volta trasformato.
I salotti trasformabili più comuni da trovare sono quelli che prevedono l’utilizzo di divani-letto; fra questi possono esservi sia versioni che prevedono la trasformazione in letti “matrimoniali” (le più comuni) sia versioni che contengono al loro interno soltanto dei letti singoli. Nel caso dei divani-letto matrimoniali ci troviamo di fronte probabilmente al tipo di mobile che più occupa spazio una volta aperto: generalmente un divano letto di dimensione normale misura circa 220 x 230 cm di profondità totale e questo fa capire abbastanza bene quanto sia importante aver ben chiaro dove esso debba essere posizionato nel proprio salotto. Generalmente, lo stratagemma più usato per far sì che un divano-letto una volta aperto non crei troppi impicci, è quello di posizionarvi accanto mobili che siano facilmente spostabili, come piccoli divani, tavolini o poltrone. In questo modo infatti sarà facilmente possibile creare lo spazio necessario per l’apertura, pur utilizzando al meglio quello stesso spazio quando il divano è in posizione “giorno”, cioè chiuso.
Uno spazio “notte” che si rispetti però, deve possedere alcuni requisiti: per prima cosa deve poter contare su dei piani di appoggio dove sia possibile posare gli oggetti che possono servire a chi sta andando a letto; occorre poi fare in modo che, per chi dorme in quella stanza, sia abbastanza comodo spegnere ed accendere la luce al momento del bisogno. Prevedere dunque queste possibilità anche in una stanza solitamente utilizzata come soggiorno, sarebbe auspicabile, per chi vuole usarla anche di notte. Per quanto riguarda gli appoggi, il discorso è abbastanza semplice: basta provvedere a posizionare un piccolo tavolino (due, nel caso del divano-letto matrimoniale) accanto alla seduta che verrà utilizzata come letto durante la notte. Per quanto riguarda la luce invece, il discorso si fa un po’ più complesso; in generale, quando il divano-letto è posizionato a ridosso di una parete, è preferibile utilizzare delle normali prolunghe e fornire ogni posto letto di una semplice lampada ad appoggio (una abat-jour, tanto per intendersi). Quando invece il divano è posto al centro delle stanza conviene rifornirsi di piccole lampade appoggio al led che, funzionando a batteria, consentono un ottimo utilizzo senza creare troppi impicci.
Attualmente le versioni di divano-letto più vendute (a parte ovviamente quello dritto, classico, con braccioli) sono quelle che prevedono composizioni complete di penisola. In questo caso ci troviamo di fronte ad un’altra tipologia di ingombro, creato dalla caratteristica trasformabilità del divano stesso. L’accostamento molto vicino di divano e penisola infatti, crea una particolare situazione in cui, quando il divano-letto è “aperto” in posizione notte, rimane praticamente “attaccato” alla stessa penisola, facendo sì che venga a mancare sia lo spazio per andare a letto da quel lato, sia per posizionarvi accanto un tavolino o una piccola luce. In questo caso è assolutamente necessario tener ben presente un concetto: l’uso di questo tipo di divano-letto, pregiudica in parte l’utilizzo “notte”, ma crea enormi vantaggi durante il giorno. Occorre quindi fare di necessità virtù ed utilizzare anche la seduta della penisola stessa come un vero e proprio “piano di appoggio”, capace di sopperire alla mancanza di un tavolino. Su di essa potremo dunque appoggiare gli oggetti di uso notturno ed utilizzarla anche per posarvi una lampada o una sveglia.
Il salotto “multifunzione”
Ed eccoci infine arrivati a quello che, sicuramente è l’uso più comune del salotto che può essere trovato nelle case moderne: quello “multifunzione”.
Ormai si sa, il salotto è diventato una sorta di “isola-social” all’interno della casa; e quanto è cambiato il modo di utilizzare il salotto ultimamente lo dimostrano le forme allungate, le sedute mobili, i pouf, i cuscini reclinabili e i meccanismi trasformabili che rendono ogni salotto molto versatile. Tutta questa “evoluzione” è avvenuta probabilmente a causa di un cambiamento epocale che sta interessando la società da tempo e che vede in alcuni ambienti della casa il luogo dove l’essere umano può ritrovare la dimensione più personale ed intima, pur restando sempre perennemente in contatto col mondo esterno.
Occorre farci l’abitudine: in salotto si fa e si farà sempre di più di tutto. Con i nuovi appoggi intorno alle sedute si mangerà, si scriverà, si rimarrà in contatto con gli amici e si potrà vedere la Tv. Con i nuovi meccanismi vi si potrà riposare o dormire. Sui pouf e sui tavolini bassi, potremmo trovare ogni cosa: Libri, riviste, telefono, cibo, tablet, telecomandi, joystick per i videogiochi ecc. Per questo motivo sarà sempre meno frequente trovare un “normale” divano a due o tre posti abbinato, come si usava un tempo a due comode ed ampie poltrone.
Tutto è cambiato: le sedute e gli schienali sono diventati più bassi, i cuscini dove ci si siede sono più ampi e profondi, tanto da superare a volte i 110 cm di profondità. Tutto ciò avviene con l’obiettivo di ottenere un comfort di utilizzo sempre maggiore ed “informale” proprio a discapito della dimensione più “composta” e tradizionale che avevano i salotti di un tempo.
Una volta il salotto doveva essere pronto per l’eventualità che “venisse qualcuno” perchè quel “qualcuno” (amici, parenti o vicini di casa), prima o poi sarebbe effettivamente arrivato. Adesso molto meno. Il salotto ha assunto dunque una sua funzione “intima” che difficilmente avrà modo a breve di cambiare.E’ stato internet a modificare questo concetto di “ambiente casa”. Grazie all’accesso a tutte le informazioni del mondo, al poter lavorare o ordinare del cibo, al restare perennemente ed immediatamente in contatto “diretto” con gli amici ed i parenti anche se stanno all’altro capo del pianeta. Per questo non c’è spesso più bisogno di “tanti posti a sedere” e si preferisce di gran lunga aver poche sedute ma davvero molto comode. Anche le composizioni “ad angolo” che, ad esempio, quasi sempre vengono considerate per il numero di persone che possono ospitare, quasi mai al giorno d’oggi vengono acquistate per quello ma bensì per la loro capacità di poter creare quegli spazi facilmente trasformabili (ecco la multifunzionalità) da seduta a comodo giaciglio.
Un soggiorno, attualmente, quasi sempre deve possedere caratteristiche tali da poter avere funzioni anche molto differenti fra loro ed è per questo che alcune tipologie di salotto sono preferite rispetto ad altre.
Un salotto multifunzione deve insomma essere in grado di racchiudere dentro di sè tutte le caratteristiche degli altri salotti che abbiamo descritto in queste pagine: deve essere bello, deve poter sostenere adeguatamente una persona mentre riposa, ma deve, all’occorrenza, anche essere capace di sostenerla mentre sta parlando con un altra. Deve essere comodo per chi vuol vedere la Tv, ma anche per chi ha necessità di lavorare al computer o col proprio tablet. Deve permettere a chi vi siede di consumare qualche rapido spuntino ma anche di poter sostenere con tranquillità una lunga conversazione tramite “chat”. Insomma, il salotto deve essere in grado di sopperire oggi ad ogni necessità che l'”homo social” ha e che potrà avere in futuro. Una cosa che è più facile a dirsi che a farsi.
In effetti, con le case moderne, non è raro trovarsi in difficoltà per chi deve progettare il proprio salotto. Quando lo spazio a disposizione è poco si è costretti a sfruttare ogni centimetro e quindi, per valutare al meglio gli ingombri, nei moderni salotti multifunzione è necessario partire proprio dall’importanza che si intende dare ad ogni singola funzione per destinare ad ognuno di essa lo spazio vitale necessario. Ci troveremo dunque a valutare preventivamente quanto tempo e spazio vorremmo destinare alla visione delle Tv; dovremo prevedere se sarà necessario predisporre delle sedute necessarie per gli ospiti; oltre a tenere in considerazione l’eventuale necessità di un ulteriore posto dove dormire in casa e dovremo far tutto questo senza dimenticare che, bene o male, il soggiorno rappresenta spesso il “fulcro” della casa e, per questo motivo, esso va allestito ed arredato seguendo dei canoni estetici che ci consentano di “non vergognarci di noi” qualora ricevessimo degli ospiti. Troppo spesso infatti, diventa proprio quest’ultimo il problema più importante dei salotti multifunzione: il nostro desiderio di trovare soddisfazione ad ogni nostra possibile esigenza ci fa prediligere alcune scelte che, alla fine, creano risultati estetici catastrofici. E’ il caso di chi pretende di arredare un salotto senza destinare un budget adeguato all’importanza che questo ambiente ha all’interno della casa. Ciò è deleterio e rischia di divenire un vero e proprio “problema sociale”. La lunghissima crisi economica che ha interessato il nostro paese, ha infatti spesso portato la gente a dare meno importanza ai fattori estetici e qualitativi degli arredi, prediligendo quelli “pratici” ed esclusivamente economici. Questo ha creato una generazione di persone che vivono in ambienti in cui nessuno vorrebbe vivere, ma a cui, spesso a causa della loro stessa situazione economica, essi sono costretti. In realtà questo non è solo un problema di soldi, ma anche (e soprattutto) di priorità: chi si lamenta di non avere i soldi sufficienti per fare un salotto bello e qualitativamente adeguato, è spesso chi quei soldi li destina a spese che non sarebbero altrettanto necessarie. Vivere bene la propria vita infatti, e viverla sopratutto in luoghi dove sia piacevole viverla dovrebbe essere una delle cose più importanti per ognuno di noi. Sempre.
Conclusioni
Speriamo che la nostra guida su come scegliere un letto imbottito ti abbia fornito le informazioni necessarie per prendere una decisione consapevole e soddisfacente. Presso Griva Arredamenti, siamo pronti ad aiutarti a realizzare arredamento su misura.
Ti invitiamo a visitare i nostri showroom di Pinerolo e Torino, dove potrai scoprire di persona la qualità e l’eleganza dei nostri mobili. Potrai toccare con mano i materiali, valutare le soluzioni di spazio e ottenere consigli personalizzati dai nostri esperti.
Se hai domande o desideri ulteriori informazioni, non esitare a contattarci. Saremo felici di fornirti tutte le risposte di cui hai bisogno dai nostri esperti interior designer.
Da quando intorno agli anni settanta, nelle Tv italiane, si sono cominciate a vedere in Tv le prime cucine “con penisola” di provenienza ovviamente americana, è nato anche qui da noi il desiderio di possedere questa particolare tipologia di mobile. Da allora, la cucina con penisola è pian piano diventata quasi un “cult”, un vero e proprio “oggetto del desiderio” che l’hanno resa sempre più comune da trovare nelle case di tutta la nostra penisola.
La cucina con penisola però, nonostante la sua ampia diffusione, rimane in effetti un “sogno proibito” per molti di coloro che la vorrebbero: le case sono piccole, le ristrutturazioni costano, le cucine attuali non consentono facili spostamenti e succede così che questi “ambiziosi” progetti finiscano spesso per restare tali.
Ma perché le cucine con penisola sono così ambite? Quali sono i vantaggi che esse consentono di ottenere? E, soprattutto… perché si incontrano così tante difficoltà nel realizzarle? In fin dei conti, le “penisole” sono dei semplici prolungamenti del piano di lavoro che “spezzano” la cucina in aree separate ma comunicanti fra di esse.
In una cucina già completamente arredata, ma anche in un locale da progettare dal nulla, l’inserimento di una sezione sporgente supplementare può risolvere molti problemi logistici di organizzazione spaziale. Si tratta solitamente di un vero prolungamento dei mobiletti di base, completo di piano d’appoggio, che funge da vera e propria “isola operativa”, la quale, nel caso che lo spazio scarseggi, può però ridursi anche a un semplice tavolo a ribalta o a un piccolo bancone.
L’elemento “a penisola” in una cucina è quindi consigliabile in tutti i casi in cui serva un divisorio tra due zone dello stesso locale: in quelli in cui si ha la necessità di creare una sorta di “strapuntino” su cui consumare dei pasti, oppure in quei casi in cui il piano di lavoro, che “naturalmente” si verrebbe a creare nello sviluppo di una normale composizione di mobili componibili, sia carente dal punto di vista prettamente funzionale. Se stiamo progettando dunque una sistemazione del tutto innovativa della nostra stanza, bisogna tener presente che un prolungamento delle basi può rivelarsi estremamente versatile e risolvere numerosi problemi: ad esempio, permettendo l’incasso di un lavello, di un piano cottura o un forno, nella parte sottostante come contenitore supplementare.
In linea generale si può senz’altro dire che potrà indirizzarsi verso la cucina con penisola chi possiede una cucina con pianta grande e quadrata: in molti casi essa diventerà infatti più funzionale con l’aggiunta di una componente centrale che funga da centro operativo. Naturalmente, i mobiletti collocati in questa zona saranno visibili da entrambi i lati (il fronte e il retro) e, a tale proposito, le case produttrici hanno ideato degli elementi rifiniti con pannelli o con doppie antine che possono essere utilizzati in qualche caso addirittura da entrambi i lati come contenitori.
La “progettazione”, in questi specifici casi, diventa un fattore di importanza basilare. Una cattiva disposizione dei mobili di cucina può causare un grave dispendio di energia; quando la progettazione è curata nei minimi particolari, invece, si può risparmiare molta fatica nelle fasi di preparazione e di servizio dei cibi. Nel nostro caso specifico questo “assioma” risulta essere particolarmente vero: dato che l’elemento a penisola si protende verso il centro della stanza, infatti, è essenziale studiarne attentamente la posizione, soprattutto se la cucina è piccola. Un mobile sistemato in modo errato può diventare altrimenti un vero ostacolo.
Le risposte indispensabili.
Quando si ha l’idea di realizzare in casa propria una cucina con penisola, prima di iniziare il progetto vero e proprio, occorre definire le priorità e prevedere anche le possibili esigenze future. Bisogna considerare il nostro stile di vita, l’architettura della nostra casa, le nostre abitudini culinarie, la frequenza con cui abbiamo l’abitudine di ricevere ospiti e la presenza o meno, nella nostra abitazione, di uno spazio esclusivamente destinato al pranzo. Così facendo, gradualmente, lo stile e la configurazione della cucina che desideriamo, prenderanno forma e cominceremo a renderci conto delle difficoltà che a volte si incontrano in un progetto di questo tipo. Sarà infatti a quel punto che occorrerà decidere se è preferibile affidare il progetto, totalmente o in parte, a un professionista, oppure optare per il “fai da te”. Tale scelta è di importanza basilare e va fatta ben sapendo che una cucina di questa particolarissima morfologia richiede delle conoscenze, sia architettoniche che prettamente funzionali, difficili da ottenere.
Le domande a cui dobbiamo innanzitutto rispondere sono bene o male queste:
- Dobbiamo progettare una nuova cucina rispettando il carattere originario della casa o possiamo contare su di una ristrutturazione tale da creare gli spazi necessari?
- Una volta appurata la possibilità di ampie demolizioni e l’effettuazione delle eventuali “aperture” necessarie, abbiamo considerato gli elementi strutturali esistenti che non possono essere in nessun caso rimossi, quali pilastri o canne fumarie?
- Quante porte e finestre ci sono in stanza? Si aprono verso l’interno o l’esterno? Sono posizionate in maniera corretta o potrebbe essere conveniente variare la loro collocazione? Questo è possibile?
- Con quale assiduità utilizziamo la nostra cucina?
- Quali attività intendiamo svolgervi? Preparazione e cottura dei cibi; conservazione degli alimenti, consumo quotidiano dei pasti, ricevere gli ospiti, lavare, guardare la televisione? O magari anche “ufficio” e studio?
- Chi utilizza la cucina? Siamo single, una coppia che lavora senza figli ma che magari fa parte di una famiglia più numerosa? Abbiamo o avremo bambini molto piccoli?
- Prevediamo di dover possedere in cucina una specifica zona pranzo da utilizzare con delle sedie, come può essere un tavolo? Ma abbiamo spazio per poterlo ospitare in stanza in concomitanza con un banco per la colazione o un elemento a isola?
- Siamo dei cuochi esperti o ci nutriamo di cibi in scatola, surgelati o precotti?
- Quanto tempo dedichiamo ai tre pasti principali della giornata e agli eventuali spuntini? A proposito di quest’ultimi, è necessario prevedere la presenza frequente di bambini o ragazzi per la merenda del pomeriggio?
- Abbiamo animali che mangiano e dormono in cucina?
- La nostra cucina deve essere usata agevolmente da una persona disabile o anziana o adattata alle sue esigenze?
Una volta risposto a tutte queste domande, consideriamo bene le dimensioni e la forma della nostra cucina e dunque domandiamoci se essa è abbastanza grande per svolgervi le attività che abbiamo programmato e contenere altresì gli elettrodomestici e gli elementi contenitori di cui abbiamo bisogno, senza che un eventuale bancone o penisola siano di ingombro. Proviamo a disegnare la pianta della cucina su carta millimetrata, evidenziando i punti cruciali in cui si concentra il lavoro e i percorsi da seguire per spostarsi da uno all’altro. In una cucina in cui aggiungeremo l’elemento a penisola, metteremo anche due o più sedie intorno all’area in cui pensiamo di inserire il nuovo componibile e ci accerteremo che non risulti di intralcio. Se la risposta è no, in base ai nostri tempi e alla nostra disponibilità economica, sarà a quel punto possibile ampliare lo spazio operativo e aggiungere questo importantissimo elemento di arredo.
E una volta realizzato questo sogno ed effettivamente costruita la propria cucina con penisola, su quali fantastici vantaggi potremo finalmente contare? Vediamone alcuni:
Per fare colazione
Anche in una cucina molto piccola è utilissimo un angolo in cui preparare e consumare la prima colazione. In molte delle foto presentate in questo articolo, un elemento a penisola sporge all’estremità di una linea di componibili senza però interrompere la continuità del piano di lavoro. Le mensole o i pensili posti sopra il tavolo/bancone non ingombrano ma offrono il supporto ideale per disporre oggetti ornamentali o funzionali. Il piano del bancone sporge su più lati in modo che due o tre persone possano sedersi attorno abbastanza comodamente; i top destinati a questo uso danno alla penisola una linea pulita, però permettono di essere usati proprio come dei veri tavoli. Insomma, tutto concorre a far sì che sia comodissimo sedersi in maniera semplice e veloce intorno al bancone per fare colazione.
In verità sarebbe meglio fare colazione come si vede a volte in quei film inglesi in cui, come è spesso norma nel mondo britannico, di mattina ci si siede tranquillamente a tavola gustando un pasto vero e proprio, magari mentre si legge il giornale appena giunto alla porta di casa. Ma la nostra realtà quotidiana invece è ben diversa: tutti andiamo a lavorare, tutti abbiamo poco tempo, tutti la sera abbiamo da fare fino a tardi ma i bimbi devono essere accompagnati a scuola alle otto, gli uffici e le fabbriche aprono presto e si finisce dunque quasi sempre per avere pochissimo tempo da destinare al primo importantissimo pasto. E allora? Come fare per rendere tutto più rapido e funzionale ma al tempo stesso comodo e rasserenante? Basta creare uno spazio apposito dove sia possibile sedersi in modo informale, consumare un pasto senza nemmeno apparecchiare ed avere la possibilità di bere un buon caffè, un caldo caffellatte o un fresco succo d’arancia, proprio come faremmo al bancone di un bar. Per ottenere questo, sono indispensabili due cose: un piano di appoggio che non abbia una superficie inferiore ai 60 cm e uno spazio prospiciente equivalente, ove sia possibile alloggiare una sedia o uno sgabello. A quel punto il gioco è fatto! Ci sarà tranquillamente agevole poggiare in maniera molto veloce un bel vassoio di biscotti o di piccoli spuntini salati, una caraffa di latte, due caffè e magari un buon succo di frutta e consumarli in maniera molto comoda prima di uscire per andare a scuola o al lavoro.
Come divisorio fra cucina e zona giorno
Un elemento a penisola, come si è detto, è una soluzione molto valida per separare la zona pranzo da quella di preparazione dei cibi. Oltre al vantaggio di avere a disposizione una maggiore superficie di lavoro, attraverso questo elemento d’arredo è infatti immaginabile creare un’atmosfera più rilassata nella zona pranzo, magari posta di fronte alla cucina, pur avendo a portata di mano tutto ciò che occorre per cucinare. In una cucina di grandi dimensioni la penisola può dunque benissimo diventare il punto focale della stanza e occupare anche una porzione considerevole di spazio. In questo caso, oltre a una parte bassa composta da mobili “base”, essa può includere anche elementi sospesi al soffitto (come delle mensole) oppure montati in appoggio sopra le basi stesse, a volte posti allo scopo di creare dei veri e propri rialzi.
In una cucina dalle misure ridotte, conviene invece optare per un mobile che non superi in altezza il piano di lavoro e non ingombri eccessivamente. Facendo dunque attenzione a non alterare il calibrato gioco di proporzioni, ci sarà possibile sistemare un elemento sporgente anche nella cucina più compatta. Alcuni produttori presentano una variante più comoda del semplice prolungamento della basi: si tratta di un bancone snack formato da un piano d’appoggio leggermente più ampio rispetto ai mobiletti di sostegno, in modo da lasciare spazio per le gambe di chi è seduto. Esso è vuoto sotto e, inoltre, per adattarsi alla pianta del locale può essere non posizionato perpendicolarmente in linea retta ma può formare un angolo diverso, dando al bancone stesso una forma originale ed inusuale.
Un caso molto frequente di questo tipo di uso della penisola è quello che si ha quando il piano di lavoro viene appoggiato ad un vero e proprio “muretto”. Questo avviene quando la necessità di separazione fra due zone dello stesso ambiente è particolarmente accentuata oppure quando si vuole separare gli ambienti anche a livello stilistico. La penisola di una cucina componibile ha infatti, sia internamente che esternamente, delle caratteristiche che rispecchiano quelle dei mobili da cui la cucina stessa è composta. Questo, in qualche caso, può risultare un problema quando all’esterno di quest’ultima, si vanno ad accostare arredi che poco hanno a che fare con la cucina a livello stilistico. Una penisola dotata di un muretto di separazione può risultare un’ottima soluzione a questo tipo di problema, perché consente di disgiungere nettamente due ambienti pur senza creare divisioni fisiche che a livello ottico possono risultare deleterie.
Per alloggiarvi la zona “Lavaggio”
A volte l’elemento “a penisola” in una cucina, si rivela molto utile per inserirvi un elettrodomestico di grandi dimensioni, come un forno o un lavello, che altrimenti si avrebbe difficoltà nel sistemarlo “a parete”. Questa soluzione si dimostra dunque particolarmente efficace qualora si desideri disporre gli elettrodomestici in un’unica zona della cucina ma la parete non è abbastanza lunga per ospitarli tutti ed è altrettanto utile quando vorremmo inserire un elettrodomestico in più, ad esempio un’asciugatrice, ma non abbiamo assolutamente spazio per farlo. Per adibire una zona “lavaggio” in una penisola, ad esempio, è possibile farlo utilizzando dei mobili capaci in qualche modo di “prolungare” la linea solitamente dritta dei mobili base, verso il centro della stanza. In questo caso i componibili con ripiani girevoli, che vengono solitamente usati negli angoli delle cucine, sono estremamente utili da utilizzare nel punto in cui la penisola si unisce alle altre basi. In quel modo sarà infatti possibile creare dei veri e propri prolungamenti, in cui sarà facilissimo inserire qualsiasi tipo di lavello ma anche ogni lavastoviglie, lavatrice o asciugatrice.
In questo caso è opportuno ricordare che sarà necessario realizzare anche un allacciamento con le tubature dell’acqua: si tratterà di un intervento più semplice rispetto a quello che viene svolto nel caso della cucina a “isola”. Infatti le tubature stesse si possono nascondere dietro i componibili. Una volta effettuate le dovute predisposizioni (acqua calda, acqua fredda e scarico), inserire un lavello in un elemento a penisola è un’impresa piuttosto semplice. La collocazione del lavello al centro della stanza è però sicuramente più particolare di quella contro la parete: solo nel primo modo infatti le vasche risultano accessibili da entrambi i lati e questo può creare a volte il problema dei piccoli schizzi che possono fuoriuscire dal lato posteriore del lavello. Per evitare questo problema, la cosa più logica da fare è quella di progettare il piano di lavoro in cui sarà alloggiato il lavello, con una profondità tale da impedire la dispersione di acqua nell’ambiente.
Come un vero e proprio Bar
A pensarci bene, si può senz’altro immaginare che il design delle attuali cucine a penisola abbia a suo tempo preso spunto proprio dai “banconi” che caratterizzano i locali commerciali, dove si è soliti consumere alimenti e bevande in piedi oppure seduti su degli sgabelli dotati di altezza adeguata. I veri banconi del bar hanno però una caratteristica peculiare che li rende particolarmente pratici per il loro uso: la doppia altezza del piano di appoggio. In questo caso infatti solitamente, il bancone ha un’altezza di circa 90/95 cm dal lato dove lavorano gli operatori, mentre raggiunge i 110 cm dal lato degli avventori. Anche nelle cucine, questo tipo di disposizione è spesso utilizzato; il suo impiego è in verità più in comune nel resto d’Europa, piuttosto che in Italia, ma anche da noi è possibile trovarlo, magari nelle case particolarmente grandi. A prima vista la differenza che salta di più all’occhio di chi vede un bancone penisola “bar”, è l’altezza degli sgabelli che servono per raggiungere facilmente il suo piano. Essi, in questo caso, dovranno infatti avere un’altezza di seduta intorno ai 70/75 cm e dovranno essere dunque abbastanza più alti di quelli che si utilizzano con le penisole alte 90 cm.
In realtà però, la vera differenza fra un bancone penisola bar e un bancone normale sta nella ridotta disponibilità di piano d’appoggio, il quale offre però una maggiore praticità dovuta all’altezza “maggiorata” che rende più comodo il consumo di bevande e alimenti. Nel caso del bancone da cucina altezza Bar, ci troveremo dunque di fronte ad un piano di lavoro la cui profondità risulta spesso divisa circa a metà da una mensola “rialzata” che funge da piano d’appoggio per chi rimane dal lato esterno al bancone stesso. Dal lato interno invece, essa diviene una sorta di “coperchio” per un rialzamento utile per riporre bicchieri o altre stoviglie. Il bancone “bar” quando è posizionato in cucina, può dunque essere utilizzato per il suo scopo “originale” (quello di poter servire da bere a degli ospiti), ma può risultare utile anche in tutte quelle situazioni in cui sia necessaria una separazione più “netta” fra l’interno e l’esterno della cucina componibile stessa. E’questo il caso che si incontra quando, ad esempio, ci si trova in stanze particolarmente grandi, oppure quando (come vedremo nel paragrafo successivo) viene alloggiato un piano cottura internamente alla superficie del piano della stessa penisola.
Per alloggiare forno o piano cottura
Come quando avviene di dover posizionare una zona lavaggio all’interno di una penisola, anche nel caso della “zona cottura” risulta a volte essere molto utile poter contare su di un piano di lavoro aggiuntivo, che permetta di alloggiarvi comodamente un bel piano di cottura, oppure un forno. Il caso più frequente è ovviamente quello che prevede l’inserimento del piano di cottura, per il quale è assolutamente opportuno adottare alcune importati accortezze: per prima cosa è da considerare il fatto che quando si installa un elettrodomestico all’interno di una penisola, quest’ultima deve avere una profondità tale da poterlo contenere. La profondità minima che è possibile considerare in questi casi è di 60 cm ma è necessario valutare anche che, se si posiziona un piano di cottura in un bancone penisola troppo preciso, si corre il rischio di creare dei problemi di sicurezza non indifferenti.
Una volta progettate bene le dimensioni, risulta assolutamente necessario porre la dovuta attenzione alla praticità di istallazione, posizionando il piano di cottura in una zona dove sia possibile facilmente arrivare col tubo del gas e dove sia possibile in maniera relativamente semplice collocare una cappa. Quello della “cappa”, nel caso delle cucina a penisola o ad isola, è un argomento davvero molto ampio che meriterebbe un paragrafo a sé*; nel nostro caso ci limiteremo a dire che, in quelle composizioni a penisola ove si decide di inserire un piano di cottura, la cappa diventa un elemento di importanza basilare che è necessario progettare facendo molta attenzione alla sua posizione ed alle possibilità che vi sono per provvedere al suo allaccio. La cappa infatti, in questo specifico caso, viene posizionata ancorandola al soffitto anziché a parete e questo presuppone che il soffitto abbia una giusta altezza (né non troppo alto, né troppo basso) e che sia possibile, attraverso di esso provvedere a fornire la cappa stessa degli allacci dell’elettricità e del tubo di sfiato. Una situazione dunque abbastanza complicata, che ha suggerito ai produttori di elettrodomestici la creazione di zone di aspirazione interne al piano di cottura o al bancone stesso, in modo da evitare i complicati allacci della cappa sospesa.
Per quanto riguarda il piano cottura, esso non ha bisogno di altrettanta attenzione a proposito di allacci. Infatti essi potranno essere facilmente ottenuti passando attraverso i mobili che, nel caso del bancone “a penisola”, saranno per loro stessa natura attaccati a quelli delle basi poste a parete e fornite di allacci elettrici e del gas. Un discorso a parte riguarda invece la sicurezza: un piano di cottura infatti, quando non è posizionato “ a parete”, presenta il problema di rimanere in pratica “scoperto” (cioè privo di separazioni fisiche) da tutti i lati. Questo fatto deve essere opportunamente considerato quando si progetta una cucina con penisola con incassato un piano di cottura perché, in caso contrario, potrebbero presentarsi diversi problemi di sicurezza. Il piano di cottura in questa situazione può essere considerato fonte di pericolo perché ad esempio, quando acceso, potrebbe causare delle bruciature a chi si trova dal lato esterno del banco penisola. Per ovviare a questo problema è possibile sia fornire il retro del piano di cottura di opportune sicurezze (esistono a tal proposito in commercio delle apposite paratie), sia provvedere il bancone di uno “scalino” che, come nel caso del “bancone bar”, formi una sorta di “schienale” che funzioni automaticamente anche da protezione per chi magari si siede di fronte per fare colazione.
Ben più facile l’installazione di un forno il quale, a parte lo spazio necessario al suo incasso (che è pari circa ad un cubo di 60 cm per ogni lato), richiede soltanto uno spazio di fronte per permetterne l’apertura in maniera comoda, cosa non sempre facile quando si parla di cucine a penisola.
Come contenitore aggiuntivo
Uno dei “plus” in assoluto più graditi da chi pensa di inserire in casa propria una cucina con penisola, è senza dubbio il volume aggiuntivo che si riesce ad ottenere sfruttando come contenitore anche la parte sottostante al bancone. Questo spazio infatti, essendo del tutto in aggiunta a quello che risulta utilizzabile nei mobili a parete, può rappresentare molte volte la soluzione ideale per chi non possiede mobiletti base sufficienti a contenere tutte le stoviglie. Questo tipo di composizione oltretutto consente uno sfruttamento dei mobili che altre tipologie non permettono perché il volume interno può essere usato addirittura da due lati. E’ questo il caso che si incontra quando si è di fronte ad un bancone penisola “bifacciale”, il quale, essendo dotato di aperture da entrambi i lati, può facilmente essere utilizzato da qualsiasi parte del bancone ci si trovi. I banconi bifacciali esistono principalmente di due tipologie: quelli che si aprono da entrambi i lati verso lo stesso spazio interno e quelli che al contrario fanno capo a due diversi spazi, separati fra di loro da uno schienale.
Quello che differisce nella maggior parte dei casi, fra queste due tipologie di mobile penisola bifacciale è la profondità, la quale, nel caso le antine aprano tutte sul solito spazio, è solitamente non superiore ai 60 cm, mentre, nel caso esse aprano su due spazi separati, supera a volte anche il metro di profondità totale. In linea di massima però si può senz’altro dire che un bancone penisola, quando è progettato allo scopo di ottenere del volume aggiuntivo in cucina, non ha grossi problemi di misure: esso può sporgere dai mobili base a parete anche solo di un elemento, così come può, al contrario, diventare una vera e propria appendice “protagonista”, con misure superiori ai 3 metri cubi di volume. Questo è possibile grazie alla presenza in commercio di una notevole quantità di soluzioni compositive a livello di mobili da cucina e al fatto che esistono strutture commerciali, come “La Casa Moderna”, che consentono realizzazioni effettivamente realizzate su misura e personalizzate al cliente.
Un pochino più restrittiva diventa però la situazione quando, al posto delle ante, si decidono di inserire all’interno del bancone di una penisola degli accessori, quali possono essere dei cestelli estraibili e cassetti. In quei casi, è assolutamente necessario tener presente il fatto che tali complementi non possono essere prodotti in tutte le misure e, per questo motivo, è opportuno considerare preventivamente il loro utilizzo in modo da prevederne meglio l’inserimento. In linea di massima si può dire che un bancone, quando deve contenere dei cassetti o dei cestelli, deve possedere almeno una profondità di 50/60 cm e deve sporgere dalle basi a parete per almeno altrettanto. La cosa che avviene però più di frequente è l’inserimento di questo tipo di accessori all’interno di banconi penisola dimensionalmente molto ampi.
Per fare merenda
Ben diverso è il discorso per chi vuole allestire un bancone penisola soltanto per farne un uso molto più rapido e pratico, come avviene per coloro che lo utilizzano per fare merenda. Il caso non è affatto raro e specie quando in famiglia ci sono dei bambini non proprio piccolissimi oppure dei ragazzi anche molto grandi, è facile incontrare la necessità di fornire la propria cucina con una sorta di strapuntino dove poggiarsi per fare merenda o consumare un rapidissimo spuntino a mezza mattina. In questa circostanza infatti, una piccola estensione verso il centro della stanza può divenire sfruttabile non solo per gli usi “di cucina” ma anche per attività alternative come appunto mangiare in modo svelto ed informale, leggere, scrivere oppure studiare. Questo perché anche un semplice piano aggettante, sia pure di dimensioni molto ridotte, può rivelarsi utilissimo come superficie aggiuntiva. In questo caso si tratta infatti esclusivamente di “superficie”, cioè di un piano di lavoro o di appoggio quasi sempre completamente vuoto sotto che con delle misure anche molto contenute, fuoriesce dal piano che sovrasta i componibili base della cucina.
Per costruirlo i metodi sono tantissimi, praticamente infiniti; il più comune è quello che si adotta quando si fa in qualche modo proseguire il “top” della cucina facendolo sporgere verso il centro della stanza e dotandolo di un sostegno inferiore, quale può essere una gamba o una staffa sporgente a mensola. Vi sono anche situazioni particolari che richiedono, per motivi di poco spazio, che queste “appendici” siano presenti solo quando ce ne sia effettivamente bisogno. Per quelle situazioni sono disponibili in commercio, o possono comunque essere realizzati su misura, degli speciali elementi “estraibili” o “a ribalta” che consentono di essere riposti una volta che non servono e che potrebbero divenire d’impiccio. I sistemi anche per questo tipo di costruzione sono molteplici: si va dai piani estraibili che si “tirano fuori” dalle basi della cucina stessa come fossero un cassetto, fino ad arrivare a elementi attaccati al muro a mo’ di mensola che, una volta ribaltati (verso l’alto o il basso a seconda del tipo di meccanismo adottato), diventano dei veri e propri piani penisola utilizzabili a tutti gli effetti come superfici d’appoggio.
Questa tipologia di bancone dunque, per sua stessa natura, si presta ad essere la tipologia senz’altro più versatile di bancone penisola; infatti può essere prodotta anche in forme molto originali ed estrose, da sfruttarsi in molteplici situazioni e per numerosi usi. Non è infatti difficile imbattersi in piani penisola dotati di forme anche molto strane e questo ha dato spesso la possibilità ai progettisti di sbizzarrirsi anche in creazioni molto particolari e dotate di una forma che consente di risolvere problemi di spazio, anche molto difficili da risolvere con altri tipi di composizioni.
Per pranzare
Un discorso a parte lo merita la penisola quando viene progettata per poterci consumare sopra un vero e proprio pasto, come possono essere il pranzo e la cena. Qui il discorso si fa un po’ più complesso e, a tal proposito, vale la pena andare a rileggersi quelle che sono le domande che abbiamo posto come “presupposti” all’inizio di questo articolo.
Le risposte a quelle domande infatti ci potranno essere estremamente utili per decidere in che modo provvedere a sfruttare uno spazio che, in qualche modo, decideremo di “rubare” alla stanza predisposta alla preparazione dei cibi (la cucina appunto) per potervici pranzare attraverso una appendice della cucina stessa. Tale appendice, a differenza di molte di quelle che abbiamo preso in considerazione finora, non potrà avere qualsiasi dimensione, ma dovrà altresì possedere delle proporzioni tali da consentire una certa comodità d’uso. Non c’è niente di più avvilente infatti di dover pranzare tutti i giorni in uno spazio troppo angusto o che non si addice per forma o proporzione a mangiarci sopra con la necessaria tranquillità e comodità. Dovrà dunque essere buona norma per il progettista il considerare bene gli spazi disponibili e valutare, anche insieme a chi dovrà abitare l’ambiente, se è più opportuno optare per una penisola (magari coniugata in una delle forme che adesso vedremo), piuttosto che decidere di adottare il classico tavolo da pranzo.
In linea di massima sono tre le tipologie di penisola che è opportuno prendere in considerazione quando si ha intenzione di utilizzarla per pranzare. La prima è quella che prevede un piano di appoggio sporgente rispetto ai mobili da cucina che però rimane alla stessa altezza degli altri piani di lavoro. In tal caso il piano in questione dovrà avere delle dimensioni di circa 60 cm quadri di superficie per ogni commensale e dovrà essere utilizzato tramite degli sgabelli di un’altezza pari a circa 65/70 cm. Il secondo caso è quello che prevede invece la costruzione di un’appendice della cucina formata da un piano dotato di un’altezza pari a quella di un vero e proprio tavolo. In questo caso la penisola diventa molto comoda, non è sfruttabile sotto in alcun modo ma consente di essere utilizzata con delle sedie, anziché con degli sgabelli alti; e’ quindi ad esempio consigliabile per quelle famiglie che hanno dei bambini piccoli.
Per chi predilige questo uso non è raro adottare delle soluzioni che possono essere considerate delle vere e proprie “vie di mezzo” fra un bancone penisola e un tavolo; si tratta di utilizzare il bancone creandogli una struttura autoportante completamente indipendente dai componibili della cucina. In questo modo sarà possibile ridurre lo spazio al minimo quando si utilizzerà tale superficie di appoggio come piano penisola attaccata alla cucina ma sarà altresì possibile “staccarla” da essa, in modo da trasformare la penisola in un vero e proprio tavolo da usare, ad esempio, quando arrivano degli ospiti in più. Vi è poi una terza tipologia che prevede di pranzare su di una superficie sempre aggettante rispetto al piano della cucina ma dotata di un’altezza superiore così come avviene col bancone “tipo bar”. In questo caso, le superfici disponibili per il pranzo sono generalmente più contenute (la profondità difficilmente supera i 45 cm) ma le loro altezze rendono il bancone particolarmente agevole, nonostante siano utilizzabili solo attraverso l’uso di sgabelli molto alti, proprio come avviene nei locali pubblici.
Quello che è importante prima di scegliere quale tipologia di bancone utilizzare quando si prevede di pranzarvi, è rendersi bene conto di quelle che sono le proprie esigenze e le prerogative della stanza e degli arredi che si ha a disposizione. A quel punto, sarà più facile decidere per una versione piuttosto che per un’altra e sarà dunque senz’altro possibile evitare errori difficili da risolvere una volta allestito l’ambiente.
Come ulteriore piano di lavoro
Ed eccoci infine all’uso più gradito ed in fin dei conti più ricercato dei banconi penisola da cucina: quello di piano di lavoro aggiuntivo.
La carenza di piano di lavoro è infatti spesso il vero problema che attanaglia chi acquista una cucina componibile per la propria famiglia. Le stanze purtroppo, sono spesso troppo piccole per potervi alloggiare delle grandi superfici da poter utilizzare per la preparazione dei cibi e le moderne cucine. Al contrario di ciò che avveniva qualche tempo fa, non vengono più esclusivamente utilizzate per cucinare, ma diventano invece molto spesso il luogo “conviviale” della casa, un luogo in cui si cucina ma anche spesso si pranza, si lavora e addirittura si studia.
Di conseguenza, i piani di appoggio che originariamente erano destinati al loro uso per così dire “naturale”, diventano al contrario dei veri e propri contenitori dai più differenti usi: ci si possono trovare appoggiate le stoviglie, i piccoli elettrodomestici, dei piccoli forni, le macchine espresso, i robot da cucina, i depuratori d’acqua e chi più ne ha più ne metta, fino ad arrivare a situazioni estreme in cui, paradossalmente, viene a mancare proprio lo spazio per cucinare. In questi casi diventa di fondamentale importanza poter contare su dei piani di appoggio “addizionali” da utilizzare al momento del bisogno. Per fortuna sono davvero numerose le possibilità su cui si può contare quando si ha intenzione di progettare un piano bancone penisola da utilizzare come piano d’appoggio: si può prevedere una sporgenza più o meno accentuata del piano di lavoro della cucina, la quale potrà avere anche forme molto bizzarre ed originali; si può provvedere a creare una vera e propria appendice “sospesa” che in qualche modo possa essere utilizzata come piano d’appoggio senza però essere appoggiata a terra. Si può inoltre contare su uno dei tanti meccanismi che permettono di estrarre in qualche modo dai mobili della cucina dei piani di lavoro aggiuntivi che non sono delle vere e proprie penisole ma che possono lo stesso funzionare egregiamente in caso di urgenza.
Quello che è davvero importante, quando si ha la necessita di effettuare questo tipo di scelta, è prendere in considerazione molto bene lo spazio che si può avere a disposizione e, in base a questo progettare, quella che ci sembra possa risolvere meglio i nostri problemi di sfruttamento della cucina. Magari anche azzardando in soluzioni inusuali ma sempre tenendo ben presenti quelle che sono le esigenze della famiglia e di chi deve utilizzare la cucina. Il principio da seguire è più o meno sempre lo stesso: occorre bilanciare bene quelli che sono i vantaggi e gli svantaggi di ogni soluzione e in base a questo tipo di valutazione, effettuare la scelta. Non c’è nulla di meglio che poter contare su di una cucina davvero comoda e bella a vedersi quando si arreda un’abitazione per renderla davvero lo specchio della propria personalità.
Conclusioni
Speriamo che la nostra guida su come scegliere un letto imbottito ti abbia fornito le informazioni necessarie per prendere una decisione consapevole e soddisfacente. Presso Griva Arredamenti, siamo pronti ad aiutarti a realizzare arredamento su misura.
Ti invitiamo a visitare i nostri showroom di Pinerolo e Torino, dove potrai scoprire di persona la qualità e l’eleganza dei nostri mobili. Potrai toccare con mano i materiali, valutare le soluzioni di spazio e ottenere consigli personalizzati dai nostri esperti.
Se hai domande o desideri ulteriori informazioni, non esitare a contattarci. Saremo felici di fornirti tutte le risposte di cui hai bisogno dai nostri esperti interior designer.
Inutile dirlo: il letto tessile è oggigiorno di grandissima moda, ma a parte questa certezza di tipo “sociale”, le ragioni del successo di questa tipologia di arredo sono davvero numerose e sono da ricercare nel concetto stesso del moderno modo di vivere la casa. Da quando la scelta del “tono” generale dell’arredo si è spostata verso mobili essenziali e le stanze hanno visto tendenzialmente diminuire le loro dimensioni, le soluzioni per le camere da letto si sono proporzionalmente moltiplicate. Ciò anche perché la moderna produzione industriale consente di spaziare in un assortimento di prodotti e di sistemi così vasto da far divenire alla fine quasi imbarazzante una scelta precisa. In verità però, nel caso delle camere “matrimoniali”, si tratta quasi sempre di affrontare un “complesso d’arredo” che al giorno d’oggi implica delle stanze da armadi molto grandi, sovente addirittura delle boiserie che riempiono intere pareti e che, con il loro ingombro e le loro aperture, obbligano spesso a scegliere letti che non siano spigolosi, stilisticamente invadenti o troppo voluminosi. Molto dipende da abitudini, stili di vita e gusti personali, ma altrettanto importante è dunque il luogo che si intende arredare, cioè la tipologia degli ambienti in cui troverà posto il letto che si intende magari acquistare o semplicemente posizionare. Questo aspetto assume una ancor maggiore importanza se lo si considera dal punto di vista “storico”, prendendo cioè in considerazione come si sono evolute, nel tempo, la maggior parte delle abitazioni.
Un po’ di Storia
Fare una storia del “letto imbottito” può sembrare abbastanza semplice, in realtà si tratta invece di una cosa che può essere, di per sé, abbastanza complessa. Si può parlare infatti di letto “imbottito” fin da tempi molto remoti, risalendo addirittura all’Antico Egitto. Già in quell’epoca, del resto, c’era l’abitudine di rendere più “comodo” (attenzione a questo termine che ritroveremo molto spesso da qui in avanti) il riposo, attraverso l’uso di testate e giro-letti in tessuto che, una volta imbottiti con paglia, risultavano particolarmente graditi, specie dalle classi più agiate. In verità infatti qualsiasi giaciglio, anche quello costituito da semplici mucchi di paglia ricoperti con una pelle o con un tessuto in modo da renderlo più confortevole può essere in teoria considerato un “letto tessile” o imbottito; quello che differenzia dunque questo ultimo termine dal giaciglio più primitivo, è convenzionalmente considerato quell’insieme di forma, cura e tipologia costruttiva che hanno dato nel tempo a questa importante suppellettile la dignità che ora possiede.
In epoca romana potevano trovarsi esempi di letto imbottito che sono rimasti quali esempi esplicativi di arredo, anche per le epoche successive. Come è il caso del letto modello “Agrippina” che ancora adesso, esiste in commercio ma che in verità, più che un vero e proprio letto, era una sorta di via di mezzo fra un divano ed un letto, dove i romani benestanti usavano appoggiarsi durante il pranzo o durante il riposo giornaliero.
Durante il Medioevo ed il Rinascimento, l’abitudine di imbottire il luogo in cui si poggia la testa durante il sonno, nonché di riempire nello stesso modo anche la parte di letto che sostiene il vero e proprio giaciglio, era andata abbastanza dimenticata, per essere ripresa ampiamente più tardi, nel diciassettesimo secolo, periodo in cui il letto tessile tornò di gran voga specie nelle versioni più elaborate e vistose tipiche del “Barocco”. Da quel tempo in poi, il letto imbottito ha superato, fra alti e bassi, le mode susseguenti, fino ad arrivare agli anni ’60 del ‘900 in cui è iniziato a diventare il prodotto popolare che è adesso.
Quello che stiamo vivendo è forse il momento della più grande diffusione del letto imbottito e questo suo successo ha preso il via dalla fine degli anni settanta, quando una nota azienda brianzola specializzata in biancheria per la casa, ha dato inizio ad una produzione di letti imbottiti che ricalcavano una certa tipologia di letti francesi detti “sommier”, caratterizzati dalla presenza di basamenti in tessuto utilizzati per poggiarvi il materasso e dotati di testata imbottita in egual maniera. Essi nascono infatti dall’intuizione che le caratteristiche del “copriletto” (o meglio dall’abbinamento dei concetti Piumone-trapunta-sacco, con quelli relativi a morbidezza e varietà dei colori) potevano estendersi a tutta la struttura del letto, che veniva così rivestita completamente in tessuto offrendo numerosi vantaggi come la comodità, la molteplicità di varianti disponibili nonché la praticità di uso e di manutenzione. Visto il successo di tale prodotto, molte altre aziende, italiane ed europee, seguirono questo filone industriale, dando vita ad un trend importante capace costantemente di aumentare di intensità fino ad arrivare ai massimi odierni.
Design per il riposo
Ed ecco che ai giorni nostri l’ampia diffusione di questa tipologia del letto tessile o “imbottito”, unita alla grande varietà di prodotti esistente sul mercato, determina una vera e propria “ricerca” relativamente al design ed alla comodità/funzionalità d’uso dell’oggetto in sé. La ricerca che sta dietro al design dei letti imbottiti la si può scorgere in tante cose, ma è solo analizzandone un certo numero che si possono davvero delineare i motivi che stanno dietro al loro grande successo e le differenze che possono determinare le scelte di ognuno di noi verso l’uno o verso l’altro prodotto.
In linea di massima le caratteristiche di un letto tessile dipendono da quattro fattori principali: il design della testata, il design del giro-letto, la tipologia del rivestimento e la tipologia del piano di supporto al materasso.
In merito al primo, pare quasi superfluo dire quanto possa variare l’estetica di un letto col variare della forma della sua testata. Di testate per letti imbottiti ne esistono tantissime, ve ne sono di alte, di basse, di larghe, di dotate di forme molto morbide o, al contrario, molto rigorose e minimali. Così com’è altresì possibile trovare testate di letto imbottito di gusto classico, di gusto moderno, oppure contemporaneo. Esistono poi, proprio come avveniva nel periodo che va dal “Barocco” e della “Belle epoque”, letti imbottiti che hanno delle parti in legno (come le cornici perimetriche ad esempio) e altri che invece sono completamente rivestiti in tessuto o pelle.
A proposito del giroletto dei letti tessili, il numero di modelli e di tipologie che si possono trovare in commercio si riduce notevolemente. In generale si può dire che esistano 4 grandi categorie:
- i giroletti bassi che rimangono alti da terra tramite dei piedi,
- i giroletti alti che invece poggiano quasi al pavimento,
- i giroletti dotati di contenitore con rete sollevabile,
- i giroletti tipo “sommier” che sono però poco diffusi in Italia.
Ognuno di questi giroletto viene prodotto industrialmente dalle aziende in modo da poter essere abbinati alle singole testate, così da personalizzare ogni letto tessile e renderlo adatto al gusto di ogni singolo cliente.
Per quanto riguarda il “rivestimento” dei letti imbottiti, rappresentando esso stesso il “vestito” che ogni letto imbottito possiede, l’argomento è talmente vasto che meriterebbe un articolo a se. In questo dobbiamo per forza limitarci a dire che i rivestimenti più usati per i letti tessili sono i tessuti, le pelli e le eco-pelli, che altro non sono che tessuti “spalmati” e stampati in modo da simulare la pelle. Essendo però il “rivestimento” una parte assai importante di un letto imbottito, riteniamo sia opportuno approfondire questo tema parlandone durante la descrizione che faremo delle singole tipologie di letto tessile che andremo via via ad illustrare.
Per ultimo (ma non ultimo), è assolutamente necessario parlare del “piano di supporto al materasso” che è quella parte indispensabile del letto imbottito, destinata a fare da appoggio al materasso e che per questo motivo può considerarsi l’essenza stessa di questo modello di letto. Generalmente, almeno in Italia, esso è costituito da un perimetro in metallo in cui sono incastrate delle doghe in legno compensato flessibile: la cosiddetta rete a doghe, che nel caso dei letti tessili con contenitore diventa, oltre che sostegno al materasso anche coperchio per il contenitore che risiede nel volume del giroletto. Per un buon riposo serve una base che sostenga correttamente il corpo e il materasso deve mantenere una certa sua elasticità. Con le doghe questa funzione è assicurata, così come è assicurato il ricircolo dell’aria (e quindi la traspirazione del materasso e del corpo) e la pulizia, elementi indispensabili per rendere salubre e pulito il luogo dove dormiamo.
Iniziamo adesso una carrellata di modelli di letti, che serviranno da spunto per descrivere in maniera più approfondita i punti salienti di cui abbiamo accennato.
Il letto imbottito con rete sollevabile e contenitore
Oramai da qualche decennio, quando si parla di letti tessili, si parla quasi sempre di contenitori sottostanti la rete. Questo binomio quasi imprescindibile, letto imbottito – contenitore apribile, ha preso infatti vita fin dalla stessa origine della moderna concezione di letto in tessuto. I primissimi letti imbottiti, a partire dagli anni ottanta, iniziarono ad essere dotati di un meccanismo con di pistoni che, grazie ad una nota azienda brianzola che per prima li brevetto, permettevano con il semplice sollevamento basculante della rete a doghe e del materasso, di sfruttare quale “contenitore” (da qui il suo nome) anche quella parte del letto che fino ad allora era semplicemente destinata a fungere da supporto per la rete.
Fu una vera e propria rivoluzione che rappresentò per tutti una sorta di “uovo di Colombo” e che permetteva uno sfruttamento dello spazio sottostante il letto mai visto prima. Il suo funzionamento si basa essenzialmente su di un sistema di leve che, coadiuvate da pistoni oleodinamici, permettono con una certa facilità ad una persona che si pone in posizione frontale rispetto al letto stesso, il sollevamento verso l’alto della rete e del materasso sovrastante. Il gruppo rete/materasso rimane ancorato dal lato della testata in modo da potersi riposizionare in maniera esatta una volta riabbassate le leve ed i pistoni che lo sostengono. Il giroletto però, per dirsi veramente “a contenitore”, deve essere obbligatoriamente dotato di un fondo che separi gli oggetti che vi si ripongono dal pavimento e questo può implicare un problema di pulizia. Sì, perchè è ovvio che questa sorta di schienale che giace in basso a racchiudere il giroletto, se non opportunamente fabbricato, può impedire la pulizia del pavimento che giace a pochi centimetri da esso. A questo scopo, diversi sono gli accorgimenti che nei letti imbottiti di qualità vengono previsti al fine di consentire una pulizia del letto contenitore e del pavimento su cui risiede. Per prima cosa, i pannelli che fungono da fondo devono essere rimovibili in modo che, in ogni caso, sia possibile accedere al pavimento sotto al letto. Secondariamente, tali pannelli devono essere forniti di una guarnizione che impedisca alla polvere di poter entrare all’interno del contenitore. L’altezza del giro-letto deve essere poi tale da consentire di poter passare l’aspirapolvere anche sotto al letto, magari senza dover tutte le volte rimuovere i pannelli. Tutti questi accorgimenti, implicano un aumento di costo di produzione pertanto, solo i prodotti di una certa qualità sono realizzati tenendo ben conto di questi criteri costruttivi. Un fattore questo da tenere nella massima considerazione quando si acquista un letto con il solo desiderio di “risparmiare”, perché ci si potrebbe pentire amaramente di non aver optato per una versione, magari un po’ più costosa ma infinitamente più pratica e salubre a livello di utilizzo.
Il letto con testata inclinata
Questa tipologia di letto riprende buona parte del suo design dagli stilemi tipici del passato ma coniugati in chiave schiettamente moderna. La testata inclinata era infatti una tipicità dei letti su cui i romani usavano pranzare (le cosiddette Agrippine di cui abbiamo parlato all’inizio), nonché di molti dei letti che andarono di moda nel periodo a cavallo dell’era Napoleonica.
In linea di massima questo tipo di letto imbottito non presenta mai forme troppo nette o rigorose da diventare “geometriche”. E’ piuttosto un letto dal design adatto a chi predilige le linee morbide e sinuose, pur essendo attratto dal minimalismo del gusto moderno.
A parte il suo originale design, la principale caratteristica del letto tessile con testata inclinata è però senza dubbio la sua comodità. La conformazione della testata di questo tipo di letto tessile infatti, agevola il suo uso specialmente durante il periodo in cui si utilizza il letto per leggere un buon libro, utilizzare lo smartphone o semplicemente per guardare la Tv. Il motivo della sua spiccata predisposizione per il comfort è facilmente intuibile: la testata imbottita, inclinata verso il retro del letto stesso, permette al corpo di assumere una posizione seduta che si presta perfettamente agli usi sopra descritti. Oltre a questo, la morbida superficie frontale della testata rende l’appoggio della schiena e della testa particolarmente confortevole fa sì che questo modello di letto tessile sia uno dei preferiti dai consumatori i quali, però, sono costretti in questo specifico caso a fare i conti con lo spazio a disposizione nella stanza. Le dimensioni di questo letto infatti sono gravate dal fatto che la testata inclinata, proprio a causa della sua forma, occupi in profondità uno spazio molto superiore rispetto a quello che occuperebbero normalmente rete e materasso. La lunghezza complessiva di questi letti può variare da un minimo di 200 cm fino addirittura ai 250 cm, a seconda del modello e dell’inclinazione della testata, dalla lunghezza del piano di riposo e dall’ampiezza del suo giro-letto.
Un altro fattore molto importante da prendere in considerazione in questo tipo di letto è la sua naturale predisposizione ad essere posizionato “a parete”. Anche se esistono numerose eccezioni infatti, i letti tessili con testata inclinata sono sempre costruiti per essere appoggiati alla parete della camera e non per essere messi in centro stanza, proprio per la conformazione che possiede la testata che li contraddistingue la quale, in molti casi, potrebbe presentare dei problemi di solidità qualora non fosse adeguatamente sostenuta da una superficie verticale retrostante.
Il letto con testata a “cuscinoni”
- Anch’esso considerabile come un’evoluzione stilistica dei letti imbottiti dei primi anni ’80, questa categoria di letti è essenzialmente legata al concetto di comodità. La sua caratteristica principale è, senza ombra di dubbio, la presenza di due elementi imbottiti molto morbidi, attaccati alla parte frontale della testata che fungono da sostegno alla schiena ed alla testa delle persone che vi si poggiano per riposare. Questi due elementi prendono il loro nome di “cuscinoni” proprio dalla forma che possiedono ma che in verità si può trovare declinata in tantissime varianti a seconda del modello scelto. Si va dei cuscini veri e propri, come quelli della foto che in questo caso sono applicati alla testata tramite del semplice velcro, fino ad arrivare a delle specie di “trapuntini” imbottiti che vengono fissati tramite dei laccetti. Dotati di rivestimenti completamente sfoderabili, anche questi letti coniugano caratteristiche di estrema praticità con un’alta resa estetica. Senza dimenticare la loro innata capacità di integrarsi con gli altri arredi e di cambiare faccia nel corso del tempo. E’ difficile infatti racchiudere questa famiglia di letti in un determinato stile: essi si abbinano perfettamente agli arredi più moderni ma non sfigurano in ambienti prettamente classici dove, addirittura, riescono ad acquisire una dignità del tutto inaspettata. Del resto, potendo scegliere il suo rivestimento in un ampia gamma di colori e fantasie, questo tipo di letto in tessuto si può combinare con estrema facilità non solo con la biancheria che lo ricopre ma anche con tende e tappeti da scegliere tono su tono oppure di colore contrastante.Insomma, volendo essere un po’ “prosaici”, si potrebbe arrivare a definire questo come “il letto tessile per eccellenza”. Le sue caratteristiche infatti rappresentano tutte una sorta di sintesi di quell’insieme di caratteristiche che hanno reso il letto imbottito un prodotto di grandissimo successo. Comodità, design, grande praticità e versatilità infinita: un mix di ingredienti certamente capace di affascinare il pubblico ancora per tanto tanto tempo.
Il letto tessile con giro-letto sottile sollevato
Per chi ama la pulizia delle linee e della stanza in cui si dorme, ecco il letto imbottito capace di far innamorare sia per il suo design che per il suo comodo utilizzo.
I letti di questa tipologia produttiva portano all’estremo la linearità espressa dal minimalismo tanto in voga negli ultimi decenni. Prima ispirati alle atmosfere orientali, adesso rappresentano l’essenzialità del design moderno, grazie ad una sobrietà di stile che accontenta soprattutto i palati più esigenti e raffinati.
Questo tipo di letto tessile si sviluppa attraverso il piano di sostegno al materasso (solitamente una robusta rete a doghe) che, diventando esso stesso la struttura portante del letto, viene usato come aggancio per la testata. Tale morfologia consente al piano rete di rimanere sospeso da terra attraverso dei supporti verticali che, quasi sempre costituiti da solidi piedi in metallo o legno, sostengono il peso dell’intero letto. Il fatto di rimanere in qualche modo “rialzato” e quindi vuoto sotto, permette a questo letto di essere preferito da chi pretende giustamente di poter effettuare una pulizia veloce e profonda degli ambienti domestici. In verità però, il design di questi prodotti è talmente bello, elegante e leggero da incontrare i gusti di chiunque ami la linearità del mobile moderno.
Un letto tessile di questo tipo infatti, pur mantenendo una notevole valenza stilistica, non appesantisce mai gli ambienti dove viene collocato e, grazie alla sua stessa tipologia strutturale, mantiene delle dimensioni molto contenute che permettono di collocarlo anche in ambienti molto ristretti. Un aspetto determinante circa il design di questi letti tessili è rappresentato dai piedi (o gambe che dir si voglia) i quali, pur essendo componenti in fin dei conti piuttosto minuti, assumono quasi sempre un’importanza notevole nell’aspetto complessivo che il mobile assume. Essi possono essere costruiti in legno, in metallo, in plastica, in Plexiglass e in tutti quei materiali capaci di rispondere adeguatamente alle sollecitazioni dovute al peso di due persone e del loro movimento, del peso della rete a doghe e del materasso. Ogni materiale che si decida di utilizzare deve essere in qualche modo declinato in una forma che si intoni perfettamente col design complessivo del letto e questo, purtroppo, non è sempre così scontato. Il letto mostrato in questa foto ad esempio, possiede dei piedi che si integrano per forma e colore alle forme stondate e morbide del letto imbottito che essi sostengono; il loro spessore è però esilissimo e per ottenere una robustezza adeguata in uno spessore così minuto si è dovuto ricorrere ad un materiale dotato di altissima resistenza come l’acciaio. Il suo utilizzo ha però consentito di raggiungere un aspetto complessivo elegante e ricercato che diversamente sarebbe stato davvero difficile da ottenere.
Il letto imbottito con giro-letto in legno
Evoluzione del letto imbottito di tipo “classico”, questo letto anziché possedere una cornice perimetrica verticale a contorno della testata, come era un tempo, ha una solida cornice orizzontale che funge proprio da giro-letto. Anche questo modello di letto tessile, come del resto tutti gli altri di cui parleremo, ha una propria ragione di esistere. In questo caso infatti ci si trova di fronte ad un letto che, dotato di un piano rete che funge anche in questo caso da struttura portante (quindi è di supporto anche per la testata), consente di sviluppare il suo design in maniera molto fine ed elegante. Al bando dunque le morbidezze dell’imbottito, almeno per quanto riguarda la parte bassa del letto, a vantaggio di tre distinti fattori: una maggiore facilità di pulizia, una maggiore facilità di manutenzione, la possibilità di coordinare il legno (o comunque il colore) del giro-letto con gli altri elementi presenti nella stanza come l’armadio ed il gruppo comò e comodini. Come si vede da questa foto infatti, è quasi obbligatorio, con questo modello di letto, abbinare opportunamente toni ed essenze in maniera da creare un “coordinato d’insieme” nell’arredo della camera matrimoniale. Questo, a pensarci, è un tantino in contraddizione con quelli che sono i criteri per cui si sceglie di solito un letto tessile: d’altronde quello di poter abbinare un letto tessile praticamente con ogni tipo di arredo, non può che essere definito un grande vantaggio… Nel caso dell’acquisto di una camera nuova però, la possibilità di far convergere tutti gli elementi d’arredo (armadio, letto, gruppo comò e comodini) verso un unico “Mood” ben preciso, definito a priori e molto evidente, è senz’altro un motivo di soddisfazione. Vi è poi da esaminare l’aspetto prettamente “pratico” che concerne questa tipologia di prodotto d’arredo, per il quale vale la pena spendere qualche parola. Il cosiddetto giro-letto (cioè il perimetro che funge da cornice e sostegno per il “piano rete” ed il materasso stesso, infatti, nei letti moderni risiede quasi sempre in una posizione molto bassa, vicina al pavimento, così come avviene nelle suppellettili di questo tipo di provenienza orientale. Questa assoluta vicinanza al pavimento ha il pregio di rendere molto comodo e confortevole l’uso del letto specie in fase di riposo ma ha ovviamente lo svantaggio di rendere il mobile stesso più soggetto a sporcarsi. Con il giroletto in legno questo problema non esiste: esso rimane quasi sempre rialzato da terra consentendo, come abbiamo detto, la massima facilità di pulizia; esso è meno soggetto a sporcarsi proprio perchè rimane sollevato rispetto al suolo e, come se non bastasse, la sua superficie liscia priva di tessuti e imbottiture impedisce allo sporco di attaccarlo e permette una pulizia immediata di ogni tipo di sporco (specie quello asciutto della polvere) con un semplice straccio. Anche in questo caso però, bisogna da fare massima attenzione al design del prodotto: un letto tessile di questo tipo deve essere sottile, bello ed elegante e mai apparire come un imponente arredo di gusto classico! Il “moderno” necessita di sobrietà, di eleganza e soprattutto di leggerezza! Particolare prudenza occorre dunque nella scelta del giroletto e delle gambe, come nel caso appena sopra descritto. Anche in questo caso infatti, pur essendo caratterizzato da ampio uso del legno non è affatto scontato che un letto tessile di questo tipo sia da fornirsi obbligatoriamente di gambe legno. Vi sono anche in questo caso, anche letti imbottiti con giroletto in legno e piedi in metallo, così come in plastica, se non addirittura in vetro! Tutto sta nel saper valutare bene il design complessivo dell’oggetto e immaginare quello che sarà l’effetto che produrrà il letto una volta posizionato nella stanza. Per fortuna, almeno ultimamente, quasi tutti i letti imbottiti di questo tipo sono forniti di gambe molto esili ed eleganti, perciò non sarà difficile operare una scelta che consenta un perfetto inserimento in ogni camera matrimoniale.
Il letto imbottito con testata bassa
Quando si parla di letto tessile, si hanno in mente solitamente dei letti in cui la comodità è data dall’appoggio della schiena sulla testata quando si legge, si consulta lo smartphone oppure si guarda la Tv. In ognuno di questi casi infatti, si immagina una posizione di chi utilizza il letto che sia pressoché seduta (da qui il criterio stesso che ha animato e anima tutt’oggi i designer che si occupano di questa categoria di prodotto), un po’ come avviene nelle “penisole” dei moderni salotti angolari. Questo uso però potrebbe essere in taluni casi accantonato, per dare maggiore enfasi ad altri elementi, come ad esempio l’estetica della parete retrostante o l’altezza dei locali. Questo tipo di principio non è assolutamente da considerarsi errato: la maggior parte dei letti moderni deve infatti il suo design alla cultura orientale che, specie in Giappone, predilige letti molto bassi, con testate di dimensioni molto contenute, se non addirittura completamente privi di testata. Nella foto qui accanto è possibile vedere come sia stato possibile dare una grande importanza al decoro retrostante il letto, semplicemente dotando quest’ultimo di una testata imbottita molto bassa. L’effetto complessivo rimane comunque piacevole e si intravede come, se anche fosse stato necessario abbassare ulteriormente l’altezza della testata, il letto tessile avrebbe comunque mantenuto una linea che difficilmente sarebbe stata altrettanto piacevole utilizzando altri materiali.
I letti imbottiti con testata bassa, necessitano del rispetto di pochi ma indispensabili criteri estetici: devono innanzitutto avere dei giro-letto proporzionalmente bassi ma abbastanza ampi in larghezza, in modo da evidenziare l’effetto “orizzontale” che si è voluto dare al design dell’oggetto. Devono poi possedere delle testate forzatamente semplici, di forma regolare, in modo da formare dei veri e propri “parallelepipedi” che con il loro volume lineare ed elementare, non vadano a scontrarsi con il concetto “minimalista” che questi oggetti di forma orientale devono necessariamente avere. Sono letti dunque molto leggeri, quasi invisibili dietro i copriletti ed i lenzuoli che li tappezzano ma che non mancano di far sentire forte la loro presenza scenica grazie proprio al loro design che, per questo, deve essere univoco, evidente e molto molto definito. A questo punto è assolutamente necessaria una precisazione riguardante le misure che un letto di questo tipo deve avere. Partendo dal presupposto che un materasso matrimoniale “standard” abbia in Italia una dimensione di 160 x 190 e venga posizionato solitamente da terra ad un’altezza che varia dai 20 ai 30 cm, si può tranquillamente sostenere che un letto tessile con testata bassa debba avere un giroletto (o ring) di ampiezza almeno di 170 x 200, con il piano letto a circa 25 cm da terra e possedere una testata che possa variare da un minimo di 50 cm ad un massimo di 60. Rientrando in queste misure si rimane in quei criteri di proporzione che abbiamo precedentemente indicato e si ottiene un effetto estetico elegante ed equilibrato, proprio come avveniva un tempo per i famosi Tatami Giapponesi.
Letti tessili con “Ring” piatto
Anche questa nuovissima generazione di letti deve il suo design leggero ed armonico alla tradizione giapponese. Come dei moderni “Tatami” infatti, questi letti rivoluzionano completamente il concetto di “giro-letto” imbottito di derivazione “anni ’80”, per evolversi in forme molto più sottili ed appena visibili. I letti tessili con ring piatto, si sviluppano intorno ad un piano di appoggio per il materasso che viene dimensionato opportunamente in modo da sporgere lateralmente per poi essere imbottito. Tale piano di sostegno può essere rappresentato sia da un semplice piano in compensato forato per la traspirazione (in tal caso si parla di “asse in legno” ) oppure costruito accostando un vero e proprio “anello” imbottito intorno ad una normale rete a doghe: da qui appunto il nome “ring”. La costruzione di questi letti può apparire in sé abbastanza semplice: in fin dei conti si tratta di un piano d’appoggio a cui viene fissata una testata. In realtà non è affatto così. Queste forme esili ed eleganti infatti, vanno spesso a discapito della solidità complessiva che un letto deve per forza possedere; per questo motivo questi letti devono obbligatoriamente possedere una qualità sufficiente a poter durare molti anni, nonostante la snellezza dei propri componenti. Fulgido esempio di questo indiscutibile concetto sono le gambe (o piedi) che, in questi letti, vista la sottigliezza del ring giroletto, arrivano a raggiungere delle altezze ragguardevoli (talvolta superiori ai 30 cm) e per tanto necessitano di una solidità ed una robustezza davvero notevoli, indipendentemente dal materiale che si può utilizzare per costruirle. Un discorso a parte lo merita il giroletto il quale, in questo specifico caso, diventa un vero e proprio “piano di appoggio per il materasso”. Esso deve possedere uno spessore sufficiente a sostenere il peso delle persone che vi si coricano, del materasso stesso ed anche essere capace di fornire un valido supporto all’aggancio della testata. Solitamente, questo piano è in legno ed ha dunque uno spessore non inferiore ai 4 cm (molto più spesso è 5 o 6 cm) ed è coadiuvato nella sua funzione strutturale da delle traverse in ferro che servono da supporto per le gambe e per la testata. Tale piano può essere, come già detto, intero oppure può, al contrario, contenere al centro una vera e propria rete a doghe. In quest’ultimo caso le parti di ring che solitamente sporgono lateralmente in questo modello di letto, hanno solo una funzione estetica ed il supporto strutturale è fornito dalla rete a doghe a cui sono agganciate le gambe, il perimetro sporgente imbottito e ovviamente la testata.
Il letto imbottito in pelle o ecopelle
Ed eccoci arrivati a quello che è considerato un vero e proprio “Must” nel panorama dei letti imbottiti ovvero il letto in pelle o ecopelle. Questa tipologia di imbottito segue in realtà tutti gli stilemi che possono essere elencati per gli altri tipi di letto tessile; il suo particolare rivestimento però lo rende diverso dagli altri per numerosi fattori. La pelle è infatti un materiale utilizzato nell’arredo fin dall’antichità. Le sue caratteristiche di bellezza, versatilità di colore e di resistenza ne fanno infatti un materiale molto gradito in quegli ambienti, come la zona giorno e la zona notte di una casa, in cui si ha necessità di una superficie morbida che non abbia le peculiarità più caratteristiche del tessuto. Una delle ragioni per cui qualcuno predilige il letto in pelle, sta del resto proprio nel fatto che questo materiale, a differenza del tessuto, è un materiale impermeabile che non trattiene la polvere e ciò si rende particolarmente utile in quelle zone della casa in cui la pulizia è vitale. Uno dei punti deboli della pulizia di un letto imbottito sta difatti proprio nella natura del suo rivestimento che, quando è in tessuto, mantiene una certa tendenza a trattenere la polvere. Questo problema non esiste ovviamente con la pelle che, essendo dotata di una superficie liscia e continua, è facile da spolverare con un semplice panno. Stessa cosa per l’Ecopelle, che altro non è che una tela in tessuto che dopo essere stata “spalmata” con del materiale “gommoso”, viene passata attraverso delle presse che rendono la sua superficie del tutto simile a quella della pelle. Entrambi i materiali sono dunque molto pratici da utilizzare per rivestire un mobile imbottito ma necessitano anche loro di una certa attenzione. La pelle ad esempio, essendo un materiale totalmente naturale, mantiene quasi sempre la sua tendenza ad assorbile i grassi (tant’è vero che la cera è il prodotto utilizzato per ravvivarla), ciò sta a significare che le parti della testata, dove solitamente si poggia il capo, saranno nel tempo suscettibili di macchiarsi e cambiare colore. Questo problema può avvenire anche con l’ecopelle che, specie quando non è di ottima qualità, tende a presentare lo stesso problema pur essendo prodotta in materiale sintetico. Il problema più importante dell’ecopelle per così dire “economica” è però senza dubbio un altro. Essa infatti, quando viene prodotta con procedimenti industriali troppo veloci, (la vera ecopelle di qualità necessita addirittura di quattro passaggi successivi di trattamento superficiale) oppure è realizzata con materie prime scadenti, tende con l’andare del tempo ad irrigidirsi e a perdere fortemente di elasticità. Tale invecchiamento superficiale provoca dunque delle crepe le quali, rompendosi, provocano al rivestimento dei danni che non è possibile riparare in alcun modo se non rivestendo di nuovo il manufatto con un altro materiale.
I letti tessili con testata impunturata o capitonnè
La testata è l’elemento che forse contribuisce di più a determinare l’estetica di un letto, specie quando è imbottito. Diretta evoluzione di una certa tipologia di letti tessili molto in voga nel diciottesimo secolo, (specie fra le classi più abbienti del periodo Barocco), questo modello di letto imbottito è caratterizzato da una serie di cuciture che servono a delineare in qualche modo il design della testata. Tali lavorazioni sono in realtà delle vere e proprie “decorazioni”, che nascevano un tempo come imbottitura per divani, poltrone o proprio per l’appunto, per testate di letti. Questa modalità di imbottitura, detta appunto Capitonné, era effettuata completamente a mano e lavorata in modo da formare delle specie di cuscinetti a forma di quadrati o lasanghe che erano tenute insieme da bottoni o da borchie. In origine il rivestimento Capitonné era costituito da piccoli Capiton (da cui ne deriva il nome) ovvero dei piccoli lembi di scarto di lavorazione della seta o della pelle che, grazie a questa lavorazione prettamente artigianale, potevano essere utilizzate anche per rivestire superfici estremamente vaste, pur mantenendo una certa elasticità. Divani, letti, poltrone e pouf con lavorazione a Capitonné ne esistono anche oggi e rappresentano alcuni prodotti d’elite di gusto classico, destinati ad arredare un certo tipo di case; il motivo tipico di queste lavorazioni viene però ripreso al giorno d’oggi anche in interpretazioni prettamente moderne. Il modello fotografato, ad esempio, fa parte di una tipologia di letti tessili presente in ben 2 collezioni differenti dei prodotti “La Casa Moderna”. Esso viene costruito con tre differenti tipi di testate e può essere fornito di altrettante tipologie di giroletto. La decorazione della testata avviene in questo caso attraverso delle piccole impunture o trapuntature che donano all’insieme un aspetto particolarmente originale. Le trapuntature in questione vengono effettuate in tre o quattro versioni differenti, a seconda della tipologia di testata che si scelga e, grazie ad alcuni eccellenti accorgimenti, permettono addirittura di sfoderare la testata con facilità, a differenza di ciò che avviene ed avveniva con le testate Capitonné. Tipicamente destinato ad un pubblico “adulto”, che pur prediligendo il mobile moderno non disdegna alcuni “richiami della memoria”, il modello di letto tessile con testata trapuntata è dunque un prodotto che può con facilità arredare diverse tipologie di case e può essere tranquillamente rivestito in tanti modelli differenti di tessuto.
Il letto tessile “a profilo continuo”
Una categoria molto interessante e originale di letto imbottito è quella detta appunto “a profilo continuo”.
Si tratta in pratica di un manufatto in cui la testata ed il giro-letto formano (almeno esteticamente) un corpo unico in modo da dare alla composizione un effetto essenziale e rigoroso. Stiamo parlando probabilmente della versione più “moderna” di letto imbottito anche se, come si può notare nel modello della foto (Letto Omar, collezione Atelier, La Casa Moderna), quando si ha a che fare con forme così semplici, risulta abbastanza facile declinarle verso uno stile piuttosto che verso un altro. In questa tipologia di imbottito la testata prosegue in qualche modo il suo disegno verso il giro-letto e attraverso un escamotage costruttivo appare come un’unica struttura che serve per contenere il materasso. In realtà si tratta di un normale “ring” contornante la rete a doghe che viene unito alla testata nel punto esatto dove inizia il materasso, attraverso della solida viteria. Questa gamma di letti imbottiti esiste in commercio in tante versioni, dalle più sottili ed ergonomiche con testata inclinata, fino ad arrivare alle versioni più voluminose e “spigolose”.
In questo caso, come in tutti quelli in cui i piedi del letto lasciano il letto sospeso da terra, è la rete a doghe a fungere da struttura portante del letto. Al perimetro metallico esterno della rete vengono infatti fissati i vari modelli di gamba esistenti, poi il perimetro “ring”, che viene solitamente imbottito e che quindi “nasconde” la rete stessa, e per ultima la testata che essendo la parte più pesante del letto (dopo la stessa rete), deve essere sostenuta in maniera davvero adeguata per non incorrere in distacchi o allentamenti. Anche questo tipo di imbottito, come del resto tutti gli altri presentati in questo articolo, è facilmente personalizzabile con tante tipologie di rivestimenti, dal tessuto alla pelle ed è altresì sfoderabile quando si utilizzano rivestimenti in tessuto. La sua dimensione dipende dalla forma e dalla grandezza della rete che essi contengono, le quali, possono variare dai 160 x 190 cm (ovvero Queen size, misura matrimoniale italiana) fino ai 180 x 200 cm (ovvero King size, misura matrimoniale americana) per le varianti matrimoniali ma possono essere prodotti anche in misura singola, da una piazza e mezza nonché Francese. Quella “francese” è una misura di rete poco diffusa nel nostro paese che è una sorta di via di mezzo fra un letto da una piazza e mezza ed un letto matrimoniale la sua rete misura infatti 140 x 190 cm.
Il letto imbottito con contenitore ribassato
La più importante novità di questi ultimi anni nel mondo del letto tessile, è stata senza dubbio quella del contenitore ribassato o “compatto”. Stiamo parlando di un letto con contenitore di tipo tradizionale che, grazie alla dimensione ridotta del suo giro-letto e ad una maggiore altezza complessiva del piano rete, riesce ad offrire i vantaggi di un contenitore senza nessuna delle sue piccole problematiche. Il contenitore infatti, in un letto imbottito, rappresenta quasi sempre un’ancora di salvezza per tutte quelle famiglie che, avendo a che fare con appartamenti di dimensioni sempre più ridotte, si trovano perennemente a corto di spazio dove riporre le cose. Due sono però i fattori che preoccupano molti di coloro che vogliono acquistare un letto imbottito con contenitore: il volume ingombrante (specie a livello visivo) del giro-letto e la difficoltà che molti letti provocano in chi deve occuparsi della pulizia della stanza. Questo modello di letto risolve brillantemente entrambi i problemi. Per prima cosa infatti l’altezza delle sue gambe (circa 12/14 cm) consente di entrare con estrema facilità sotto al letto con un aspirapolvere o con qualsiasi altro strumento per la pulizia del pavimento. Oltre a questo, l’altezza ridotta del giro-letto (circa 18/22 cm) dona al letto tessile in questione un aspetto molto lieve e grazioso, privo di quegli ampi volumi tipici del letto imbottito con contenitore sollevabile. Il suo volume interno, però, è ridotto e anche se l’altezza complessiva del piano letto (quella cioè della parte superiore del materasso) è leggermente maggiore rispetto ai letti tessili normalmente in commercio; esso non raggiunge che poco più della metà del normale volume interno di un giro-letto contenitore sollevabile. In questo caso quindi è da tenere presente il fatto che il modello di cui stiamo parlando porta il materasso ad un’altezza leggermente superiore a quella che è l’altezza media di un letto imbottito, ciò rende la sua linea un po’ differente dal design “orientaleggiante” che hanno solitamente i letti moderni in tessuto; una linea forse più simile a quella che possedevano i letti in passato ma che racchiude non pochi vantaggi: non è forse più comodo alzarsi da un materasso un po’ più alto da terra?
Il letto tessile con “Pediera”
Questo tipo di letto rappresenta una vera e propria eccezione nel panorama dei letti imbottiti moderni. Il design di questo genere di letti infatti, riprende di solito quello che a cavallo fra gli anni ’70 e ’80, avevano assunto i prodotti di questo tipo, trainati dal marketing di alcune aziende produttrici brianzole e dal grande successo che ne è seguito. Proprio per questa sua storicità il letto tessile sarebbe dunque, quasi per definizione, sprovvisto di pediera. Quasi sempre, la linea del suo giroletto prosegue uguale sui tre lati del letto privi di testata, a formare una sorta di perimetro basso che in qualche modo serve da supporto e parte terminale al materasso, così come succede e succedeva nei “Sommier” di antica memoria.
Il letto tessile con pediera nasce proprio con la volontà di esulare dalle forme classiche di questo tipo di suppellettile, andando a recuperare le linee di alcuni dei letti del passato un po’ più remoto. L’effetto complessivo che deriva da questo tipo di progetto è effettivamente originale e senza dubbio piacevole. Il problema di questi letti è però il fatto che non sono ideati per possedere un contenitore sollevabile, perché l’apertura del contenitore presuppone che la persona che solleva la rete di trovi frontalmente al letto, cioè proprio là dove, in quest’ultimo tipo di letto imbottito, si trova la pediera. Questo però non sempre è da considerarsi un problema perchè consente, senza ombra di dubbio, di fornire il letto di una coppia di “sponde”, che lateralmente possono essere posizionate più alte da terra in modo da permettere una facile pulizia dei pavimenti.
Sono letti questi, che quando sono declinati in versione “moderna”, necessitano di un design estremamente sobrio e lineare, che non appesantisca ulteriormente la propria silhouette. Per questo motivo essi sono da preferire con rivestimenti originali e particolari in modo da rendersi complessivamente più interessanti. Quello della collezione Atelier “La Casa Moderna” presentato in foto ad esempio, è rivestito con un tessuto misto cotone e poliestere, lavorato con una finissima trapuntatura a losanghe che si ripete su tutte le superfici del letto. Tale lavorazione è appena visibile a occhio nudo ma insieme al bordino “in contrasto” che rifinisce i perimetri del rivestimento, contribuisce senza dubbio a fornire l’imbottito di un design armonico ed attraente.
Il letto in tessuto con testata reclinabile e regolabile
Spesso gli elementi che compongono un oggetto d’arredo hanno tratti distintivi molto forti che dipendono a volte dal loro design ed a volte dalla loro funzionalità. E’ questo il caso di tale varietà di letto imbottito caratterizzato da un particolare tecnologico che risiede nella sua testata. Nella continua ricerca di architetti, designer e produttori, svolta allo scopo di rendere gli arredi più piacevoli e performanti, era abbastanza logica una evoluzione della testata dei letti imbottiti che utilizzasse le più moderne tecniche industriali al fine di ottenere la massima comodità possibile. In realtà quello fotografato, che fa parte della collezione La Casa Moderna, non è che un delle tante tipologie di testate reclinabili che possono essere trovate in commercio, è anzi abbastanza significativa in quanto a contenuti tecnici e di design. Tutto il ragionamento si sviluppa intorno ad un giunto snodabile con meccanismo a cremagliera che viene posizionato all’interno della testata, appena sopra all’altezza del materasso. Tramite questo giunto la testata viene in qualche modo divisa in due parti distinte: la prima, quella a cui si attacca al giroletto, rimane fissa, la seconda invece, tramite il suo giunto meccanico, può snodarsi in modo da assumere tante diverse posizioni. La testata in questo modo, diventa del tutto regolabile e consente di essere posizionata in verticale, cioè completamente distesa come nella testata sinistra qui fotografata oppure ripiegata su sé stessa come nella testata di destra. E’ facile immaginare le molteplici comodità di utilizzo che questo meccanismo permette. Innanzitutto, tramite di esso è possibile tranquillamente optare per un letto con testata bassa o alta semplicemente girando la testata verso l’alto o il basso con un semplice gesto. Dopodiché è altrettanto facile far assumere alla stessa testata l’inclinazione che in quel momento risulta più comoda per la persona che vi è coricata, a seconda se quest’ultima stia riposando, leggendo, guardando la Tv o quant’altro. Un altro elemento che caratterizza questo tipo di letti sta nella “morbidezza” del loro design. Essi infatti, proprio a causa del giunto snodabile a cui è necessario dare ampia possibilità di movimento, sono quasi sempre costruiti utilizzando imbottiture molto soffici: dei veri e propri “guanciali” che in un letto matrimoniale permettono altresì di essere regolati in maniera autonoma dalle due persone che vi stanno riposando. E’ ovvio che quando si parla di contenuti tecnologici, il fattore “qualità” risulta determinante: il giunto snodabile a cremagliera è frutto di una ricerca specifica che richiede grande esperienza nella progettazione, nella costruzione e nell’utilizzo di materiali di primissima scelta. Sarebbe perfettamente inutile acquistare un letto di questo tipo cercando di risparmiare sul suo costo; il giunto meccanico, prodotto con canoni industriali tesi al risparmio, a causa delle grandi sollecitazioni a cui è sottoposto, ben presto si romperebbe e ci potremmo trovare con un letto perfettamente inutilizzabile.
Il letto imbottito con rete sollevabile “Lift”
Rete e materasso sono parte integrante della maggior parte dei letti. Nel caso però dei letti tessili o imbottiti, la rete assume una valenza (se ciò è da considerarsi possibile) addirittura maggiore! Come abbiamo detto nei letti in tessuto infatti, la rete a doghe può rappresentare addirittura la parte portante di tutta la struttura o, come nel caso dei letti con contenitore, fungere anche da “coperchio” per il box che si trova nel giroletto. Il caso specifico che andiamo ora ad esaminare rappresenta proprio una variante “migliorativa” di quest’ultimo utilizzo della rete perché nasce come “evoluzione” a cui si è arrivati allo scopo di soddisfare una precisa esigenza. Come abbiamo detto più volte, il letto imbottito viene molto spesso dotato di un contenitore apribile che si trova all’interno del giroletto. A questo contenitore si accede posizionandosi frontalmente al letto stesso e sollevando la rete a doghe la quale, attraverso dei giunti e dei pistoni oleodinamici a gas, viene ribaltata verso la testata del letto arrivando ad un’inclinazione di circa 55/60 gradi. La rete posizionata in questo modo consente dunque alla persona chinandosi, di riporre o estrarre con comodità i vari oggetti che possono essere depositati all’interno del vano. La rete a doghe, del resto, è fissata al letto nella parte retrostante, quella cioè di fronte alla testata, perché tale posizionamento è quello che consente la maggiore visibilità ed il maggiore accesso a tutti gli angoli del contenitore. Un’importantissima novità introdotta agli inizi degli anni 2000 fra i meccanismi sollevabili per rete a doghe, riguarda proprio questa tipologia di uso. Spostando i leveraggi verso il centro del letto ed aggiungendo opportunamente alcuni altri meccanismi a pistone, è stato infatti possibile fare in modo che la rete a doghe oltre che ribaltarsi verso la testata potesse essere posizionata in alto in maniera orizzontale. Come è possibile notare dalla foto il letto imbottito dotato di meccanismo Lift, permette di posizionare la rete (e quindi il materasso sovrastante) ad un’altezza di circa 65/70 cm da terra. Un’altezza dunque ideale per chi deve occuparsi tutti i giorni di “rifare il letto”! Una delle caratteristiche dei letti imbottiti è effettivamente quella di possedere un’altezza del piano di riposo piuttosto bassa, specie se confrontata con quella dei letti di una volta questa peculiarità crea qualche problema (sopratutto di schiena) a chi deve opportunamente provvedere alla sistemazione di cuscini, lenzuoli, trapunte o coperte, al di sopra del materasso. Questa tipologia di meccanismo risolve brillantemente il problema perché ponendo il piano letto in posizione orizzontale rialzata, sospesa da terra più di mezzo metro, evita di doversi chinare durante le operazioni di sistemazione e pulizia del giaciglio. Un altro esempio di come la tecnologia ed il design possono contribuire in maniera efficace al miglioramento del benessere di tutti.
Il letto imbottito senza testata detto “Sommier” o Turca
Un nuovo aspetto, fresco e moderno, per un tipo di letto che già da qualche secolo è presente nelle camere di molti paesi del mondo. Sì perché il “Sommier” è un letto che si può facilmente riscontrare, sia negli arredi tradizionali europei, sia in alcuni di quelli medio-orientali e che ha ritrovato ora una nuova tipologia di interpretazione. Il Sommier originale è in realtà una struttura in legno imbottito, in cui il piano è sostenuto con cinghie o molle e sul quale può essere posizionato un materasso. Questo mobile nella versione “Turca”, non prevedeva spesso neppure di essere dotato di materasso, in quanto era realizzato in modo che funzionasse esso stesso da materasso essendo all’evenienza imbottito. Oggigiorno la versione più utilizzata è senza dubbio quella a “box contenitore”, la quale esteticamente non differisce molto dal sommier originale ma internamente e fornita dello spazio contenitore che tutti conosciamo. I motivi per cui si possono prediligere questi modelli di letti tessili sono molteplici. Essi infatti risultano particolarmente versatili e per questo motivo permettono di fare cose che altri tipi di letti non consentono. Accostando due letti sommier è possibile ad esempio formare un unico letto matrimoniale senza avere l’obbligo della posizione della testata (così come avviene quasi sempre negli hotel). Un letto senza testata consente di poter quindi adornare la parete retrostante senza problemi perché, essendo privo di testata, non creerà mai sovrapposizioni dovute al suo ingombro. Vi sono poi delle ragioni di tipo “stilistico” a direzionare le scelte di chi predilige questi letti; essi sono infatti molto facili da inserire negli arredi e, stando sotto al materasso, non creano mai imbarazzi negli abbinamenti con la biancheria e con gli altri arredi presenti nella stanza. Del resto, si tratta di un semplice “parallelepipedo” appena stondato dall’imbottitura che può essere rivestito con una fascia di tessuto “tirato”, come quello della foto, se non pure da una “gala” che, come un gonnellino, può rivestire i box contenitore per essere inseriti negli arredi in stile. Una delle ragioni principali per cui si sceglie questo tipo di letto è proprio quella che porta a considerare tale prodotto l’ideale per chi abbia necessità che il letto “sparisca” all’interno della camera in cui è inserito. Questo in effetti, è piuttosto facile da ottenere con il suo posizionamento perché la mancanza di testata e l’utilizzo usuale che si ha della biancheria copriletto, fanno sì che questo letto rimanga davvero poco in evidenza all’interno delle stanze in cui è collocato. Un ultimo ragionamento in merito a questo diffusissimo arredo è necessario farlo a proposito delle sue fattezze estetiche. Un box contenitore a Sommier può essere realizzato infatti in molte maniere e in ognuna di queste è possibile riscontrare delle precise caratteristiche. Uno dei modelli più diffusi di letto imbottito a Sommier è quello ad esempio che possiede le dimensioni esatte del materasso, il quale, in tal modo, copre completamente il letto formando quasi un corpo unico, suddiviso però esteticamente in due parti, come se fossero quasi due materassi sovrapposti. Vi sono invece letti che, per volontà stilistica, come quello mostrato in foto, sporgono lateralmente per tutto il perimetro del materasso rendendo più visibile e quindi più bella la loro silhouette. Non è detto poi che si debbano per forza incontrare esclusivamente imbottiti di questo tipo dotati di volumi importanti ed evidenti, dovuti alle dimensioni del loro box: vi sono in commercio molti letti imbottiti senza testata anche dotati di “ring” molto bassi e forniti di piedi rialzati che permettono una facile pulizia del pavimento sottostante, proprio perché mancanti del box contenitore. Vi sono poi letti imbottiti “a turca” che, pur avendo la forma di quelli dotati di box contenitore, sono privi del vano sottostante. In questo caso il perimetro imbottito ha la sola funzione estetica di nascondere la rete (e le sue eventuali gambe) rendendo l’ambiente arredato più elegante ed armonico.
Il letto imbottito in stile Classico
In vari tessuti, forme e confezioni, i letti tessili sono divenuti negli ultimi decenni un prezioso complemento capace di arredare ogni casa ed essere abbinati ad ogni tipo di arredo. Leggeri e facili da usare e mantenere, i letti imbottiti sono ormai prodotti in ogni tipologia e, di conseguenza, in ogni stile. Pur essendo dunque un mobile relativamente recente, almeno nella sua moderna concezione stilistica, esso è stato comunque declinato anche in disegni che riprendono gli stili del passato. Sono questi letti che possono essere delle vere e proprie “copie” dei letti più in voga nei secoli scorsi ma che, molto più frequentemente rappresentano delle semplici “varianti” dei letti più moderni. Quasi sempre il giroletto possiede lo stesso aspetto di quelli moderni; può essere basso o alto proprio come in quelli moderni e, a parte il rivestimento che può trovarsi fabbricato con una o più “gale” intorno al materasso piuttosto che liscio in tessuto tirato, ben poche sono le differenze che vi si possono riscontrare rispetto ai ben più diffusi letti imbottiti di gusto moderno e contemporaneo. Per quanto riguarda la testata, il discorso è un po’ diverso perché è in questa parte di letto che si concentra infatti l’estro stilistico del designer che intende dare alla suppellettile un gusto un po’ differente del solito. Il principio conduttore è in questo caso quello della sinuosità delle linee, le quali, se non quando intervallate da qualche spigolo vivo (come nella foto qui mostrata) si susseguono di solito intorno a tutta la testiera del letto definendone il perimetro e quindi lo stile. Ma le forme solitamente non sono sufficienti a delineare un mobile di gusto “classico”: un mobile classico è sinonimo di decorazione, di ornamento, di guarnizione. Ed ecco che in aiuto degli stilisti torna di nuovo il “passato” a suggerire quelle strade della memoria capaci di stimolare i palati più esigenti alla ricerca di questo tipo di prodotto. E che cosa si poteva recuperare dal passato se non la lavorazione a capitonné? Essa è infatti spesso presente in questo tipo di letti, sia nelle varianti di lavorazione, per così dire “autentica” (cioè quella effettivamente fatta con bottoni e losanghe), sia in tutte le varianti più moderne che esistono attualmente in commercio, le quali, prevedono quasi sempre lavorazioni meno complicate a fronte di una completa sfoderabilità del mobile. Sì perché una delle ragioni che hanno consentito ai moderni letti classici in capitonnè di tornare di gran moda sta nel fatto che molti di questi, a differenza di ciò che avveniva in passato, consentono di sfoderare la testata, oltre che il box contenitore.
Quello della sfoderabilità del letto imbottito è un tema che meriterebbe un articolo a parte (e non è detto che non sia così in futuro) e che, non a caso, è opportuno affrontare proprio a proposito dei letti tessili di gusto “classico”. E’ abbastanza risaputo infatti, che uno dei motivi del ritorno al successo dei letti rivestiti in tessuto sta nel fatto che le moderne tecnologie industriali ne permettono oggigiorno la completa sfoderabilità; questo plus è ritenuto infatti quasi sempre indispensabile da chi acquista tale tipologia di letto perché ne migliora senza dubbio le performance in termini di praticità. Del resto, immaginarsi di dover utilizzare un letto tessile sapendolo non sfoderabile, potrebbe creare ben più di qualche preoccupazione in chi ci riposa ed è infatti per questo che quando si acquista un letto tessile (specie quelli classici, perchè quelli moderni lo sono praticamente sempre), bisogna informarsi sul fatto che possieda o meno la testata sfoderabile (il box contenitore, di fatto, è quasi esclusivamente sfoderabile)e, se non lo fosse, fare in modo di proteggere la stessa dallo sporco attraverso delle opportune accortezze. Una cosa però è certa: quando si acquista un letto di gusto classico, lo si vuole per prima cosa senza dubbio “bello” e, se tale bellezza (come spesso succede in questi casi) deve passare per forza da lavorazioni preziose come quella a “capitonnè”, si sarà senz’altro disponibili a fare un po’ di attenzione nell’utilizzo di prodotti così preziosi e eleganti piuttosto che privarsene preferendo dei “surrogati” di minor valore estetico.
Il letto tessile con testata e giro-letto trapuntati a quadri
Anche questo letto può essere considerato a tutti gli effetti un “erede” della tradizione “Capitonnè” di cui abbiamo così spesso avuto occasione di parlare in questo articolo. Esso può essere catalogato infatti in tutta quella vasta categoria di letti nel cui design, piuttosto che dare enfasi alle forme, si è preferito dare valore alle lavorazioni del suo rivestimento. Quello fotografato in questa immagine può essere a buon titolo considerato un ottimo esempio di questa varietà di letti: la sua linea d’altronde è assolutamente essenziale e minimalista esso possiede dei volumi evidenti, questo è vero, ma l’assoluta semplicità delle sue linee fa sì che sia quasi naturale pensare ad un qualche ornamento che renda più originale ed interessante la sua silhouette. In questo caso si è preferito optare per una lavorazione trapuntata a quadri: un procedimento molto semplice che, grazie ad alcuni specifici macchinari (detti “macchine trapuntatrici”, le stesse che si utilizzano per le coperte), ricopre le superfici del letto con delle cuciture che formano, in questo caso, dei riquadri. L’effetto complessivo diviene così elegante ed inedito e, proprio come avveniva (e tuttora avviene) per il ben più laborioso procedimento del Capitonnè, si raggiunge facilmente lo scopo di impreziosire ed adornare delle superfici altrimenti troppo lisce e noiose. Il bello di questo moderno modo di lavorazione sta nel fatto che le cuciture riguardano esclusivamente il rivestimento del letto tessile e non vanno per nulla a toccare, e quindi a condizionare, la struttura del letto. Il vantaggio sta dunque tutto nella praticità di uso di questi letti in tessuto i quali possono essere davvero sfoderati con grandissima semplicità: si parte dal rivestimento del box contenitore, il quale si presenterà dunque in questo caso specifico come una lunga striscia in tessuto su cui appaiono tutte le cuciture formanti i riquadri, per poi proseguire con lo sfoderare la testata che, attraverso una zip o un velcro, sarà possibile “spogliare” partendo dal suo retro. Nei modelli che come questo privilegiano la sobrietà, i letti sono del resto sempre rivestiti da tessuto o altri materiali adatti a venir perfettamente “tesi” e opportunamente fermati alla sua loro struttura in modo da creare un design semplice, dunque moderno ed elegante. Le forme di questi letti in realtà, possono anche essere arrotondate, dotate di un effetto “avvolgente” oppure sagomate (magari con un “allure” un po’ più romantica); il rivestimento trapuntato, o comunque lavorato in qualche modo, quando lo si utilizza deve obbligatoriamente concorrere a creare degli insiemi progettuali equilibrati e armonici.
Il letto tessile matrimoniale con testata intera
Spesso indipendentemente dallo stile a cui si rifà il letto imbottito, la presenza in un letto matrimoniale di una testata intera, piuttosto che divisa in due parti più piccole, è comunque poco influente per l’effetto generale che il mobile in questione produrrà nella stanza in cui sarà collocato. Si potrebbe sostenere che la testata “intera” restituisca un risultato più “pulito”, maggiormente scevro da orpelli e quindi preferito da chi ama il minimalismo della semplicità e della purezza delle forme, anche quando si tratta di scegliere un letto. In realtà però esistono (e non sono davvero pochi) tanti letti con testata intera anche molto lavorati e decorati, che nulla hanno a che vedere con l’idea di minimale che può esserci in un letto, ad esempio, come quello qui fotografato. Si tratta quindi quasi sempre di una questione di gusto personale. Anche dal punto di vista strutturale infatti, se anche è abbastanza giusto affermare che una testata intera si presenta più “solida” al suo normale impegno giornaliero, è anche vero che vi sono testate doppie che, pur apparendo come tali, sono in realtà sostenute da un’unica struttura che funge da schienale e che quindi possiedono le stesse caratteristiche di una testata intera. Strutturalmente si deve pensare alla testata intera di un letto, come ad un pannello, solitamente in legno, a cui viene successivamente incollata dell’imbottitura (attualmente i materiali più utilizzati a questo scopo sono il poliuretano espanso e l’ovatta sintetica), sulla quale sarà poi applicato il rivestimento in tessuto o pelle. Nel caso si stia parlando di una testata di tipo “moderno”, la maggior parte dei modelli ha la struttura completamente imbottita, mentre ne esistono altri tipi (come i letti classici dal design più simile agli originali dei secoli passati) che integrano delle parti in legno a vista. I primi sono di norma completamente sfoderabili con rivestimenti fissati con strisce di velcro oppure chiusi da cerniere “Lampo” o ancora agganciati con dei bottoni, talvolta lasciati a vista come motivo ornamentale. Per far sì che la sfoderabilità resti solamente un vantaggio e non si trasformi in un vero e proprio “incubo” è necessario che la testata sia relativamente “semplice” e che una volta tolto (e lavato) il suo rivestimento, sia facile riposizionarlo sulla testata senza incontrare grossi problemi. In questo, molto spesso, è dunque di grande aiuto possedere una testata intera, perché consente una maggiore praticità in tutte quelle operazioni di manutenzione che, testate troppo fragmentate, potrebbero in qualche maniera intralciare.
Il letto matrimoniale in tessuto con testata doppia
Un’altra importante ed ampissima categoria di letti tessili è quella che comprende tutti quelli che hanno la testata suddivisa in due parti. Si tratta in realtà di una tipologia di imbottito piuttosto recente che è nata proprio quando, alla fine degli anni ’70, il letto tessile ha ripreso ad essere un prodotto molto diffuso e popolare. La caratteristica principale di questa gamma di letti (il fatto appunto di avere la testata divisa in due), può essere dovuta a numerosi fattori che concernono sia il design, sia la struttura, sia la praticità di uso di questi mobili. Ci sono letti con testata doppia che, essendo quest’ultima costituita da cuscini, devono la loro forma al fatto che due testate, oltre che apparire più “decorative” di una singola, consentono una più facile pulizia e sfoderabilità della testata. Ci sono altri letti che devono la loro testata doppia ad un preciso intento dei designer di fornire un prodotto che sia particolare ed originale, proprio a partire dall’aspetto della sua testata. Ci sono poi dei letti (e ultimamente sono in effetti molto numerosi) che hanno la testata divisa in due perché fornita di meccanismi di regolazione. In quest’ultimo caso le ragioni per cui si opta quasi sempre per la testata doppia, sono piuttosto ovvie: dovendovi dormire due persone, è infatti logico dare la possibilità ad ognuno di essi di regolare l’inclinazione della testata su cui ci si riposa in una maniera che sia del tutto indipendente dalle scelte dell’altra persona appoggiata nello stesso giaciglio. Il letto qui fotografato, ad esempio, presenta una testata che, attraverso dei solidi meccanismi a cremagliera, può essere regolata nella parte alta in modo da assumere molte diverse posizioni a seconda dell’inclinazione del cuscino. Per far sì che le due testate non sbattano contro il muro in posizione molto inclinata, esse poggiano su di un supporto che è parte integrante della testata stessa. Non è però necessario che questo supporto posteriore esista, tant’è vero che esistono tantissimi letto con testate a “inclinazione regolabile” che pur non avendo tale sostegno, svolgono perfettamente il loro lavoro. A parte il fattore “regolazione”, la scelta di optare per una testata intera o per una divisa in due parti dipende essenzialmente dal gusto di chi lo deve acquistare. Si può affermare, così come abbiamo precisato nel paragrafo relativo alle testate intere, che due testate divise, se il letto imbottito non è ben realizzato, potrebbero creare alla lunga qualche problema di solidità ma nel caso dei prodotti di alta qualità, come sono quelli delle collezioni La Casa Moderna, tale preoccupazione non esiste: i nostri sono letti imbottiti che superano numerosissimi test prima di essere messi in commercio e ciò è garanzia di grande valore produttivo.
Il letto tessile con comodini e accessori estraibili
Anche nella camera da letto, specie nelle case di nuova costruzione che presentano di frequente problemi di spazio, è spesso necessario inserire suppellettili “non convenzionali” che consentano lo sfruttamento massimo di ogni centimetro a disposizione. A volte servono mobili capaci “di sparire” in un certo momento della giornata; altre volte servono mobili che si “trasformino” o che magari sappiano offrire dei vani per contenere che altrimenti sarebbero impossibili da ricavare. Questo è possibile da ottenere anche con alcuni letti imbottiti, i quali, oltre ad avere la possibilità di sfruttare il sotto-letto quale box contenitore o alloggio per cassetti, permettono, come nel caso qui fotografato, uno sfruttamento alternativo della loro testata. Sono i modelli che meglio si adattano ad ogni esigenza, soprattutto quando serve risparmiare spazio. In questo caso specifico la testata diventa un’unica soluzione compatta che, grazie al particolare design della struttura, permette alla testata di aprirsi ed allargarsi allo scopo di rendere fruibili dei comodissimi vani di appoggio laterali. Tali vani possono così sostituire dei veri e propri comodini, in tutti quei casi in cui il loro ingombro risultasse insopportabile per lo spazio a disposizione della camera da letto. Del resto essi, sono dei veri e propri scaffaletti che, ricavati dalla profondità leggermente maggiorata della testata possono essere usati sia come libreria che come portaoggetti o alloggio per delle luci snodabili. Da notare come il letto in questione, imbottito in morbida ecopelle e resistente tessuto, mantenga una giusta proporzione nonché un’eleganza degna di nota. Certamente questi sono risultati che si ottengono solo con una grande esperienza produttiva e con un’eccellente qualità dei materiali perché, quando si cerca di dotare di contenuti “tecnologici” prodotti essenzialmente semplici quali sono i letti imbottiti, l’errore può essere sempre dietro l’angolo. Prendiamo ad esempio proprio gli elementi estraibili di questo letto: essi si estraggono con un semplice movimento “premi ed apri” che facendo uscire di qualche centimetro il fianco della piccola libreria, consente a chi vuole usarla di tirarla fuori dalla testata in modo da averla a disposizione per il suo intero volume. Per far sì che questo accada e che continui ad accadere molto a lungo è assolutamente necessario che i meccanismi di apertura e le materie prime con cui è costruito il mobile siano di altissima qualità. Proprio come accade per tutti i prodotti La Casa Moderna.
Il letto in tessuto con testata avvolgente
Il letto tessile in realtà, grazie alla sua grande morbidezza e al suo eccellente comfort, rappresenta già di per sé un prodotto dotato di caratteristiche capaci di creare una notevole “intimità” in chi lo usa; dote questa che, in effetti, in un arredo è abbastanza difficile da trovare. Per chi desiderasse però provare in misura ancora maggiore tutto il “tepore” che letto tessile può trasmettere, ecco che sono nati i letti imbottiti con testata avvolgente. Si tratta di soluzioni arredative di grande effetto che grazie ad un design abbastanza ricercato, il quale si rifà in minima parte anche ad alcune “linee” appartenenti al passato, riescono in effetti a creare una propria “atmosfera”, capace di trasmettere una grande idea di accoglienza e comodità. Le forme di questo tipo di letto sono quasi sempre dolci e aggraziate ed esso è dotato di elementi caratteristici che enfatizzano il concetto di comfort che desiderano diffondere attraverso sporgenze stondate ed avviluppanti che, in qualche modo, racchiudono il profilo della testata. Ne esistono in versione sia alta che bassa ma è con la testata alta che questo modello di letto riesce senza dubbio ad esprimere al meglio le proprie caratteristiche. E’ con questa forma infatti che gli elementi sporgenti laterali riescono ad assumere pienamente l’importanza che serve loro per evidenziare nel letto la sua dote di intimità: essi cingono, quasi in un tenero abbraccio, le persone che giacciono sul letto e le fanno sentire in qualche modo al sicuro durante il sonno. Il modello qui fotografato che fa parte della collezione Atelier La Casa Moderna, è dotato dei due elementi laterali avvolgenti di forma “rastremata”. Questo accorgimento risolve brillantemente alcuni dei problemi che hanno questa gamma di letti tessili, i quali, sia per le loro dimensioni generose che per le loro forme abbondanti, risultano a volte difficili da essere collocati. In questo caso specifico la forma rastremata dei “fianchi” della testata permette, per prima cosa di diminuire il suo ingombro proprio dove si presume che essa si incontri con il volume dei comodini, secondariamente permette una maggiore comodità nel raggiungere gli interruttori della luce posti a parete, nonché di poter arrivare con più agio agli oggetti posti sul comodino stesso. Un altro esempio di come il Design dei prodotti, quando è davvero di qualità, possa contribuire fattivamente al benessere di ognuno di noi.
Il letto imbottito “Tondo”
Ed eccoci arrivati al modello di letto tessile che forse è più capace di stimolare l’estro ed il senso estetico delle persone. Un connubio imprescindibile che è certamente dato da un fantasioso aspetto fresco e moderno, da tanta personalità in più e dal piacere che provano coloro che hanno modo di togliersi l’intima soddisfazione di possedere un oggetto “unico” nel suo genere come è questo tipo di letto.
Iniziamo col dire che in generale esistono in commercio due tipologie di letti imbottiti tondi, quelli che possiedono sia il giroletto, che la rete e il materasso tutti e tre tondi e quelli come foto in cui un normale materasso matrimoniale è contornato da un giroletto semi-tondo che restituisce un effetto scenico molto particolare ed interessante. Entrambi i modelli possono avere una testata alta oppure bassa a seconda dello stile e del design di cui i vari modelli esistenti in commercio sono provvisti; mentre per il giroletto con rete e materasso tondi si è costretti generalmente a scegliere delle testate anch’esse curve (e che quindi non sono solitamente predisposte per essere appoggiate a parete) al giro-letto del tipo fotografato è quasi sempre abbinato un tipo di testata “piatta”, che permette di posizionare il letto normalmente a parete. Questo fattore insieme a quello relativo alla dimensione ed alla forma del materasso rendono abbastanza complicato l’inserimento di questo letto nelle stanze di dimensioni non adeguate. Sì perché, come è ovvio, sia nel caso del giroletto tondo con all’interno un materasso normale, sia nell’altro caso, stiamo parlando di letti che non possiedono proporzioni “normali” a causa proprio delle loro stondature che, in qualche modo, ingombrano spazio che con un letto di dimensioni standard non viene occupato. Il letto della foto ad esempio, fa parte della collezione La Casa Moderna e, pur contenendo un materasso di dimensioni standard (160 x 200 cm) occupa una spazio di 245 cm in lunghezza e di ben 250 cm in larghezza. Tale letto è dunque senza dubbio da consigliarsi solo ed esclusivamente a chi possiede delle stanze di dimensioni piuttosto generose, in cui lo spazio fra letto ed armadio sia superiore almeno ai 310 cm. Molto meglio non va nel caso del letto con giroletto, rete e materasso tondi. In quest’ultimo caso infatti l’ingombro complessivo diminuisce di solito sensibilmente, attestandosi intorno ai 210/220 cm ma la forma tonda del giaciglio richiede la costruzione di reti e materassi appositi che hanno delle proporzioni non comode come quelle che possono trovarsi in un materasso normale. Il materasso infatti in questo specifico modello, essendo tondo, offre una grande comodità al centro, ma risulta abbastanza scomodo nella zona della testa e delle gambe, tanto da renderlo quasi più adatto all’uso di una persona singola, piuttosto che all’utilizzo matrimoniale. Un vantaggio di questo tipo sta però nel suo possibile posizionamento; questo letto infatti, avendo anche il resto della testata perfettamente stondato a proseguire la sagoma del giroletto, non è molto adatto ad essere posizionato a parete così come si fa per un letto normale; è però molto adatto ad essere posizionato negli angoli perché riesce ad occupare degli spazi che un letto di forma rettangolare non riuscirebbe mai a sfruttare appieno.
Il letto imbottito “Monoscocca”
Particolare ed avveniristico, questo tipo di letto deve in verità molte delle sue forme al design più importante degli anni sessanta e settanta, periodo in cui si era dato ampio spazio a quelle linee sinuose che in qualche modo ricordavano i primi viaggi nello spazio fatti dall’uomo. Esteticamente appare come un corpo unico rotondeggiante al cui interno viene alloggiato il materasso. Costruttivamente invece è realizzato con criteri produttivi molto simili a quelli degli altri letti moderni: un box (stavolta senza contenitore), a cui è applicata una testata che ne prosegue in tutto e per tutto le linee alzandosi da terra quel tanto che basta per crearvi un comodo appoggio per la testa di si riposa. Il suo disegno è quindi molto lineare e pulito e, per questo motivo, risulta particolarmente adatto ad essere rivestito in ecopelle o pelle, materiali che, come è noto, rendono al meglio là dove possono in qualche modo essere montati in posizione tesa. Molto precisi nel loro stile, questi letti si adattano in camere ed ambienti in cui il gusto moderno è spiccato ed evidente. Del resto, il loro design non lascia molto spazio alle interpretazioni in quanto l’assoluta mancanza di orpelli o sporgenze li rende talmente schietti e minimali da non essere inseribili con facilità in altre tipologie di ambienti. Una caratteristica abbastanza peculiare di questo genere di letto tessile sta nel fatto che la sua struttura è rivestita in ogni sua parte e questo consente di sistemare il letto staccato dalla parete, in un angolo, oppure addirittura in centro stanza, luogo in cui notoriamente sono ben pochi i letti che riescono ad esprimere al meglio la loro bellezza. Nota dolente, ma solo in alcuni specifici casi, possono essere le dimensioni di questo letto le quali, ampie e generose (il modello fotografato misura 195 x 230), sono adatte soltanto alle camere più grandi ovvero quelle superiori ai 25 mq, in cui la larghezza minima di un lato della stanza superi almeno i 4 metri.
Il letto imbottito con boiserie in tessuto
Da qualche anno a questa parte sta prendendo molto piede anche l’usanza di rivestire la parete dietro al letto con pannelli decorativi in tessuto che sostituiscono in qualche modo la testata. Si tratta di vere e proprie estensioni tessili che ripetendo gli stilemi (e le tipologie di rivestimento) del box contenitore o del semplice giro-letto imbottito consente di creare degli insiemi molto eleganti e ornamentali che possono, grazie alle loro caratteristiche, aiutare anche a risolvere alcune problematiche che talune stanze possono presentare. Questo tipo di soluzioni risultano infatti utilissime per il risparmio di spazio quando si ha a che fare con stanze strette. Lo spessore dei pannelli boiserie raggiunge pochissimi cm (circa 4 quelli dei pannelli fotografati in questa immagine) e ciò permette di ottenere dei letti che, con reti e materassi di dimensioni normali (160 x 190), raggiungono la misura massima di 200 cm di lunghezza. Una dimensione veramente contenuta che può tranquillamente essere inserita in ogni stanza. Un altro aspetto fondamentale di questo tipo di arredo sta anche nel grande valore arredativo che questi prodotti hanno. Siamo alla presenza di mobili originali e particolari che in effetti sono capaci di cambiare già da soli l’aspetto complessivo di una stanza. Per questo motivo sono mobili che a differenza dei normali letti imbottiti necessitano di una certa progettazione. Il modello della collezione Atelier qui fotografato ad esempio è composto da un vastissimo assortimento di pannelli e composizioni che, grazie alla grande versatilità del suo programma, permette di formulare più di un migliaio di proposte diverse di rivestimento. A queste pannellature, dalle forme più svariate e colorate, è possibile abbinare tutti i tipi di sommier immaginabili dotati delle dimensioni più disparate, dal singolo al “king-size”, passando dall’eventualità di poter accostare senza nessun problema due letti singoli in modo da formarne uno matrimoniale. Questa versione, da non sottovalutare anche quando si ha a che fare con le stanze dei ragazzi, offre numerose possibilità anche nel campo dell’Hotellerie: molti dei moderni alberghi la adottano infatti perché consente loro di trasformare le camere da “doppie” a “matrimoniali” con un semplicissimo gesto. Le stanze in questo caso sono addobbate con grandi boiserie imbottite applicate dietro al letto, le quali hanno solitamente misure superiori di 50/60 cm rispetto alla somma delle larghezze dei due letti singoli. Quest’ultimi, una volta accostati, potranno così formare un grande letto matrimoniale che potrà godere di un’importante ed elegante testata a parete.
Il letto imbottito con testata asimmetrica
Stoffe e colori sono un binomio vincente per trasformare, anche con pochi interventi, qualsiasi ambiente e quando si parla di letti tessili, questo ragionamento assume una grandissima valenza, proprio relativamente a tutti quegli abbinamenti che servono per inserirli adeguatamente nelle camere. In vari tessuti, forme e confezioni, i letti imbottiti sono infatti un prezioso complemento per arredare la casa in modo fantasioso e originale ma, per svolgere in maniera opportuna questa loro funzione, devono possedere delle caratteristiche tali da poter essere declinate nella giusta maniera. Del resto, i letti con testata asimmetrica, risultano particolarmente utili proprio quando si desidera in qualche modo “movimentare” gli arredi; essi infatti permettono un uso più versatile dei colori perchè possono vedere abbinati sulla stessa testata due zone separate rivestite in colori, tessuti e materiali differenti. Leggere ed estrose, queste testate esistono in commercio in numerose versioni che, grazie alle loro forme a volte anche bizzarre, sono capaci di rendere gioiosa ogni stanza. La loro base può essere indifferentemente un semplice ring a contorno del materasso oppure un box contenitore: la cosa importante e che questa sia rivestita in un tessuto coordinato con quello della testata e che il suo insieme risulti piacevole alla vista. Molto interessante in questo senso è il possibile abbinamento di toni che questi prodotti possono permettere all’interno delle camere, anche relativamente alle stesse pareti. Nell’esempio fotografato in questa immagine è stato utilizzato il color “salmone” preso in numerose sue sfumature, sia per il rivestimento del letto e della poltrona, sia per la verniciatura della parete. Un insieme progettuale in verità molto semplice ma dal grande valore decorativo, che appare per questo motivo capace di migliorare notevolmente la stanza dove sono posizionati tali arredi. Un’ulteriore dimostrazione di quanto, anche in scelte che sembrano in se piuttosto “banali” come quella di un letto, la figura professionale dell’Interior Designer possa risultare davvero essenziale.
Ci vuole un sonno di qualità
Il letto è spesso il protagonista incontrastato di ogni camera da letto… E quando quest’ultimo è rivestito in tessuto, in pelle o ecopelle, con una grande base contenitore o una solida testata reclinabile, esso diventa ancora più importante per ogni ambiente che lo ospiti. In questo articolo abbiamo voluto dare un’ampia rassegna di quelle che sono le tipologie di letto imbottito che possono trovarsi in commercio, partendo proprio dalla collezioni di letti facenti parte della gamma La Casa Moderna. Questi fotografati sono però soltanto pochissimi esempi di tutto ciò che la nostra produzione può offrire. Sono letti solidi, belli, versatili, eleganti ed estremamente pratici nel loro utilizzo, ma soprattutto di grandissima qualità. Indipendentemente da chi lo produca infatti è importante che ogni consumatore sia informato del fatto che, quando decida di acquistare un letto tessile, stia in realtà definendo il luogo dove probabilmente passerà la maggior parte della sua vita. E questo implica l’obbligo di acquistare solo ed esclusivamente prodotti che abbiano delle caratteristiche tali da risultare solidi, salubri, pratici e molto duraturi nel tempo. I letti tessili della collezione La Casa Moderna lo sono e sono fonte di soddisfazione per i molti clienti che negli anni li hanno preferiti. Questo è lo stimolo che maggiormente ci sprona a portare avanti progetti e collezioni di prodotti sempre nuovi ed originali in modo da soddisfare un pubblico sempre più vasto.
Un compito difficile ma che porteremo avanti con grande impegno e con la sicurezza di chi svolge questo lavoro con passione e professionalità praticamente da sempre.
Conclusioni
Speriamo che la nostra guida su come scegliere un letto imbottito ti abbia fornito le informazioni necessarie per prendere una decisione consapevole e soddisfacente. Presso Griva Arredamenti, siamo pronti ad aiutarti a realizzare arredamento su misura.
Ti invitiamo a visitare i nostri showroom di Pinerolo e Torino, dove potrai scoprire di persona la qualità e l’eleganza dei nostri mobili. Potrai toccare con mano i materiali, valutare le soluzioni di spazio e ottenere consigli personalizzati dai nostri esperti.
Se hai domande o desideri ulteriori informazioni, non esitare a contattarci. Saremo felici di fornirti tutte le risposte di cui hai bisogno dai nostri esperti interior designer.
I libri ed il mobile da soggiorno
Se oggi è molto comune avere una libreria in soggiorno, non sempre è altrettanto abituale la consuetudine alla lettura. Almeno alla lettura di libri non puramente di evasione (che sono poi quelli che, una volta terminati, si gettano). Verso la “buona lettura” (o letteratura) proviamo una certa diffidenza: impegno, serietà, noia sono le immagini che associamo ad essa, retaggio di esperienze precoci, scolastiche ed infantili, che ci hanno costretti a leggere non tanto quello che avremmo voluto, bensì quello che ci veniva imposto. La lettura come compito e dovere. Insomma. Quando questo dovere è venuto meno, ben raramente ci è rimasta la voglia di leggere, proprio perché non si era creata alcuna abitudine alla lettura intesa come scelta personale, godimento, piacere eccetera. Disabitudine che porta con sé, come inevitabile conseguenza, le difficoltà o l’incapacità a scegliere tra la grande produzione libraria quei volumi che più ci possono appagare. Ci troviamo così defraudati non solo di una fonte di arricchimento culturale e spirituale, ma anche di una vera gioia, di un piacere che potrebbe “letteralmente” essere a portata di mano, e in qualsiasi momento. Potrebbe, ma non è, perché, anche quando nella nostra libreria i libri non mancano, molto spesso lì restano. Come un oggetto, un soprammobile puramente ornamentale. Il libro invece è uno strumento, va usato, e più si usa più si impara a ben servirsene e ad apprezzarlo. Uno strumento estremamente duttile che di momento in momento può rispondere alle nostre richieste e ai nostri bisogni. Uno strumento che si deve maneggiare, sfogliare, guardare per scoprire come è facile, una volta incominciato, non trovare più il momento di smettere.
La cosa più giusta da fare quindi, sarebbe tenersi sempre un libro vicino, anzi, tenersene anche ben più di uno, diversi tra loro per contenuto e impegno, cui attingere nei vari momenti della nostra giornata secondo lo stato d’animo e le necessità.
Seduti in poltrona, con un bicchiere sul tavolo e un buon libro: un’immagine di comfort e di relax. Ma il libro, dove lo mettiamo? È chiaro, nella libreria!
Un tempo le librerie trovavano posto esclusivamente nella biblioteca o nel locale “studio” della casa. In realtà queste stanze con caratteristiche così particolari non esistono quasi più e gli scaffali per i libri si collocano in ogni ambiente della casa. Anche in soggiorno, naturalmente, dove non è difficile creare le condizioni per una buona lettura: poltrone comode, tranquillità e illuminazione adatta. Per fortuna oggi il gusto comune si è evoluto parecchio e si fa sempre più strada un modo meno schematico di intendere l’arredamento, meno legato ad un certo numero di elementi che “ci vogliono”, qualunque siano le esigenze e le disponibilità di spazio. Se i libri sono pochi e non pensiamo, domani, di averne molti di più è inutile riempire le pareti di scaffali, soffocando uno spazio magari già esiguo. Ma il nostro discorso, qui, si rivolge a quelli (e ci auguriamo siano sempre più numerosi) che di libri ne hanno, e magari parecchi. Parliamo di librerie, o meglio, di scaffali in genere, poiché è bene tener presente che su mensole e ripiani, oggi, accanto ai libri, si posa un po’ di tutto.
Le librerie. Tanti tipi diversi di mobile dai molteplici usi.
Scaffalature per tenere in ordine i libri, ma anche strutture complesse utilizzate per dividere gli spazi, riporre gli oggetti, abbellire le pareti, sono un tipo di mobilia molto in uso. Sempre con un’unica costante in ogni modello: la grande funzionalità.
Possono essere progettate su misura, oppure realizzate con moduli componibili in diversi materiali a seconda delle esigenze di spazio e capienza. Possono contenere soltanto libri oppure oggetti da collezione, Hi-fi e televisori. Possono essere composte di soli scaffali “a giorno”, essere vetrine chiuse, avere ante in ferro, legno o laminato, dipinte al naturale oppure laccate, a sviluppo verticale o “orizzontale”, coi fianchi metallici o in legno. Tante possibili varianti con un indiscutibile denominatore comune: come è facile trovare il posto per i libri quando si ha a disposizione uno spazio ben definito ed organizzato.
Una prima grossa distinzione va fatta tra scaffali che hanno bisogno di essere fissati a muro (le cosiddette “librerie sospese” o “a mensole”), e scaffali invece autoportanti, cioè in grado di sostenersi da soli (vedremo poi che a volte è consigliabile fissare al muro anche questi): le cosiddette “librerie a terra”. La “componibilità” è un notevole grado di libertà offertoci dai molti tipi di scaffali in commercio: questa caratteristica produttiva trova proprio qui la sua più corretta applicazione, al di là delle mode passeggere. Nella maggioranza dei casi, infatti, è comodo orientarsi su scaffalature con produzioni modulari, componibili e a ripiani mobili oppure sfalsati, in modo da mettere per davvero la libreria al servizio dei libri e di tutti gli oggetti che dovrà contenere e che potranno variare nel tempo. Le librerie componibili sono infatti composte da moduli assemblabili fra loro. Possono essere costruite in diversi materiali e presentano il grande vantaggio, rispetto alle librerie fisse e monoblocco, di poter essere adattate per lo spazio che si ha a disposizione con notevole facilità. Un altro vantaggio delle librerie componibili è costituito dalla possibilità, in caso di trasloco, di smontarle e riadattarle ai nuovi ambienti. Ma attenzione: in ogni caso bisogna ricorrere a personale qualificato dal momento del rilievo delle misure al momento dell’installazione.
Di librerie componibili ne esistono una infinità di tipologie: esistono quelle composte con dei lunghi fianchi verticali intervallati da tanti ripiani orizzontali, a seconda di quanto sono le posizioni che ci interessa creare all’interno del mobile, e quelle che si sviluppano “orizzontalmente” in cui gli spazi si creano intervallando a piccoli fianchi verticali, dei ripiani orizzontali lunghi a volte quanto la stessa libreria.
Nel progettare una libreria è necessario tenere presenti alcuni dati, che fanno parte di quei “segreti del mestiere” che solo i mobilieri più accorti, , conoscono e che quindi non possono certo trovarsi nelle grandi strutture di vendita moderne. Vediamone quindi alcuni.
La profondità
La profondità “ridotta” di questo tipo di mobile è uno dei motivi per cui quest’ultimo è così frequente da trovare nelle case moderne. Le dimensioni dei nuovi soggiorni, quasi sempre uniti alle cucine in un’unica stanza d’ingresso, creano non poche problematiche di arredamento proprio a causa degli spazi disponibili molto contenuti.
Non molto tempo fa, specie nei soggiorni, esisteva fra l’altro il problema che le librerie da soggiorno, essendo quasi sempre predisposte anche come appoggio per la Tv, necessitavano di alcune zone profonde almeno 55 cm in modo da potervi alloggiare i vecchi televisori con tubo catodico. Le nuove tecnologie hanno però superato questo problema e ciò ha permesso di progettare più facilmente questo tipo di mobilia.
Essendo dunque ritornati principalmente ad essere mobili che “per definizione” sono destinati a contenere dei libri è importante partire dal loro uso primario per capirne i metodi di progettazione più adeguati. Per i mobili librerie, la profondità più adeguata per contenere volumi di forma “normale” è solitamente 18/22 cm, mentre per i volumi “d’arte” può raggiungere anche i 33/35 cm. Questo comporta il fatto che una libreria di dimensioni “regolari”, non possa essere meno profonda di 33 cm misura che, guarda caso, è proprio quella che genericamente si considera come standard per le librerie “di serie”. Una cosa che bisogna considerare in questo caso è il fatto che, molto spesso, le librerie sono fornite di un sottile pannello in legno posteriore che funge da schienale e serve per proteggere il muro ed i libri stessi da un eventuale loro contatto. Questo “schienale” ha uno spessore molto limitato (di solito 1 cm, o anche meno) ma che si scosta solitamente dal muro per qualche centimetro per lasciare dell’aria che funga da isolamento, il che riduce la profondità sfruttabile a circa 29/30 cm. Nel caso delle librerie “da soggiorno” non è raro trovare però mobili che hanno una profondità superiore anche a 40 cm. Ciò si verifica solitamente quando si hanno raccolte di libri molto grandi (tipo le enciclopedie più voluminose), oppure, più frequentemente, quando si ha la necessità di un mobile che non sia solo “libreria”, ma che funga bensì anche da contenitore per le stoviglie, per delle collezioni, per dei soprammobili, oppure semplicemente per tutti quegli oggetti che in casa non possiedono un altro luogo ove poter essere riposti. In questo caso si procede frequentemente col progettare una libreria profonda circa (un’altra delle profondità standard più diffuse) e la si dispone prevedendo degli spazi chiusi (con ante in legno e vetro, oppure con ribalte) che fungano appunto da recipienti per le suppellettili che si ha necessità di conservare. E’ importante sottolineare però che in questo specifico caso (librerie con profondità maggiorata) si crea un problema di disposizione per quanto riguarda i libri. Il motivo è abbastanza ovvio e chi è abituato a frequentare negozi di libri e biblioteche lo conosce abbastanza bene: la profondità “maggiorata” obbliga chi dispone i libri su quest’ultima a predisporre solitamente due file di libri una di fronte all’altra, in modo da sfruttare lo spazio che altrimenti andrebbe sprecato. Questo implica logicamente il fatto che, in questo caso, i libri posti dietro, non siano visibili a chi li cerca e che siano oltremodo abbastanza difficili da raggiungere, senza togliere la fila anteriore di volumi. Si può tranquillamente dire che chi progetta di acquistare una libreria per riporvi esclusivamente dei libri, dunque, debba essere per forza obbligato a tenere ben presente questo problema e debba per questo preferire mobili che abbiano ripiani profondi dai 22 ai 35 cm massimo.
L’altezza
In una libreria che si rispetti, l’altezza tra i ripiani non deve essere inferiore ai 18 cm, sempre considerando i volumi più comuni; mentre per le edizioni d’arte o le enciclopedie l’altezza può addirittura salire a 35 cm. Una misura che è considerata abbastanza universale di distanza fra ripiani è quella di 32 cm, la quale porta ad avere un’altezza netta (cioè esclusa dello spessore del ripiano) di 28/29 cm circa. Lo spessore minimo perché i ripiani non si “imbarchino” o rischino di spezzarsi, deve essere infatti per il legno almeno di 3 cm e questo “ingombro” deve essere dunque considerato fra i calcoli. Una normale libreria con misure di altezza standard, verrà quindi in totale a misurare il risultato della moltiplicazione di 32 cm per il numero di ripiani che il mobile ha. Più alti sono eventualmente i vuoti fra i ripiani, più alta sarà dunque la libreria nel suo complesso. Calcolando approssimativamente quindi un numero di ripiani pari a 8 (nove con quello che fungerebbe da tetto) si ottiene una libreria alta circa 260 cm. Se i ripiani saranno 7 la libreria risulterà essere invece alta 230 cm e così via. Le librerie che vengono solitamente posizionate nei moderni soggiorni sono alte 260 o 230 cm, ma ci sono numerosi casi in cui si preferisce optare per lo sfruttamento della larghezza, progettando librerie anche molto basse, addirittura meno di 180 cm.
La larghezza.
Ed eccoci appunto a parlare di larghezza, la quale risulta ovviamente essere la misura che più richiede una certa attenzione da parte di chi progetta una libreria.
Partiamo da un assunto: in un metro lineare ci stanno mediamente 40/50 volumi di dimensioni normali, per un peso complessivo di circa 50/60 chili. Questi del peso e dello spazio occupato sono i parametri che più devono interessare chi ha in mente di allestire una libreria nella propria abitazione. Primo fra tutti il peso: che si componga una libreria con sviluppo orizzontale o che la si crei nella maniera tradizionale (con i fianchi verticali) difatti, bisogna tener ben presente che più sottili saranno gli spessori dei ripiani orizzontali, tanto più fitti (cioè più ravvicinati fra di loro) dovranno essere gli elementi verticali. Per questo motivo i ripiani di una libreria sono preferibili di uno spessore pari a circa 3 cm o poco meno, perché con questa altezza si riesce a comporre librerie abbastanza robuste e solide senza doverle riempire di fianchi. Una volta compreso questo concetto sarà facile anche capire perché, solitamente, i moduli standard delle librerie hanno misure non superiori ai 90 cm. La maggior parte dei prodotti in commercio infatti, possiede in larghezza una modularità “di serie” che di solito prevede l’uso di ripiani larghi 30, 45, 60, e 90 cm. Per le larghezze superiori, al fine di non causare “imbarcamenti” delle assi orizzontali, vengono previsti dei sostegni aggiuntivi, in modo da mantenere inalterata la solidità della struttura. Queste larghezze “componibili” permettono, unendo le une alle altre in maniera continua, di raggiungere in pratica ogni misura possibile.
La Tv e gli altri alloggiamenti “speciali”
In quasi ogni libreria da soggiorno si può essere quasi certi di trovare dei vani “speciali”, progettati per qualche speciale utilizzo. E’ ad esempio il caso del “vano porta Tv” o di tutti quegli altri alloggiamenti che vengono creati all’interno dello scaffale a giorno per degli oggetti di dimensioni particolari. Quello del vano Tv, è uno spazio interno molto comune che si è andato modificando nel tempo, con il variare della tecnologia. Una volta, come abbiamo già detto, i vani televisore avevano una profondità maggiorata (circa 60 cm) a causa del tubo catodico sporgente ed una larghezza di circa 90 cm per le proporzioni dei vecchi televisori. Adesso, con le moderne Tv a schermo piatto e le nuove proporzioni “cinematografiche” a 16:9, i vani porta tv non richiedono più di avere profondità maggiorate, ma dimensioni di larghezza quasi sempre superiori al metro. Nelle moderne librerie componibili si è cercato dunque di adottare degli accorgimenti che permettessero un utilizzo migliore di questo spazio.
Un problema ad esempio che si è cercato di risolvere è quello dei cavi, i quali vengono convogliati in spazi appositi del mobile, in modo da renderli invisibili dietro la tv. Ci sono diverse soluzioni per questo tipo di problema, esistono delle “borchie passacavo” che consentono di trasportare i cavi in basso, nella parte sottostante la Tv dove solitamente sono posizionate le prese nel muro. Vi sono dei pannelli di forte spessore predisposti per appendervi delle tv a schermo piatto, in maniera da nascondervi dietro prese e fili e vi sono anche dei veri e propri “meccanismi movibili” che permettono addirittura di posizionare la tv inclinandola rispetto all’angolo di visuale tradizionale.
Tutti questi escamotage, risultano essere senz’altro molto utili e assai graditi da coloro che si apprestano a progettare un mobile da soggiorno di questo tipo.
Un altro dei problemi importanti da considerare quando si prevede di alloggiare la tv all’interno di uno scaffale da soggiorno è la larghezza del televisore stesso. Come abbiamo detto infatti le larghezze “standard” per i ripiani di spessore “normale” (circa 3 cm) non sono predisposte per essere costruite in larghezze superiori ai 90 cm per evitare imbarcamenti. Le moderne Tv “a schermo piatto” però, specie quando vengono posizionate in soggiorno, non sono quasi mai meno di 100 cm di larghezza (il “42 pollici” ad esempio misura dai 93 ai 99 cm) e questo comporta un possibile problema di solidità strutturale. Per ovviare a questa possibile complicazione è sempre opportuno prevedere dei sostegni verticali che in qualche modo, riescano ad interrompere la lunghezza dei ripiani disposti nel vano porta Televisore. A questo scopo, si può utilizzare uno schienale di spessore maggiorato (come quello utilizzato per il vano tv, appunto), come anche dei semplici fianchetti divisori rompi-tratta che, posizionati fra i ripiani, possano fungere da sostegno strutturale.
La libreria “mettitutto”.
C’erano “una volta” dei mobili da soggiorno che negli anni prossimi alla seconda guerra mondiale erano comparsi in maniera preponderante nelle case degli italiani. La loro massima diffusione si ebbe a cavallo fra gli anni ’50 e ’60 ed era possibile trovarli più o meno presso tutti i ceti sociali dell’epoca. La loro costruzione era abbastanza semplice: una credenza a due o tre ante, una colonna dispensa alta accanto ed una piccola serie di pensili sopra, quasi sempre dotati di ante a vetro, che servivano per riporvi quello che un tempo era “il servito buono”. Erano i cosiddetti “mettitutto”, un tipo di mobile che col tempo è andato scomparendo, soppiantato da un lato dai moderni elementi componibili da cucina, e dall’altro dai moderni mobili da soggiorno.
Nonostante il loro uso si sia dimenticato, quasi mai si riesce però a fare a meno dell’utilità che essi possedevano, in quanto “contenitori” dotati di una certa estetica e di un certo stile. Questa loro peculiarità la si può adesso spesso ritrovare, in qualche modo addirittura amplificata, anche all’interno proprio delle librerie da soggiorno.
Come abbiamo detto, gli scaffali da giorno, sono mobili molto versatili e polimorfi che possono essere composti usando numerosi elementi standard a fungervi da struttura. Tale struttura, nel caso si abbia bisogno di una capienza maggiorata, può essere profonda anche 45 centimetri o più. Questa caratteristica consente dunque di poter disporre di mobili che se da un lato non hanno nulla da invidiare a quei “mettitutto” che una volta facevano bella mostra di sé all’interno delle case degli italiani, dall’altro possiedono una capacità contenitiva che può essere senz’altro molto maggiore. Ma questo fatto non è proprio evidente per tutti.
Quando si pensa ad uno scaffale a giorno infatti si pensa più che altro ad un mobile “a giorno” che essendo predisposto per alloggiarvi dei libri non possiede delle ante. I moderni mobili libreria componibili invece hanno la possibilità di essere forniti con una grande variante di tipologie di ante e questo consente di utilizzare tali librerie quali fossero quasi delle “estensioni” delle nostre cucine componibili. Nelle ante a vetro, ad esempio, possono trovar posto i libri più belli, ma anche una splendida collezione o, perché no, il più bel servizio di stoviglie che possa esserci in casa. In una grande anta a ribalta, possono essere riposte tutte quelle bottiglie con cui è possibile allietare una serata fra amici. In una ampia cassettiera invece potrebbero venir posizionate tutte quelle posate “più belle” che magari non vengono utilizzate in settimana perché usate solo per le “feste comandate”. Insomma, una libreria da soggiorno molto spesso è tale solo per il suo nome, ma per il suo uso variegato e versatile potrebbe essere a tutti gli effetti chiamata anche in mille altri modi.
Quello che è importante aver chiaro è che in verità, quando parliamo della stanza “giorno di una casa”, pensare ad una libreria solo come al posto in cui possano essere contenuti dei libri può essere altamente riduttivo. Una libreria in soggiorno può essere un’infinita fonte di spazi che, se ben usati e calibrati, possono veramente risolvere quei tanti piccoli problemi dimensionali che le case moderne hanno.
Per far questo però è necessario rivolgersi a professionisti seri che abbiano ben chiari i metodi progettuali e costruttivi dei mobili e che possono, per questo, consigliare al meglio chi intende arredare la propria casa con questi attraenti e comodi mobili da soggiorno.
Conclusioni
Speriamo che la nostra guida su come scegliere un letto imbottito ti abbia fornito le informazioni necessarie per prendere una decisione consapevole e soddisfacente. Presso Griva Arredamenti, siamo pronti ad aiutarti a realizzare arredamento su misura.
Ti invitiamo a visitare i nostri showroom di Pinerolo e Torino, dove potrai scoprire di persona la qualità e l’eleganza dei nostri mobili. Potrai toccare con mano i materiali, valutare le soluzioni di spazio e ottenere consigli personalizzati dai nostri esperti.
Se hai domande o desideri ulteriori informazioni, non esitare a contattarci. Saremo felici di fornirti tutte le risposte di cui hai bisogno dai nostri esperti interior designer.
Che cosa è una Cabina Armadio?
La cabina armadio è quel “must” che tutti sognano di avere in casa, ma che in molti pensano di non poter realizzare per le dimensioni, la forma oppure la disposizione delle proprie stanze.
In un certo senso la Cabina è l’evoluzione di quella che un tempo, nelle case signorili, era la “stanza guardaroba”. Adesso le abitazioni sono più piccole, le esigenze sono cambiate ma, anche quando è realizzata per lo più con mobili componibili, o a maggior ragione, quando è costruita su misura, la cabina diventa un vero e proprio guardaroba che spesso sostituisce l’ingombrante armadio posto nella stanza da letto, specie quando quest’ultimo risulta effettivamente “di troppo”. Tutto ciò, ovviamente, dando agli abiti una “visibilità” maggiore e permettendo di sfruttare spazi della casa altrimenti poco utilizzati. La cabina è infatti una tipologia di arredo adatta per una nicchia, un angolo, un vano irto di pilastri oppure per una semplice rientranza del muro. Per costruirla oramai occorre veramente poco: sono fondamentali il rilievo esatto delle misure, le buone condizioni delle pareti, un budget a disposizione che contempli sia la spesa per l’arredo (gli elementi interni dove porremo gli abiti) che il costo delle chiusure esterne (le eventuali pareti e le porte), ed un progettista che sappia consigliare al meglio le varie disposizioni.
Cucita addosso come un abito di sartoria essa può essere “rettangolare” (perfetta ad esempio per essere posizionata dietro al letto), oppure “triangolare” (cioè con due lati disposti a elle) per sfruttare al meglio ogni singolo centimetro di spazio. Ma potrebbe essere anche attrezzata su tre lati o addirittura su quattro. Minimalista o in stile prettamente “classico”, superaccessoriata oppure più easy, grandissima o piccolissima, addirittura composta con la sola funzione di minuto spogliatoio.
Costruita in legno, in cartongesso o ottenuta semplicemente con delle grandi porte scorrevoli a chiusura di una nicchia in muratura, la cabina armadio può essere dunque, di fatto, personalizzata a 360°. Di solito, come vedremo, si allestisce facilmente, senza interventi di muratura. La qualità del lavoro dipende però dalla professionalità offerta dai progettisti e dagli installatori dei punti vendita a cui ci si rivolge per acquistarla, i quali ne determinano spesso la solidità, la praticità d’uso e la cura dei dettagli.
Vediamo un po’ più nel particolare le varie tipologie di cabina disponibili, dal punto di vista della loro disposizione interna e del loro arredo.
Disposizione su due lati
La cabina di questo tipo è senz’altro una di quelle più comuni da trovare, perché consente l’uso dell’angolo ed è quindi preferita in molti casi allo scopo di sfruttare al massimo lo spazio. La cabina disposta in questo modo però, per poter essere utilizzata al meglio, deve essere larga almeno 210 cm ed avere una profondità minima di 180 cm. Nell’esempio riportato qui a fianco è stata creata come divisorio, una parete di vetro posizionata dietro al letto per lasciare la stanza il più possibile “libera” all’occhio di chi vi entra. Il materiale che viene usato nella maggior parte dei casi per creare questo tipo di separazione non è però certo il vetro, bensì il cartongesso, il quale, essendo un materiale di facile utilizzo e di basso costo, si adatta perfettamente a questi usi e consente di creare disposizioni interne anche molto particolari.
Se l’estetica della cabina armadio infatti ci affascina, ma non siamo ben disposti verso le noie della posa in opera di materiali costosi come il vetro, o difficili come la muratura vera, è possibile considerare il cartongesso come una validissima alternativa, esso ci permetterà di “rivestire” perfettamente la nostra attrezzatura interna anche nel caso si debbano dare alle pareti divisorie delle forme molto difficili da realizzare in modo differente.
Per quanto riguarda l’interno ci sono numerose possibilità di scelta strutturale.
La cabina qui sopra fotografata, ad esempio, è costruita utilizzando la struttura di una armadio vero e proprio, semplicemente privo di ante. Questo tipo di cabina può essere costruito usando degli elementi che esistono in commercio in profondità sia di 45 cm che di 60 cm. La scelta più opportuna dipende ovviamente dalla disponibilità di spazio che si ha a disposizione di fronte alla struttura stessa.
Le altezze disponibili per questo tipo di modulistica sono diverse e nel caso di quelle presenti nella collezione “La Casa Moderna” è altresì possibile realizzarle anche “su misura”, in modo da utilizzare completamente lo spazio. Anche in altezza questo tipo di “adattamento è possibile; questo perché i prodotti “La Casa Moderna” sono sempre personalizzabili al meglio a seconda delle misure e delle esigenze del cliente.
Un discorso a parte lo meritano le attrezzature interne (ripiani, cassettiere, pali appendiabiti) i quali solitamente, anche nelle cabine, sono più o meno le stesse che possono trovarsi all’interno di un armadio guardaroba.
La composizione “lineare” o dritta
Le cabine armadio, come ogni mobile componibile che si rispetti, devono essere flessibili sotto ogni punto di vista. A seconda dei modelli e degli utilizzi che se ne deve fare, esse devono infatti adattarsi sia a composizioni “definitive” che a soluzioni provvisorie. In tutti i casi possono però essere facilmente adattate in quegli ambienti ove è prevista una ristrutturazione.
Se ad esempio vicino alla camera ci fosse uno sgabuzzino o la fine del corridoio come potrebbe risolversi un problema di spazio, attraverso la cabina armadio? Demolendo il muro divisorio, e inserendo magari una porta, potremmo senz’altro recuperare lo spazio necessario alla realizzazione della nostra armadiatura a vista!
Qui a fianco c’è un esempio di cabina ricavata proprio dal ripostiglio. La disposizione di porte e finestre non permetteva l’inserimento di un armadio in camera che fosse abbastanza capiente per la coppia. E’ stato deciso, quindi, di utilizzare la stanza adibita a “sgabuzzino” che era presente nel corridoio e che non veniva sfruttata a pieno, per chiudere l’ingresso che dava sul corridoio stesso ed aprirne uno più ampio nella camera. Ed ecco lo spazio perfetto per una cabina disposta linearmente! All’interno è stata posizionata una struttura molto leggera, costruita solo con pali verticali e orizzontali in metallo e ripiani e cassettiere in legno, adattissimi per sfruttare tutto lo spazio possibile. Il resto delle cassettiere sono state disposte invece in altri spazi della camera.
In questo progetto il letto è il protagonista indiscusso della stanza, incorniciato dalla grande finestra che si affaccia sul giardino. Per sottolineare l’incredibile luminosità dell’ambiente sono stati utilizzati esclusivamente colori chiari in toni pastello. La cabina inserita in questo tipo di ambiente, non poteva che assumere un aspetto molto minimale che impatta in maniera davvero irrisoria sulla fisionomia complessiva della camera da letto. Le parti metalliche sono bianche, quelle in legno in colore chiaro naturale. Il tutto concorre ad un effetto assolutamente leggero ed elegante.
Appare assolutamente ovvio che questo tipo di strutture sono adattissime ad essere posizionate però anche in luoghi molto più angusti e dalle dimensioni ben più limitate di quelle presentate nell’ambiente fotografato.
Disposizione in due soli mq
Quando si ha un ambiente di dimensioni molto contenute è piuttosto raro pensare ad inserirvi una cabina armadio. Una stanza di questo tipo ha infatti bisogno di proporzioni molto equilibrate. Ma utilizzando ad esempio una nicchia presente in qualche vano in muratura, è possibile riuscire egregiamente nell’intento, ottenendo inoltre un ampio ed elegante guardaroba.
Nel progettare la stanza qui a lato, i nostri architetti “La Casa Moderna” avevano notato, ad esempio, che la parete a fianco della porta di ingresso, lasciava libero uno spazio di 180 cm di larghezza, perfetto per la realizzazione di un ampio guardaroba/spogliatoio attrezzato con due “moduli” e separato dal soggiorno con degli splendidi pannelli scorrevoli. L’uso, appena si entra in casa, di questo guardaroba come ripostiglio adatto a riporvi abiti e scarpe usati fuori, diventa in questo caso facile ed economico.
Ideali in camera da letto, ma utilizzabili come si vede in queste foto in tutte le stanze della casa, le ante scorrevoli non occupano spazio quando si aprono. Ne esistono di più tipi; quelle con telaio esterno, come quelle fotografate qui sopra, sono preferite in molti casi perchè per la loro installazione non è necessario alcun lavoro di muratura, in quanto le ante scorrono davanti al vano stesso e gli scorrimenti vengono semplicemente applicati “a bella vista” in alto e in basso.
In questo caso specifico sono stati utilizzati pannelli in finitura laminata con formelle in colore bianco opaco. Esistono però anche strutture HIGH TECH più sofisticate e leggere, le quali, con l’utilizzo di supporti in alluminio inseriti nelle pareti e nei controsoffitti “a scomparsa”, consentono di ottenere degli effetti arredativi di grande eleganza. Tali ante scorrevoli possono essere anche TRASLUCIDE, cioè dotate di un telaio in alluminio e pannelli orizzontali in vetro satinato di sicurezza, o addirittura laccato in tantissimi colori.
Lei e lui: quasi una cabina per uno
Il modo più semplice e più ovvio per usare una cabina armadio in due persone è quello di farla sufficientemente grande.
Nella maggior parte dei casi esiste però la possibilità di avere moduli con profondità e misure differenti per sfruttare, ad esempio, pareti irregolari o con presenza di pilastri.
La disposizione della camera fotografata qui a lato permette di utilizzare lo spazio interno come se si fosse di fronte a due cabine “gemelle”, dotate di un solo ingresso nella parte finale della stanza. Con 350 cm di lunghezza totale e 250 cm di profondità, è stato possibile sviluppare due ampie cabine, separate dalla camera con pannelli di vetro “Stop-sol” con telaio in alluminio.
Uomini e donne hanno esigenze diverse quando si parla di armadi. Consideriamo un armadio con stessa altezza, stessa profondità e con larghezza standard (300 mt circa). Per lei lo divideremo così: tre moduli uguali, nel primo disporremo due pali appendiabiti e due ripiani, uno centrale e l’altro 30 cm più in basso; nel modulo centrale, un appendiabiti in alto, dove posizionare abiti lunghi e cappotti, e ripiani in basso dai 150 cm in poi, per borse e accessori. Nell’ultimo elemento ripiani per la biancheria e una capiente cassettiera per intimo e pullover. Per lui lo divideremo con la stessa modularità, ma con diversi accessori: nel primo, appendiabiti in alto per riporre i cappotti e in basso ripiani per i pullover. Completi, giacche e pantaloni trovano posto nel vano centrale, grazie ai due appendiabiti ed ai due ripiani. Nell’ultimo modulo, una cassettiera capiente, ripiani estraibili porta camicie e ripiani per riporre la biancheria. Riportare questo schema in una cabina armadio non è difficile: basta ripetere gli elementi e proporzionarli a seconda delle dimensioni che si hanno a disposizione.
Versione dritta “a Boiserie”
Perfetta per le stanze quadrate o rettangolari e costruita con pannelli boiserie in legno applicati a muro, questo tipo di cabina permette di sfruttare lo spazio fino all’ultimo centimetro, grazie alla totale assenza di fianchi verticali. In tale tipologia di arredo, gli accessori funzionali, come le cassettiere, i ripiani o i pali appendiabiti, sono infatti appesi ai pannelli che fungono da schienale attraverso delle cremagliere, quasi invisibili, alle quali vengono agganciati i vari accessori. L’estrema funzionalità di questa cabina armadio è data proprio dall’estrema praticità del sistema di fissaggio a parete, in quanto attraverso di esso è facile posizionare e riposizionare ogni accessorio ovunque si voglia e in qualsiasi momento.
Ovviamente, rispetto ad altri tipi di struttura, quest’ultimo risulta essere un po’ più costoso a causa proprio delle sua stessa costruzione ed ai suoi contenuti tecnologici, ma la possibilità di utilizzare materiali differenti dal vero legno, come i pannelli ecologici in laminato, lo rendono comunque accessibile ad un vasto pubblico. Tali pannelli sono solitamente rivestiti in lamina melaminica e possono avere numerose finiture, dalla classica decorazione finto legno, che varia dai legni più chiari a quelli più scuri, fino ad arrivare alle tinte unite oppure alle finiture “tessuto” o finto cemento, una decorazione “spatolata” molto di moda in questo periodo.
A parte però quello che può essere il materiale in se, quello che è davvero importante è il suo spessore e la qualità delle parti metalliche “nascoste” che costituiscono la struttura portante della boiserie. Per quanto riguarda gli spessori è indispensabile che i ripiani siano almeno 3 cm e che i pali appendiabiti in metallo abbiano almeno una altezza/robustezza sufficiente a sostenere il peso degli abiti che vi devono essere riposti. Per le cassettiere non sono tanto importanti gli spessori del materiale, quanto la solidità della struttura interna, (sponde, frontale e posteriore) e soprattutto la qualità del fondo. Il fondo dei cassetti è spesso infatti un elemento strutturale che viene poco preso in considerazione in confronto alla sua importanza. Se il fondo dei cassetti risulta troppo sottile, esso si imbarcherà sotto il peso della biancheria ed il cassetto si distruggerà molto rapidamente.
Un discorso a parte lo merita un altro elemento che costituisce un ulteriore notevole “fattore qualitativo” e cioè l’illuminazione interna degli elementi. Quando questa è predisposta all’interno dei componibili essa è davvero sinonimo di altissima qualità produttiva e progettuale. Quando i costi non lo consentono è possibile però ottenere risultati similari, anche con l’aggiunta artigianale di plafoniere a led, sapientemente disposte. In questo caso il risultato sarà ovviamente un po’ più scadente, soprattutto per i cavi che probabilmente rimarranno a vista rispetto alla struttura, ma avremmo risparmiato soldi da destinare, magari, a qualche altro accessorio interno.
Cabina lineare con fianchi a profondità ridotta
In questo caso parliamo probabilmente della struttura attualmente più in voga per quanto riguarda le attrezzature interne delle cabine. Si tratta di un connubio abbastanza intelligente fra due tipologie differenti di elementi dotati di profondità diversa. Ciò consente di realizzare strutture il cui costo è davvero molto basso, pur mantenendo inalterate le caratteristiche tecniche dell’arredo. In pratica, in questo tipo di cabina, si agganciano dei ripiani dotati di profondità standard da armadio (circa 55 cm) a dei fianchi di sostegno profondi più o meno la metà. In tal modo si riesce a sostenere perfettamente il peso della struttura stessa e degli abiti, creando allo stesso tempo una struttura molto leggera con la quale resta uno spazio frontale molto ampio per spogliarsi comodamente. Nel progetto mostrato in questa foto è possibile vedere una struttura che possiede una grandissima visibilità interna ed una notevole praticità, dovuta anche al materiale con cui è realizzata: pannelli in legno ecologico rivestiti in Melamina. L’attrezzatura interna in Melamina (o laminato) infatti, oltre ad essere resistente agli urti e ai graffi, permette di contenere notevolmente i costi. E’ praticissima: per pulirla basta spolverarla con un piumaccio antistatico e passarla con un panno leggermente umido o spruzzato con i classici prodotti che si trovano in commercio per la pulizia dei mobili. Il materiale in questione è realizzato rivestendo un pannello di legno ecologico truciolare con due fogli impregnati di resina Malaminica, la quale rende le superfici impermeabili e resistenti. Esistono però in commercio delle strutture molto più preziose ed eleganti realizzate in “laccato”. Quest’ultimo, a differenza del melaminico, non viene solo semplicemente rivestito, ma subisce altresì anche un processo di verniciatura che permette di personalizzarne il colore ed ottenerne un effetto più “setoso” e morbido al tatto. Il risultato è ovviamente più bello ed elegante rispetto al semplice laminato, ma ciò va a discapito della praticità perché produce delle superfici ovviamente un po’ più delicate (specie per i graffi) e a cui per questo motivo occorre fare più attenzione.
Cabina “aperta” con struttura metallica ed ante in vetro
Con le cabine armadio è possibile realizzare delle vere e proprie stanze guardaroba anche senza creare nessun tipo di parete fissa. Ciò è possibile utilizzando uno dei numerosi sistemi di chiusura che sono stati appositamente posti in commercio negli ultimi anni. Essi consentono di recuperare anche gli spazi più difficili della casa come angoli, nicchie e vani anche molto articolati, sempre lasciando gli ambienti molto leggeri ed eterei. Nel caso si decida, come nell’esempio qui a lato, di fare completamente a meno di pareti divisorie in muratura, legno o in altri materiali come il cartongesso, si può sicuramente optare per delle ante scorrevoli. Quelle in vetro vengono montate su di una struttura formata da un telaio di alluminio (ovvero la cornice che funge anche da rifinitura alla lastra) la quale viene a sua volta sostenuta dai meccanismi di scorrimento che corrono lungo binari fissati al muro. Questi binari possono essere a seconda dei casi sia completamente “a scomparsa” cioè inseriti direttamente all’interno della parete o del soffitto (come nel caso della foto), oppure a vista. Quando il binario è “a vista” l’effetto complessivo risulta un po’ meno elegante, ma, siccome non sempre è possibile incassare il binario nel muro, esistono in commercio delle strutture scorrevoli, disponibili fra l’altro in numerosissimi colori, veramente belle a vedersi. Per quanto riguarda il vetro, siccome stiamo parlando di porte di dimensioni veramente notevoli, la sua qualità deve essere per forza indiscutibile. E’ facile immaginare cosa succederebbe se qualcuno pretendesse di costruire delle ante così grandi usando materiale di scarsa qualità: la sicurezza è senz’altro la prima cosa che verrebbe a mancare! Per poter essere usate nella realizzazione di ante scorrevoli così grandi infatti, le lastre in vetro devo possedere delle precise caratteristiche: devono per prima cosa essere di uno spessore tale da rendere davvero difficile la loro rottura; allo stesso tempo però, devono essere abbastanza leggere da poter essere montate su telai anche molto sottili, pur mantenendo inalterata la solidità complessiva; per ultimo devono ovviamente aver subito un ottimo procedimento di tempra tale da renderle davvero infrangibili. Circa questo punto, quello relativo all’infrangibilità dei vetri temperati, regna da sempre un po’ di confusione. Vediamo di dissiparla attraverso una spiegazione generica che sia capace di chiarire alcuni concetti. Innanzitutto: quando un vetro è “infrangibile”, ciò non significa affatto che non possa essere rotto. La tempra è infatti un procedimento che rende estremamente resistente il vetro delle ante scorrevoli, ma che non è certo capace di renderlo indistruttibile. Il vero vantaggio di questo tipo di vetro in realtà è in termini di sicurezza. Un vetro temperato infatti, ha la proprietà di ridursi in tanti piccolissimi pezzi quando viene sottoposto a forti urti e questo determina l’impossibilità di ferire chi si trovasse intorno. Uno dei maggiori pericoli derivanti dalla rottura di vetri è infatti la creazione di grosse schegge o pezzi appuntiti di vetro che, cadendo, possono ferire le persone vicine. Cosa che ovviamente non può accedere quando si parla di frammenti piccolissimi.
Cabina Armadio con ante scorrevoli in legno
Come abbiamo detto, per garantire solidità e durata all’intera struttura di una cabina armadio è necessario che le ante abbiano ottimi requisiti di leggerezza e maneggevolezza, oltre che di resistenza.
Qualora si decida dunque di fornire la nostra cabina con delle ante in legno, invece che in vetro, il “tamburato” è da considerarsi il materiale che meglio risponde a questi requisiti. Il suo costo di produzione lo rende però abbastanza raro da trovare nelle normali produzioni “di serie”, anche perché è stato quasi sempre sostituito da pannelli in laminato “leggero”. L’utilizzo di questi pannelli può essere fatto in diverse maniere: la più semplice è quella che prevede il montaggio dei pannelli melaminici su delle guide a scorrimento, corredati di rinforzi verticali che consentano alle ante di non imbarcarsi. Le più complesse (ma anche ovviamente più funzionali) sono quelle in cui si inseriscono i pannelli in laminato all’interno di telai in allumino o metallo leggero, capaci di fungere da struttura portante al pannello. In questa maniera si ottiene che il pannello utilizzato possa anche essere di spessore ridotto (ciò riduce l’aggravio di peso sugli scorrimenti) e la struttura dell’anta diviene più solida e priva di possibili imbarcamenti.
La cabina armadio multifunzione
Chiunque abiti in una casa moderna sa che gli spazi a disposizione non sono quasi mai davvero sufficienti a contenere ciò che necessiterebbe.
Vi sono alcune funzioni prettamente domestiche, come ad esempio il lavaggio degli abiti, che mancano spesso di un loro luogo dedicato.
In questi casi è dunque importante saper fare “di necessità virtù” ed agire di conseguenza ai propri spazi ed alle proprie risorse, magari riunendo nella stessa stanza delle funzioni domestiche complementari. E’ questo il caso della stanza guardaroba e della stanza lavanderia/stireria che in molti casi può essere pensata e progettata in un unico luogo. Del resto, per realizzare un ambiente di questo tipo non occorre molto di più di ciò che offre il normale arredo per le cabine armadio… In pratica si tratta di saper coniugare due funzioni principali degli arredi: quella relativa al deposito degli abiti (appesi e ripiegati) e lo spazio per la lavatrice o l’asciugatrice. Nel mezzo, a differenza di ciò che avviene per le normali cabine armadio, è necessario creare un vuoto che sia sufficiente per potervi montare un asse da stiro e poter dunque stirare con una discreta comodità. In questo caso si verifica una situazione abbastanza “ideale” che consente di poter riporre immediatamente al loro posto gli abiti stirati di utilizzo quotidiano e di portare invece altrove quelli di uso meno frequente come i giacconi o le maglie pesanti. Un discorso a parte lo merita l’eventuale “lavabo” o lavatoio, che, nell’ipotesi in cui si voglia adibire una parte della stanza lavanderia a guardaroba, sarebbe opportuno fosse posizionato altrove, magari in bagno o comunque in una stanza diversa dal guardaroba. Questo perché a differenza della lavatrice, l’uso del lavatoio produce una certa umidità che potrebbe compromettere l’atmosfera della stanza, impregnando magari gli abiti di odori non troppo piacevoli. Per il resto, come abbiamo detto, tutto è abbastanza semplice da pensare e progettare: basta predisporre i sufficienti pali appendiabiti, abbinarli con un discreto numero di ripiani a vista e considerare l’eventualità di inserire una certo numero di vani chiusi con delle ante che possano contenere cose che non è conveniente lasciare a vista.
Cabina Armadio mista Chiuso/a vista
Veniamo con questa sezione ad affrontare uno dei punti “dolenti” dei progetti riguardanti le cabine armadio, quello della “polvere”. E’ abbastanza noto infatti che uno dei problemi da prendere in considerazione quando si pensa di allestire una cabina è proprio il fatto che gli abiti, non essendo protetti con delle chiusure come avviene negli armadi, sono ovviamente soggetti a impolverarsi maggiormente e per questo richiedono una pulizia più accurata e frequente. Ovviamente la questione può essere affrontata egregiamente in numerose maniere. La più semplice è quella che prevede l’uso di sacchi appositi che, posti sopra agli abiti meno utilizzati, consentono una loro protezione permanente. Un altro metodo è invece quello di separare gli abiti di uso quotidiano dagli altri e di riporre quelli un po’ meno usati in spazi chiusi (dei veri e propri armadi), che, inseriti all’interno di una cabina come si vede in questa foto, permettono un uso più igienico e protettivo della cabina stessa. In questo caso la metodologia di progetto prevede l’uso di una tipologia di arredo componibile “da armadio” il quale viene in un certo senso privato delle ante per poter essere usato come cabina armadio. Questo sistema può dirsi molto funzionale: da un lato avremo infatti perfettamente “visibili” tutti quegli abiti che abbiamo la necessità di avere bene a portata di mano più frequentemente durante la settimana, dall’altra invece potremmo tranquillamente tenere “sotto chiave”, per così dire, tutti quelli che invece usiamo una volta ogni tanto.
Ma armadio e cabina armadio possono coesistere?
Sì certo! Proprio per i motivi appena citati nel precedente paragrafo infatti, sono numerosi i vantaggi che possono derivare dall’avere delle parti di mobile dove riporre gli abiti “a vista” e delle parti dove poterli tenere chiusi. Il problema in questo caso però diventa prettamente di natura estetica. Nel caso si optasse infatti per una sola cabina armadio, tutto quello che è “contenitore per abiti” verrà raccolto e contenuto all’interno di uno spazio ben limitato e chiuso rispetto alla stanza da letto o comunque dall’ambiente ad essa contiguo. Nel caso invece si decidesse (e si avesse sopratutto lo spazio per farlo) di alloggiare un armadio nella stanza da letto e una cabina armadio che faccia capo allo stesso ambiente è importante seguire delle regole abbastanza ferree. Tutto ruota intorno al fatto, incontrovertibile, che nella maggior parte dei casi gli arredi prevedono una sola delle tipologie di arredo in alternativa all’altra: o armadio, o cabina. Questo comporta che, psicologicamente, nessuno si aspetti di trovare nel solito ambiente entrambi i tipi di mobilia. Per ovviare a questo problema esistono essenzialmente due sistemi. Il primo è quello che prevede di creare una vera e propria stanza separata dalla camera da adibire a cabina, la quale sia separata da questa con una porta del tutto simile alle altre della casa e che per questo non “denunci” espressamente la presenza della cabina al suo interno. La seconda (di cui qui sopra vediamo fotografato un esempio) prevede invece l’esatto contrario, cioè l’allestimento di una cabina armadio che risulti essere perfettamente a vista, cioè completamente integrata nella stanza senza la benché minima separazione visuale. Tale effetto è abbastanza semplice da ottenere: basta prevedere l’assenza completa di chiusure oppure l’uso di ante completamente trasparenti e sufficientemente grandi da apparire quasi invisibili all’occhio. In questo caso, ovviamente, l’attrezzatura della cabina necessita di essere principalmente bella. Del resto, come abbiamo visto, una cabina armadio può essere attrezzata in modi molto differenti fra loro tenendo conto anche dell’estetica della struttura con cui è realizzata. Alcuni modelli, hanno pareti boiserie applicate alle mura dove, a loro volta, vengono appesi i ripiani, i pali, i cassetti e tutto ciò che necessita per ordinare perfettamente la biancheria e i vestiti. Atri tipi hanno invece strutture realizzate con montanti in alluminio; in questo caso l’attrezzatura si aggancia lungo dei profili sagomati su cui ogni ripiano ed ogni palo può scorrere ed essere spostato con facilità. Questo sistema è molto lineare e pulito e permette per questo motivo di realizzare elementi d’arredo molto eleganti.
La cabina armadio ben illuminata
Quando si parla di cabine armadio il fattore illuminazione non viene quasi mai considerato quanto dovrebbe. L’illuminazione invece, specie in stanze “funzionali” come queste, gioca un ruolo assolutamente fondamentale. Il motivo è facilissimo da capire: si tratta di stanze quasi sempre prive di finestra, in cui si ha la necessità di distinguere perfettamente i colori e le fattezze degli abiti, specialmente durante ore abbastanza buie della giornata. E’ per questo assolutamente necessario predisporre un illuminazione che sia sufficiente a vedere molto chiaramente ogni singolo spazio della struttura in cui abbiamo depositato i vestiti appesi e la biancheria ripiegata.
Dovendo in questo paragrafo, per motivi di spazio, un po’ sintetizzare questo argomento al contrario molto ampio, si può dire che i sistemi di illuminazione delle cabine armadio si dividono principalmente in due gruppi, quelli che prevedono un illuminazione “esterna” alla cabina (come quello che si vede in questa foto) e quello che invece prevede un’illuminazione interna alla struttura stessa. I due sistemi differiscono sia per il costo che per la funzionalità e quindi è indispensabile entrare un po’ più in dettaglio. Quando si ha a disposizione un budget limitato e vogliamo però lo stesso illuminare adeguatamente l’interno di una piccola stanza guardaroba, occorre fornire l’ambiente di corpi illuminanti posti a soffitto (per non interferire con i raggi luminosi quando siamo davanti alla struttura), che siano orientabili (per raggiungere anche gli angoli più reconditi della struttura) e disposti in un numero e ad una distanza tale da raggiungere con i loro singoli fasci ogni vano. Nel caso si voglia optare per un’illuminazione più diretta e funzionale invece bisogna pensare a crearla internamente alla struttura. Per fare questo saremo costretti a fornire ogni singolo ripiano di una luce (quasi sempre si usano in questi casi delle strisce a led) che ci consenta di vedere bene il contenuto del vano sottostante. Questo però è abbastanza difficile e costoso da ottenere in tutti i vani di una cabina armadio e per questo motivo, il più delle volte, si preferisce provvedere a predisporre entrambi i sistemi di illuminazione in modo da renderli complementari.
La cabina in mansarda
Molto spesso capita di avere degli ambienti, come le mansarde e le soffitte, che per la conformazione del loro soffitto si presentano molto difficili da arredare. Si tratta quasi sempre di stanze “a tetto” che proprio per il fatto di avere le pareti non dritte ma bensì spioventi, non permettono in effetti di utilizzare dei componibili standard da adibire ad esempio a cabina armadio. Per questi casi specifici i nostri architetti “La Casa Moderna” hanno escogitato un ingegnoso sistema che permette di progettare una cabina su di ogni possibile tipo di parete. Si tratta di un sistema “a cremagliera” che prevede il montaggio di alcuni profili metallici a muro i quali possono essere utilizzati per attaccarvi qualsiasi tipo di attrezzatura interna. Questa struttura metallica differisce da quelle “a palo”, presentate anche in questo articolo, per un particolare davvero importante: quelle cosiddette “a palo” sono strutture progettate per avere il peso dei ripiani, dei pali e quindi di tutta la biancheria, sostenuto da elementi che sorreggono la struttura circa a metà della sua stessa profondità; quelle invece “a cremagliera” sono fatte per essere completamente sostenute dalla parete, rimanendo infatti interamente sporgenti a sbalzo per la loro totale profondità. In questi casi dunque occorrono due presupposti indispensabili: che la parete sia sufficientemente robusta da sostenere interamente il peso e che la struttura abbia una qualità sufficiente a svolgere il suo compito senza che vi siano pericoli di crolli. Si tratta di un altro dei casi specifici in cui, in arredo, è assolutamente necessario rivolgersi a professionisti di provata esperienza. I nostri architetti e i nostri artigiani installatori sanno perfettamente qual è il sistema migliore per realizzare anche questi sistemi di arredo più complessi e per questo sanno consigliare sempre al meglio coloro che intendono provvedere a questo tipo di allestimento.
La cabina “dei sogni”
Concludiamo infine questo ampio articolo con quella che può essere a ragione considerata a tutti gli effetti il “non plus ultra” delle cabine armadio; non tanto per la sua qualità (le cabine “La Casa Moderna” possiedono tutte ottimi materiali costruttivi e grandissima qualità funzionale), quanto per le possibilità di progetto e di allestimento che essa consente di prevedere.
La prima cosa che salta senz’altro all’occhio è l’ampia zona vetrata con la quale è possibile predisporre delle parti di cabina chiuse, salvaguardando gli abiti dalla polvere, senza però limitarne la visibilità degli spazi interni. In secondo luogo grande importanza viene data, in questa tipologia di cabine così completa ed articolata all’illuminazione, la quale può essere inserita internamente ai moduli sia in maniera verticale, come si vede a destra della foto, sia in modo orizzontale, come si vede in fondo. Ciò consente in pratica alla luce di raggiungere senza problemi ogni angolo della mobilia (e quindi degli abiti, della biancheria e degli accessori ivi riposti) in modo da rendere il tutto perfettamente visibile.
Un’altra particolarità è data dalla zona scarpiera, la quale, in questo sistema di cabine armadio, viene prodotta utilizzando dei moduli meno profondi e dotati di ripiani inclinati e di rifinitura battitacco per sostenere le scarpe.
Per ultimo si possono notare nella foto la grande zona a giorno in fondo a sinistra che è dotata di un sistema di arredo di nuovissima concezione che prevede l’uso di fianchi metallici completamente “a vista”. Tali fianchi risultano particolarmente adatti a questo uso perché, pur permettendo una visibilità pressoché completa dell’interno cabina, garantiscono altresì la solidità tipica di un normale armadio guardaroba. Questo importante “sistema Cabina”, viene realizzato da “La Casa Moderna” sia in versione laccata che in versione laminata e ciò consente di spaziare in un ampio range di costi di produzione.
Abbiamo dunque completato questo ampio excursus riguardate le tipologie di arredo che “La Casa Moderna” possiede nella propria collezione a proposito di cabine armadio.
Conclusioni
Speriamo che la nostra guida su come scegliere un letto imbottito ti abbia fornito le informazioni necessarie per prendere una decisione consapevole e soddisfacente. Presso Griva Arredamenti, siamo pronti ad aiutarti a realizzare arredamento su misura.
Ti invitiamo a visitare i nostri showroom di Pinerolo e Torino, dove potrai scoprire di persona la qualità e l’eleganza dei nostri mobili. Potrai toccare con mano i materiali, valutare le soluzioni di spazio e ottenere consigli personalizzati dai nostri esperti.
Se hai domande o desideri ulteriori informazioni, non esitare a contattarci. Saremo felici di fornirti tutte le risposte di cui hai bisogno dai nostri esperti interior designer.
Un po’ di storia.
I piani di lavoro, in una cucina componibile, sono certamente tra gli elementi costruttivi più fondamentali e forse, come sostiene qualcuno, i più importanti in assoluto. Su di essi in effetti si appoggiano le cose, si preparano i cibi, si utilizzano i piccoli elettrodomestici, si manovrano gli utensili più comuni e tutto questo viavai di usi diversi li fa divenire dei componenti davvero insostituibili di ogni arredo da cucina. Eppure non è stato sempre così. Prima dell’avvento delle cucine componibili “all’americana” (cioè quelle con i piani “continui ad incasso”), il luogo deputato al “cucinare” era quasi sempre il tavolo da pranzo e l’unico altro mobile destinato alla preparazione dei cibi era spesso la “madia del Pane”. Anche i primi mobili da cucina prodotti industrialmente in Italia, nel secondo dopoguerra, non prevedevano spazi per cucinare e si limitavano ad essere dei semplici contenitori, più o meno articolati a seconda dei casi, proprio come lo erano stati i mobili “Mettitutto” (loro diretti antenati) o, ancora prima, le cosiddette “Credenze” o le “Vetrinette”.
In quell’epoca il piano di lavoro era dunque, essenzialmente, quello del tavolo da cucina, al quale le massaie si sedevano per sbucciare le patate, pulire le verdure o tagliare la carne, oppure vi rimanevano di fronte in piedi per amalgamare la farina con l’acqua per la pasta. Questo piano poteva essere principalmente di due sostanze: di legno oppure di marmo. Il primo, abbastanza economico, era un materiale senza dubbio relativamente resistente agli urti, che risultava però (anche se trattato) poco impermeabile ai liquidi e molto delicato in caso di graffi e tagli; tant’è vero che se ne raccomandava l’uso coprendolo con delle assi di legno chiamate “Spianatoie” o “Taglieri”, a seconda delle loro dimensioni e dell’uso che se ne faceva. Il secondo, ovvero il marmo, era considerato al contrario un materiale molto adatto alla preparazione dei cibi, ma era universalmente considerato abbastanza costoso e in molti luoghi difficilmente reperibile.
La Formica.
Fu così che, a partire dagli anni ’50, si diffuse l’uso di un materiale di tipo plastico capace di sostituire egregiamente sia il marmo che il legno. Si trattava del cosiddetto “laminato”, o sarebbe forse meglio dire della “Fòrmica” come lo chiama ancora oggi qualcuno, sostituendo fin dalla sua invenzione il nome del materiale con il nome dell’azienda che più di tutti ha contribuito alla sua diffusione a livello mondiale. Era più o meno di una sorta di “rivestimento” costruito, come vedremo anche più avanti, da strati successivi e sovrapposti di resine plastiche, il quale forniva una resistenza superficiale davvero straordinaria al legno che gli serviva da supporto. Sì, perché di vero legno all’inizio si trattava. I primi piani per tavoli di produzione industriale in laminato erano costruiti sovrapponendo infatti a dei solidi pannelli di legno (quasi sempre legno “compensato”) uno strato più o meno sottile di resina melaminica. E fu così che la vera “produzione industriale” di concezione moderna fece il suo vero trionfale ingresso nel mondo dell’arredo. Stiamo parlando di un materiale, il “Laminato” appunto, che è stato infatti realmente capace di influenzare sia la produzione che il commercio dei prodotti d’arredamento! Del resto, i presupposti c’erano tutti. La plastica, entrata ormai già da qualche decennio nelle case della gente, era rinomata per la sua innata resistenza e non ha dovuto attendere molto per essere accettata al posto delle tradizionali superfici destinate al lavoro in cucina, sia per la sua economicità che per la sua indiscutibile praticità.
La “Formica” infatti era materiale impermeabile, molto resistente ad urti e graffi, elastico, sottile e molto adatto ad essere colorato. Ciò consentiva a questa materia di assumere qualsiasi sembianza e, volendo, anche un aspetto più tradizionale, come ad esempio quello del legno. Tant’è vero che il suo uso ebbe subito una diffusione davvero eccezionale, soprattutto proprio per i mobili da cucina. A partire dai primi anni cinquanta cominciarono a propagarsi i primi tavoli in laminato, accompagnati dai primi mobili (credenze o pensili) abbinati, e prodotti con lo stesso tipo di composto. Da lì al diffondersi delle moderne “cucine componibili” il passo fu breve ..
I primi piani di lavoro da cucina
Il nuovo benessere portato dagli anni del “boom economico” consentì a partire dagli anni ’50 di immaginare gli arredi della cucina come una parte integrante dell’abitazione stessa. Il passaggio fu abbastanza graduale e fu accompagnato dalla diffusione e dall’evoluzione dei cosiddetti “Elettrodomestici”.
Prima di allora infatti gli elementi tipici di una cucina erano sempre più o meno gli stessi: c’era il camino, quasi sempre dotato di “fornelli”, il lavello, il mobile credenza o “mettitutto”, la madia ed il tavolo con le sedie. I più ricchi possedevano la “ghiacciaia” ma per la maggior parte delle persone conservare il cibo grazie al freddo anche in estate, costituì un miraggio fino al Secondo Dopoguerra. Poi, arrivò il benessere della brevissima “Epopea industriale” che accompagnò appunto il Boom economico ed iniziarono a giungere nelle case i primi frigoriferi, le prime cucine a legna per poi arrivare ai forni elettrici ed ai fornelli a gas. Tutti questi inserimenti, modificarono bene o male l’ergonomia degli arredi. Un tempo non c’era bisogno di un piano di lavoro a servizio della cosiddetta “Cucina economica”, perché si cucinava sul camino o sui suoi fornelli, ed il lavello, nella sua maestosità di Marmo o di pietra, era già corredato di un suo piccolo piano d’appoggio.
Si cominciò quindi ad immaginare dei mobili che funzionassero in qualche modo da corredo per i nuovi elettrodomestici e si iniziò così a posizionare la credenza, non di fronte alla zona “cottura-lavaggio” bensì accanto ad essa. Era accaduto infatti, ovviamente, che i pezzi componenti l’arredo della cucina erano nel frattempo divenuti davvero tanti e la loro disposizione creava senza dubbio problemi di spazio in cucine divenute nel frattempo sempre più piccole. Fu per ottimizzare questo spazio che nacque la moderna concezione di “Piano di lavoro da cucina”.
L’evoluzione dimensionale
Il rapido evolversi delle esigenze familiari portarono dunque alla nascita di nuove metodologie d’arredo delle cucine che, dagli anni ’50 in poi, interessarono bene o male tutte le abitazioni. Alle credenze poste accanto a lavello e cucina economica si aggiunse il frigorifero, a volte la lavatrice e un po’ più tardi la lavastoviglie. Tutto questo assembramento necessitava di un po’ di ordine e si pensò di creare degli “standard” dimensionali che permettessero un accostamento un pochino più organizzato e uniforme di tutti gli elementi di arredo e degli elettrodomestici inseriti in cucina. I mobili iniziarono dunque ad avere le stesse altezze e le stesse profondità delle cucine economiche (pari ad una altezza di circa 85 cm ed una profondità spesso di 50 cm) ed ad essere predisposti anche per alloggiarvi dentro il lavello, senza dover provvedere ad un suo sostegno tramite elementi in muratura. Nel contempo arrivarono i primi “pensili”, mobili da cucina appesi, disposti in posizione dunque molto ergonomica, in cui non tardarono a prendere posto sia lo “scolapiatti” che la “Cappa Aspirante”, un nuovo accessorio che consentiva una migliore salubrità dell’aria durante le fasi di cottura. Gli arredi erano a quel punto accostabili e coordinabili e possedevano già dei loro piani di appoggio, prima in lamiera e poi in laminato, che non erano ancora dei veri e propri luoghi di lavoro (la loro profondità, ridotta, li rendeva poco pratici) ma che cominciavano piano piano ad assumerne le caratteristiche. Furono gli anni della diffusione del Frullatore, del Macina caffè, del Tostapane e di tutti quegli accessori che da allora faranno sempre più parte integrante delle nostre vite. E fu probabilmente il loro uso, accompagnato anche dalle dimensioni obbligate di alcuni elettrodomestici come frigo, lavatrice e lavastoviglie, a suggerire di ampliare la profondità dei piani di lavoro a 60 cm, misura che è stata per numerosi decenni lo standard più universale per i piani di lavoro (anche detti TOP) di ogni cucina componibile.
Questa dimensione, per noi assolutamente ordinaria, fu infatti in verità un’innovazione degli anni ’70. Essa creava ovviamente un maggior contenimento dei mobili sottostanti (anche detti “basi”), ma permetteva anche una maggiore ergonomia degli arredi perché impediva agli utenti di urtare con la testa i pensili e consentiva quindi di utilizzare lo stesso per la preparazione dei cibi, senza doversi spostare sul tavolo. Gli arredi e gli elettrodomestici erano però ancora spesso elementi a sé stanti, tra cui si creavano delle fessure, più o meno grandi in cui erano destinati ad infiltrarsi sia sporco che umidità. In quegli anni, i Top da cucina erano costruiti quasi sempre in laminato e la loro caratteristica di essere costruiti come elementi separati, se da un lato permetteva una facile rimozione dei vari pezzi di cui era composta una cucina, dall’altro provocava spesso dei danneggiamenti dovuti soprattutto alle infiltrazioni di acqua e sporco che provenivano dal lavello e dalla cucina a gas. Fu così che, sull’onda di ciò che avveniva negli Stati Uniti e che arrivava in Italia tramite Cinema e Televisione, anche in Italia si iniziò a pensare ai piani da cucina non come un’entità integrata nei mobili bassi, bensì come ad un qualcosa a sè stante, da progettare singolarmente in maniera diversa per ogni singola Cucina Componibile.
Cucine “ad appoggio” o “da incasso”.
I piani “unici” delle cucine sono perciò un’innovazione relativamente recente. La loro adozione si fa risalire più o meno agli anni a cavallo tra i ‘70’ e gli ’80 del secolo scorso ad opera di alcune industrie che riuscirono ad uscire dalla logica del mobile componibile completo, che fino ad allora aveva interessato gli arredi da cucina, per evolversi in qualcosa di più complesso ed essenzialmente migliore. Il concetto del “Top unico da cucina” si basa su di un principio fondamentale: una produzione a sé stante, che esula da quella dei componibili che formano la parte bassa della cucina, ma che completa la stessa e la arricchisce di valori tecnologici e pratici molto innovativi. La cucina con piano Unico si differenzia da quella “ad appoggio” per il fatto che il suo Top, non è un elemento componibile come tutti gli altri bensì un oggetto unico, fatto apposta per quella specifica cucina. Questo principio, che può sembrare a prima vista anche piuttosto banale, possiede invece una valenza progettuale del tutto fondamentale. Il Piano unico infatti per chi lo utilizza ha una marea di vantaggi: ottimizza gli spazi, impedisce le infiltrazioni, migliora l’uso delle superfici e chi più ne ha più ne metta.
Per chi lo produce e chi lo installa invece è una vera e propria “grana”. Lo sanno bene tutti quei mobilieri che negli anni sono passati da installare delle cucine dove i mobili bassi erano semplicemente delle “credenze” accostate, a delle vere e proprie “opere edili” in cui il Top, alla stregua di qualsiasi altro elemento architettonico, necessitava di una specifica progettazione e di un’altrettanto specifica installazione. Eppure al giorno d’oggi ogni cucina componibile che si rispetti possiede un piano unico che copre l’intera superficie delle sue “basi” e che non viene interrotto neppure dalla presenza di un lavello e degli elettrodomestici ad essa corredati. Questo è stato reso possibile grazie all’adozione dei cosiddetti “elettrodomestici da Incasso” i quali non sono altro che dei prodotti di consumo fatti apposta per essere inseriti nelle cucine componibili. Nel caso dei Top sono due gli elementi che vi vengono solitamente incassati ovvero il lavello ed il “Piano Cottura”. Nella pratica, per permettere al piano di mantenere intatta la sua bellezza, la sua integrità e soprattutto la sua praticità d’uso, vengono praticati sulla sua superficie dei fori della forma e delle dimensioni adeguate ad accogliere degli specifici oggetti (il lavello ed il piano cottura, appunto) i quali una volta opportunamente “incassati”, andranno ad aderire perfettamente al corpo del Top senza fessure o interruzioni di alcun tipo. I top ad incasso dunque sono dei piani, il più possibile unici e continui, i quali vengono solidamente uniti ad accessori detti “da Incasso” in maniera da non interromperne in alcun modo la superficie.
Come si posizionano il “Piano di cottura” ed il “lavello” nel Top da Cucina.
Ormai siamo abituati a pensare al Top delle cucine componibili come ad un elemento a sé stante che esula dal materiale da cui sono costituiti i mobili e dagli altri accessori che lo corredano. In realtà sarebbe invece più opportuno pensare al Top come all’insieme degli elementi Piano di lavoro, lavello e Piano di cottura, che singolarmente lo compongono. Intendiamoci subito: non stiamo in questo caso sollevando una questione di “compatibilità” tra questi tre così differenti elementi. Ormai l’uso e la pratica consolidata hanno condotto ad una tale standardizzazione delle produzioni che è veramente difficile trovarsi di fronte ad un top che non sia adattabile all’incasso di uno specifico lavello (purché sia “da incasso”) o di un altrettanto specifico Piano di cottura. La questione è più “formale” o sarebbe meglio dire “progettuale” e riguarda essenzialmente la posizione e le dimensioni degli accessori. Quante volte nella nostra lunga esperienza di progettisti ci siamo trovati di fronte a Top da cucina bellissimi in cui però la posizione di lavello e piano di cottura risultava del tutto impraticabile? E’ per questo motivo che un top da cucina, per essere ben fatto, deve essere progettato considerando nel contempo tutte le componenti della cucina; primi tra tutti, appunto, il lavello ed il piano cottura. La loro posizione si deve basare essenzialmente sull’ottimizzazione ergonomica che ogni cucina dovrebbe avere e tenere presenti alcuni fattori fondamentali che sono: la distanza tra lavello e piano di cottura, la loro disposizione all’interno del piano di lavoro e le loro misure. Un piano di lavoro infatti, per essere tale, non può limitarsi a contenere lavello e piano di cottura, ma deve lasciar liberi degli spazi in cui sia possibile preparare dei cibi e appoggiare degli oggetti. Per questo motivo gli accessori devono essere distanti tra di loro, ma solo quel tanto che basta da non rendere scomodo lo spostarsi tra una e l’altra delle zone funzionali di cui è composta la cucina.
In questa ottica sono tre le possibili disposizioni di un top da cucina a cui ci si può trovare di fronte: quella cosiddetta “a U”, quella “ad angolo” e quella “lineare”. In tutti e tre i casi l’obiettivo da raggiungere per ottimizzare l’utilizzo del Top è quello del “triangolo funzionale”, figura ergonomica immaginaria attraverso la quale i progettisti cercano di immaginare lo spostarsi disinvolto tra le tre funzioni principali della cucina: il lavaggio, la cottura e la conservazione dei cibi e delle stoviglie. Nel caso delle cucine ad “U” si opta di solito per un piano di lavoro che preveda da un lato il lavello e la lavastoviglie, da un altro il piano di cottura, interponendo tra di essi quelle zone libere di piano che sopra, servono per la preparazione dei cibi, mentre sotto fungono essenzialmente da contenitori. Più o meno la stessa cosa che si cerca di ottenere con i piani di lavoro angolari nei quali però, mancando il terzo lato del triangolo, è necessario immaginarne uno interposto proprio in prossimità dell’angolo stesso. Un discorso a parte lo meritano i piani di lavoro da cucina di forma lineare; in questi casi infatti la carenza di almeno due differenti lati grazie ai quali costruire il nostro immaginario “triangolo ergonomico”, viene sopperita attraverso un calcolo più accurato delle distanze che intercorrono tra le zone funzionali della cucina. Tutto questo al fine di disporre in maniera più precisa ed ergonomica la zona del top in cui lavare, quella in cui cucinare e quella in cui preparare i cibi e appoggiare le suppellettili.
Tanti materiali per uno stesso tipo di utilizzo
Oltre al loro posizionamento, l’argomento riguardante l’incasso di Lavello e Piano di cottura all’interno dei top da cucina ci introduce anche un altro fondamentale tema: quello che obbliga chi sceglie il proprio piano di lavoro da cucina a farlo tenendo ben presente anche la natura e la forma del lavello e del piano di cottura che si ha intenzione di installarci. La loro scelta influenza infatti la riuscita o meno di un piano di lavoro sotto diversi punti di vista. Prima di tutto quello estetico, perché non vi è alcun dubbio che alcuni materiali ed alcuni colori si abbinano meglio tra di loro, e siccome solo con l’acciaio inox è possibile produrre un intero piano di lavoro nello stesso identico materiale in cui sono costruiti anche lavello e piano di cottura, questo è ovviamente un fattore da tenere nella massima considerazione. Poi vi è l’aspetto più essenzialmente “pratico” che assume bene o male la stessa importanza. Chiunque progetti cucine si sarà sentito chiedere prima o poi da qualche cliente, se è ad esempio possibile installare un lavello “da sottopiano” in un Top in laminato. In verità la risposta non è proprio univoca come si potrebbe immaginare e, come vedremo più avanti durante la nostra rassegna di Piani da cucina, esistono laminati che lo consentono. Questo esempio però racconta bene quanto la scelta di top, lavello e piano di cottura non può essere indipendente, ma deve essere invece considerata come parte di un unico progetto.
Nella nostra rassegna di lavelli che è possibile trovare a questo link https://griva.it/consigli-di-arredamento/ si troveranno una vasta serie di prodotti differenti sia per forma che per materiale. Ognuno di questi oggetti possiede dunque delle caratteristiche specifiche che lo contraddistinguono, proprio come accade per i piani di cottura. I più diffusi accessori di questo genere sono quelli prodotti in acciaio inox che non hanno grossi problemi di abbinamento e che possono essere dunque tranquillamente inseriti in ogni Top, senza comprometterne troppo l’estetica. Altri tipi però, sono invece realizzati in altri materiali ed in quel caso il loro colore gioca un ruolo fondamentale nella scelta del Top dove essi verranno incassati. Attualmente ad esempio, un colore molto in voga è il nero, realizzato in tutte le sue varianti che vanno dal nero assoluto al colore “antracite”, perché si abbina molto bene con le altre rifiniture attualmente di moda nelle cucine componibili. Un altro colore molto utilizzato per i lavelli ed i piani di cottura è anche il Bianco, che possiede delle caratteristiche piuttosto universali che si abbinano molto facilmente con i piani di lavoro e le cucine di colore chiaro.
Per farla breve, in linea generale si può tranquillamente dire che per la scelta di un top da cucina, occorre per prima cosa definire lo stile che si intende perseguire, individuare dopo un modello che possa essere piacevolmente adeguato al progetto e dopo di che, immaginare il tipo di piano di lavoro più idoneo al modello di cucina scelto facendo bene attenzione che quest’ultimo si adatti perfettamente anche al colore degli accessori (sempre lavello e piano di cottura) che vi verranno incassati. Come abbiamo detto poc’anzi, anche la loro forma influisce a volte pesantemente sulla loro scelta, ma di questo argomento avremo ben modo di parlare durante la nostra rassegna.
L’incidenza del “costo” sulla scelta dei piani da lavoro per cucina.
I fattori che determinano la migliore scelta di un piano di lavoro da cucina sono molteplici. Di alcuni di essi abbiamo già parlato, mentre di altri, forse anche più tecnici, avremo modo di ragionare durante la nostra rassegna. Vi è un fattore che risulta però imprescindibile da qualsiasi altro elemento discriminante e che non può non essere preso in considerazione in nessun caso, ovvero, quello economico. Come abbiamo visto fin dall’inizio, addirittura anche durante i nostri cenni storici, il top da cucina ha ormai assunto una valenza davvero predominante nella scelta di questa tipologia di arredo. Se ciò da un lato è dovuto senz’altro alle sue caratteristiche “pratiche”, dall’altro nessuno può fare a meno di notare la sua incidenza sull’aspetto economico di questo tipo di acquisto. Il top da cucina è infatti sempre relativamente costoso, qualsiasi sia il materiale con cui esso è realizzato. Il suo costo predominante è dovuto principalmente a due fattori: il valore economico della materia prima con cui è realizzato ed il suo costo di lavorazione. Circa il primo aspetto, non occorre dilungarci perché pare ovvio che il costo di ogni top dipenderà essenzialmente dal prodotto con cui esso è realizzato.
Invece sul secondo aspetto, quello relativo alla sua produzione, vale la pena spendere qualche parola. Come abbiamo visto infatti, la fabbricazione di un piano di lavoro da cucina esula abbastanza da quella degli arredi che sarà destinato a corredare. I mobili da cucina sono in verità degli elementi componibili che, pur essendo prodotti anche industrialmente “just in time” (cioè “a commessa”, a seconda della singola richiesta), mantengono pur sempre una standardizzazione tale da renderli un prodotto industriale costruibile in maniera relativamente facile. Il top invece no. Questo particolare tipo di manufatto, sia che venga fatto in maniera “artigianale”, sia che venga fatto a livello industriale, richiede ogni volta una progettazione ed una produzione specifica che presenta delle difficoltà molto caratteristiche. Tant’è vero che una sua reale “industrializzazione” richiede degli investimenti altissimi che molte aziende produttrici di cucine preferiscono spesso non fare, delegando ad altri buona parte delle proprie produzioni di top da cucina.
Al giorno d’oggi, quando si acquista una cucina componibile si acquista in realtà un complesso puzzle in cui ogni articolo deve essere perfettamente integrato agli altri. Nel caso del piano di lavoro questo puzzle è composto dalle misure dei singoli mobili bassi che compongono le basi della nostra cucina, dalle caratteristiche e le dimensioni della stanza in cui deve essere posizionata la stessa cucina e infine (come abbiamo visto) dalle peculiarità specifiche del lavello e del piano cottura che vi saranno inseriti. Una volta reperite tutte queste informazioni si procede, in maniera manuale o informatizzata, alla realizzazione di un vero e proprio progetto a 3 dimensioni del Top della cucina, in cui tutte queste indicazioni devono essere raccolte e rese intellegibili. A quel punto il progetto passa alla produzione che può essere artigianale (come ad esempio avviene spesso nel caso dei piani in Marmo o granito) oppure industriale.
In ogni caso si tratta di una procedura costruttiva che esula da quella che concerne la produzione dei mobili e che segue dunque altri canali. Al termine di tutto questo complicato processo il piano si troverà ad essere installato nella casa del committente e solo se ogni specifico passaggio sarà avvenuto in maniera esatta si otterrà il risultato voluto. Altrimenti, saranno guai. Bisogna tenere presente che moltissimi degli errori o dei reclami che riguardano gli acquisti di cucine componibili avvengono ancora oggi proprio relativamente ai piani di lavoro. E le complicazioni spesso aumentano con l’aumentare di tutte le nuove specifiche esigenze che arrivano continuamente dai consumatori. Tutto ciò fa sì che i costi relativi a questa tipologia di prodotto si assommino, fino a raggiungere i prezzi che si trovano normalmente sul mercato e che rappresentano sempre una notevole incidenza sull’acquisto complessivo. Tutto questo per dire che quando si tratta di Piani di lavoro da cucina non si può semplicemente veicolare la scelta seguendo esclusivamente aspetti qualitativi ma che è invece sempre necessario prima prendere in grande considerazione il relativo fattore economico. Che senso ha mettere uno splendido piano in ceramica su di una cucina dal valore di poche migliaia di euro? E perché dovremmo mai pensare di montare un piano di lavoro molto economico su di una cucina dal valore consistente?
Le qualità dei top da cucina.
Ma in fin dei conti, quali sono le peculiarità che contraddistinguono un buon piano da cucina?
Nel gergo dell’arredamento si definisce con l’inglesismo “Top” tutte quelle parti di mobile che ne costituiscono in pratica il “coperchio” ovvero l’elemento orizzontale che sta più in alto e che sta dunque al “top” della sua intera costruzione. Questo termine, nel caso delle cucine componibili, assume anche una connotazione di abbreviazione, in quanto la dicitura esatta in Italiano “piano di lavoro da cucina” risulta spesso troppo lunga per essere ripetuta ogni volta che se ne vuol fare un riferimento. Questo stesso termine può però assumere anche una diversa connotazione quando si considera questo elemento costruttivo delle cucine componibili come la loro zona funzionale più importante. Ciò è dovuto probabilmente al fatto che il top è senza dubbio una delle parti più utilizzate e quindi più sollecitate dell’intero mobile in questione. Sul piano di lavoro si alloggiano il lavello ed il piano di cottura e quindi vi si cucina, vi si lava, ci si impasta, si taglia, si lavora e soprattutto si appoggia. Tutte queste sollecitazioni fanno sì che il piano debba possedere per forza delle ottime caratteristiche, grazie alle quali sia capace di resistere egregiamente all’utilizzo proprio che se ne fa. Ma quali sono queste qualità intrinseche che ogni Top da cucina deve per forza avere?
Partiamo innanzitutto da un’affermazione che non mancherà di deludere quella schiera di neofiti appassionati che, al fine di informarsi prima di acquistare la loro prima cucina componibile, partono a “spron battuto” alla ricerca della risposta alla sola domanda che sanno porsi, ovvero: “Qual è il miglior piano da cucina che si possa avere?” Ebbene, nonostante molti di loro stiano forse cercando tale risposta proprio qui, tra queste righe, ci troviamo costretti ad affermare che “il piano da cucina migliore del mondo” probabilmente non esiste, o almeno, certamente non esiste nei termini che intendono questi tipi di clienti.
Il fatto è che ogni prodotto in commercio possiede, bene o male, dei suoi pregi e dei suoi difetti e la qualità che tali manufatti sono capaci di esprimere non è sempre oggettivamente misurabile, ma dipende quasi esclusivamente dalla capacità di ogni singolo prodotto di soddisfare delle singole (quindi, soggettive) esigenze. Perché una cosa è certa: nonostante qualsiasi cosa possa raccontare un venditore o un produttore a proposito di Top da cucina, non esiste un piano che possa andar bene per tutti i clienti, così come non esiste un top indistruttibile e inalterabile nel tempo. Certo questi materiali, devono saper rispondere a delle sollecitazioni che, parlando di mobili da cucina, sono più o meno comuni a tutti.
Il problema dell’umidità
L’umidità è una delle problematiche più rilevanti che possono interessare i Top da cucina e certamente forse quella più capace di creare danni ad ogni cucina componibile. Del resto, l’acqua è parte integrante di ogni cucina e chiunque si trova a preparare dei cibi e a consumarli deve per forza utilizzare questo bene così vitale. La necessità di difendersi dai danni che l’umidità può causare ai mobili è un fatto di straordinaria rilevanza. Nel top da cucina viene incassato spesso il lavello che è esso stesso ovviamente l’origine di quella umidità di cui stiamo parlando. Del resto lo sanno tutti: lavando piatti e stoviglie o riempiendo semplicemente dei contenitori di qualunque tipo, l’acqua può fuoriuscire dalle vasche e andare a bagnare le superfici circostanti. E’ dunque indispensabile che il piano da lavoro da cucina possieda sempre una superficie perfettamente impermeabile che non assorba nemmeno in minima parte l’acqua che può arrivare a toccarlo. Vi è poi il problema delle cosiddette “infiltrazioni” che in tema di cucine componibili sono una vera e propria “dannazione” o ancora meglio un problema quasi innominabile che diventa spesso la misura stessa della qualità di una cucina e delle sue componenti. Nel caso dei top da cucina le infiltrazioni possono essere causate principalmente da diverse cause.
Una, ormai piuttosto rara, può essere individuata nell’umidità di risalita o dalla condensa che alcune pareti sono capaci di restituire andando a danneggiare l’interno di quei Top (come quelli in laminato) che sono costruiti con materiali igroscopici ovvero capaci di assorbire l’acqua. Lo stesso problema però può interessare alcuni tipi di piani anche a partire dalle loro superfici, o sarebbe certo meglio dire, da tutte quelle giunzioni che interessano la parte superficiale del top stesso. Tra queste possiamo citare la giunzione esistente tra il top ed i suoi accessori (lavello e piano di cottura), quella che riguarda l’unione di due diversi pezzi dello stesso top e quella che può trovarsi in tutti quei top che necessitano di essere in qualche modo rifiniti tramite dei “bordi” attaccati al loro spessore. Ognuna di queste giunzioni deve venire infatti lavorata opportunamente in tutti i tipi di piani, ma deve essere trattata con un’attenzione ben maggiore quando ci si trova di fronte a materiali capaci di assorbire acqua al loro interno, come ad esempio il truciolare. Un altro caso tipico del danno che può essere causato dall’umidità è quello relativo al vapore che può sprigionarsi dalla lavastoviglie o dal forno. Anche in questo caso è ovvio quanto è indispensabile essere certi di poter contare su di un tipo di Top, che risulti davvero ben realizzato e che non si danneggi subito al contatto prolungato con questo tipo di fenomeni.
L’utilità di “Alzata, alzatina o schienale”
Vi è poi un altro punto molto delicato a proposito di infiltrazioni nei top da cucina, tanto da meritarsi addirittura un approfondimento a parte. E’ quello che riguarda il profilo posteriore della superficie orizzontale, ovvero quella parte del top che arriva a combaciare con la parete retrostante su cui è appoggiata. La fessura che si crea in quella parte di piano è infatti una delle più pericolose fonti di problemi di ogni cucina componibile. La questione è presto detta: come abbiamo più volte ribadito la cucina e un luogo umido e spesso molto bagnato. Se questa umidità fosse lasciata libera di diffondersi, uno dei posti in cui sarebbe più difficile rimuoverla sarebbe proprio nel punto in cui la cucina è a contatto con il muro. I danni che potrebbe provocare l’acqua se riuscisse a raggiungere la parte posteriore dei mobili sono facilmente immaginabili e vanno dal impregnamento dei materiali costruttivi, passando dalla rottura degli elettrodomestici incassati fino arrivare alla formazione di muffe patogene e batteri. Il compito di difensore della mobilia e della salubrità ambientale, spetta anche in questo caso al top che necessita di essere per questo perfettamente sigillato al muro, in maniera da evitare che l’acqua possa infilarsi dietro di esso. In questo difficile compito il top è però per fortuna quasi sempre coadiuvato da un altro elemento costruttivo, stavolta verticale invece che orizzontale, che aiuta moltissimo questa opera di chiusura ermetica.
Tale elemento, viene chiamato in gergo, a seconda delle sue dimensioni, Alzatina, Alzata, oppure Schienale. Si tratta in tutti e tre i casi di un elemento verticale, dotato solitamente di uno spessore minimo pari a circa due centimetri che, realizzato in un materiale attinente a quello del top serve per creare un profilo ulteriore di sigillatura ovvero una chiusura doppia. Una volta installato il top infatti si procede ad una prima sigillatura a muro, effettuata tramite prodotti appositi, poi si applica l’alzata (o alzatina che sia) e si procede ad altre due ulteriori sigillature, una in basso aderente al top stesso ed una in alto lungo il muro. In tal maniera si ottiene una chiusura sicura ed omogenea di tutto il profilo posteriore del top che, se fatta a regola d’arte, proteggerà da qualsiasi infiltrazione per lungo tempo. Questo listello verticale fino ad una altezza di 10 o 15 centimetri viene detto “alzatina” proprio per le sue dimensioni ridotte e per la sua posizione peculiare. Quando è invece più alto, ma non copre comunque completamente lo spazio esistente tra mobili bassi (detti “basi”) e quelli appesi in alto (ovvero i “pensili) viene denominato invece “alzata”. Quando con lo stesso materiale del piano di lavoro di una cucina si copre completamente anche lo spazio che solitamente è occupato dalle piastrelle del rivestimento del muro, si parla invece di “schienale” o di “paraschizzi”.
Quest’ultima configurazione, pur sembrando apparentemente del tutto simile alle due precedenti in quanto differisce da esse solo per le dimensioni, presenta delle caratteristiche e delle problematiche del tutto diverse. Sulla parete su cui viene appoggiata una cucina sono infatti solitamente presenti anche dei punti funzionali indispensabili, costituiti principalmente dalle prese e dagli interruttori elettrici “di servizio” e dal rubinetto del gas. In entrambi i casi si tratta di elementi architettonici fissi che nel caso si decida di corredare il nostro muro con delle piastrelle sono facili da gestire dimensionalmente, mentre, quando ci si trova a dover applicare tra basi e pensili uno schienale intero, presentano ovviamente delle difficoltà ben diverse. In questi casi è necessario infatti effettuare un rilievo molto esatto dei “servizi” presenti in parete in modo da poter preventivamente preparare lo schienale predisponendolo con degli appositi fori. Questi fori, di forma rettangolare o rotonda a seconda dei casi, dovranno essere infatti perfettamente allineati con la posizione dei singoli attacchi presenti nel muro, in maniera che tutto combaci perfettamente. Tutto questo comporta un lavoro non indifferente che aumenta di molto i costi di gestione e produzione dei top da cucina e ne comporta spesso un utilizzo molto meno comune e disinvolto.
Il problema del calore.
Come per ciò che concerne il lavello e la lavastoviglie, anche gli altri elettrodomestici che producono calore, come il piano di cottura e il forno, sono da considerare tra i nemici del top da cucina. I problemi che essi possono causare direttamente però sono stati, nel tempo, risolti tramite dei miglioramenti tecnici che impediscono al calore prodotto da questi accessori di raggiungere in breve tempo il top. Il forno, ad esempio, possiede oggi giorno quasi sempre la cosiddetta “ventilazione tangenziale” tramite la quale si diminuisce di molto la quantità di calore che emana l’elettrodomestico all’esterno. Per quanto riguarda il piano di cottura, sia esso ad induzione o a gas, vengono prodotte delle specifiche protezioni isolanti che sono capaci di proteggere il top e la sua relativa alzatina. Quelli che possono invece essere considerati ancora come veramente pericolosi e frequenti sono i danni causati indirettamente dagli elettrodomestici. E’ il caso, molto comune e davvero frequente, della macchinetta da caffè appena tolta dal fornello e poggiata direttamente sul top; oppure quello dell’olio bollente cadutovi accidentalmente sopra o della teglia caldissima estratta dal forno e posata immediatamente sul piano per non scottarsi le dita. Ecco questi sono tutti esempi di situazioni, molto consuete in cucina, che sono spesso causa di danni irrimediabili su di un piano di lavoro.
Anche in questo caso, occorre sempre ricordare che se è pur vero che esistono materiali che reagiscono meglio a questo tipo di problemi, è altrettanto vero che è difficile trovare in commercio un materiale che sia capace di sopportare un calore superiore ai 200° (come avviene spesso per le temperature della macchinetta del caffè o delle pentole dal fondo spesso), senza che si modifichi, anche se minimamente, la propria superficie. A questo proposito è importante ricordare che, quando si utilizza lo stesso materiale del piano per realizzare delle alzate o degli schienali applicati al muro, è indispensabile che essi siano realizzati in materiali molto resistenti al calore, altrimenti, nella zona dietro al piano cottura potrebbero presentarsi delle pericolose bruciature, che possono essere evitate solo attraverso l’uso di speciali protezioni in metallo.
Il problema di graffi urti e danneggiamenti superficiali.
Ed eccoci infine ad alcune delle questioni più sentite da chi si trova a dover scegliere il piano di lavoro della sua nuova cucina componibile. Una delle preoccupazioni più frequenti è infatti quella di acquistare un piano che, nonostante l’uso intensivo che se ne può fare in cucina, possa dimostrarsi effettivamente molto resistente a urti, graffi e tagli. Il motivo di tale preoccupazione è piuttosto comprensibile: ognuno di noi se si immagina nella propria cucina intento a sfaccendare, si rappresenta mentalmente con il coltello in mano, oppure con la mezzaluna nel fare il battuto, quando non addirittura con in mano il matterello o il batticarne. Questi in effetti sono apprensioni del tutto lecite per chi si appresta magari a fare un acquisto da diverse migliaia di euro e pretende che il proprio “investimento” in mobili non perda il suo originale valore in poco tempo. Il fatto è che molto spesso si pretende purtroppo dai propri acquisti più di quanto essi sono capaci di darci.
Nella scelta di un buon piano di lavoro che sia molto resistente ad urti e graffi bisogna partire innanzitutto dal concetto, incontrovertibile, che non esiste un piano di lavoro che sia realmente indistruttibile e che, se mai esistesse, avrebbe sicuramente un costo talmente alto da rendere il suo acquisto impossibile per chiunque. Una volta accettata questa verità, e solo allora, si potrà oggettivamente andare a cercare quel tipo di Top che si ritiene possa essere più adatto alle nostre esigenze, facendolo però con l’esatta consapevolezza di quelli che sono i limiti e i pregi di tutti i materiali in commercio.
In verità, a meno che non ci si orienti verso cucine di basso o bassissimo costo, tutti i materiali utilizzati attualmente a questo scopo sono abbastanza resistenti. Anche il “laminato” che come vedremo più avanti rappresenta un po’ la base di partenza per chi acquista un top da cucina, ha assunto ormai delle caratteristiche di resistenza davvero notevoli. Non vi è dubbio che, come vedremo nella nostra rassegna, ci sono dei piani di lavoro che risultano essere ben più resistenti del migliore dei laminati, ma andando ad approfondire poi quelli che sono i reali utilizzi che si fa del top di lavoro in cucina e si pensa soprattutto a quelle che sono le accortezze che sono comunque necessarie per mantenere in buono stato anche il più duro e resistente dei materiali, ci si accorge che probabilmente, siamo di fronte ad un problema di “consapevolezza” più che di resistenza meccanica. Se si pretende, ad esempio, di poter fare il “battuto” direttamente sopra il nostro piano di lavoro senza usare un tagliere, oppure si crede di potervi utilizzare sopra un batticarne senza farvi troppa attenzione, ci si troverà sicuramente di fronte a cocenti delusioni. Se al contrario si penserà sempre a come e dove può essere più opportuno utilizzare il proprio Top da cucina senza causargli danni, ci si troverà sicuramente sempre molto meglio.
A proposito degli urti e delle rotture, ad esempio, ancora in pochi si sono resi conto che sono gli spigoli, i punti più suscettibili ad essere danneggiati. Sugli spigoli infatti si può sbattere con una pentola, una padella, un vassoio in ceramica e con oggetti talmente duri e pesanti che sarebbero capaci di danneggiare qualsiasi cosa. Se si vuole evitare questo tipo di problemi è necessario orientarsi verso materiali più elastici (come ad esempio l’HPL) oppure prevedere delle opportune lavorazioni che permettano di evitare questo tipo di problemi anche in materiali più duri, ma fragili, come ad esempio il Quarzo, il marmo, il granito e la Ceramica.
Questi ultimi eppure, sono materiali molto più duri e resistenti ai graffi ed ai tagli delle resine plastiche con cui è costruito L’HPL, ma nonostante questo se non trattati con la dovuta oculatezza possono risultare poco duraturi. Un caso eclatante è quello dell’incasso del lavello “sotto piano” ovvero di quei lavelli che, anziché essere applicati sulla parte superiore del top, vengono applicati alla sua superficie inferiore in modo da rendere meno visibili le loro vasche. Ebbene, anche utilizzando materiali durissimi, come il quarzo o la Ceramica, i bordi superiori al lavello -che sono formati dal foro che viene fatto nel piano per alloggiarlo- sono molto facili a rompersi ed a sbeccarsi quando si lavano le pentole e le stoviglie più grandi. Per questo motivo nell’acquisto di una cucina è bene affidarsi a dei professionisti capaci di mettere in guardia i clienti in merito a queste problematiche, perché altrimenti ci accorgeremmo troppo tardi delle errate scelte che ci troveremo nostro malgrado a fare.
Il problema di sporco e macchie.
Un altro dei problemi più mal tollerati a proposito dei Top da cucina è quello delle macchie e dello sporco che possono depositarsi sulle superfici.
Una volta questo tipo di problema era meno sentito perché si faceva meno attenzione alla pulizia ed alla salubrità degli ambienti, adesso invece è diventa una questione di primaria importanza i cui presupposti possono rappresentare una delle discriminanti di scelta di un Top da cucina. Ai piani di lavoro da cucina di un tempo del resto, essendo essi spesso di legno e quando andava bene di marmo, si dava poca importanza e a meno di trovarsi in situazioni di sporco davvero intollerabili, ci si limitava a togliere quello più facilmente rimovibile tralasciando quello più ostinato. Adesso, per numerose ragioni che non è necessario star qui ad elencare ma che vanno dalla perfezione estetica dei prodotti alla diffusione di nuove malattie, siamo andati nella direzione opposta, ovvero verso la ricerca di un’igiene massima e di una perfetta pulizia estetica. Oggi, chi sarebbe disposto ad accettare una macchia di limone su di un bel piano di marmo o una chiazza chiara ed opaca nel mezzo di un bel Top in quarzo nero lucido? Si tratta di una di quelle situazioni in cui la conoscenza dei materiali può essere molto utile e quindi cercheremo a questo proposito di fare in questo articolo il massimo della chiarezza. Partiamo da un concetto indiscutibile, ovvero dal fatto che un piano di lavoro da cucina, per essere considerato buono deve essere impermeabile e che quindi non deve essere capace di assorbire liquidi o inglobare dello sporco sulle sue superfici.
Detto questo è facile però immaginare come vi siano dei prodotti che possiedano una minore assorbenza ed altri che, ovviamente, siano più soggetti a trattenere dello sporco. Alla stessa maniera dovrebbe essere altrettanto comprensibile il fatto che, una cosa può essere considerato lo sporco che rimane depositato sopra una superficie, ed un’altra quello che riesce a penetrare nella materia fino a diventarne addirittura parte. Per ciò che concerne il primo caso, è bene o male sufficiente scegliere dei materiali che abbiamo delle superfici talmente ruvide e rugose da rendere difficoltosa la pulizia. Il secondo caso invece è un po’ più complesso da trattare e dipende sia dal tipo di piano che si sceglie che dalle lavorazioni che, su questo stesso piano, sono state effettuate per ridurre al minimo la sua porosità.
Questo aspetto in cucina è molto importante perché sono davvero tante le sostanze che possono causare delle macchie non rimovibili, essendo in grado di penetrare nella stessa sostanza di cui è costituito il piano. E’ il caso ad esempio dell’olio, del vino, dei colori della frutta, dell’aceto, del limone e di tutti quei liquidi che, a differenza dell’acqua, una volta evaporati sono capaci di lasciare residui. Per fortuna i piani di lavoro da cucina dotati di una superficie impenetrabile dai liquidi sono davvero molti, ma non lo sono certamente tutti e dunque è indispensabile conoscere le diverse caratteristiche di ognuno di essi e i diversi tipi di trattamenti a cui vengono sottoposti. Cosa che vedremo singolarmente durante la nostra lunga rassegna.
I piani di lavoro in laminato
Sono in gergo chiamati “piani di lavoro in laminato” quei Top da cucina formati da un pannello di Truciolare (detto anche Pannello in particelle di legno) rivestito da un lato da uno strato carta impregnata di resina melaminica di spessore variabile dai 0,5 ai 1,5 mm, che forma una robusta protezione al materiale sottostante. Il lato inferiore e posteriore, quelli cioè che restano rispettivamente a contatto diretto con i mobili e con il muro sottostante, vengono solitamente rivestiti con una sottile pellicola di carta impregnata, mentre il profilo frontale può essere ricoperto con un nastro di ABS (Acrilonitrile butadiene stirene) dello stesso colore del piano, oppure con il proseguimento della stessa pellicola protettiva superiore. E’ certamente il piano di lavoro attualmente più diffuso e più venduto, in quanto le sue caratteristiche tecniche lo fanno annoverare certamente tra quelli che hanno un ottimo rapporto qualità/prezzo.
La sua produzione avviene in maniera quasi sempre industriale, partendo da dei pannelli truciolari di dimensioni standard (detti in gergo “barre”) che possono variare per dimensioni ma che sono prodotti per la maggior parte in misure di 60/65 cm di profondità e di 3/4 metri di lunghezza. Il loro spessore può variare dai 2 agli 8 cm a seconda degli usi che se ne intende fare e del tipo di cucina con cui si deve completare. Una volta tagliate con le misure volute, le barre di truciolare vengono rivestite da tre o quattro lati con le superfici protettive apposite ed immagazzinate dividendole a seconda dei tipi di colori e di decori che presentano in superficie. Il loro aspetto esterno può infatti variare molto e si possono trovare barre con rivestimenti che a seconda dei casi simulano il legno, il marmo, la pietra, il metallo, ma ne esistono anche di quelli semplicemente colorati in tinta unita, che non simulano nient’altro che la loro bella superficie plastica.
Una volta stoccate le barre rivestite vengono prese per essere lavorate in “just in time” ovvero sono rimesse in lavorazione solo ogniqualvolta un cliente richiede quello specifico modello di Top. La lavorazione viene quasi sempre svolta da macchinari a controllo numerico i quali, una volta ricevuto il progetto specifico del piano richiesto, lo lavorano tagliandolo a misura e producendovi i fori necessari per l’incasso di piano di cottura e lavello. Appena tagliato e lavorato il piano passa alla fase di bordatura (quando la tipologia lo necessita) che una lavorazione tramite la quale il profilo anteriore e quelli laterali “a vista” (ovvero che non combaciano con altri piani dello stesso tipo in soluzione continua) vengono rivestiti con dei nastri in ABS (detti appunto “Bordi”) che servono per rifinire ottimamente le parti di piano che altrimenti rimarrebbero grezze. Tale procedimento avviene tramite dei collanti, quasi sempre applicati “a caldo” che una volta essiccati, uniscono solidamente il bordo al profilo del piano che devono rifinire. Quando è ormai approntato e rifinito, ogni piano viene poi imballato per essere spedito insieme alla cucina componibile che dovrà corredare.
Dal punto di vista delle sue caratteristiche tecniche, la qualità di un piano in laminato dipende essenzialmente da tre fattori: la resistenza della sua superficie superiore di rivestimento, la ridotta capacità igroscopica del suo pannello di supporto in truciolare e la robustezza del suo bordo laterale e frontale. Per valutare il primo aspetto è necessario conoscere almeno un poco quelle che sono le caratteristiche della lamina di rivestimento, la quale è realizzata sovrapponendo una all’altra delle carte impregnate di resine plastiche melaminiche fino al raggiungimento dello spessore desiderato. Maggiore è tale spessore e solitamente migliore è, di conseguenza, la resistenza di questo tipo di lamina. Vi sono però anche altri fattori che influiscono sulla sua qualità. Uno di questi è la posizione della cosiddetta “carta decorativa” all’interno della stratificazione. Si tratta in pratica del “disegno” superficiale che dona al piano in laminato il suo aspetto definitivo e che, come abbiamo visto, può variare dall’effetto legno all’effetto pietra, passando da un’innumerevole serie di altri decori. In un top in laminato di buona qualità questa sottilissima pellicola deve essere posta in maniera da non essere troppo vicina allo strato esterno, per evitare che si danneggi facilmente, ma anche non troppo lontano da esso per evitare che se ne perda l’effetto decorativo. Attualmente i migliori piani di laminato sono quelli in cui la carta decorativa è coperta da uno robusto strato melaminico trasparente che simula l’effetto “3D” del materiale che intende simulare, sia esso legno, metallo o pietra. Questo strato diventa a quel punto una superficie rugosa e screziata dotata di grandi proprietà “anti-graffio”, grazie al suo elevato spessore (necessario per poterci applicare gli effetti di venature e rugosità) ed al suo già naturale aspetto “variegato” su cui è veramente difficile scorgere un graffio.
La pulizia di questi piani va effettuata tramite una spugna bagnata con un normale detergente liquido, evitando l’uso di strumenti aggressivi, come le pagliette in acciaio o le spugnette molto abrasive, capaci di rigare e danneggiare la sua superficie. E’ fortemente sconsigliato anche l’utilizzo di prodotti chimici molto forti quali solventi, candeggina, acidi ecc. che potrebbero provocare decolorazioni e danneggiare irrimediabilmente il piano andando a modificare la resina melaminica superficiale. Per la rimozione delle macchie più ostinate dai piani in laminato, a seconda della natura dello sporco, è consigliabile perciò utilizzare prodotti e metodi mirati per rimuovere le macchie più difficili e consistenti. In questi casi, prima di procedere con la pulizia di un piano in laminato, è assolutamente necessario visualizzare e capire bene quale tipo di sporco ha contaminato la superficie e in che modo rimuoverlo. A quel punto è consigliato partire sempre da una piccola porzione del top per valutare il risultato e procedere poi con l’intera area interessata. Nonostante la loro innata resistenza le superfici decorative dei laminati devono essere utilizzate con la stessa cura dedicata alle altre superfici comuni degli arredamenti da interni.
Esaminiamo alcuni specifici casi di sporco ostinato:
Per l’inchiostro, le macchie da pennarello indelebile e lo smalto per unghie sui top in laminato è opportuno utilizzare un solvente aromatico apposito non aggressivo, come l’acetone o in generale i solventi per smalto che si trovano in profumeria; dopo di che occorre usare una spugnetta imbevuta con acqua calda fino a 35-40°C e sapone delicato, lasciando magari agire qualche minuto prima di provvedere al risciacquo.
Per la ruggine è solitamente sufficiente usare i detergenti contenenti esclusivamente acido acetico o acido citrico al 10%, risciacquando con abbondante acqua calda. In casi estremi si possono usare anche i prodotti antiruggine appositi che si trovano in commercio, usandoli però con molta attenzione, provandoli magari prima in zone non visibili del piano e per poco tempo.
Per i colori a olio sintetici si può utilizzare l’Acqua Ragia oppure il solvente al sintetico, successivamente sciacquando con un prodotto sgrassante diluito in acqua calda fino a 35-40°C
Anche per la vernice Nitro si può utilizzare l’acetone o, solo nei casi più difficili, i solventi “Nitro”, facendo però molta attenzione a limitare la pulizia alla sola zona macchiata. Dopo di che è necessario sciacquare con acqua calda e sgrassante.
Per la Vernice spray a base acrilica e la tempera acrilica da disegno più o meno si devono tenere le stesse precauzioni. Per entrambi i prodotti è sufficiente di solito pulire la macchia fresca con acqua calda, nel caso però delle vernici spray è opportuno prima leggere le apposite precauzioni di pulizia scritte sulla bomboletta e, se necessario, utilizzare il solvente indicato. Per le macchie secche e più datate si può, anche in questo caso, utilizzare l’acetone o, solo nei casi più difficili, i solventi “Nitro”, facendo sempre moltissima attenzione a limitare la pulizia alla sola zona macchiata e verificando di frequente gli effetti della pulitura. Dopo di che è necessario sciacquare con acqua calda e sgrassante.
Per la cera di candela, nel caso in cui le macchie siano già indurite, occorre prima provare a rimuovere il materiale mediante un panno caldo e delle spatole in legno o in plastica morbida, in modo da non causare graffi. Dopo di che sarà eventualmente sufficiente premere sopra al poco prodotto rimasto, una salvietta di carta applicandovi contro un ferro caldo per qualche secondo.
Per rimuovere la colla tipica degli adesivi e delle etichette è necessario togliere prima lo strato superficiale in carta o in plastica eventualmente rimasto. Successivamente si può applicare sopra la colla rimasta attaccata uno strato di Spray lucidante per mobili (come ad esempio il “Pronto”), lasciandolo agire per 10 minuti in modo che sciolga la colla. In alternativa si può usare acqua ragia o diluente sintetico e dopo sciacquare con acqua calda e un prodotto sgrassante.
In caso di calcare ostinato è consentito l’utilizzo di aceto da cucina nella parte interessata, lasciandolo agire per massimo 5 minuti e risciacquando abbondantemente subito dopo. Se il calcare persiste ripetere l’operazione. E’ sconsigliato l’utilizzo di anticalcare concentrato (es. Viakal) perché il deposito prolungato dello stesso danneggia il laminato.
A parte questi specifici casi, sulla superficie di questa tipologia piano costituita internamente in truciolare, è bene non lasciare mai alcun liquido depositato sul piano per lungo tempo. Tali sostanze, infatti, pur non potendo probabilmente danneggiare la sua superficie superiore impermeabile, potrebbero comunque raggiungere le giunture ed i bordi, provocando rovinosi rigonfiamenti, anche su quei piani in cui sono utilizzati truciolari cosiddetti “idrorepellenti”. Il truciolare è infatti un materiale in ogni caso estremamente igroscopico e per questo teme l’umidità più di qualsiasi altra cosa.
Per ultimo un’annotazione importante circa la forte suscettibilità al calore di questi piani, sia nella sua forma umida che secca: su di un piano in laminato non si possono appoggiare direttamente pentole calde o ferri da stiro o qualunque altra fonte di calore, onde evitare bruciature, vescicole e screpolature del laminato. Inoltre essendo un materiale molto sensibile al vapore, per chi sceglie questi piani è necessario utilizzare la lavastoviglie in modo che durante la fase di apertura non sprigioni vapore acqueo troppo caldo o in eccessiva quantità.
Quando si parla di Piano di lavoro in laminato si intende in verità una miriade di prodotti differenti per natura e morfologia che in linea di massima possono essere suddivisi nelle tipologie che tratteremo qui di seguito:
Piano in laminato “Postformato”
Si tratta di piano di lavoro composto come gli altri da un pannello di particelle di legno classe (E1) quasi sempre idrorepellente, rivestito da un laminato ad alta pressione (HPL anche questo), che pur essendo molto resistente al graffio, al calore, alle macchie, all’urto e all’abrasione, possiede uno spessore ridotto che gli consente di essere “Post-formato”. Attraverso questo tipo di lavorazione la lamina superficiale che protegge il truciolare non si interrompe in corrispondenza del profilo frontale del piano, ma prosegue evitando in questo modo l’applicazione di un ulteriore bordo in ABS sul frontale.
L’effetto ottenuto è quello di un piano dal profilo arrotondato che si abbina particolarmente bene alle cucine dal design un po’ più decorativo. E’ bene precisare che la mancanza del bordo frontale riportato non costituisce però un indice assoluto di maggiore qualità, perché la lavorazione della Post-formatura (ovvero della curvatura della lamina superiore anche sul profilo frontale), obbliga ad utilizzare solo lamine melaminiche dallo spessore molto esile e quasi mai superiore ai 5 decimi di millimetro.
Piano in laminato con bordo “ABS”
Anche questo è un piano di lavoro composto da un pannello di particelle di legno, solitamente idrorepellente, rivestito da una lamina ad alta pressione (HPL), molto resistente, che è formata da 5 strati di fibra di cellulosa impregnata di resina melaminica. A differenza dei piani post-formati, che presentano i bordi arrotondati, questo materiale viene però prodotto in “barre” (di diverse dimensioni) aventi inizialmente entrambi i profili grezzi. In una lavorazione successiva, viene applicato al bordo frontale un nastro di Abs (Acrilonitrile butadiene stirene) tramite degli speciali collanti che vengono applicati con procedimenti “a caldo”. Essendo L’ABS un tipo di plastica molto resistente agli urti, ma allo stesso tempo elastico e malleabile, questo “nastro” applicato come rifinitura dona al profilo del Top una protezione ideale sia dal punto di vista dell’estetica che della praticità.
Il Piano bordato in ABS si presenta infatti con un design molto pulito, minimale, ed estremamente adatto ad essere costruito con gli spessori più sottili (come il 2 cm) sia quelli più grossi come l’8 cm. In quanto alla sua resistenza all’uso, le prestazioni di questo piano dipendono essenzialmente dagli spessori dei suoi rivestimenti superiori in resina melaminica, i quali variano da un minimo di 7 decimi ad un massimo di 1 mm, mentre per il bordo si aggirano sempre intorno al millimetro. Anche per questo tipo di top, come per gli altri, sono valide più o meno le stesse precauzioni d’uso che consigliano di limitare l’uso di agenti aggressivi e di tenere il piano di lavoro al riparo delle forti fonti di calore e dall’umidità. Commercialmente parlando si tratta di uno dei piani di lavoro attualmente più diffuso soprattutto grazie al suo ottimo rapporto qualità-prezzo, ma non si può negare che anche i miglioramenti estetici e tecnologici che hanno interessato questo prodotto così popolare, hanno senza dubbio contribuito a aumentare ulteriormente la sua già ampia diffusione.
Piano in laminato “Unicolor”
Questo piano di lavoro è sempre del genere costruito su di un pannello in truciolare, ma tale supporto viene in questo caso rivestito da una speciale lamina chiamata appunto Unicolor che possiede uno spessore di ben 1,2 mm, realizzato ad alta pressione (HPL), in cui il colore di rifinitura è uniformemente distribuito su tutto lo spessore della lamina. Questo peculiare aspetto di uniformità della struttura di rivestimento è ottenuto utilizzando carte decorative e delle resine melaminiche aventi lo stesso colore. Il top laminato Unicolor, in quanto colorato uniformemente in tutto il suo spessore, possiede quindi la proprietà di non lasciare intravedere cambi di colore qualora venga graffiato o danneggiato superficialmente. La sua grande resistenza è però dovuta principalmente alla sua amalgama. Tale materiale è infatti composto a base di fibra di cellulosa colorata (pari a circa il 60-70% del totale), e impregnata con resine termoindurenti (30-40%) legate insieme tenacemente grazie all’azione combinata di calore (>=120° C) e alta pressione (>=5Mpa). Questo procedimento, svolto in speciali presse per un tempo determinato e variabile in funzione della tipologia di laminato, dà vita ad un materiale stabile, omogeneo, non poroso, ad alta densità, dunque dotato di caratteristiche fisiche e chimiche che lo rendono particolarmente adatto all’uso in cucina.
Grazie alla sua bassissima permeabilità, l’elevata compattezza e la poca porosità della resina melaminica di cui è composto, infatti, esso non viene superficialmente intaccato dai liquidi, dagli alimenti e dagli agenti chimici comunemente usati in ambito domestico. L’HPL non reagisce con queste sostanze e, essendo molto compatto, costituisce una vera e propria barriera contro le micro-emissioni di formaldeide, la crescita di batteri, muffe, funghi e altre sostanze volatili eventualmente provenienti dai substrati in legno che riveste. Per ciò che concerne la sua pulizia, la superficie in HPL dei piani Unicolor non richiede una manutenzione particolare: è sufficiente un panno umido con acqua calda unita a tutti i normali prodotti detergenti o disinfettanti domestici esistenti in commercio, purché non siano abrasivi o fortemente alcalini.
Quando si usano solventi essi devono essere diluiti e il panno utilizzato deve essere perfettamente pulito in modo da non lasciare aloni sulla superficie dell’HPL; gli eventuali segni possono comunque essere rimossi sciacquando con acqua calda e asciugando. Per la pulizia di questi piani è opportuno evitare i lucidanti per mobili e, in genere, i detergenti contenenti “cera” perché possono formare uno strato appiccicoso a cui aderisce lo sporco; molto meglio usare dunque a questo scopo degli opportuni prodotti “sgrassanti”, che sia efficaci, ma che non contengano solventi aggressivi.
Piano in Fenix
Fenix è un marchio brevettato che viene prodotto in Italia dal 2013 dall’azienda Arpa. Esso differisce sostanzialmente dal normale laminato poiché ai 5 strati di fibra di cellulosa impregnata di resina melaminica che rivestono un tradizionale top da cucina, se ne va ad aggiungere un sesto, insieme agli altri indurito e fissato attraverso un processo denominato “Electron Beam Curing”, che è in grado di dare a questo top alcune specifiche caratteristiche. Detto in parole semplici il processo produttivo del rivestimento avviene per il 60% tramite l’usuale termo-laminazione ad alta pressione, mentre per il restante 40% si utilizzano delle nanotecnologie che lo rendono più resistente di un normale laminato a graffi ed abrasioni. Il Top in Fenix presenta infatti una superficie estremamente opaca, morbida al tatto, anti-impronta e dotata di una particolarità unica: la riparabilità termica ai micro-graffi superficiali.
Si tratta quindi di un prodotto ad alte prestazioni e che è capace di donare ad un ogni cucina un aspetto estremamente attraente e moderno, molto simile a quello che sanno offrire alla vista solo le preziose superfici “laccate” dei mobili più pregiati. Oltre a questo i piani di lavoro Fenix, essendo rivestiti con un materiale innovativo ottenuto con l’ausilio di resine termoplastiche di ultima generazione, possiedono una superficie che si “auto-ripara” grazie all’utilizzo delle nano-tecnologie applicate. La facciata decorativa di questi top si presenta infatti tecnicamente come “estremamente chiusa” e assolutamente priva anche delle più microscopiche porosità. In virtù di queste sue speciali caratteristiche i piani Fenix offrono dunque una bassa riflessione della luce, sono Anti-impronta, resistenti ai graffi, allo strofinamento e all’abrasione oltre che facili da pulire. La loro superficie compatta inoltre gli rende particolarmente igienici, dunque idonei al contatto con gli alimenti, idrorepellenti e anti-muffa. Anche il Fenix è un tipo di top “placcato”, cioè costruito rivestendo un pannello in truciolare idrorepellente e “bordando” lo stesso sui lati a vista con un nastro di polipropilene (Abs) in spessore 1 mm in tinta con la superficie.
Il Fenix è un materiale che non richiede particolare manutenzione. Per la sua normale pulizia è dunque sufficiente passare un panno inumidito con acqua tiepida mentre, per rimuovere le macchie di modesta entità che sono usuali in cucina come quelle di vino, carne, aceto, olio e grasso, è invece solitamente sufficiente utilizzare un panno non abrasivo, imbevuto di acqua calda con l’aggiunta di un detergente delicato e sgrassante. Per le macchie più ostinate e particolari si possono invece utilizzare gli stessi metodi indicati per tutti gli altri tipi di piano in laminato nel paragrafo iniziale riguardante tale argomento.
Affrontiamo adesso quello che è sicuramente l’aspetto più peculiare di questa tipologia di piano ovvero il sistema esclusivo con cui è possibile riparare i micro-graffi superficiali sulle ante e sui top cucina realizzati in Fenix, detto anche Termo-riparazione. Innanzitutto è bene chiarire che questa specifica caratteristica del rivestimento Fenix, non riguarda tutti i tipi di graffio e, più in generale, tutti i tipi di danni che possono interessare un top da cucina, ma è relativa esclusivamente ai cosiddetti “micro-graffi”, ovvero quelle abrasioni di leggera entità che possono essere provocate, ad esempio, strusciando fortemente sul piano un piatto in ceramica o oggetto ruvido in metallo. La termo-riparazione avviene infatti tramite una sorta di “scioglimento superficiale” (anche se la definizione non è del tutto esatta) grazie alla quale la superficie che viene a contatto con il calore “umido” si auto leviga, rigenerandosi ed in qualche modo lisciando la parte di superficie resa irregolare da un suo uso improprio.
Questo chiarisce abbastanza quanto la “termo-riparazione” del Fenix non sia dunque efficace sui graffi profondi e sui tagli che possono a volte essere provocati su di un piano da cucina. Bisogna però capire che la splendida superficie di questi top, apparendo molto compatta, unita, opaca e dall’aspetto “setoso”, pur essendo davvero resistente, rende molto visibili i micro-graffi superficiali che possono coinvolgere ogni piano di lavoro e ciò rende la sua Termo-riparabilità superficiale una proprietà estremamente utile. Ne è la prova il fatto che questo Top, nonostante il suo prezzo abbastanza più alto di quello che in media possiedono i piani di lavoro in Laminato, ha avuto e continua ad avere un grande successo tra il pubblico, che ne apprezza le sue doti sia estetiche che pratiche.
Eliminare i piccoli graffi dal Fenix è abbastanza facile e si possono seguire due possibili strade, ovvero la riparazione attraverso un ferro da stiro o quella effettuata mediante la “Spugna Magica”. Nel primo caso, e cioè per mettere in pratica questa famosa Termo-riparazione, è sufficiente seguire tre semplici passaggi: Collocare un foglio di carta da cucina inumidito d’acqua sulla zona in cui sono presenti i graffi. Poi appoggiare il ferro da stiro caldo sull’area da riparare, facendo attenzione a non mantenere il ferro da stiro sulla superficie per più di 10 secondi in modalità alta temperatura (modalità bassa temperatura: max 30 secondi). Dopo di che basterà ripulire delicatamente l’area riparata con un panno in microfibra e acqua tiepida. Per quanto riguarda invece la Spugna Magica, si tratta di una spugnetta melaminica molto compatta che si trova in commercio di numerose marche la quale, pur essendo lievemente abrasiva, è in grado di levigare e pulire le superfici senza mai danneggiarle. Per il suo uso, è sufficiente strofinarla sulla zona in cui sono visibili i micro-graffi fino alla loro scomparsa. La spugna può essere utilizzata sia asciutta che leggermente inumidita e può risultare molto utile anche per la pulizia di quelle parti della cucina, come il lavello ed il piano cottura, le cui superfici possono essere facilmente danneggiate dall’uso di spugnette abrasive.
Piano in HPL
Ed eccoci giunti a una tipologia di top che, pur essendo a tutti gli effetti annoverabile solo nella categoria dei top in Laminato, ha ben poco in comune con essi, se non il suo rivestimento esterno. Il Piano in Hpl (high pressure laminate) non è infatti costituito da un pannello di particelle di legno (truciolare) ricoperto con una lamina plastica come tutti gli altri laminati, bensì è composto per intero dallo stesso materiale di cui è fatta la sua superficie. Il top stratificato HPL è infatti costituito esclusivamente da strati sovrapporti di fibra di cellulosa particolarmente robusta detta “Carta Kraft” (la stessa con cui si costruiscono i sacchi per il cemento o la farina), impregnata con resine termoindurenti dette “amino-plastiche”. Il prodotto finito si ottiene grazie a un processo ad alta pressione (9 MPa) e ad alta temperatura (150° C) che avviene in speciali presse multi-vano, in cui un procedimento chimico-meccanico detto “policondensazione” unisce le resine e le fibre in un modo talmente forte e tenace da ricavarne un materiale, elastico ma indistruttibile, internamente ed esternamente non poroso e quindi impermeabile, ma soprattutto dotato di resistenza generale agli urti (compressione) ed alla flessione che è rintracciabile in pochi altri materiali. Il materiale nudo si presenta in se come una massa molto compatta, ma dall’aspetto filamentoso, di colore solitamente nero o marrone. Sono però disponibili tantissime diverse finiture superficiali che, proprio come avviene per gli altri tipi di laminati, si ottengono tramite l’applicazione sugli strati più superficiali di alcune carte decorative colorate, che vengono impregnate di resina e compresse anch’esse, formando un corpo unico con gli strati sottostanti. Anche di questo tipo di piani esistono infatti delle versioni che simulano le venature del legno, le screziature della pietra, la lucentezza del marmo e la superficie dei metalli più belli.
Questo materiale viene prodotto industrialmente in numerosi spessori tra i quali i più utilizzati in arredamento vanno dai 5/6 mm, adatti per la realizzazione di ante, fino ai 1,2 cm impiegati di solito per i piani. A seconda del tipo di profilo che rimane a vista (quello che mostra appunto il suo spessore), l‘HPL, può essere suddiviso in quattro categorie. La prima è quella in cui il materiale interno, di colore nero o marrone, essendo già estremamente compatto, rimane a vista, privo cioè di qualsiasi tipo di rifinitura. Un’altra tipologia ha invece il proprio profilo sempre a vista, ma in tinta col rivestimento (detto “cuore in tinta”) e si distingue dalla precedente perché la carta e la resina utilizzate per l’anima del materiale sono realizzate nello stesso colore del decorativo superficiale, così da rendere omogeneo il piano anche sul bordo.
Vi è poi una terza tipologia di bordo, in cui al profilo rimasto a vista, viene applicato un nastro in ABS, dello stesso colore della superficie, proprio come avviene con la maggior parte dei piani in laminato. L’ultimo tipo è quello che rende possibile la produzione di piani che, pur essendo sempre costruiti in laminati stratificati di spessore 1,2 cm, possiedono un profilo che appare di spessore “maggiorato” al fine di rendere più evidente il loro aspetto. Questo tipo di piani in HPL può essere costruito in due modi. Nel primo, tramite una sorta di “scatolatura”, si applica un bordo frontale dello stesso materiale dell’altezza pari allo spessore che si intende simulare (ad esempio 4 o 6 cm). Nel secondo caso invece si procede applicando in prossimità del bordo frontale del top una specie di “ringrosso” in multistrato che, una volta unito solidamente al top, viene poi “bordato” tramite l’applicazione di un nastro in ABS dello stesso tipo di quello usato in genere per tutti i piani in laminato.
Lo stratificato HPL è un tipo di top che, grazie alla sua grande duttilità dimensionale, permette di avere top di misure e forme finora non consentite da altri materiali simili e di ridurre per questo giunzioni e tagli. Per effetto di fenomeni naturali, quindi, lo stratificato HPL subisce una moderata variazione dimensionale: si contrae comunque leggermente in presenza di bassa umidità e si espande davvero poco in presenza di alta umidità. L’omogeneità e l’alta densità dei pannelli garantiscono inoltre un’elevata resistenza all’estrazione degli elementi di fissaggio, quali viti o inserti.
La caratteristica però probabilmente più interessante di questo materiale è quella che gli consente di ridurre davvero al minimo i possibili danni causati dall’acqua, dal vapore e dall’infiltrazione degli oli, nel suo uso in cucina. La sua compattezza e impermeabilità sono infatti tali da consentire addirittura la realizzazione di vasche integrate squadrate nella stessa finitura del top, nonché l’inserimento di lavelli filo-top e sotto-top, cosa che non è invece possibile (o è comunque quasi sempre sconsigliata) con tutti gli altri tipi di top in laminato. Da non dimenticare inoltre è il fatto che con l’HPL è possibile l’installazione di piani cottura filo-top ed ad induzione, mantenendo la temperatura del top bassa, grazie alla sua ridottissima trasmissibilità termica che gli permettono di non soffrire di particolari shock termici e di lasciare per questo inalterate le sue proprietà fisiche e meccaniche.
Riassumendo possiamo senza dubbio dire che principali vantaggi del top stratificato HPL sono rintracciabili nelle sue caratteristiche di materiale non poroso che, grazie proprio alla sua impermeabilità non permette la formazione di muffe e/o batteri e si rende particolarmente adatto all’utilizzo a contatto con gli alimenti e con i liquidi. E’ un prodotto resistente ai graffi, agli urti, all’abrasione e all’usura che, possedendo un’alta resistenza anche agli agenti chimici e organici è facile da pulire, atossico e perfettamente compatibile con l’ambiente durante il suo ciclo d’uso. Da tenere però nella massima considerazione è il fatto che tale materiale è termoresistente fino a 170° e questo obbliga ad un uso accorto della sua superficie, specie in quelle zone (come ad esempio le sue vasche integrate) in cui può essere facile poggiare delle stoviglie molto calde o versare dell’olio bollente. Al pari degli altri tipi di laminato dunque, anche per l’hpl sono valide quelle accortezze che permettono di non provocare aloni, bruciature, ustioni e rigonfiamenti sulla sua superficie.
Occorre dunque evitare di versare liquidi bollenti direttamente sul piano, o nel lavello realizzato nello stesso materiale, senza averli prima fatti in qualche modo raffreddare, oltre ad avere l’accortezza di utilizzare i classici sotto-pentola per poggiarvi sopra le casseruole appena tolte dal fuoco, così come è opportuno fare anche per le caffettiere ancora calde. Anche per la usuale pulizia di un piano in HPL è consigliato l’utilizzo di acqua calda abbinata, in caso di necessità, a detergenti neutri come lo sgrassatore Chante Clair, l’Aiax liquido, il Baysan liquido o il detersivo comune per i piatti. Non si possono usare pure in questo caso sostanze abrasive o graffianti (polveri o detergenti abrasivi, pagliette o il lato verde della spugnetta abrasiva), solventi aggressivi o decalcificanti e pulitori per scarichi contenenti acidi. E’ inoltre sconsigliato l’uso di sali fortemente acidi (a base di acido cloridrico, formico o amino-solfatico) e di detergenti per metalli o per il forno.
Piano in quarzo o in agglomerato di marmo, quarzo e granito.
Rivolgiamo adesso la nostra attenzione ad una tipologia di piano che può essere annoverata certamente tra quelli più popolari in questo momento, ovvero i top in agglomerato, più semplicemente detti “top in quarzo”. Tali piani di lavoro vengono prodotti in lastre di spessore variabile dai 20 ai 30 millimetri, formate da scaglie e graniglie dei minerali più pregiati e adatti allo scopo che, mescolandosi a resine attentamente selezionate, garantiscono notevoli vantaggi in termini di resistenza all’abrasione, stabilità dimensionale ed inalterabilità agli agenti chimici. Si tratta di un materiale in verità non nuovo nel panorama commerciale, ma che ultimamente ha avuto una notevolissima diffusione, sia grazie alla sua ampliata produzione, sia ai notevoli miglioramenti tecnologici ottenuti del frattempo. Già negli anni 70 esistevano infatti dei top in agglomerato composti da una miscela di resine sintetiche miste a frammenti di marmo, ma si trattava di una tipologia piuttosto limitata nel suo assortimento e che non era esente da problematiche tecniche. La gamma esistente in commercio attualmente è vastissima e differisce da prodotto a prodotto, non solo per i suoi tanti colori, ma anche per la tipologia di composto utilizzata, per il tipo di inerti adoperati e per la quantità di resine impiegate all’interno della sua mescola. Questo tipo di top è prodotto da moltissime aziende e pur essendo formato più o meno dalla stessa mescola, assume un nome differente a seconda dell’azienda che lo produce. Silestone, Stone Italiana, Okite, Tecnhistone, Quarella, Caranto Quarz e MarmoArredo, sono solo alcuni dei produttori più rinomati di questo splendido materiale da lavoro, il quale, pur essendo commercializzato in lastre con spessori solitamente da 2 e da 3 cm, attraverso delle lavorazioni “scatolari” può raggiungere anche spessori ben maggiori. Le lastre che si trovano in commercio infatti hanno misure piuttosto standard, che si aggirano sempre intorno ai 130 cm di larghezza per 310 di lunghezza. Tali misure, non sono casuali, ma sono bensì quelle che consentono ai cosiddetti “trasformatori” (i marmisti specializzati in questi tipi di materiali) di utilizzare il massimo della lastra nel produrre dei piani da cucina, i quali hanno, notoriamente, una profondità di circa 60/65 cm.
A parte il colore, la scelta esistente per questa tipologia di piano è davvero molto vasta: dalle varianti unite si può passare a quelle “venate” che simulano il marmo, dalle superfici granigliate si può andare a quelle puntinate, dai ruvidi ai lucidi, dagli anticati agli ultra-opachi, fino ad arrivare ai top dotati di speciali inserti in cristallo (I famosi StarLight) o in altri materiali particolari come le conchiglie. Questa grandissima varietà di prodotto è per lo più dovuta alla procedura industriale con cui queste lastre vengono costruite, la quale permette una grande versatilità di produzione. Queste metodiche industriali, non sono però certo da considerarsi una novità, in quanto sono più o meno le stesse che venivano utilizzate per produrre, anche qui in Italia, le famose piastrelle in graniglia già in uso agli inizi del secolo scorso. I procedimenti che consentono la produzione di tali tops si possono infatti riassumere semplicemente nella mescolanza di una certa quantità di “inerti” (la parte naturale del composto), che può variare dal 85 al 95% del totale, con una piccola percentuale di agglomerante cementizio, a base di resine sintetiche create in laboratorio per questo uso specifico. La densa miscela così ottenuta viene poi letteralmente spalmata su delle superfici metalliche piane e inserita in speciali presse che ne determinano con esattezza millimetrica lo spessore, in maniera molto uniforme. A volte per donare alle lastre effetti speciali, queste superfici di formatura vengono ricoperte con altri materiali, come ad esempio il cartone o la pietra, che permettono di dare alla lastra una superficie che simula ad esempio quella irregolare della pietra spaccata.
Gli inerti che sono utilizzati allo scopo di costituire il composto della maggior parte di questi piani, possono essere tantissimi e variano dalle graniglie ricavate dalla lavorazione del marmo e del granito, alle piccolissime particelle (polvere) di quarzo da cui prendono la comune denominazione. Oppure possono essere costituite da delle piccole scagliette di vetro, di calcare o di onice. La scelta della nuance, può invece variare a seconda degli speciali coloranti usati per donare particolari tonalità alle “paste” con cui sono formate le lastre.
Una volta che la formatura delle lastre viene terminata sotto pressa, ed è concluso anche il processo di stagionatura che consente di “stabilizzare” il materiale rendendolo perfettamente asciutto, esse vengono inviate al reparto “rifinitura “ della fabbrica, dove sono sottoposte a speciali trattamenti lucidanti e impermeabilizzanti i quali, attraverso l’uso di sostanze apposite e particolari lavorazioni, riescono a donare alle lastre uno spettacolare effetto di lucentezza, uniformità e pulizia della superficie. Quasi tutte le lastre in commercio, almeno quelle delle migliori aziende, utilizzano trattamenti superficiali che rendono i piani di lavoro da cucina perfettamente asettici ed antibatterici e per questo molto sicuri.
Perché è infatti la facilità nella pulizia e nell’igiene il vantaggio più importante di questi piani, che possedendo una bassissima porosità consentono una pulizia molto agevole ed immediata. Ma attenzione però, non è affatto vero che questi tipi di piani sono indistruttibili ed assolutamente impermeabili ed inattaccabili alle macchie. Anche chi possiede questi tipi di top così belli e resistenti dunque deve porre un po’ di attenzione nel loro utilizzo. Uno degli errori più frequenti tra i clienti è, ad esempio, quello di utilizzare questi piani per poggiarvi sopra pentole caldissime o la caffettiera appena tolta dal fuoco. Il piano in agglomerato, non essendo formato interamente da materiale naturale, come il granito, il quarzo o il marmo, è tenuto insieme, come sopra detto, da alcune resine che essendo a base plastica/sintetica, sono abbastanza sensibili al calore e possono dunque a volte cambiare leggermente colore quando sono sottoposte a temperature molto alte in zone concentrate.
Un altro dei problemi a cui si può incorrere usando questi piani è quello relativo alle macchie. Infatti le loro superfici pur essendo egregiamente trattate, possono essere comunque penetrate da alcune sostanze aggressive come l’inchiostro, gli acidi o i liquidi oleosi, specie se questi vi vengono depositate per lungo tempo. E’ estremamente importante dunque fare una certa attenzione nel loro uso, specie quando si utilizzano prodotti che contengono tali sostanze dannose. A parte questo, la facilità pulizia di questi piani, è da considerarsi senza dubbio come uno dei suoi maggiori vantaggi. Il piano in quarzo possiede infatti una superficie così compatta e resistente che è difficilmente attaccabile dallo sporco. Vi sono alcune finiture, come la finitura ruvida tipo “pietra” o quella “ultra-opaca”, che si presentano con una superficie meno compatta di quelle lucide -ed in questi casi l’attenzione deve essere ovviamente maggiore- ma in generale si può tranquillamente dire che detergere questi piani è estremamente semplice. La pulitura quotidiana può essere fatta usando acqua calda con aggiunta una buona dose di liquido sgrassante come lo Chante Claire o il sapone di Marsiglia. In caso di sporco ostinato si possono anche usare le spugnette abrasive facendo però attenzione che il loro uso non riesca a danneggiare la superficie lucidata del top.
Vi è poi una questione legata all’estrema compattezza di questi piani, in quanto il materiale, una volta trattato e lucidato, diviene difficilmente penetrabile e ciò comporta una certa difficoltà nel poter effettuare una qualsivoglia tipologia di “ritrattamento” o pulizia a fondo di zone particolarmente sporche o macchiate. Nei casi in cui si debba intervenire in tal senso è opportuno conoscere il sito del produttore di riferimento, e da quello ricavare le informazioni necessarie alle varie tipologie di pulizia e di trattamento. Comunque in linea generale si può dire che per intervenire su di un piano in quarzo macchiato, di solito si procede con una pulizia superficiale da effettuarsi con prodotti anticalcare leggeri (Smack o ViaKal diluito) e spugnette Tipo Scotch Brite. Dopo aver poi sciacquato e fatto asciugare le superfici in maniera perfetta si può procedere ad una sorta di ritrattamento, effettuandolo con dei prodotti appositi come quelli ad esempio della ditta Fila. Se si nota, infatti, che la pulizia del top risulta essere troppo faticosa o che le macchie sono difficili da rimuovere, dopo la pulizia conviene ripristinare la naturale protezione antimacchia del materiale applicando un protettivo per marmo. Se invece si preferisce ravvivare il colore della superficie, specie nei colori un po’ più scuri, si può invece proteggerla con un trattamento antimacchia ad effetto “bagnato” che esalta il colore naturale del materiale. Per la modalità di applicazione dei prodotti, però è comunque necessario seguire attentamente le istruzioni riportate in etichetta, in modo da evitare di danneggiare irrimediabilmente le superfici. Una volta ripristinato il trattamento protettivo, per la manutenzione quotidiana si può con tranquillità consigliare di pulire le superfici con un detergente spray ad azione sgrassante ma non aggressivo.
Quando si parla di quarzo, occorre parlare anche di lavorazioni speciali. Non tutti sanno infatti che le suddette lastre, una volta formate e rifinite, vengono trasformate in piani di lavoro da cucina da dei marmisti specializzati, dotati di attrezzature particolarmente adatte allo scopo. Questi “trasformatori” sono coloro che, tagliando e rifinendo i bordi dei tops, fabbricano i veri e propri piani con cui si completano le nostre cucine. Ovviamente però sono anche gli stessi che si preoccupano di effettuare speciali lavorazioni come quelle necessarie per ottenere, ad esempio, i lavelli incassati in quarzo, gli sgocciolatoi incisi sui piani e le alzate sagomate completamente realizzate su misura.
Ma alla fine come si riconosce la qualità dei quarzi? Beh è abbastanza facile… basta leggere le schede tecniche dei produttori ed individuare la percentuale di resina che è presente nel composto. Più la quantità di resina è alta e maggiore sarà la resistenza meccanica e la compattezza superficiale del piano di lavoro. La grande percentuale di inerti con cui è composto il materiale, serve infatti solo a fornire una sorta di “riempimento” nel composto e, oltre a donare al materiale certi effetti estetici, ne preserva la durata nel tempo e ne determina la resistenza agli urti.
A questo proposito è assolutamente necessaria una precisazione. Le lastre in “Quarzo” sono prodotte con una tecnologia di vibro-compattazione sottovuoto e catalisi a caldo, ottenuta pressando una miscela tra inerti e resine. Pur essendo normalmente impiegati come inerti materiali durissimi come il vetro, il feldspato, il quarzo ed alcuni graniti, in maniera da ottenere manufatti dotati di una durezza davvero elevata e con notevoli vantaggi in termini di tenacia superficiale, questo materiale non è indistruttibile ed è particolarmente soggetto a scheggiarsi negli spigoli. Per questo motivo è necessaria una certa accortezza nel suo utilizzo specie in alcune delle zone più sensibili in questo senso. Chi ad esempio fornisce il proprio top in quarzo di un lavello dotato di vasche sotto-piano, deve aver chiaro che rimanendo in quel caso totalmente scoperti i bordi in quarzo che fanno da perimetro alle vasche, quello può essere un punto dove può essere facile sbattere delle stoviglie e quindi danneggiare gli spigoli in quarzo. Un altro dei punti delicati è il bordo frontale del top in quarzo, nella zona posta tra lavello e lavastoviglie. In quel punto infatti avvengono più spesso incidenti durante il posizionamento, l’estrazione o comunque il passaggio di stoviglie che avviene tra lavello e lavastoviglie durante i normali lavaggi.
Al netto di questi piccolissimi possibili inconvenienti la grande resistenza all’abrasione, alle macchie, la sua stabilità dimensionale e la sua notevole inalterabilità agli agenti chimici, rende questo tipo di piano una delle scelte migliori che si possono fare per la propria cucina componibile.
Piano in Ceramica o gres porcellanato come Dekton, Laminam, Kerlite e Lapitec
Anche chiamata “pietra sinterizzata”, questo tipo di sostanza è considerata una vera e propria novità nel campo delle superfici orizzontali da cucina, che è pensata espressamente per rendere pratico e resistente ogni piano di lavoro. I Top in ceramica da cucina sono infatti realizzati utilizzando delle lastre in Gres porcellanato, un materiale notoriamente ultra resistente, che dopo essere opportunamente lavorato viene composto nella forma e nelle misure desiderate. Questo particolare tipo di Top unisce allo spessore ridotto e alla possibilità di costruire piani di grandi dimensioni, un’elevata resistenza alle sollecitazioni meccaniche, agli attacchi chimici, ai graffi, all’abrasione profonda e alla flessione. Le lastre in questione vengono prodotte per lo più in Italia, nella zona del Modenese e dintorni, attraverso un processo quasi sempre brevettato, ad elevata tecnologia, che rappresenta un’evoluzione della lavorazione tipica della produzione di pavimenti, per cui è particolarmente rinomato l’indotto produttivo emiliano-romagnolo. Per il procedimento produttivo si utilizzano miscele di materie prime naturali (per lo più composte da argille ceramiche, feldspati, caolini e sabbia) che vengono macinate ad umido, trasformate in granulato, e compattate ad alta pressione tramite appositi macchinari. A quel punto avviene una speciale cottura delle lastre che permette alle terre di essere “sinterizzate” (ovvero cotte all’interno di uno stampo in pressione) ad una temperatura di circa 1.200 gradi, lavorazione da cui traggono il nome di “pietra sinterizzata”. Mentre la normale ceramica smaltata è costituita da un supporto interno in terracotta (chiamato Biscotto), e da uno strato in superficie che le rifinisce e conferisce alla materia quel particolare tocco estetico, (detto Smalto), il gres porcellanato è formato da un composto omogeneo, in cui tutto il suo spessore viene colorato in base alla tinta scelta. Questa sua particolare composizione conferisce a questo materiale un’ottima resistenza, oltre che una bassa assorbenza e un’alta impermeabilità. Le tecnologie produttive con cui fino a pochi anni fa si producevano piastrelle con formati variabili, si sono evolute fino a permettere la produzione di lastre di 150×300 cm, con spessori che possono variare dai 3 a 20 mm. L’impasto di porcellanato, normalmente di colore beige chiaro, può venire facilmente colorato nella fase di atomizzazione, ciò consente appunto di ottenere lastre colorate in massa, la cui superficie può assumere qualsiasi tipo di sembianza. Si possono dunque trovare lastre in Ceramica che simulano le pietre e il cotto, ma anche altre che, grazie ad un trattamento superficiale di smaltatura, possono anche assumere l’aspetto del metallo o, come vedremo, del marmo.
Il “gres smaltato” che si utilizza per i piani da cucina si differenzia quindi dal “gres naturale” per la varietà di stili, formati, decori e “texture” che possiamo riscontrare solo nella ceramica smaltata. Le caratteristiche superficiali infatti sono determinate da scelte commerciali e non da caratteristiche intrinseche del prodotto: si possono trovare quindi in commercio top in Gres prodotti con un alto grado di ruvidità, ma con caratteristiche estetiche elevate (ad esempio superfici che replicano lastre minerali in pietra) e si possono trovare Top in Gres che pur mantenendo intatta la propria resistenza offrono un aspetto uniforme, elegante e lucente. I piani in Ceramica che hanno superficie smaltata quindi sono quelli nei quali si riescono a distinguere, in sezione, l’impasto di base, che ne determina le caratteristiche di resistenza meccanica, e lo smalto, che ne determina invece l’aspetto estetico, il decoro e la sua resistenza all’usura. La possibilità di lucidare finemente le superfici smaltate con un procedimento detto “lappatura” e di “rettificare” gli spigoli delle lastre, ha consentito inoltre la creazione di lastre e piani in Gres porcellanato capaci di simulare in maniera pressoché perfetta i vari tipi di marmi naturali da cucina che esistono in commercio. Questo ha ovviamente permesso di poter godere dell’aspetto irripetibile del marmo, senza dover per forza fare i conti che la sua naturale porosità superficiale, aprendo ad un uso molto più disinvolto di questo tipo di “effetto decorativo” su molti piani di lavoro da cucina. Possedere un piano in gres vuol dire poter contare su una resistenza agli agenti esterni che possono mettere a dura prova top di altro genere; una resistenza al fuoco e quindi al calore, che non ha pari in altri materiali; Una resistenza a compressione davvero incredibile ed anche ad una resistenza ai graffi ed agli urti davvero notevole.
Anche in questo materiale, come in ogni altro materiale di grandissima durezza, sono le sbrecciature (o scheggiature) a dover essere particolarmente temute da chi predilige l’uso di questi top. Sono infatti gli spigoli la parte da dover maggiormente preservare in un piano in ceramica, mentre tutto il resto di questi bellissimi top, può essere davvero usato con una grande disinvoltura. Le uniche accortezze da dover usare sono quelle relative all’uso di pagliette metalliche o abrasive soprattutto sui piani lucidi e quella, abbastanza nota, che consiglia fortemente di non usare coltelli con lama in ceramica direttamente sulla superficie, soprattutto sui piani lucidi. La ceramica ha un’elevata resistenza al calore che permette l’appoggio diretto di pentole o tegami caffettiere ancora bollenti senza alterare il colore o la struttura. E’ comunque necessario evitare il contatto diretto con la fiamma.
Il gres porcellanato smaltato risulta davvero facile da pulire e particolarmente resistente allo sporco e alle macchie grazie alla sua smaltatura superficiale che impedisce al pigmento della macchia di entrare nei già di per sé rari pori del composto interno. Un top in ceramica si pulisce infatti con estrema facilità già con acqua calda, senza altri tipi di additivo. In generale, in caso di sporco ostinato, si consiglia di utilizzare detergenti neutri diluiti in acqua con panni umidi ben strizzati senza usare spugne troppo abrasive o pagliette metalliche. Per le macchie persistenti si possono usare se necessario anche spugne poco abrasive, facendo attenzione al loro uso ed è possibile abbinarvi un detergente neutro cremoso. Eventuali aloni di silicone devono essere asportati con un prodotto specifico per silicone reperibile in qualsiasi ferramenta. Versare o spruzzare il prodotto sopra il silicone e lasciare agire per il tempo indicato nelle istruzioni del prodotto; successivamente pulire con un detergente neutro e risciacquare con acqua calda. Quindi asciugare con un panno pulito o carta assorbente. Sui piani in ceramica occorre assolutamente evitare di pulire la superficie con prodotti contenenti candeggina o a pH altamente basico. Altri prodotti che possono danneggiare la superficie sono: il tricotilene, i solventi industriali, l’acido fluoridrico, la soda caustica. E’ inoltre necessario non esporre il top in ceramica al contatto con acido fluoridrico (HF) e, specie nei top di colore intenso e scuro, evitare di strisciare o di colpire il piano con corpi contundenti e sottoporli a sostanze alcaliniche in modo prolungato.
La Ceramica è anche totalmente eco-compatibile e riciclabile poiché interamente naturale e riutilizzabile in quanto inerte.
Piani in minerali naturali lucide come Marmo, Granito e altre pietre levigate.
Abbiamo appena finito di esporre le eccellenti caratteristiche di un materiale altamente eco-compatibile come la ceramica; discutendo però di materiali naturali da utilizzare come piani di lavoro da cucina, sarebbe forse per prima cosa d’obbligo parlare soprattutto del Marmo e del Granito, i quali sono forse i materiali naturali più diffusi per la produzione di Top. Come abbiamo visto all’inizio di questo nostro “viaggio”, si tratta di quei materiali che, insieme al legno, sono stati utilizzati per primi come piani d’appoggio per cucina ma che, nonostante sia passato tanto tempo, a differenza del vero legno rimangono ancora oggi tra le scelte preferite da un’ampia categoria di estimatori. Spesso considerati delicati perché “porosi” e quindi facilmente soggetti alle macchie provocati da liquidi versati accidentalmente sulla superficie, il marmo ed il granito vengono spesso sottovalutati a vantaggio di altri materiali sintetici, anche se possiedono in realtà numerosi vantaggi. Il più importante è probabilmente la loro propria valenza estetica.
Chi può infatti negare la bellezza di un bel piano in marmo bianco o di uno splendido top in granito Nero? Tant’è vero, che anche i materiali da cucina più innovativi e tecnologicamente evoluti come il Quarzo o la Ceramica, molte volte vengono prodotti in maniera da simulare, più o meno esattamente, proprio l’aspetto di questi interessantissimi materiali naturali. Del resto è la natura stessa a suggerire quella splendida infinità di “texture” che si possono trovare quando si è alla ricerca di una pietra naturale adatta alla costruzione di un Top da cucina. Sono davvero migliaia le cave dislocate sull’intero pianeta da cui possono essere estratti quei favolosi “blocchi” che, una volta sezionati, andranno a formare le splendide lastre che si utilizzano per farci i piani da cucina. In Italia, per avere una minima idea della varietà di pietre, marmi e graniti che il nostro sottosuolo ci offre basta recarsi al sacrario di Redipuglia, in Friuli, di fronte al quale nel 2015 è stata inaugurato un gigantesco tappeto lapideo di 400 mq che è formato da ben 8047 triangoli di pietre, marmi e graniti diversi, i quali simboleggiano tutti i comuni Italiani. Per ciò che concerne i top da cucina, le pietre naturali più utilizzate sono senza dubbio il “marmo di Carrara” e il “Granito grigio Sardo” in tutte le loro varianti, però si possono trovare anche tantissimi altri materiali da utilizzare a questo scopo, come il “Marmo Rosso di Verona”, il “Peperino”, l’Onice”, la “Breccia” ecc.
Di solito vengono preferiti per questo uso le pietre più compatte le cui superfici possono essere lucidate, come sono appunto i marmi e i graniti, ma essendovi ormai da qualche tempo la possibilità di applicare sulle superfici dei prodotti impregnanti al fine di otturare i pori e favorire così una migliore asportazione delle macchie, anche altri materiali molto più porosi, come ad esempio il Travertino e la Pietra di Vicenza, diventano utilizzabili a questo scopo. Quello della pulizia è infatti il tema che più interessa chi si approccia a questa tipologia di Top. D’altronde questi materiali hanno in realtà ben pochi altri problemi: essi sono infatti ovviamente molto duri, resistenti, versatili grazie al grande assortimento disponibile e generalmente considerati per queste loro caratteristiche piuttosto “pratici”. Il loro più ampio e diffuso utilizzo si è avuto a partire dalla fine degli anni ’70 fino all’arrivo dei quarzi e delle altre pietre sintetiche. Prima di allora, infatti, chi desiderava “vestire” la propria cucina con un piano di lavoro di alta qualità, non aveva altra possibilità di scelta se non queste e non era raro che gli stessi “designer” delle cucine componibili, utilizzassero proprio l’innata “personalità estetica” di queste sostanze per valorizzare un prodotto e renderlo unico. In effetti per 3 o 4 decenni i piani in marmo e granito sono stati utilizzati ovunque in cucina, a partire dalle cucine più moderne e di design, fino ad arrivare alle più “classiche” e tradizionali.
La versatilità di questi materiali, del resto, lo consente. Sono disponibili in lastre solitamente di 300 x 200 cm massimo e possono variare da uno spessore minimo di 2 cm fino a raggiungere spessori anche superiori ai 20 cm. Questo permette dunque non solo la realizzazione degli usuali piani da cucina che si trovano da 2 cm per materiali molto diffusi come i quarzi e le ceramiche, ma anche la fabbricazione di veri e propri “blocchi” in massello, da cui è quindi possibile ricavare anche dei pesantissimi, ma eccellenti a livello estetico, lavelli monoblocco. A parte queste caratteristiche “generali” più o meno valide per tutti i materiali naturali utilizzabili per i top da cucina, ognuno di loro ha delle precise caratteristiche che cercheremo di riassumere in maniera il più possibile sintetica.
Il Marmo.
Si tratta di una roccia di tipo calcareo che per effetto della compressione dinamica della crosta terreste o per contatto, ha assunto una struttura cristallina a tessitura detta “venata”, ovvero dotata di screziature più o meno differenti dal colore uniforme della massa. Con il termine “marmo” si indica infatti qualsiasi roccia calcarea o dolomitica dall’aspetto omogeneo (ovvero non granulare come il granito) che possa essere lavorata e lucidata in modo da costituire materiale decorativo. Il marmo è infatti da sempre sinonimo di eleganza e di grande praticità. La presenza di rifiniture e dettagli realizzati in questa pietra pregiata è stata infatti considerata in ogni tempo capace di impreziosire qualsiasi ambiente, ma anche di renderlo asettico e facilmente pulibile. E’ un materiale luminoso che porta eleganza all’interno di ogni cucina dove i piani da lavoro sono superfici percentualmente molto presenti. Anche oggi l’uso del marmo nei piani cucina resiste all’invasione delle nuove tecnologie proprio per la sua intramontabile ricercatezza, per la sua capacità di conferire alla stanza un’aria differente, per la sua infinita durata e per le sue caratteristiche in fatto di igiene. Esistono tantissime tipologie di marmo, e questo permette di trovare quello giusto per la propria cucina, indipendentemente da quale sia lo stile e la tonalità. Tra le virtù del marmo infatti vi è proprio la sua versatilità, che lo rende adattabile a qualsiasi stile. Il colore del marmo viene naturalmente determinato dalla presenza di impurità minerali, come ad esempio il limo, l’argilla, la sabbia, oppure dagli ossidi di ferro che possono essere a volte presenti all’interno della roccia. Sono materiali che possono essere reperiti sia in forma di strati (marmi venati) oppure di granuli di grandezza più o meno minuta a seconda del tipo.
Il marmo bianco, ad esempio, proviene da rocce calcaree prive di impurità e il più diffuso è quello ricavato dalle Alpi Apuane di Carrara, ma essendo un materiale utilizzato oramai da millenni, ne vengono estratti come detto centinaia di tipi, che possono giungere da Cave site in ogni parte del mondo. Tra questi alcuni dei più diffusi a livello commerciale per le cucine sono il Marmo bianco di Carrara, il “nero Marquinia”, il verde “alpi”, il rosso “Verona”, il Trani ed il Travertino. La sua natura di materiale “compattato”, cioè frutto di una compressione di alcune specifiche zone della crosta terrestre, lo rende un materiale estremamente duro, robusto ed utilizzabile sia in esterno che in interno. Viene commercializzato in lastre solitamente lucidate “a specchio” in modo da rendere più impermeabile e compatta la sua superficie esterna, ma non è raro trovare dei Top da cucina realizzati in Marmo anche con finitura opaca. Pur essendo estremamente resistente a compressione, come tutti i materiali particolarmente duri, è fragile agli urti e tende a sbeccarsi in tutti quegli spigoli che vengono lasciati privi di protezione.
Per questo motivo i suoi spigoli vengono spesso “arrotondati” in modo da rendere praticamente impossibile le scheggiature del suo bordo; questa lavorazione però risulta a volte poco compatibile con il design delle cucine più moderne. Molto resistente al calore, il piano in marmo può essere utilizzato in maniera abbastanza disinvolta anche nelle vicinanze del piano di cottura, anche se è sempre consigliabile non poggiare le pentole calde direttamente sul piano, per evitare quel fenomeno detto “shock termico” a causa del quale i materiali più duri e resistenti tendono a spaccarsi violentemente. Non essendo inoltre del tutto insensibile alla fiamma viva, è opportuno dotare il proprio marmo di una apposita protezione, specialmente qualora lo si utilizzi anche come para-schizzi, applicandolo alla parete retrostante. Il marmo è una roccia calcarea cristallina, composta principalmente da carbonato di calcio e la sua eccezionale uniformità di colore rende di per sé molto visibile ogni tipo di sporco che può su di esso depositarsi. Il marmo è dunque da considerarsi una scelta un po’ più impegnativa rispetto ad altri tipi di piani di lavoro da cucina, ma solo perché richiede una maggiore cura ed una adeguata attenzione. Il marmo infatti, quando viene utilizzato come Top, pur non assorbendo facilmente i liquidi, non è del tutto impermeabile, è sensibile agli acidi alimentari (come limone e aceto) ed ai coloranti più aggressivi. Le macchie degli alimenti e delle altre sostanze imbrattanti vanno dunque tolte immediatamente, ad esempio con acqua tiepida e sapone, se si tratta di chiazze provocate da prodotti solvibili in acqua. Nel caso si tratti invece di patacche oleose si può procedere applicando e lasciando agire per diverse ore, un piccolo strato di talco sopra la macchia, in modo che la polvere riassorba, almeno in prossimità della superficie, i liquidi penetrati.
Per evitare tutti questi tipi di problemi però, per fortuna, esistono da qualche decennio degli appositi prodotti sintetici in forma liquida con cui è possibile trattare ogni superficie in modo da renderla effettivamente idro e oleo-repellente. Si tratta di liquidi che essendo capaci di penetrare la superficie del marmo con facilità, ne chiudono i pori superficiali, rendendo impossibile ad altre sostanze di penetrarvi. Tali prodotti sono ormai più che collaudati e sono, solitamente, applicabili con molta facilità sui piani di lavoro da cucina tramite un semplicissimo pennello. Questo consente una manutenzione periodica che può essere ripetuta una o due volte all’anno a seconda dell’uso più o meno intensivo che si fa del proprio piano.
Il piano in Granito
L’altro tipo di piano “naturale” più diffuso per i top da cucina è senza dubbio il Granito. Pur provenendo anch’esso dal sottosuolo, si tratta di un materiale abbastanza differente dal Marmo, che si presenta sotto forma di granuli compatti dai quali deriva il suo nome. Il granito è una roccia intrusiva a struttura cristallina, che si è generata in profondità nella crosta terrestre ed è normalmente composta al 70% da quarzo. La sua formazione geologica non è stata ancora del tutto stabilita, ma anche questo materiale pare si creai a causa di forti compressioni di alcune zone della crosta terrestre, su del materiale magmatico raffreddato. Il granito ha cromaticamente degli effetti differenti rispetto, al marmo ma, come quest’ultimo, è disponibile anch’esso in tantissimi colori, dal rosa al grigio, dal marrone al nero. La miriade di tonalità in cui è possibile averlo lo rende adatto a qualsiasi tipo di arredamento, alla cucina classica come a quella moderna. Se il marmo rappresenta l’eleganza, si può senza dubbio dire che il granito simboleggi la forza e la resistenza. La durezza di questo materiale è proverbiale e rappresenta senza alcun dubbio la sua caratteristica principale. Il granito resiste all’umidità ed è una delle pietre naturali più robuste.
Come avviene per il marmo, anche il granito presenta una certa porosità, ma a differenza del primo resiste brillantemente agli acidi. Il granito è perciò la scelta ideale per tutti coloro che usano molto la cucina e vogliono un piano su cui lavorare senza grosse preoccupazioni.
I graniti infatti non si graffiano, sono idrorepellenti, assorbono pochissimo olio e grassi e non temono il calore; queste loro innate doti sono dovute alla loro enorme compattezza, una caratteristica che gli consente di resistere maggiormente rispetto al marmo, ad urti, alte temperature e sostanze organiche alimentari molto aggressive come olio, limone e aceto. Anche questo splendido materiale inoltre può essere sottoposto ad un trattamento che lo renda ulteriormente impermeabile ed impenetrabile ai liquidi. Si tratta anche in questo caso di prodotti in forma liquida, facilmente reperibili in commercio presso i negozi specializzati, che possono essere applicati sui piani ed i lavelli in granito, sia prima dell’installazione sulla cucina che dopo. Questa comodità di trattamento consente di ripetere periodicamente l’operazione al fine di mantenere intatte nel tempo le caratteristiche estetiche del materiale.
Come per tutti gli altri materiali lapidei che si trovano in commercio per la fabbricazione dei top da cucina, anche con i vari tipi di granito è possibile costruire degli splendidi lavelli. Pure in questo caso infatti si tratta di un materiale che è possibile reperire in numerosi spessori e ciò consente di realizzare, come per il marmo, non solo dei lavelli di tipo “scatolare”, ma anche dei tipo “monoblocco” in massello. Il peso specifico del materiale ed il suo costo relativamente alto rendono però abbastanza difficile questa realizzazione artigianale e quelli effettivamente realizzati sono poi quasi esclusivamente quei lavelli in granito detti appunto “scatolari” che vengono realizzati soprattutto mettendo insieme ed incollando delle piccole lastre di spessore solitamente di 2 o 3 cm. Come tutti gli altri materiali molto duri con cui possono essere costruiti i piani di lavoro da cucina, anche per il granito i punti dove possono avvenire sei danneggiamenti sono in special modo gli spigoli ed i bordi. Una buona soluzione per scongiurare questo tipo di problemi è quella di evitare gli spigoli “vivi” facendo arrotondare i bordi in modo che gli eventuali urti di pentole e stoviglie non riescano a provocare piccole scheggiature o sbrecciature. Tra i materiali in commercio il granito è tra quelli che maggiormente si adattano alla produzione di para-schizzi posteriori.
Il granito infatti oltre ad essere molto resistente al calore secco e umido (forse, il più resistente in assoluto), lo è anche alla fiamma viva, anche se può essere sporcato dalle impurità che la fiamma stessa può portare in sé. Questo ragionamento ci porta naturalmente a parlare di quelle che sono le differenze esistenti tra Granito e Quarzo nella realizzazione di Top da Cucina. I materiali infatti sono spesso esteticamente molto simili, ma le loro caratteristiche sono abbastanza diverse. Innanzitutto va detto che l’assortimento di colori che consente un materiale sintetico come il quarzo, non potrà mai essere paragonato a quello esistente per i Graniti. La quantità di tipi di granito esistente sul pianeta è infatti enorme, ma la disponibilità sui mercati è quasi sempre limitata a quegli che sono i materiali di provenienza locale o che attirano maggiormente i clienti in quel momento. Per il quarzo questo ragionamento non vale. I piani da cucina in quarzo vengono infatti prodotti industrialmente da aziende quasi sempre europee che fabbricano le proprie lastre a seconda delle richieste di mercato e questo amplia ovviamente a dismisura la disponibilità di tipologie differenti di prodotto. Un discorso a parte lo meritano invece le caratteristiche estetiche dei due Piani da cucina. Il piano in Granito infatti, pur essendo un materiale più uniforme rispetto ad esempio al marmo, si presenta come ogni materiale che si trova in natura in una forma che può lasciare apparire screziature, venature, piccoli difetti e cambi di colore che sono, in realtà, la bellezza di ogni materiale naturale. Il quarzo invece è ovviamente più uniforme in quanto prodotto industrialmente, e si adatta dunque meglio ad alcune tipologie di clientela e di cucina. Anche a proposito delle loro caratteristiche tecniche i due materiali differiscono abbastanza.
Il quarzo ha una maggiore resistenza a flessione del granito e dunque permette di essere trasportato più facilmente. Il granito invece è molto più resistente al calore del Quarzo e questo lo rende particolarmente adatto ad alcune zone della nostra cucina componibile. Circa l’assorbenza, il granito è naturalmente meno impermeabile del quarzo, però la sua superficie è più screziata e questo permette di rendere meno visibili alcune tipologie di macchie. Il granito però può essere trattato con appositi liquidi anti macchia anche più volte durante l’anno e questo è un tipo di manutenzione che non è possibile fare con il quarzo a causa della sua superficie più compatta e impenetrabile. In merito agli urti, essendo entrambi due materiali davvero durissimi, sono suscettibili a scheggiarsi se si urtano sugli spigoli. In questo senso il quarzo si presenta come un po’ più resistente del granito grazie alla presenza delle resine nel suo composto, ma pensare di essere di fronte ad un materiale “indistruttibile” quando si possiede un piano di Lavoro da cucina in Quarzo può rivelarsi davvero deludente. Il Quarzo infatti va trattato alla stregua di ogni altro materiale duro con cui vengono costruiti i Top, facendo attenzione a non urtare i suoi spigoli con pentole, stoviglie o piatti pesanti.
Parlando di Granito, un accenno è doveroso da fare anche a proposito del costo del materiale in questione. Produrre infatti un top da cucina ha dei costi già di per sé non indifferenti, che possono venir aggravati dalla difficoltà di lavorazione di alcuni tipi di materiali particolarmente duri come sono, appunto, il granito, il marmo, la ceramica ed il quarzo. A differenza però di altri materiali, il costo della materia prima “granito” è molto variabile perché può cambiare, non solo a seconda delle qualità del granito stesso, ma anche da altri fattori quali, la provenienza (quindi i costi di trasporto), la rarità, i costi di estrazione e la richiesta del mercato.
Piani di lavoro in Pietra naturale grezza come Porfido, Cardoso e Pietra Serena
Si tratta anche in questo caso di minerali naturali estratti in cava e ridotti in lastre di differenti spessori che, a differenza però di altre sostanze come marmo e granito, non possono essere lucidati bensì solo levigati. Questa caratteristica consente diversi tipi di finiture che mantengono però un unico comune denominatore, cioè quello di creare superfici naturalmente porose. Di per sé, come ogni minerale, le pietre naturali sono solitamente materiali molto duri e compatti, ma la loro tenacia non è uguale per tutti, ma varia a seconda del tipo di pietra e dalla sua consistenza. Il Porfido è ad esempio un materiale più duro e resistente, mentre il “Cardoso” è una pietra un po’ più suscettibile agli urti e la Pietra Serena è considerata infine abbastanza morbida e poco adatta ad essere usata come piano di lavoro. Chi desidera pertanto un piano dall’aspetto più naturale, può senza dubbio utilizzare un top in pietra naturale ma deve saperlo adoperare con cura e mantenere. Essendo una materia porosa, infatti, la pietra deve subire un trattamento di protezione già in fase di lavorazione perché, altrimenti, i sigillanti che si usano per l’installazione di qualsiasi piano di lavoro da cucina potrebbero macchiarla a danneggiarla irrimediabilmente. Dopo l’installazione il trattamento deve essere poi ripetuto più volte in modo che l’uso del piano non ne pregiudichi l’estetica. Nonostante i trattamenti idrorepellenti per la pietra naturale siano molto efficaci infatti, l’estrema porosità delle pietre tende ad incamerare i trattamenti al loro interno, diminuendone il loro effetto in superficie. Una manutenzione semestrale è però quasi sempre sufficiente a rendere anche i top da cucina in pietra abbastanza pratici. Quello che deve essere comunque chiaro è che trattandosi di materiali non lucidati la superficie di queste sostanze non potranno mai essere utilizzati alla stregua di un piano da lavoro in quarzo o in granito, ma che dovranno essere usate alcune accortezze. I liquidi più macchianti, come aceto, olio, succhi rossi di frutta, sangue e vino rosso, non devono venire a contatto con la pietra e dunque devono essere usati solo in prossimità di un tagliere o di una spianatoia di legno o teflon. Gli spigoli del piano dovranno essere necessariamente protetti oppure opportunamente stondati in modo da evitare scheggiature, mentre le lavorazioni più pesanti (come quella del battere la carne) dovranno essere svolte in maniera adeguata. Uno dei vantaggi che invece possiede la pietra rispetto ad altri materiali è la sua eccellente resistenza al calore. Via libera dunque alle pentole appena tolte dal fuoco e poggiate sul top, alla macchinetta del caffè ed a tutte le altre forti fonti di calore, ma attenzione comunque alla fiamma viva! Il piano di lavoro in pietra infatti, pur resistendo perfettamente al calore della fiamma pulita, potrebbe sporcarsi irrimediabilmente a causa delle impurità che la fiamma brucia.
Piano di lavoro in piastrelle
Questa tipologia di piano può essere considerata oramai una rarità nel panorama delle cucine componibili. Si tratta infatti di un Top che ha avuto la sua massima diffusione durante gli anni ’80, in concomitanza con il grande successo delle “cucine in muratura” ed in “finta muratura”. Attualmente il suo utilizzo è per questo abbastanza limitato, anche se non manca un certo tipo di clientela che, desiderando allestire la propria cucina con arredi “della memoria”, attrezzano i mobili con questo tipo di Top. Tecnicamente si tratta di realizzazioni pressoché artigianali che avvengono applicando a dei piani di supporto in materiale adatto (solitamente, pannelli in Medium Density o compensato marino), una distesa di piastrelle che di solito si estendono al para-schizzi posteriore. Nel caso delle cucine in vera muratura invece, queste stesse piastrelle vengono ad essere applicate alla struttura stessa che può essere realizzata in cemento o laterizio. L’effetto estetico di questa tipologia di piano si adatta per sua natura maggiormente a tutte le cucine classiche dall’aspetto un po’ più “rustico” che sono ancora molto presenti sul mercato. Il loro utilizzo ricorda infatti molto quelle che erano le cucine di un tempo, le quali erano spesso realizzate accanto al camino, e costruite da strutture in muratura su cui venivano effettuati dei fori frontali dove veniva depositata la brace. Tali fori corrispondevano a delle griglie posizionate sul piano su cui venivano poggiate le pentole ed i paioli. L’abitudine di piastrellare questi primitivi piani di lavoro da cucina ha origini antichissime, tanto che si può tranquillamente dire che la realizzazione di “piastre piane in ceramica” (da cui il nome piastrelle) ha avuto proprio origine da questa specifica esigenza. Un rivestimento in piastrelle di ceramica o maiolica, infatti, ha senza dubbio il grande vantaggio di permettere una facilità di pulizia essenzialmente migliore rispetto ad un piano da cucina in muratura o in pietra e ciò ne ha consentito l’ampia diffusione per secoli.
La qualità di questo tipo di top da cucina dipende essenzialmente da tre fattori ovvero dalla qualità delle sue piastrelle, dalla qualità del suo supporto e dalla qualità dell’agglomerato cementizio utilizzato per “stuccare” le fessure che rimangono tra le piastrelle. A proposito di piastrelle, quelle utilizzate per costruire un piano di lavoro da cucina devono essere molto resistenti e smaltate. Come per i piani di lavoro da cucina in Ceramica, le migliori in questo senso sono le piastrelle (o mattonelle) realizzate in Gres porcellanato che, essendo il materiale uniforme con cui viene realizzato l’intero spessore della piastrella, deve le sue principali doti di resistenza ai processi di compressione e cottura ad alta temperatura a cui è sottoposto durante la fabbricazione. Questo materiale esiste in commercio in versione naturale e smaltata, ma nel caso dei piani da cucina è ovviamente preferibile averlo nella seconda variante in modo da rendere estremamente facile la pulizia. Il gres porcellanato ha qualche volta un aspetto più “falso”, rispetto ad una piastrella in ceramica normale costituita dunque da un supporto (detto biscotto) in ceramica smaltato a posteriori, per questo motivo molto spesso si preferisce comunque utilizzare materiali più tradizionali, anche se più delicati, specie in superficie, come la ceramica, il cotto o la maiolica.
Per ciò che concerne il suo supporto, in piani in piastrelle per le cucine componibili sono solitamente realizzati incollando su di un pannello di spessore variabile dai 2 ai 4 cm le mattonelle tramite dei collanti appositi che ne garantiscono la stabilità nel tempo. A questo scopo si usano di solito dei pannelli in materiale apposito i quali possono essere realizzati in legno listellare, in compensato marino oppure in medium density. Sono da evitare in questo caso i supporti in particelle di legno (detti anche truciolari) in quanto i piani in piastrelle, per la loro stessa conformazione non riescono a garantire una completa impermeabilità alle infiltrazioni e per questo si preferisce supportarli tramite materiali resistenti all’acqua ed opportunamente trattati. Il tema delle infiltrazioni ci porta a parlare di un altro aspetto dei piani in piastrelle da cucina, ovvero quello riguardante la loro “stuccatura”. Con questo termine viene definita la lavorazione grazie alla quale le fessure che naturalmente si creano tra piastrella e piastrella vengono “chiuse” con della malta cementizia in maniera da presentarsi come una superficie unica e continua e non poter essere penetrate dallo sporco. Lo spazio rimanente tra le piastrelle viene detto “fuga” e viene solitamente lasciato per evitare che i dilatamenti che ogni materiale come la ceramica tende ad avere a secondo del clima, possano creare crepe e rigonfiamenti sul piano da cucina. Le fughe tra le piastrelle, essendo quindi indispensabili in un piano di lavoro da cucina come in qualsiasi altra superficie piastrellata, diventano una parte importante ed evidente del top e, per questo motivo, viene solitamente colorata nello stesso tono di base con cui sono realizzate le stesse mattonelle.
La parte più fragile di un piano in piastrelle è dunque la cosiddetta “fuga” perché rappresenta ovviamente quella parte dei piani di lavoro che, non essendo protetta da uno smalto, diviene facilmente preda di possibili infiltrazioni di liquidi e di accumuli di sporco. Immaginandoci infatti di versare del liquido su di un piano in piastrelle, possiamo immaginare anche come quest’ultimo possa facilmente “scivolare” su di una liscia piastrella smaltata e quanto possa invece penetrare e sporcare le sue fughe in malta cementizia. Per evitare questo tipo di problemi sono possibili due soluzioni. La prima prevede l’utilizzo di malte cementizie apposite, realizzate con l’aggiunta di resine sintetiche, che grazie ai leganti in esse contenute riescono egregiamente a formare una solida barriera alle infiltrazioni ed allo sporco. La seconda invece è resa possibile dai degli appositi trattamenti esistenti in commercio in forma liquida che, proprio come avviene per i trattamenti di marmo, granito e pietra, rendono impermeabile la fuga in cemento che rimane tra piastrella e piastrella e possono in alcuni casi addirittura “ricolorarla”.
Piani in Agglomerato Sintetico Compatto tipo Avoline, Corian, Duralight,
Questi materiali, pur avendo nomi differenti a seconda del loro produttore e della composizione chimica da cui sono costituiti, sono tutti più o meno formati dalla stessa miscela composta da una percentuale di resine sintetiche che può andare dal 30 al 60 % e da una rimanente parte di materiali inerti, come la bauxite la silice o la calcite, derivate dall’estrazione o dalla lavorazione di alluminio, quarzo, marmo e granito. Questa altissima percentuale di resine è da considerarsi il vero motivo della loro grande predisposizione ad essere usati come piani di lavoro, ma anche la causa del loro costo ben più alto di quello dei più diffusi piani in Quarzo. La diversità di prezzo tra Piani di lavoro da cucina in Quarzo e Top in agglomerato Compatto, sta infatti proprio nella differente quantità di resine presenti all’interno delle miscele di cui sono composti i due tipi di prodotto. Vediamo dunque di fare un po’ di chiarezza a questo proposito.
Il piano in agglomerato denominato “Corian”, ad esempio, viene prodotto dalla azienda DuPont, ed è costituito da un materiale composito molto evoluto, formato per un terzo da resine acriliche (polimetil metacrilato, detto anche PMMA) e per due terzi da un insieme di minerali naturali costituiti principalmente da triidrato di alluminio (ATH), una sostanza ricavata dalla bauxite, il minerale con cui si produce l’alluminio. Una volta miscelato il composto viene aggiunto da pigmenti colorati al fine di ottenerne un effetto “setoso” al tatto e piacevole alla vista. Questa tipologia di materiale possiede un’ampia scelta di colori pastello nelle tinte unite e nei venati. Colori anche scuri e intensi sono invece disponibili nei cosiddetti “puntinati”. Le lastre in Agglomerato compatto vengono fabbricate, come avviene per il quarzo, tramite un processo di “formatura”, durante il quale la miscela di materie prime viene posta su delle apposite vasche piane in modo da ottenerne delle superfici omogenee. Una volta formato il materiale subisce una rettifica di alta precisione che ne determina lo spessore esatto, il quale può variare dai 4 ai 19 mm. Il piano di lavoro così ottenuto è solido, poco poroso, molto omogeneo e non consente la crescita di funghi e batteri, essendo perfettamente asettico. È un tipo di Top da cucina robusto, abbastanza resistente al calore e agli urti, ma al contempo estremamente duttile: può essere infatti intagliato, fresato o lavorato proprio come avviene il legno. Tant’è vero che proprio come il legno può essere curvato a caldo e manipolato, al fine di ottenere forme che non possono essere prodotte con altri materiali da cucina. Nei suoi spessori più sottili possono inoltre essere accoppiati ad altri supporti (come il compensato di legno) al fine di realizzare dei piani da cucina leggeri e relativamente economici. Le sue qualità in effetti sono molte ma quelle più interessanti per il grande pubblico sono essenzialmente tre: quella di poter esser formato al fine di produrre diversi modelli di lavelli integrati, quella di poter essere facilmente riparato e quella di poter essere giuntato in maniera invisibile.
E’ importante sapere che con il Corian e gli altri materiali similari si ha la possibilità di integrare al piano di lavoro una vasta gamma di vasche nello stesso colore, senza che il lavello ed il piano si vadano a formare delle fessure o delle giunzioni. Questo tipo di materiale infatti oltre che in lastre, può essere lavorato a “stampo” e ciò consente di creare dei lavelli a corpo “unico” (cioè non assemblati ma “formati” tramite stampi in metallo) e dunque dotato dei suoi spigoli interni stondati. Un lavello così costruito viene perfettamente unito al top in maniera invisibile senza giunzioni e fessure grazie alla seconda grande caratteristica di questo Top da cucina, ovvero quello di poter essere giuntato e riparato in maniera perfetta senza che possa risultare invisibile qualsiasi intervento di questo tipo. Questo tipo di piano da cucina offre infatti la possibilità di realizzare incollaggi invisibili e superfici continue con giunzioni impercettibili, caratteristica che si traduce nella possibilità di creare piani e banconi particolarmente lunghi o ad angolo, fabbricati proprio come fossero in un unico pezzo. Oltre a questo, i top in Corian consentono di essere dotati di bordi sagomati anti-sgocciolo, spigoli smussati e angoli arrotondati a piacere. Ciò permette la produzione di piani dotati anche di spessori molto particolari ed unici, che saranno molto più sicuri, puliti e interessanti di altri materiali proprio grazie all’assenza di giunzioni e fessure agli angoli, intorno ai lavelli e qualsiasi altre parti dove possono annidarsi sporcizia e micro-batteri.
Il peso di questi speciali piani da cucina, molto inferiore a quello del marmo o del quarzo, semplifica il loro trasporto e la loro installazione. Punti deboli: I piani curvi o di forme elaborate, come quelli con il lavello inserito in continuo, hanno costi molto elevati per l’alta incidenza della manodopera, ma anche i piani semplici e non molto lavorati hanno costi di gran lunga superiori a quelli degli altri materiali disponibili per i top da cucina, come ad esempio i Quarzi. Pur non essendo prodotti nuovissimi, i piani in Corian o materiali similari, non hanno mai raggiunto quote di mercato che consentano un vero paragone qualitativo nei confronti degli altri materiali.
Sono top facilmente attaccabili da alcuni agenti chimici come acetone, trielina, acidi o basi forti. Alcune sostanze come inchiostro, cosmetici e tinte, a contatto prolungato con il materiale possono rilasciare coloranti capaci di danneggiarne la superficie, che pur essendo facilmente rinnovabile, rimane troppo spesso vittima di quest’ultimi agenti, nell’utilizzo quotidiano che si fa di una cucina componibile. Se il legante è ai poliesteri e non acrilico (come avviene però in realtà in pochissimi casi), possono ingiallire con la luce. Per riguarda il calore è importantissimo usare sempre – specie con pentole o tegami roventi – un sotto-pentola o altro dispositivo di protezione termica. Non si possono infatti posare mai pentole molto calde (in particolare di ghisa o dotate di fondo pesante) direttamente sul piano di lavoro o in un lavello di Corian®, il calore può infatti danneggiarlo pesantemente.
Dal punto di vista della pulizia questi top, essendo abbastanza impermeabili, risultano facili da pulire e lavabilissimi anche con detersivi abrasivi, cosa che da la possibilità di rimuovere il calcare o le macchie ostinate con spugne abrasive senza ridurne la levigatezza e la lucentezza di superficie. I top in Corian sono dotati di una resistenza molto elevata (anche se certo non paragonabile a quella dei quarzi e dei graniti) agli urti e alle scalfitture. Occorre comunque evitare assolutamente di tagliare o tritare su Corian® munendovi sempre di un apposito tagliere. Come qualsiasi materiale, DuPont Corian® può presentare inoltre con il tempo leggeri segni di abrasione a seguito del normale uso quotidiano. La facile riparabilità della superficie eventualmente danneggiata, li rende però molto pratici da questo punto di vista. Le abrasioni superficiali si eliminano infatti passando delle comunissime spugnette Scotch Brite o della carta vetrata fine. Dopo di che basta lucidare la superficie con dell’abrasivo finissimo per riottenerne la finitura originale. Le scalfitture più profonde si colmano invece con un apposito adesivo -venduto nei colori dei piani dallo stesso produttore- grazie al quale qualsiasi piccolo danno risulterà assolutamente invisibile.
Le macchie accidentali di sostanze chimiche come sverniciatori, prodotti di pulizia particolarmente aggressivi, prodotti contenenti cloruro di metilene, acidi, smalti per unghie, prodotti a base di acetone ecc… devono essere prontamente eliminate con un’abbondante quantità di acqua e sapone per evitare di danneggiare il piano di lavoro. In particolare per eliminare le macchie di provocato dallo smalto per unghie, occorre usare un prodotto privo di acetone e lavate quindi con abbondante acqua. L’esposizione incontrollata o prolungata ai prodotti chimici danneggia la superficie. Si consiglia di utilizzare sempre un recipiente per raccogliere l’acqua bollente che potrebbe creare danni alla superficie dei lavelli in Corian® o nella zona intorno e di raffreddarla con abbondante acqua corrente fredda. Per la pulizia quotidiana, è opportuno utilizzare un panno umido con una crema abrasiva leggera o un comune detergente ( es. Cif ). In questo caso occorre agire sempre con un movimento circolare, in modo che gli eventuali aloni causati dall’abrasione risultino uniformi. Per eliminare tutti i residui di olio o grasso delle normali preparazioni dei cibi dal lavello si può usare un detergente o una soluzione per superfici solide. Una buona soluzione per i materiali grassi e untuosi, è quella di spruzzare una soluzione composta da 3/4 di candeggina e 1/4 di acqua sul lavello e sul piano, lasciandola agire per qualche ora o durante la notte fino ad un massimo di 16 ore. Per le macchie prodotte da liquidi come: aceto, caffè, tè, succo di limone, coloranti, ketchup, vino rosso o oli vegetali bisogna partire dai metodi più semplici e tradizionali, per poi eventualmente usare in modo progressivo una spugnetta non abrasiva e un detergente o una soluzione per la pulizia delle superfici a base di ammoniaca. Solo in presenza di macchie particolarmente tenaci come polline di giglio o zafferano o di un graffio significativo sarà possibile utilizzare una spugnetta leggermente abrasiva con della candeggina o del detergente in crema.
Volendo generalizzare si può dunque tranquillamente dire che i piani “compatti” in Resina sono forse da considerarsi i piani di lavoro da cucina dotati delle più alte prestazioni funzionali, della più alta qualità intrinseca e gli unici che consentono una manutenzione ed un rinnovo praticamente infinito del materiale anche in caso di danneggiamento. Tutto ciò cozza però con il loro costo -quantificabile intorno ai 900/1200 euro al metro lineare- che li rende ancora poco appetibili per il grande pubblico.
Piani di lavoro in Cemento, Malta o Ecomalta
Ed eccoci tornare – dopo aver esaminato numerosi tipi di tipi di piani di tipo “compatto” – ad esaminare un tipo di Top da cucina componibile realizzato tramite il supporto di un pannello in truciolare o MDF, spesso di solito dai 30 ai 60 mm. Con il termine “Top in finitura Cemento, Malta o Ecomalta” si denominano infatti quei piani rivestiti con un tipo di vernice innovativa la quale, grazie ad una meticolosa ricerca tecnologica, è stata formulata allo scopo di realizzare una superficie “tridimensionale” altamente decorativa, che fosse possibile applicare ai normali supporti top in legno e in fibra di legno, nel totale rispetto dell’ambiente. I piani realizzato con questo trattamento sono realizzato applicando in maniera artigianale uno strato di resina idrorepellente di tipo “granuloso” il quale, una volta applicato, si presenta nello stesso modo mosso e variegato in cui fa bella mostra di sé una splendida parete intonacata. Non a caso la malta utilizzata solitamente per rivestire questi piani, proprio come il Marmorino (un tipo antico di intonaco artigianale) è composta da materiali quasi totalmente naturali: impasti composti da inerti finissimi, miscelati con vernici colorate totalmente all’acqua, e resi però nel contempo adatti all’uso “da cucina” grazie alle più recenti tecnologie idrorepellenti. Personalizzabile nei colori e negli effetti decorativi più originali, ignifuga, resistente, flessibile, riciclabile e totalmente priva di sostanze tossiche, la malta cementizia utilizzata a questo scopo è infatti impermeabile, ma allo stesso tempo traspirante alle molecole del vapore, qualità che fa mantenere in tutto il suo spessore la naturale traspirabilità delle imbiancature realizzate “a calce”. Il risultato finale è una superficie continua (spessa da 1 a 3 mm), pratica e facile da pulire, che il suo aspetto caldo, morbido e quasi “vellutato”, rende particolarmente adatto a chi desidera realizzare un piano da cucina originale ed innovativo.
La sua lavorazione prevede addirittura sei differenti applicazioni di finitura, le quali devono necessariamente essere eseguite “a mano” da personale altamente qualificato, al fine ottenere un piano dall’aspetto uniforme e dalle caratteristiche pratiche indiscutibili. Le prime mani vengono applicate utilizzando dapprima un pennello o un rullo, in maniera da stendere uniformemente il prodotto: le ultime vengono invece applicate poi con una spatola metallica, con la quale l’artigiano decora la superficie del piano. Lo scopo è quello di ottenere un prodotto sicuro e resistente, realizzato però attraverso susseguenti lavorazioni che, sovrapponendosi, danno risultati sempre diversi. Il movimento manuale della spatola durante la stesura del prodotto infatti genera – ogni volta in maniera più o meno marcata- delle discontinuità superficiali che creano interessanti variazioni cromatiche tridimensionali che sono, esse stesse, sinonimo di originalità, naturalezza e qualità estetica del prodotto finito.
Le spatolature tipiche di questo tipo di finitura, hanno un sapore lievemente “retrò” che stimolano fortemente la memoria di chi lo vede e suscita per questo in tutti coloro che lo apprezzano per la prima volta un certo stupore. A parte il suo straordinario aspetto però, la malta cementizia deve soprattutto essere resistente per essere usata come piano: una malta che veramente può dirsi “di qualità” è infatti refrattaria allo sporco e alle macchie perché è igienica e impermeabile, è antistatica e non muta il proprio colore nel corso del tempo. Per la sua pulizia può essere utilizzata della semplice acqua calda, miscelata con l’aceto di mele. In alternativa possono essere usati anche i normali detersivi e disinfettanti esistenti in commercio (sempre diluiti in acqua), facendo però attenzione che non siano troppo aggressivi, come quelli alcalini o quelli contenenti alcol o solventi. Di facile manutenzione dunque, specie quando è fatta utilizzando materiale altamente tecnologico, la malta possiede una dote che ben pochi altri materiali utilizzabili per rivestire le cucine possiedono, quella di essere facilmente ripristinabile, anche a distanza di molto tempo. La sua formulazione rende infatti possibile riparare senza grossi problemi qualsiasi piccolo danno possa aver subito un top da cucina trattato con questo prodotto, anche a molti anni di distanza. Qualora, ad esempio, delle gocce di vino rosso, tè o caffè (forse le sostanze con cui è più facile macchiare qualsiasi superficie naturale) fossero state dimenticate sulla sua superficie troppo a lungo (senza cioè che esse siano state prontamente rimosse), è possibile effettuare un piccolo ritocco applicando su di esse con una spatola, un altro sottilissimo strato ulteriore di vernice. Le naturali asperità che il materiale presenta a causa delle successive lavorazioni che subisce, impediranno che questa piccola riparazione appaia successivamente visibile ad occhio nudo.
Piano in acciaio
Una delle soluzioni più ambite e ricercate a proposito di piani da lavoro è da sempre il piano di lavoro in acciaio inox. Si tratta infatti di un tipo di top le cui caratteristiche tecniche permettono di utilizzarlo anche in ambienti “lavorativi”, come sono le cucine dei ristoranti, e questa sua innata dote lo rende appetibile a tutti quegli utenti che desiderano dare un aspetto e una funzionalità un po’ più professionali alla propria cucina componibile. Questo tipo di piano è solitamente composto da un pannello realizzato in particelle di legno idrorepellente o in compensato, che una volta tagliato a misura viene rivestito da una lamiera di acciaio inox di spessore 1 mm dalla durata praticamente eterna. La flessibilità del materiale permette di realizzare piani da cucina con spessori variabili dai 2 ai 10 cm, volendo anche completi di bordo salva-goccia e di “alzatina”, se non anche di veri e propri schienali para-schizzi da innalzare a parete.
Quella dei top da cucina in acciaio inox è una lavorazione che avviene quasi esclusivamente a livello artigianale o semi-industriale, la quale porta solitamente abbastanza in alto il costo di questo piano, inizialmente già aggravato dal prezzo della materia prima scelta. Il piano di lavoro in acciaio è infatti abbastanza difficile da produrre e non consente di essere modificato in fase di installazione, come avviene al contrario per la maggior parte dei top da cucina esistenti in commercio. Uno dei più grandi vantaggi di questo piano è però dato dalla possibilità di saldare direttamente su di esso sia le vasche del lavello, che il relativo piano di cottura, al fine di ottenere una superficie continua che evita tutti quei punti di giunzione capaci di creare infiltrazioni e di trattenere lo sporco. La lamiera sottile infatti permette di essere stampata, oltre che saldata, e questo consente la fabbricazione di superfici uniche che da piane divengono curve (come nel caso del lavello) e viceversa.
Il piano di lavoro in acciaio inox, se ben realizzato e supportato, rappresenta dunque una barriera impenetrabile dall’umidità e dalle infiltrazioni di acqua in una misura che è difficile da riscontrare in qualsiasi altro materiale, sia grazie alla materia prima stessa, che grazie all’assenza di giunture tipica di questo top. La sua resistenza al calore è poi addirittura proverbiale, tanto che si tratta in pratica dell’unico materiale con cui, in cucina, è possibile fabbricare sia i piani da lavoro che i piani di cottura.
L’acciaio inox viene utilizzato per le cucine componibili sia per la realizzazione di interi piani di lavoro che per la realizzazione di “isole funzionali”, comprendenti soltanto il lavello ed il piano di cottura, predisposte per essere inserite all’interno di piani di lavoro da cucina di altri materiali, come il marmo, il quarzo, il laminato o la ceramica. Notoriamente l’acciaio inossidabile è completamente inattaccabile dalle macchie e presenta caratteristiche di assoluta idoneità al trattamento igienico dei generi alimentari, proprietà questa, che però non sempre si accompagna ad una certa facilità di pulizia. Almeno nel senso che si intende di solito parlando di cucine componibili. L’acciaio inox infatti di per sé si pulisce benissimo, durante la sua pulizia però possono essere spesso lasciati degli aloni dovuti ad una particolare proprietà auto-protettiva del materiale, grazie alla quale, dopo ogni lavaggio si forma sulla sua superficie una leggera patina che può apparire poco piacevole da vedersi, ma che serve in realtà a non far ossidare il materiale. Con questo tipo di piano occorre poi avere l’accortezza di evitare l’uso di oggetti appuntiti o prodotti abrasivi che possono rovinare la superficie in quanto l’acciaio, specie nella versione di sottile lamiera che viene utilizzata per fare piani da cucina e lavelli non può avere, per sua stessa natura, una grande resistenza al graffio ed agli urti.
Uno dei difetti dell’acciaio inox, soprattutto di quello con finiture lucide, è infatti la scarsa resistenza ai graffi superficiali. Questo aspetto dei piani di lavoro in acciaio inossidabile che, nelle cucine professionali dei ristoranti non ha nessuna rilevanza, in arredamento è considerato un vero e proprio difetto. Chi acquista una nuova cucina componibile e ci investe magari tanti soldi, non riesce infatti ad accettare che il normale utilizzo dei piani vada a modificare la loro estetica e questo è uno dei motivi che limitano la diffusione di questo tipo di Top.
Il piano lavoro in acciaio inox si presta infatti in particolare ad arredare le cucine moderne dall’aspetto minimalista, che però male si confanno ad avere sulle loro superfici micro-graffi o aloni. Il calcare contenuto nell’acqua, ad esempio, crea delle macchie su questi top, se non vengono asciugati perfettamente e quindi la loro pulizia può risultare particolarmente laboriosa per chi pretende di mantenere i propri piani da cucina sempre in maniera perfetta. Oltre a questo, alcune altre sostanze contenute nell’acqua potabile, come il cloro, se ristagnano sui piani in acciaio possono a lungo andare ossidare la superficie, così come vi possono apparire aloni e macchie se vi sono stati contatti prolungati con numerosi altri tipi di sostanze molto corrosive.
Eppure l’industria produce piani in acciaio in svariate finiture; la più comune è la Scotch Brite, un acciaio satinato “standard” che viene lavorato levigando unidirezionalmente la superficie con degli speciali abrasivi che lo rendono opaco e molto bello esteticamente, ma esistono pure finiture “a specchio” come la Wirbel Steel, che pur essendo esteticamente eccellenti, risultano poco resistenti ad urti e graffi, nonché difficili da mantenere pulite e splendenti.
Il piano in vero legno
Concludiamo la nostra rassegna con un tipo di piano davvero poco diffuso ma che merita di essere comunque esaminato in questa sede, perché sempre molto richiesto da una parte di consumatori, specie negli ultimi anni.
Il ritorno in voga di alcuni materiali naturali in edilizia, come la pietra ed il legno, hanno infatti riportato in auge, anche negli arredi, alcune tipologie di superficie che vengono spesso richieste più per il loro aspetto estetico che per la valenza delle proprie caratteristiche tecniche. Nessuno può negare infatti l’estrema bellezza che può arrivare ad avere un bel piano in vero legno, magari inserito nel contesto minimalista di una bella cucina componibile di design. Il problema è la sua scarsissima adattabilità alle problematiche che interessano gli arredi da cucina, specie per quanto riguarda i piani di lavoro. In linea di massima si possono classificare i piani da lavoro in legno in due categorie, quelli impiallacciati e quelli in legno massiccio (anche detti “in massello”). I due piani differiscono di molto perché mentre il primo è formato da un pannello di legno ricomposto (truciolare, compensato, listellare o medium density) il quale viene rivestito con un sottile strato di legno pregiato, il secondo è composto interamente da legno massiccio. I piani in legno impiallacciato vengono in alcuni casi preferiti per il loro costo più basso e per la loro maggiore indeformabilità essendo utilizzabili senza problemi, anche negli spessori più bassi, senza che questi si torcano o creino degli spacchi. Il legno massello invece viene preferito quando si necessita delle sue impareggiabili qualità estetiche e delle sue grandi doti di resistenza meccanica, tipiche del legno specie quando parliamo dei suoi spessori più alti.
Le problematiche che deve saper affrontare chi decide di fornire la propria cucina di un piano in legno sono in realtà ben note. Il legno infatti è un materiale molto poroso, che si danneggia in superficie quando è in contatto con acqua e liquidi e che offre una limitata resistenza ad urti e graffi. In verità nelle sue versioni più recenti, il legno utilizzato come piano di lavoro subisce alcuni trattamenti idrorepellenti che ne limitano i possibili danni da umidità, si tratta però di palliativi che a lungo andare non riescono a risolvere il problema dell’acqua e comunque non sono in grado si irrobustire la sua superficie. Un piano di lavoro in legno in cucina, sia esso impiallacciato o in massello, non può dunque essere utilizzato per contornare il lavello perché gli schizzi di acqua sciuperebbero la sua superficie e non può essere utilizzato intorno al piano di cottura perché si brucerebbe praticamente subito. Qualora però si disponga in cucina di una zona “pranzo” il cui piano non viene utilizzato come piano di lavoro, bensì come bancone per pranzare, si può tranquillamente fare uso del legno ricordando però che quest’ultimo manterrà inalterata la sua delicatezza agli urti e all’umidità.
Abbiamo composto una rassegna molto sintetica dei piani di lavoro da cucina esistenti in commercio suddividendoli a seconda delle loro principali caratteristiche. Lo abbiamo fatto in maniera il più possibile obbiettiva, evitando accuratamente di creare una sorta di “classifica” dei migliori Top da cucina, ma cercando bensì di descrivere opportunamente le peculiarità di ognuno di essi. Il nostro scopo è infatti quello di orientare le opinioni dei nostri clienti e dei nostri lettori, facendo loro comprendere quale può essere il materiale più adatto alle proprie singole esigenze, piuttosto che rispondere alla loro spesso assurda ricerca del miglior top da cucina esistente in assoluto. Ogni materiale ha infatti i suoi pregi ed i suoi difetti ed è soprattutto la consapevolezza esatta di ognuno di essi ad aiutare maggiormente nella scelta. Dopo di che sarà soprattutto un uso cosciente ed informato dei singoli prodotti a rendere davvero soddisfacente quella scelta.
Conclusioni
Speriamo che la nostra guida su come scegliere un letto imbottito ti abbia fornito le informazioni necessarie per prendere una decisione consapevole e soddisfacente. Presso Griva Arredamenti, siamo pronti ad aiutarti a realizzare arredamento su misura.
Ti invitiamo a visitare i nostri showroom di Pinerolo e Torino, dove potrai scoprire di persona la qualità e l’eleganza dei nostri mobili. Potrai toccare con mano i materiali, valutare le soluzioni di spazio e ottenere consigli personalizzati dai nostri esperti.
Se hai domande o desideri ulteriori informazioni, non esitare a contattarci. Saremo felici di fornirti tutte le risposte di cui hai bisogno dai nostri esperti interior designer.
E’ inutile negarlo, la casa del terzo millennio si è ormai evoluta verso stili di vita e di coabitazione nuovi, certamente inediti, più flessibili e meno accentrati sulla famiglia tradizionale. Ma più che quel coacervo di nuovi nuclei abitativi fatti da single, coppie felici senza figli, o scoppiate ma con tanta prole in comune, è il reddito pro-capite ad aver determinato il sostanziale cambiamento avvenuto negli anni nelle case degli italiani.
L’Italia del resto, è forse il paese che meno ha goduto dei vantaggi economici della propria “rivoluzione industriale”. Troppo breve essa è stata per incidere sulle vite degli italiani sufficientemente a lungo. A parte gli anni del cosiddetto “Boom Economico” infatti, ben poco si è visto dei vantaggi economici che via via nel tempo hanno interessato molti degli altri paesi europei e dell’area occidentale in generale, coinvolti in una certa evoluzione tecnologica. Già negli anni ’70, in Italia, si parlava di crisi. E si trattava di una crisi endemica, sistematica, non di quelle crisi passeggere che hanno riguardato prima o poi tutti i paesi industrializzati del mondo. Una crisi che, bene o male, si è protratta fino ai giorni nostri. L’Italia è dunque rimasta fra i paesi più industrializzati del mondo, ma la sua situazione, in generale, ha nel tempo ridotto in proporzione i redditi disponibili delle famiglie, senza per fortuna veder diminuire però il loro desiderio di possedere un luogo da abitare, che fosse il più possibile consono al proprio benessere. Ed ecco che, a partire dagli anni ’80, si è potuta osservare una sistematica riduzione delle superfici abitative degli appartamenti operata in maniera che, da un lato, il loro costo di costruzione fosse adeguatamente “tagliato”, mentre dall’altro fosse possibile per le famiglie stesse una diminuzione dei costi e dei tempi di gestione che ogni casa richiede.
Ma dove sono stati “rubati”, per così dire, quei metri quadri che hanno (in solo una quarantina di anni) ridotto in Italia la superficie media di un nuovo appartamento di città da 100 a 70 metri quadri? Dalla cucina certamente no, visto che dai “cucinotti” tipici degli anni ’50, la superficie urbanisticamente destinata alla preparazione dei cibi è quasi raddoppiata. Dalle “camere” nemmeno, dato che i regolamenti comunali vietano giustamente la costruzione di stanze da letto inferiori a certe metrature. E’ dunque nella cosiddetta “zona giorno” che si sono andati quasi sempre a recuperare quei metri quadri persi a causa della successiva riduzione complessiva delle superfici degli appartamenti. Ma non è una tendenza relativa soltanto alle case di piccole dimensioni. Anche nelle abitazioni più grandi, come le ville o le villette unifamiliari si è dovuto fare i conti con una certa ridistribuzione della “zona giorno” allo scopo di ottimizzarne gli spazi. Gli “ingressi” ad esempio, almeno quelli intesi come locali appositamente adibiti a facilitare e predisporre l’ingresso in casa, non esistono praticamente più. Anche la “sala da pranzo”, che così importante era diventata nelle grandi abitazioni dell’Ottocento, ha perso completamente la sua originale collocazione ed è entrata a far parte del cosiddetto “soggiorno” anche nelle case più grandi.
Insomma un vero e proprio movimento socio-architettonico che potremmo ironicamente chiamare “loftismo” che al grido di “abbattiamo quelle pareti” ha in pratica preluso alla totale compartimentazione delle zone vitali di una casa, riducendole a due sole aree funzionali: la zona notte e la zona giorno.
E’ in questa logica di “volumi leggeri” e “spazi aperti” che va collocata la moderna organizzazione degli spazi dedicati al “soggiorno” della famiglia ed alla convivialità in generale. Una progettazione che prevede tutte le singole zone funzionali del “giorno” tutte come fruibili contemporaneamente. Con la scomparsa di ingressi, tinelli, corridoi e cucinotti del resto, cade anche l’obbligo di rispettare le rigide e tradizionali suddivisioni degli ambienti (zona pranzo, cucina, salotto ecc) e si afferma il concetto di “open space” che congiunge in un unico ambiente sala da pranzo, salotto, studio e cucina, in un’unica entità-luogo in cui non esistono barriere o suddivisioni fra pubblico e privato.
Il soggiorno perfetto moderno è dunque questo: un luogo contemporaneo del “vivere quotidiano”, in cui locali armonicamente fusi in assetti nuovi e ben più congeniali alle attuali misure delle case, creano aree multi-funzionali specifiche, instaurate però all’interno di stanze “uniche” che favoriscono il relax e la convivialità. Interni in continua evoluzione (per questo, forse, sono così aperti), pensati per rispondere proprio ad esigenze sempre nuove e differenti, fatti di ambienti in realtà solo “teorici” che si susseguono senza soluzione di continuità, dentro case che prediligono nuove geometrie e soluzioni spesso inedite.
L’assenza stessa delle pareti divisorie, così come l’assenza di alcuni spazi funzionali separati -come la zona pranzo o la zona relax- catalizzano l’interesse di chi intende abitare questi ambienti verso tecnologie ed espedienti architettonici spesso sorprendenti, che superano la loro connotazione tradizionale di elemento separatore e si arricchiscono di movimenti inattesi come gli scorrimenti, le rotazioni, i ribaltamenti e, più in generale, tutti quei concetti architettonici e decorativi che consentono di trasformare uno spazio fisico. Le porte, ad esempio, nel soggiorno perfetto moderno non esistono più, oppure divengono elementi flessibili fra cui prevalgono i sistemi scorrevoli a vista o a scomparsa: ampie superfici vetrate, trasparenti o colorate, che permettono di godersi il più possibile i propri spazi aperti ben sapendo che, all’occorrenza, un semplice gesto può ripristinare comfort e separazione. Gli oggetti d’arredo, allo stesso modo, diventano trasformisti, mutevoli e certamente multifunzione: la libreria non è solo libreria ma è anche porta tv, scrivania, mobile “mettitutto”. Il tavolino da fumo non è più spesso un semplice piano di appoggio ma può diventare un tavolo da pranzo, un porta riviste o un semplice oggetto decorativo. La consolle, vanto e onore di ogni “ingresso” che si rispetti, diviene un mobile dalle più incredibile declinazioni che può trasformarsi da piccola in un ampio tavolo da pranzo, così come diventare il luogo di lavoro di chi necessita magari di utilizzare il proprio PC anche in casa.
Per quanto riguarda gli imbottiti, beh, anche qui la “trasformazione” è quasi un obbligo. Si calcola che la quantità di divani, poltrone e pouff, convertibili in letto, prodotti nell’arco degli ultimi venti anni è quasi raddoppiata. I motivi sono ovvi: chi non ha una stanza per gli ospiti infatti, non può che interessarsi ad una soluzione arredativa che con una modicissima spesa gli permette di fornire la propria abitazione di uno o due posti letto aggiuntivi. E poi non dimentichiamoci delle dimensioni ridotte delle case. Quanti sono quegli appartamenti che disponendo di una sola camera da letto non sono adatti ad ospitare una famiglia con figli? Ed ecco che si ritrova aggravarsi all’interno del “soggiorno” il peso specifico di tutti quelli spazi che in esso sono di recente confluiti. Intendiamoci: si tratta di una tendenza che non è solo quella specificatamente Italiana dovuta molto spesso alla riduzione delle superfici abitative. Da tutte le parti “evolute” (dal punto di vista dell’architettura domestica, ovviamente) del Pianeta si assiste ad una ottimizzazione degli spazi abitativi. E ciò è rilevabile anche dove non vi sono rilevanti problemi di reddito o di superficie. Del resto, nell’epoca della globalizzazione e della multimedialità, non poteva certo mancare una certa revisione delle tipologie stilistiche ed architettoniche della casa, soprattutto per quanto riguarda il cosiddetto “living”, punto nevralgico dell’universo casalingo ove si concentrano tutti i percorsi vitali. Pensiamo solo a come è cambiato l’uso della Tv negli ultimissimi anni. Nuovo focolare del moderno soggiorno fino ai primi 15/20 anni del terzo millennio, esso va trasformandosi da un uso collegiale e certamente familiare (la TV grande in soggiorno è da sempre quella destinata alla visione collettiva, quella dell’intera famiglia) tipica degli anni ‘70, ad uno uso sempre più intimo e personale. Oggi la tv si guarda sul telefonino e proprio a meno di avvenimenti tali da dover essere condivisi con gli altri (vedi ad esempio i grandi eventi sportivi), essa sta divenendo sempre più un tipo di svago da utilizzarsi in maniera strettamente individuale.
Si tratta di evoluzioni che si ritrovano ovunque. Da simbolo della casa borghese quale luogo del “ricevere”, il soggiorno moderno ha rinnegato il proprio ruolo di racchiuso microcosmo della “chiacchera” o della semplice e cortese ospitalità culinaria per adeguarsi ad un sistema di vita meno formale in cui si perdono in parte quegli specifici confini apparenti, ma che non manca di proporre soluzioni nuove. E’ in questo contesto che si inserisce l’idea di Relax (spesso diretta emanazione del lavoro dei grandi Padri italiani del design del secolo scorso), quello del “convivio gastronomico”, così come il concetto -così di attualità- dello “Smart Working”. Tutte cose che un tempo non c’erano. Esigenze che il tempo e l’evoluzione sociale hanno imposto e che si ritrovano spesso in ogni progetto d’arredo.Come arredare un soggiorno moderno: le 10 regole
I principi fondamentali per arredare un soggiorno moderno
Massimizzare il risultato minimizzando gli ostacoli: potrebbe essere considerata questa la regola “aurea” da tenere in considerazione quando si deve progettare un ambiente. Ebbene tale regola nei soggiorni assume una valenza almeno doppia. Nella zona giorno infatti non si tratta soltanto di far convivere, come abbiamo detto, zone funzionali molto differenti fra loro, ma soprattutto di far sì che tali zone si integrino in uno spazio molto definito che è assolutamente necessario conoscere alla perfezione. Quindi per prima cosa prendiamo bene in considerazione le misure della stanza e dei suoi ingombri chiarendo bene, l’orientamento della stanza, dove sono le porte, dove le finestre, in che punti sono posizionate le prese elettriche, gli eventuali attacchi idraulici e tecnici (nel caso si tratti di un soggiorno cucina open space) e, soprattutto, individuiamo lo spazio da destinarsi all’ingresso, qualora il nostro soggiorno preveda l’entrata principale dell’abitazione all’interno del suo perimetro.
Ciò significa in pratica non attenersi semplicemente alla piantina del locale, ma effettuarne personalmente un rilievo immaginando già da subito (fin dove è possibile) la dislocazione dei singoli spazi funzionali che caratterizzeranno il soggiorno. Un’analisi che in definitiva ha semplicemente lo scopo di facilitare il compito di chi si sta per accingere a costruire, a ristrutturare o anche solamente ad arredare un soggiorno, partendo dalle più svariate situazioni iniziali.
Può sembrare una banalità, ma rendersi conto “sul posto” di quale può essere la migliore disposizione è estremamente importante in un soggiorno moderno. Per raggiungere l’obbiettivo finale (cioè la stesura di un progetto) infatti, è necessario avere ben chiari i presupposti che ne delimiteranno le soluzioni. Attraverso un’attenta ricognizione sarà quindi possibile definire la relazione fra il soggiorno ed il resto della casa, ponendo una particolare attenzione ai volumi ed alle superfici comuni, alla distribuzione fra “pieni e “vuoti”, al controllo delle proporzioni, delle fonti luminose e degli aspetti cromatici. Subito dopo occorre però definire anche le esigenze e le aspettative di chi lo andrà ad abitare, perché è solo favorendo una scelta consapevole che sarà davvero possibile soddisfare in pieno tutte le richieste di comfort, convivialità e funzionalità che interessano il progetto di un soggiorno.
In questo complesso studio preliminare il porsi una serie di regole preliminari può quindi rivelarsi particolarmente utile.
Regola 1) Verificare attentamente le misure dei locali
Basta un metro, un foglio ed una matita per effettuare un rilievo sufficientemente preciso di un soggiorno. Non si tratta infatti di una rilevazione di misure particolarmente complicata, però va fatta con molta attenzione. Si comincia col disegnare una piccola piantina su di un foglio tale da rendere abbastanza l’idea dell’ambiente che si desidera arredare. Dopodiché si inizia a misurare le pareti e le aperture partendo dall’ingresso e proseguendo in senso orario, riportando ogni volta sul foglio la singola misura rilevata. Nel caso di porte e finestre è opportuno misurare sia l’apertura netta (che nelle porte a battente di solito corrisponde all’ingombro della porta quando si apre ruotando) che la sua dimensione complessiva di stipite e cornici.
Quasi sempre le aperture sono poi corredate di un interruttore della luce e di una presa elettrica, esse dovranno essere dunque opportunamente rilevate e riportate sul foglio quali parti delle pareti non utilizzabili. Si passa poi a misurare l’altezza delle pareti, facendo in questo caso attenzione a quelli che sono gli ingombri verticali, come i condizionatori d’aria, i cassonetti degli avvolgibili e tutto ciò che può risultare di impaccio nel realizzare un progetto che comporta a volte l’inserimento di mobili anche molto alti. Una volta effettuato un rilievo abbastanza preciso si procede col riportare le misure prese in un disegno in scala. A tale scopo possono risultare utili in molti software per l’arredamento che si trovano in rete, in alternativa si può tranquillamente procedere col fare un disegno in scala 1:20 su di un semplice foglio. Questo lavoro, non fa parte in realtà parte del lavoro di un progetto d’arredo, ma ne rappresenta la base, le fondamenta. Tanto più dunque il rilievo sarà preciso e particolareggiato, tanto più si potrà effettuare un progetto adeguato all’ambiente che si ha a disposizione.
Regola 2) Analizzare attentamente le predisposizioni tecnologiche e gli ingombri
Sia che si stia ristrutturando o costruendo ex-novo un ambiente soggiorno, sia che lo sia stia solamente arredando, è oggettivamente indispensabile definire esattamente come e dove si trovano gli elementi, per così dire, “salienti” della stanza. Grande considerazione dunque alla posizione della presa dell’antenna, a quella delle altre prese elettriche, alla posizione del citofono, allo spazio necessario all’ingresso, così come a quello indispensabile per raggiungere le varie zone funzionali. Un esame preventivo di queste posizioni deve prevedere anche la possibilità di un loro eventuale spostamento. Se infatti, ad esempio, la presa dell’antenna Tv di un soggiorno è stata precedentemente messa sulla parete dove sarebbe meglio posizionare ora il divano, bisogna tassativamente prendere in considerazione la possibilità di effettuarne lo spostamento ed il suo eventuale costo. Ogni predisposizione tecnologica in teoria può essere modificata, ma nella pratica poi, c’è da capire se il costo di questa operazione è realmente sostenibile o meno. Possono esserci poi in un soggiorno dei veri e propri “ingombri inamovibili”, capaci di rendere particolarmente complicato ogni progetto. Questi possono essere pilastri in cemento armato, muri portanti impossibili da demolire, caminetti, termosifoni, condizionatori e chi più ne ha ne metta. Ogni soggiorno moderno soffre molto spesso di qualche problematica di questo tipo, ma non bisogna scoraggiarsi: conoscendo esattamente l’entità e la posizione dell’ingombro in questione è sempre possibile trovare una soluzione adeguata al problema. I soggiorni moderni, d’altronde, sono componibili, asimmetrici, stilisticamente molto movimentati e versatili, per questo motivo è spesso facile trovare insieme al proprio professionista di fiducia il tipo di arredo più adatto alla situazione.
Regola 3) valutare attentamente le esigenze di chi dovrà abitare l’ambiente
Se è vero che, come abbiamo visto, il soggiorno moderno è senza dubbio la stanza più “multifunzionale” della casa, è altrettanto evidente quanto sia importante definire le necessità di chi lo abiterà prima di procedere ad un suo progetto. Uno degli errori in cui più frequentemente si incorre in questo caso è infatti quello di partire da un’idea di arredo –magari tenendo presente ciò che sappiamo piacerci di esistente sul mercato- per poi adattarsi successivamente nel suo utilizzo.
Quello che occorre fare è invece esattamente il contrario. Bisogna cioè iniziare ad indagare, facendosi innanzitutto una serie di domande a proposito di chi abiterà quel determinato soggiorno e di quelle che saranno le sue specifiche esigenze. Le prime sono sicuramente quelle relative al numero di zone funzionali che dovranno coesistere nello stesso locale, ovvero: La casa possiede una cucina separata? In qualche parte della casa è già prevista una zona pranzo? Ed essa è adatta anche a ricevere degli ospiti? L’ingresso nell’abitazione, farà parte del soggiorno oppure ne sarà distinto? E così via… Fatta questa prima indagine, si procederà col rispondere a domande più specifiche, del tipo: Il salotto sarà utilizzato solo per ricevere gli ospiti o anche per vedere la TV? Di quanti posti a sedere avremo dunque necessità? Se la zona pranzo sarà in soggiorno, quanti ospiti dovrà essere capace di contenere? E ancora… Abbiamo già una zona studio in casa, o vi è la necessità di creare un appoggio in soggiorno da usare per scrivere una lettera o usare il computer? Di questo passo saremo pian piano in grado di definire una sorta di “classifica” in cui inseriremo, per ordine di importanza quelle che sono le esigenze imprescindibili che ha chi abiterà il soggiorno che stiamo per progettare. Questa classifica non è uguale per tutti ma varia di caso in caso sia per il numero di necessità esistenti, sia per la rilevanza delle stesse all’interno di un progetto. Chi ad esempio non possiede in casa nessun altro spazio destinato alla consumazione dei cibi, non solo dovrà avere ben chiara l’esigenza di quello specifico spazio all’interno del soggiorno, ma dovrà avere altresì chiaro quanto questo spazio sia da posizionarsi prospicente alla cucina, in modo da limitare al minimo gli spostamenti quotidiani.
Come vedremo più avanti, l’evoluzione tecnologica ha fatto nascere poi all’interno dei soggiorni (o sarebbe meglio forse dire, dei salotti) un’esigenza nuova: quella di posizionare la Tv. Ebbene questo inserimento, ultimamente, si è reso addirittura più dirompente a causa del frequente utilizzo di televisori a grande schermo, per la cui collocazione è necessario predisporre un notevole spazio verticale. Dal punto di vista dell’intrattenimento famigliare sono però anche altre le funzionalità che spesso è necessario prevedere. Sempre di recente, ad esempio, si è resa necessaria una predisposizione tecnologica che prevede l’uso di una connessione WI-FI all’interno del soggiorno, tale da poter usufruire di tutti i vantaggi della multimedialità. Questa predisposizione, che a prima vista sembrerebbe non interessare l’arredamento o l’architettura di un soggiorno, è invece capace di condizionarla. Una connessione Wi-Fi, consente infatti l’uso di apparati tecnologici che altrimenti non sarebbero impiegabili (domotica, allarmi, accensioni, terminali mobili, videogiochi ecc.) e che invece vanno considerati in questo caso fra le funzioni da prevedere.
Regola 4) Considerare bene l’illuminazione della stanza
In ogni “zona giorno” che si rispetti vi è un fattore indispensabile da considerare riguardo l’illuminazione della stanza. Qualora infatti il soggiorno moderno venga vissuto principalmente, appunto, durante il giorno (ovvero la parte delle 24 ore giornaliere in cui il locale è illuminato dalla luce esterna), è opportuno che la luce naturale sia ben valutata, nel suo movimento, in tutto il suo ciclo giornaliero. Se invece la stanza in questione sarà abitata principalmente di sera, è necessario siano predisposte luci artificiali sufficienti ad illuminare adeguatamente tutte le zone funzionali. Chi avrà dunque la possibilità di vivere durante il giorno il proprio “living”, dovrà probabilmente prediligere quelle stanze ben orientate che posseggano una finestra sufficientemente grande, una porta finestra e magari anche un terrazzo. Chi invece per lavoro o per altri impegni sarà costretto a abitare il proprio soggiorno principalmente durante le ore serali, potrà fare a meno di queste cose, ma dovrà progettare un’illuminazione che tenga ben presenti tutte le zone funzionali che caratterizzano il proprio ambiente giorno. Sotto questo aspetto le regole da seguire nei Living riguardo la luce sono abbastanza note: Una zona pranzo che si rispetti deve avere una luce sufficientemente forte e proveniente dall’alto. Al contrario un salotto con annessa zona Tv dovrà avere delle luci diffuse ed attenuabili, proporzionalmente adeguate al comfort che tali ambienti devono essere capaci di offrire. Un discorso a parte lo merita la zona studio o la zona lettura le quali devono possedere un’illuminazione diretta capace di rendere ben visibile il computer o i libri con cui si sta lavorando o rilassando.
Regola 5) Dare la necessaria importanza alla posizione della Tv e del camino
Chi come noi, ha a che fare quotidianamente coi progetti d’arredo, sa benissimo che più delle teorie razionaliste del Novecento imparate a scuola o all’università, sull’evoluzione dell’ambiente “soggiorno” ha certamente influito lo sviluppo delle tecnologie, unito al desiderio di “Comfort domestico” tipico delle società post-industriali. Soprattutto se si pensa all’avvento della Televisione, con il suo “feticcio universale” -il Televisore appunto, a cui abbiamo già accennato- divenuto vero e proprio Totem casalingo, tale da essere ormai considerato quasi imprescindibilmente dall’idea stessa di “Salotto”. Ancora oggi, nonostante la fruizione dei “prodotti video” si stia evolvendo, grazie agli smartphone, verso un qualcosa di molto più personale di prima, la famiglia del terzo millennio continua infatti spesso ad organizzare il proprio tempo libero intorno a questa sorta di “sala di comando spaziale”. Stiamo parlando di una cabina di regia multimediale, in cui l’Home Entertainment è un insieme di Maxi schermi da 60, 70 (o anche più) pollici di grandezza, consolle da video-giochi, supporti video ed una connessione WI-FI diventata una sorta di “Multi-sala-giochi-cinema-Internet”, in cui troppo di sovente solo i più giovani riescono a muoversi abbastanza agevolmente, ma che rappresenta oramai il futuro. La televisione si evolve così ancora una volta, e da “nuovo focolare domestico” diventa qualcosa di nuovo, qualcosa che ancora nessuno sa bene cosa sia, ma che certamente quando risiede in soggiorno ha una sua specifica funzione sociale: quella di collante conviviale. E’ di fronte alla tv del soggiorno che la famiglia moderna si riunisce per guardare la partita della squadra del cuore; è sempre lì davanti, che gli amici si ritrovano per partecipare ad un contest di video giochi o per vedere insieme gli ultimi video postati dagli Influencer più famosi; ed è sempre di fronte al televisore grande, quello del soggiorno, che ancora si guardano i grandi eventi televisivi capaci di riunire le famiglie e gli amici e di trattenerli per ore. Un tipo di Entertainment che supera i confini originari delle mura domestiche, per unire le persone in una condivisione globale.
Ma se ci pensiamo bene … il vecchio caminetto… non aveva forse la stessa funzione? Sì è vero, esso serviva per prima cosa a riscaldare gli ambienti, ma se fosse stato solo quello il suo compito, avremmo certo dovuto vederlo sparire con l’arrivo delle stufe, dei termosifoni e dei riscaldamenti centralizzati. E invece no… il caminetto resiste ed esiste ancora, e mantiene la sua stessa mansione conviviale di intrattenere di fronte a sé famiglie e amici. Quindi nasce spesso il dilemma di come arredare quei soggiorni in cui, di “focolari domestici” ce ne sono due, invece che uno soltanto. Come si fa dunque ad arredare un soggiorno che contenga sia il camino che il televisore? Beh, per chi ha tanto spazio, questo non è mai un problema: di solito si dedica uno spazio più grande e confortevole alla zona Tv ed uno un po’ più piccolo alla zona caminetto, ove saranno magari posizionati dei mobili imbottiti di dimensioni un po’ più ridotte. E chi tanto spazio invece non ce l’ha, deve per forza rinunciare al caminetto? Nient’affatto, perché anche in questo caso, per nostra fortuna ci è venuta in aiuto l’evoluzione tecnologica: non ci sono più infatti i vecchi televisori di una volta, quelli voluminosissimi e il cui tubo catodico li costringeva ad avere delle profondità a volte davvero incredibili. Oggi giorno gli schermi sono piatti, sottilissimi, ed anche i televisori più grandi, come i novanta o i cento pollici, non superano mai i pochi centimetri di spessore. Quando dunque si ha il dilemma di posizionare in un soggiorno non troppo grande sia Tv che camino, la parola d’ordine è una ed una soltanto “Unire”, ovvero, mettere insieme; appendere la tv sopra alla bocca del camino, oppure appoggiarla su di un ripiano accanto e così via. In questo modo il salotto potrà svolgere due funzioni contemporaneamente e non si avranno situazioni in cui i divani sono rivolti solo di fronte al televisore, relegando il caminetto ad un angolo solitario del soggiorno. Perché è proprio questo il problema: sia il caminetto che il televisore sono fatti per essere guardati e per gustarsi il relax da loro offerto. Se uno dei due rimane isolato da una parte del locale, senza poter avere la possibilità di sedervici davanti tutto il complesso arredativo si impoverisce e si ha come l’impressione di essere di fronte ad un errore progettuale. Certo, in Inverno, è più bello e intimo trovarsi di fronte ad un bel camino acceso, mentre negli altri periodi dell’anno, è certamente più piacevole guardare esclusivamente la Tv, specie se c’è un bel programma. Il televisore, però è ormai del tutto paragonabile ad un quadro: basta trovare la collocazione giusta ed il gioco è fatto, senza mettere in discussioni altre parti della stanza soggiorno. L’unica cosa da tenere sempre presente è, comunque, la sua posizione rispetto agli occhi di chi deve guardarlo: migliore sarà a sua posizione, migliore sarà probabilmente la fruibilità dell’intero ambiente.
Regola 6) Posizionare il “Salotto” nella maniera più opportuna
L’argomento appena affrontato ci porta naturalmente a considerare tutto il resto di quello che è universalmente considerato come il reale baricentro del soggiorno, ovvero la zona più rilassante e confortevole di tutta la casa: il “salotto”.
Con la parola “salotto” si intende infatti quella parte di abitazione destinata al relax, alla lettura, ma anche al ricevimento degli ospiti e, come abbiamo appena visto, all’intrattenimento. Il Salotto, nella sua accezione più comune, trova però la sua maggiore espressione in una categoria specifica di mobili: gli “Imbottiti”, ovvero, i divani e le poltrone. Tant’è che ormai “Salotto”, nel linguaggio comune, è diventato spesso sinonimo di “insieme di mobili imbottiti”.
Ma come arredare un Salotto perfetto? La zona del soggiorno destinata agli imbottiti era, fino a pochi decenni fa, definita architettonicamente “zona conversazione”. Negli anni poi, questa usanza tipica dei tempi passati di utilizzare divani e poltrone esclusivamente per ricevere degli ospiti per un thè, un caffè e qualche chiacchera si è, come abbiamo visto poc’anzi, evoluta in un uso più intimo e famigliare che, grazie anche alla tecnologia, è divenuta uno dei momenti conviviali più importanti della famiglia, insieme a quello della consumazione dei pasti.
Tutto ciò comporta che il salotto dovrebbe essere in teoria organizzato in modo abbastanza flessibile, prestarsi cioè, non solo a soddisfare i bisogni di relax e comfort quotidiani di ogni famiglia, ma anche quelli in cui c’è l’occasione di conversare con degli ospiti. In realtà non è quasi mai così. Sì perché nonostante siano ben presenti sul mercato mobili sedute imbottite che permettono, in qualche modo, di variare la propria composizione a seconda delle necessità (momento Tv, oppure momento conversazione), la atavica carenza di spazio che accomuna molti appartamenti, porta inevitabilmente a stabilire una posizione ideale del salotto ed a mantenerla nel tempo.
Il motivo di questo è presto detto: Un piccolo gruppo di persone riunito a chiaccherare, tende a disporsi in circolo. Ciò in un salotto avviene intorno ad un punto focale che in genere è rappresentato dal classico tavolino da fumo. Tutto questo però va contro alle necessità che ha chi utilizza di solito il salotto per guardare la Tv. In quel caso infatti, specie quando si è in tanti, si tende ovviamente a disporsi “in linea” di fronte al televisore, in modo da non intralciare la vista a nessuno. Chi ha questo tipo di doppia necessità, dovrà quindi per forza fare di necessità virtù e trovare degli escamotage tali da consentirli di modificare in qualche modo le sedute dei propri divani. Per fortuna, i divani moderni sono spesso “componibili” e consentono di disporre di alcune sedute aggiuntive (comunemente chiamati “Pouf”) che possono essere facilmente spostati e posizionati di fronte al divano, per farvi sedere degli ospiti, oppure messi attaccati ad esso per fungere da “poggia-piedi”. Un’altra soluzione abbastanza utilizzata a questo scopo è quella che prevede l’uso di una o due poltroncine aggiuntive. Differentemente da quanto accadeva prima, quando cioè il salotto era quasi sempre composto da tre pezzi (divano e due poltrone), è difficile che in un soggiorno si disponga di uno spazio tale da poter inserire due poltrone di grandi dimensioni; per questo motivo si cerca di privilegiare lo spazio “comfort” (quello destinato al divano, tanto per intendersi) a cui possono essere però abbinate due sedute, comode ma di piccole dimensioni, come due poltroncine appunto.
In quanto alla sua posizione, in generale si può dire che il gruppo imbottiti può essere posto nella stanza in due modi: o con lo schienale addossato ad una parete, o messo al centro della stanza. Come abbiamo detto più volte, le dimensioni medie degli appartamenti, fanno sì che si prediliga nei salotti la soluzione che prevede di poggiare il divano sulla parete di fronte a quella dove è posta la Tv. Nelle stanze più grandi però, siccome vige una regola aurea che suggerisce di non attraversare il salotto (alla fine la vedremo) con i tragitti di passaggio che portano verso le zone esterne al soggiorno, si tende a posizionare il divano al centro stanza, in modo da ridurre anche la sua distanza dalla tv. Questo ovviamente a discapito del momento “conversazione” che sarebbe bene invece sempre prevedere all’interno di un salotto.
Tenendo presenti questi aspetti, si può dunque senza dubbio affermare che, anche se non è possibile definire come deve essere un salotto ideale che sia adatto ad ogni stanza, si può comunque individuarne delle caratteristiche ottimali che si focalizzano principalmente su due aspetti: l’uso che se ne fa e la sua sistemazione nella stanza. In linea di massima se un salotto verrà utilizzato per guardare la Tv o il camino, i divani dovranno essere collocati ad una distanza media tale da consentire una buona visione di Tv e camino, senza però occupare troppo spazio nel soggiorno. In questo posizionamento dovremo tenere conto anche delle dimensioni della Tv perché maggiori è la superficie dello schermo, maggiore è la distanza che sarà opportuno tenere dai divani. Se al contrario il salotto verrà utilizzato per la conversazione con degli ospiti, esso sarà posizionato in maniera circolare o almeno semi-circolare, attraverso l’uso di più divani, pouff e poltrone; in tal modo tutti i conversanti avranno così modo di vedersi in faccia e di rendere più piacevoli i loro momenti di dialogo.
Regola 7) Limitare al massimo gli assembramenti di mobilia
A prima vista può sembrare una banalità, invece il soggiorno è per sua stessa natura un locale che si presta molto facilmente ad errori di arredamento. Del resto, sia la mansione multifunzionale che gli viene richiesto di compiere, sia il fatto che il soggiorno moderno si componga di elementi variegati ed asimmetrici (per quanto riguarda il salotto e per quanto riguarda i mobili contenitori) fanno sì che sia molto difficile progettare un ambiente così multiforme.
Come abbiamo visto, data la scarsità di spazio di molte abitazioni, accade molto spesso che il salotto e la sala da pranzo convivano nello stesso ambiente; senza contare che molto spesso anche la cucina e l’ingresso finiscono per far parte di questo locale. E’ la cosiddetta soluzione “open space” o, per dirlo in italiano, “soggiorno a pianta aperta”, la cui principale caratteristica sta nell’assenza di muri divisori; un tipo di soluzione che permette ad uno spazio limitato di sembrare (e di risultare poi anche nella realtà dell’abitare quotidiano) più ampio per la sua capacità di dare a chi lo vive un’impressione di libertà. Questa impostazione, particolarmente adatta alla moderna vita “informale”, ovviamente ha molti vantaggi ma anche numerosi svantaggi, primo fra tutti la difficoltà di collocare la mobilia in modo che non appaia un amorfo agglomerato di suppellettili. In ogni soggiorno moderno convivono quasi sempre: il salotto, il mobile della Tv, come abbiamo visto talvolta anche il camino, la zona pranzo, la zona studio, quelle destinate al passaggio e chi più ne ha più ne metta. Risulta dunque abbastanza logico immaginare che se non si è capaci di dare vita ad un suo vero e proprio “progetto d’arredo”, qualsiasi soggiorno è destinato a diventare un ammasso di mobilia. In questo ambito esistono due parole d’ordine molto perentorie: “equilibrio e compostezza”.
L’equilibrio sta nel valutare con attenzione ciò che effettivamente necessita e ciò di cui si può fare tranquillamente a meno, così come calibrare quelli che sono gli spazi da occupare e quelli da mantenere vuoti. La compostezza si attua nel dare un rigoroso ordine agli ambienti ed ai loro arredi facendo in modo e maniera di poter mantenere tale ordine anche con l’andare del tempo. Per questo nei soggiorni moderni è così necessario avere un programma preliminare e, quando possibile, potersi affidare a dei professionisti dell’arredo. Non c’è niente di peggio infatti nel vagheggiare il proprio soggiorno come la semplice sommatoria di alcuni oggetti d’arredo, posizionati magari nel tempo, ma collocati senza aver preventivamente previsto il risultato che si desidera ottenere. Eppure lo abbiamo detto: il soggiorno moderno è giovane, variegato ed informale e questo potrebbe suggerire a qualcuno che si tratti di un arredamento in cui basta via via aggiungere elementi, fino al riempimento della stanza ed al soddisfacimento delle singole esigenze. In realtà non è così, anzi, è proprio tutto il contrario. La natura immediata ed informale di ogni soggiorno moderno rende infatti quasi spontaneo, l’accostamento “casuale” dei suoi arredamenti d’arredo; con il solo risultato di finire immersi in una confusione di stili e di arredi, in cui di certo la quantità di mobili non aiuta. Sì perché se è pur vero che ogni soggiorno deve essere frutto di un progetto ben preciso, è senza dubbio altrettanto vero che è estremamente facile esagerare nell’aggiungere mobili in una stanza che è il vero “fulcro” dell’intera casa. Ecco che a questo proposito si rivela estremamente utile quell’ordine (soprattutto mentale, oltre che reale) a cui accennavamo prima. Un tipo di atteggiamento che deve ostacolare l’accumulo di mobili ed evitare acquisti incauti, se non addirittura dannosi.
Regola 8) Valorizzare la zona pranzo
Il soggiorno moderno, quando viene integrato con la zona pranzo, diviene molto spesso la zona più impiegata della casa. Sarà qui che si trascorreranno le ore migliori della giornata, destinandole al relax (sul vicino salotto) oppure leggendo o guardando la Tv, ma sarà sempre qui che, probabilmente, si consumeranno i pasti più importanti della famiglia. A meno che non si possegga infatti una vera e propria “sala da pranzo” separata, o a meno che non sia abbia una superficie abitativa tale da essere costretti a pranzare in cucina, quello del soggiorno sarà probabilmente il tavolo da pranzo in cui ceneremo e riceveremo gli ospiti e in cui consumeremo i pasti in famiglia. E’ dunque molto importante che questa zona funzionale del soggiorno sia progettata non solo per raggiungere il massimo del comfort e della praticità, ma anche per far sì che questo diventi l’angolo più elegante, ospitale e rappresentativo, di tutta la nostra abitazione.
Come si progetta, quindi la zona pranzo? A seconda della forma del Living e del modo in cui esso è stato progettato architettonicamente, si può dunque considerare tale locale come un ambiente unico, in cui però le zone “salotto” e “sala da pranzo”, in cui sono solitamente suddivisi i soggiorni moderni, si distinguano scrupolosamente pur rimanendo integrate. Le separazioni più nette e visibili si ottengono ovviamente intervenendo sull’architettura del locale. Rialzando ad esempio il livello del pavimento di una delle due zone, oppure ribassandone il soffitto, si ottiene una divisione ben visibile e netta che lascia però intatto l’aspetto “open space” del soggiorno. Si può raggiungere lo stesso obbiettivo anche utilizzando delle differenti tinteggiature, oppure applicando in una delle zone delle specifiche carte da parati. Un tempo, circa a cavallo degli anni ’80, era divenuto di moda separare la zona pranzo dal resto del soggiorno tramite un arco o un mobile divisorio bifacciale. Nelle stanze particolarmente grandi si usano anche le porte scorrevoli, le quali, riprendendo un’usanza orientale, offrono il vantaggio di separare fisicamente le zone, quando è necessario, senza dividerle visivamente.
Se si desidera però avere una stanza da giorno aperta, che sia oggettivamente continua e che non abbia dunque una netta suddivisione estetica fra le sue zone funzionali, si può tranquillamente ottenerla impiegando gli stessi materiali (pitture, legni, colori ecc..) inserendo quindi dei costanti riferimenti stilistici fra le due zone contigue. Tutto ciò, per quanto riguarda la zona pranzo può risultare anche più complicato del previsto, perché per abbinare un tavolo e delle sedie ad un salotto moderno è necessario possedere un gusto ben allenato e una estrema consapevolezza del risultato che andremo ad ottenere.
Per ciò che concerne i tavoli -a parte le loro dimensioni e la loro forma ottimali, le quali dipendono dalla configurazione e dalla superficie del locale- è molto importante definire uno stile che si intoni con il resto della mobilia e delle rifiniture. In questo caso però, quando si parla di “stile” non si intende semplicemente una distinzione fra quello che può essere l’arredo “classico” e quello moderno, ma più precisamente quell’insieme di forma, design, colori e materiali che è capace di definire uno stile del tutto proprio di ogni oggetto e che deve essere valutato come attinente o non attinente a tutto il resto. Un tavolo, ad esempio, completamente in legno scuro, pur nella sua modernità può richiamare ad un ambiente di gusto più “borghese” ed essere per ciò abbinato ad un arredo estremamente elegante. Lo stesso tavolo, coniugato però nei colori più chiari dei legni esistenti in commercio, può essere invece il rifermento per uno stile di gusto molto “nordico” ed essere per questo più opportunamente abbinato ad ambienti giovani ed informali. La medesima cosa vale per le sedie: non è più il tempo in cui si tappezzavano le sedie con lo stesso tessuto in cui si rivestiva il salotto; un’opportuna scelta coordinata però è lo stesso indispensabile quando si tratta di arredare con delle sedie un ambiente open space. Esse dovranno dunque essere intonate all’arredo e pur se esiste una certa libertà sulla scelta delle forme e dei colori di quest’ultime, è sempre necessario optare per delle sedie che abbiano ben visibile in sé la ragione per cui sono state scelte ed alloggiate in quello specifico soggiorno.
Regola 9) Integrare ed abbinare i colori ed i materiali
Come abbiamo appena visto dunque, l’arredamento di un soggiorno moderno, pur nella sua estrema libertà compositiva, necessita comunque dell’osservanza di alcune direttive fondamentali. Fra queste, senza dubbio, vi sono quelle che riguardano gli abbinamenti fra colori e materiali. D’altronde, quando qualche paragrafo fa parlavamo di “equilibrio e compostezza”, ci stavamo proprio riferendo a quell’ordine mentale e fisico che deve regnare in ogni progetto d’arredo per la zona giorno, anche il più informale.
In ogni soggiorno moderno che si rispetti dunque, i muri, i mobili, il soffitto, le tende e i tappeti, devono offrirsi a noi come tante pennellate di un quadro che nel complesso, con i suoi colori e i suoi materiali, deve riuscire a farci star bene, guardandolo e vivendolo nella realtà. Se ci sforzassimo di immaginare un soggiorno senza queste componenti infatti, ci apparirebbe come un mondo talmente grigio ed uniforme da apparirci senza dubbio spiacevole.
Dallo stile moderno abbiamo ormai appreso ad amare ed utilizzare con sicurezza e buon gusto l’alternanza fra colori e materiali, spesso, anche molto differenti fra loro. In passato non era così: i mobili erano quasi sempre marroni (talvolta bianchi, ma non in Italia), mentre le tappezzerie si ripetevano monotematicamente sui divani, sui tendaggi, sui tappeti e su tutto ciò che era in qualche modo coordinabile. La casa moderna ci ha invece perfettamente abituati ad una certa libertà di azione in cui anche un’eccezionale invasione di toni vivi, di contrasti a volte anche violenti e di accostamenti audaci, non fanno altro che rendere i nostri ambienti più gioiosi, vivaci e accoglienti. Tuttavia, per abbinare bene i colori e i materiali, anche (o, forse, soprattutto) in un soggiorno, bisogna stabilire preventivamente un giusto equilibrio di forza e di influenza reciproca. Non è possibile realizzare infatti una perfetta armonia senza conoscere almeno qualche principio elementare, qualche regola fondamentale.
Come si utilizzano allora i colori in un soggiorno? Partiamo innanzitutto da un concetto: è molto difficile parlare di colori nell’arredamento (e di conseguenza, di materiali), prima cosa perché, come è risaputo, ognuno di noi percepisce i toni in modo diverso e secondariamente perché c’è una variabile fondamentale che dipende dalle “tendenze in atto”. Sì perché la “moda” intesa come propensione temporale verso un certo tipo di preferenza, con la sua grande propulsione verso il compiacimento e dunque verso l’omologazione nell’arredo, come in tutti gli ambiti che interessano il gusto delle persone, assume una grandissima importanza. Attualmente ad esempio nell’arredamento di un soggiorno si preferiscono i colori “della terra” come i diversi toni del Marrone, i Grigi e tutte le varianti che si possono ottenere mixando questi colori, oppure immaginando dei materiali naturali (come la pietra ed il legno) che li contengano. Fino a qualche decennio fa invece erano spesso il bianco ed il nero (magari in versione lucida) a farla da padrone nei soggiorni moderni. Nessuna di queste scelte può dirsi sbagliata quando è figlia del preciso periodo storico in cui viene effettuato il progetto; ma se proprio si vogliono scovare delle regole universali buone per ogni tempo e per ogni stagione, possiamo provare a indicarne qualcuna.
Nelle grandi superfici, come pareti e soffitti, sono di solito da prediligere colori chiari, più o meno luminosi a seconda dell’esposizione e dei gusti personali: bianco, bianco sfumato di colore, grigio caldo, canapa chiaro. I colori scuri si possono tranquillamente utilizzare anche per le murature (specie se si ha delle grandi superfici a disposizione), ma bisogna saperli calibrare per evitare di rendere opprimenti degli ambienti troppo piccoli per essere tinteggiati di grigio scuro o di marrone. Date le molteplici funzioni del soggiorno, infatti, la parete cui è accostato un divano, o un tavolo o un mobile potrà essere ravvivata con un colore più forte (bruno, azzurro scuro, verde scuro), sempre soltanto se si ha un’idea complessiva ben precisa del proprio progetto d’arredo. Se si vuol dare “sapore” a qualche parete, da un po’ di tempo, si può usufruire anche dei tanti vantaggi delle moderna carte da parati, le quali sono divenute decorazioni molto diverse da quelle che venivano fabbricate fino a pochi decenni fa. Adesso le carte da parati sono più assimilabili a delle “gigantografie” e se hanno in verità ben poco a che vedere con le foto delle Alpi o dei paesaggi Caraibici che ognuno tende a immaginare quando sente questa parola, permettono, proprio come accadeva per le grandi foto da parete, di poter essere adattate dimensionalmente e graficamente con le dimensioni e le necessità di tono di cui si ha bisogno. I materiali più salienti ed interessanti, quali legni, laccature, malte, metalli eccetera, sono sempre destinati alla mobilia, così come i tessuti agli imbottiti (divani e poltrone) ed alla tappezzeria. Nell’ottica di creare un arredamento che mantenga intatta il più possibile la propria modernità, bisogna puntare nel progetto a colori e materiali non destinati a “passare di moda”. Le tinte vivaci (gialle, rosse, arancioni), così come le materie molto particolari, dovranno dunque essere riservate a piccole superfici (come le rifiniture o i piccoli frontali del mobile) oppure ad accessori facilmente sostituibili come un tappeto, le tende, i cuscini appoggiati sul divano e i soprammobili.
Regola 10) Massimizzare l’utilizzo degli spazi vuoti
Un suggerimento importante per chi desideri sfruttare al meglio lo spazio interno ad un soggiorno è quello di non sottovalutare gli spazi da lasciare vuoti e disponibili al passaggio, rispetto a quelli che si intende occupare con l’arredamento. Le recenti proposte arrivate dal settore del mobile a proposito dell’arredo moderno da “zona giorno”, vedono consolidarsi quei rinnovamenti anticipati qualche anno fa (e non solo dal punto di vista formale) attraverso i quali si tende sempre più ad una certa “sintesi”, funzionale e concettuale dell’arredo, piuttosto che a una sua mera funzione decorativa. E’ forse però anche il concetto stesso “dell’abitare il soggiorno” che, come abbiamo visto in questi pochi paragrafi, si sta profondamente modificando. Che cosa chiedono le persone ad un arredo da zona giorno che sia effettivamente capace di incidere positivamente sulla loro vita? Sicuramente nei più recenti progetti si è espressa al massimo la propensione a rendere ogni soggiorno polifunzionale e versatile: tanto design minimale dunque, ma con forme, colori e materiali sempre più accattivanti ed attuali, e purtroppo con qualche debolezza -specie nel progettare spazi che per le loro dimensioni ridotte- che mettono spesso a dura prova qualsiasi arredatore. E’ in questo ambito di ragionamento che deve inserirsi una riflessione, doverosa e puntuale, su quelle che sono le dinamiche, per così dire, “esterne” al progetto d’arredo, ma che devono assolutamente essere prese in considerazione quando si ha a che fare con ambienti che, come quello del soggiorno, vengono ultimamente sfruttati quasi sempre al massimo. Abbiamo parlato finora di un soggiorno moderno che può essere usato di volta in volta, a seconda dei casi, come Sala da pranzo, come Salone (inteso come luogo dove ricevere tanti ospiti insieme), come Salotto, come Studio, come Zona lettura e relax e, quando richiesto, anche come Ingresso dell’abitazione e come Cucina. Abbiamo però forse tralasciato il fatto che il soggiorno è, sempre più spesso, una “stanza di passaggio”. Ormai i corridoi nelle case non esistono più: i loro muri sono stati abbattuti per ottimizzare gli spazi ed abitarli per intero e, dove è stato possibile, si è addirittura preferito fare a meno anche dell’ingresso, in modo da sfruttare fino all’ultimo centimetro, tutta la superficie a disposizione. Allo stesso tempo però si è “caricato di compiti” la zona giorno, creando una certa idiosincrasia fra quelli che sono gli spazi occupati dai mobili, ovvero dall’arredo in generale, e quelle che invece sono le zone lasciate vuote nel soggiorno perché destinate al transito. Si tratta di una contrapposizione archittettonica che deve per forza avere un solo vincitore, il quale, per i motivi che fra poco vedremo, deve essere tassativamente il “vuoto”.
Abbiamo già visto quanto è importante in un soggiorno evitare l’ammasso di mobilia, ma a parte questo indiscutibile presupposto, c’è da considerare quanto la zona giorno della casa sia divenuta col tempo anche il suo principale ganglio viario. Dal soggiorno si passa per entrare in casa, per raggiungere la cucina, per andare nella zona notte, per andare ad aprire la finestra o la porta finestra spesso più importante di tutta l’abitazione e per arrivare alle singole zone funzionali in cui è suddiviso il soggiorno stesso. Un vero e proprio maxi-incrocio in cui rischia di crearsi un ingorgo ogni volta che si tenta di occupare le sue “strade” con un mobile o un oggetto in più. Per questo motivo gli spazi vuoti in un soggiorno moderno sono più importanti del suo stesso arredamento e come tali vanno considerati. Un errore che si fa di frequente è ad esempio quello di costringere le persone ad attraversare il salotto (inteso come insieme di divani, tavolino e mobile porta TV) per arrivare alle altre zone della casa, come la cucina o la zona notte. Ciò è assolutamente da evitare, e piuttosto che creare questa situazione è di gran lunga preferibile fare a meno di qualcosa o diminuire le dimensioni di qualche mobile del salotto, invece che dover passare necessariamente in mezzo a quest’ultimo. Si tratta sempre di barcamenarsi fra l’esigenza di spazi pieni e la necessità di spazi vuoti di cui abbiamo parlato fin dall’inizio, quando abbiamo individuato in “equilibrio e compostezza” le parole chiave dell’arredamento di un soggiorno. Sicuramente l’impatto che gli arredi presenti sul mercato (anche quelli presenti nei cataloghi La Casa Moderna) hanno sul gusto delle persone e i desideri che talune soluzioni possono indurre in chi abita in case che definire “normali”, non è assolutamente da considerarsi svilente, può essere di grande stimolo per far capire il pieno valore che ogni casa è capace di esprimere. Il rischio però di non fare bene i conti con la tipologia edile che si possiede (o che si ha intenzione di acquistare) o con il budget che ci possiamo permettere, induce molto facilmente a immaginare arredamenti che non si prestano al progetto che ci stiamo apprestando ad affrontare. Troppo spesso per avere un effetto realmente armonico in un soggiorno, occorrerebbero interventi che in realtà interessano ancora una percentuale troppo bassa, rispetto a tutti coloro che acquistano mobili e allora succede, purtroppo, che invece di un arredamento bello e funzionale, si ammobilia semplicemente il soggiorno con una accozzaglia di suppellettili frutto di acquisti separati, fatti magari diluendoli nel tempo. La tendenza ad aggiungere successivamente “pezzi singoli”, dovuta per lo più al relativo valore che si tende a dare alla casa in cui si vive rispetto ad altre priorità (Smart-phone, Tv, viaggi ed animali domestici), fa sì che sia alquanto difficile, se non impossibile, ottenere un risultato appena sufficiente dal punto di vista del design del proprio Living.
Chiarito questo punto, proviamo a mettere nero su bianco alcuni principi imprescindibili che tutti sarebbero tenuti a seguire a tal proposito. Per far questo partiamo proprio dal salotto nel quale, essendo esso solitamente composto da Divani, Mobile con Tv e Tavolino, dovrebbe di solito mantenersi una distanza minima fra i suoi arredi di circa 60 cm. Come abbiamo appena detto però, questi 60 cm non possono essere utilizzati come passaggio: i tragitti funzionali del soggiorno, dovrebbero infatti passare intorno al salotto ed avere una larghezza minima di 90 cm. Una sola deroga è concessa a questo assioma: quando in un soggiorno moderno rettangolare il divano è posizionato a parete ed il soggiorno è necessariamente da attraversare per raggiungere la porta finestra che è a disposizione della stanza. In questo caso è consentito percorrere il salotto, a patto che a tale scopo vi sia stato predisposto un passaggio di almeno 90 cm fra Mobile principale e tavolino da fumo. In ogni caso dunque è da sconsigliarsi l’attraversamento fra il divano (o i divani) e il tavolino da fumo, perché ciò crea imbarazzo e disordine.
Chi invece deve fare i conti con il proprio limitato spazio, ma deve per forza inserire in soggiorno anche la zona pranzo, deve sapere che sono necessari almeno 80/90 cm in più, da lasciare liberi intorno al tavolo per sedervi e poterci girare intorno. Questa distanza è valida anche in presenza di una credenza o di una vetrina ed anche in questo caso, è sconsigliabile utilizzare questo corridoio quale passaggio. Un discorso a parte lo merita l’ingresso, per il quale, quando c’è, è necessario lasciare il più ampio spazio libero del Living. Esso si calcola in almeno 5/6 mq, i quali dovrebbero essere posizionati perpendicolarmente alla porta, nel classico schema rettangolare di 2 metri per tre. Tutti gli altri passaggi, verso la cucina, la zona notte eccetera dovrebbero avere una larghezza minima di 90 cm, anche se la misura di un metro e venti sarebbe in realtà quella minima consigliabile nella maggior parte dei casi.
Arredare il soggiorno: sembra facile ma non lo è
Abbiamo visto insieme come seguendo poche regole è possibile farsi venire in mente tante idee per arredare un soggiorno moderno. Ogni casa è però differente, così come differenti sono le esigenze che ogni famiglia possiede, è quindi solo dalla sintesi di quest’ultime con la migliore coniugazione dello spazio disponibile che possono venir fuori i migliori progetti d’arredo. Le regole sono quindi valide a livello generale ma vanno declinate singolarmente ed interpretate con molta attenzione. Oggi per arredare una zona giorno moderna in maniera equilibrata e composta non basta improvvisarsi designers: bisogna aver studiato, avere esperienza specifica e soprattutto conoscere tutto ciò che offre il mercato. Chiunque sa che i divani tradizionali a due o tre posti possono essere sostituiti da quelli con penisola, ma in quanti conoscono quale forma possono assumere e quante funzioni nuove e quasi sconosciute, quest’ultimi, possono essere chiamati a svolgere? Molti sanno, ad esempio, che i mobili da soggiorno possono essere per la maggior parte componibili, ma in quanti sanno quanto tipi di differenti comparizioni essi permettono? Tanta libertà di scelta richiede molta più competenza di quanta, spesso, se ne ha a disposizione. A fronte di questa affermazione il nostro consiglio potrebbe essere tranquillamente quello di non farsi spaventare e di “studiare” di più, ma siccome il tempo a disposizione delle persone è solitamente sempre poco, ecco che l’aiuto di validi professionisti come quelli presenti nei negozi La Casa Moderna, diventa davvero indispensabile. Per cui rechiamoci da chi fa questo mestiere da sempre, con le idee molto chiare, simuliamo pure i nostri gesti quotidiani e confrontandoci con i nostri spazi immaginandosi alle prese con i mobili e gli arredi che più ci piacciono… Ma poi lasciamo fare a chi, senza dubbio, ne sa più di noi. Il consiglio più giusto da dare è dunque quello di documentarsi, imparare e anche seguire il proprio cuore per le scelte “di impatto”, tenendo conto però sempre che sono i dettagli che fanno bello l’insieme e che, se non vogliamo che la nostra casa diventi un magazzino, sarà meglio affidarsi a chi saprà affrontare il progetto del nostro soggiorno, lasciando vuoti degli spazi, piuttosto che occuparli solo per il gusto di riempirli.
Conclusioni
Speriamo che la nostra guida su come scegliere un letto imbottito ti abbia fornito le informazioni necessarie per prendere una decisione consapevole e soddisfacente. Presso Griva Arredamenti, siamo pronti ad aiutarti a realizzare arredamento su misura.
Ti invitiamo a visitare i nostri showroom di Pinerolo e Torino, dove potrai scoprire di persona la qualità e l’eleganza dei nostri mobili. Potrai toccare con mano i materiali, valutare le soluzioni di spazio e ottenere consigli personalizzati dai nostri esperti.
Se hai domande o desideri ulteriori informazioni, non esitare a contattarci. Saremo felici di fornirti tutte le risposte di cui hai bisogno dai nostri esperti interior designer.
L’armadio, tutti lo sanno, è uno dei mobili che più crea preoccupazione a chi deve inserirlo nei propri ambienti. Del resto si tratta quasi sempre dell’oggetto più voluminoso di tutta la casa e per questo il suo posizionamento è spesso frutto di attente riflessioni. Oggigiorno poi, le dimensioni delle case sono spesso sempre più ridotte mentre, per assurdo, le dimensioni degli armadi di cui si sente di aver bisogno sono sempre maggiori. Tale paradosso è probabilmente dovuto alle usanze a cui ci hanno abituato il benessere, un certo tipo di “consumismo” e la recente globalizzazione del commercio, a causa dei quali, siamo sempre più sollecitati ad acquistare prodotti d’abbigliamento all’ultima moda, a prezzi davvero molto convenienti. La verità che ne viene fuori, in ultimo, è che in casa c’è sempre bisogno di maggiore spazio interno agli armadi e questo comporta l’inserimento di “volumi” che spesso non si confanno con le misure delle stanze in cui vengono alloggiati. In questi casi l’unica cosa davvero conveniente da fare è quella di cercare un compromesso fra lo spazio interno del mobile e il suo ingombro, facendo però tantissima attenzione all’estetica del manufatto.
Eh sì, perché per strano che possa sembrare, l’estetica degli armadi ha assunto nel frattempo un’importanza davvero notevole.
Eppure, in fin dei conti, non dovrebbe essere nemmeno necessario dedicare così tanta attenzione all’esterno di un mobile che, come appunto avviene per un armadio, nasce con una specifica esigenza di contenimento. Fatto sta che però non si può più fare realmente a meno di un bell’armadio, tant’è vero che questi grossi e ingombranti compagni “notturni” ci sono diventati amici sempre più indispensabili.
E vediamoli dunque questi “famosi” armadi, vediamo le novità che li caratterizzano, vediamo quali sono le loro peculiarità più salienti e innovative e vediamo, soprattutto, quali sono i motivi per cui è opportuno scegliere un armadio rispetto ad un altro. Facciamo questo attraverso un excursus “casuale” che cercherà di essere più completo ed esauriente possibile, senza però avere l’ambizione di rappresentare davvero tutte le tipologie di armadio esistenti in commercio, ma sicuramente quelle più diffuse e gradite dai nostri clienti.
L’armadio anta liscia con vano a giorno
Quando si pensa ai modi più logicamente plausibili per ottenere un “alleggerimento” dei volumi di un armadio, quello di dotarlo di un grande vano a giorno è senza dubbio fra questi. In queste foto è possibile ammirare infatti come, dotando un semplice armadio ad anta liscia di elementi progettuali specifici ed originali -tipo il grande elemento aperto che si staglia al centro della struttura qui fotografata- è possibile ottenere dei risultati estetici davvero importanti, anche se in presenza di grossi volumi. L’armadio in questione fa parte della Collezione La Casa Moderna ed è caratterizzato da delle ante lisce, laccate in uno fra gli innumerevoli colori disponibili, e dotate di una maniglia “a gola” che attraverso un piccolo incavo verticale posto al profilo dell’anta, permette l’apertura dell’armadio. L’originalità della composizione sta, come abbiamo detto, nel modulo aperto che ne costituisce la parte esteticamente più evidente. Esso è formato da un “ponte” superiore, costituito da tre ante di un’altezza di circa un metro, le quali fanno da coronamento ad un ampio pannello-schienale su cui è applicato un elemento scrittoio-toilette, fornito di cassetti e di simpatici vani a giorno. L’innovazione di questo progetto non sta però nell’utilizzo di un piano di lavoro o appoggio disposto al centro dell’armadio, bensì dall’uso del colore che viene fatto in maniera da rendere evidente e particolarmente piacevole l’effetto complessivo.
In realtà il pannello schienale può essere utilizzato anche per appoggiarvi davanti un vero e proprio scrittoio, magari antico o di design, così come per alloggiarvi un comò o una cassettiera. In questi casi quello che è importante infatti non è tanto l’utilizzo che si farà del vano, bensì il valore estetico “proprio”, che esso è capace di assumere all’interno della composizione. Del resto non vi è alcun dubbio che, nella maggior parte dei casi, questi spazi aperti vengano inseriti all’interno degli armadi soprattutto per diminuirne l’impatto visivo e per renderli piacevolmente più originali. E’ per questo che l’utilizzo di un colore particolare “in contrasto” rende il progetto complessivo così piacevole e accattivante. Si tratta soprattutto di attrarre l’occhio, catturare lo sguardo di chi osserva il mobile, distrarlo da quella che è l’imponenza del volume dell’armadio ed allo stesso tempo stabilire in esso una precisa classifica di elementi caratterizzanti che, ordinati per importanza, contribuiscano tutti ad ottenere un effetto sicuramente diverso da quello che si avrebbe osservando un normale contenitore ad ante.
Proviamo adesso ad immaginare un posizionamento che possa rappresentare l’ideale collocamento di un mobile di questo tipo. Andando ad esaminare la struttura più nel particolare potremo accorgerci che essa è formata, da un lato, da un armadio a 4 ante uguali di una larghezza di circa 50 cm ciascuna, mentre dal lato opposto essa è caratterizzata da una semplice coppia di ante di ugual misura. Questi due moduli laterali, raggiungono una misura complessiva di 3 metri, la quale corrisponde dunque ad una normale armadio a 6 ante da camera matrimoniale. A questi tre metri è però necessario aggiungere le tre ante che formano il ponte che sovrasta il vano a giorno: esse misurano circa 50 cm ciascuna e portano l’armadio a misurare dunque 450 cm in totale. Le dimensioni medie di una camera matrimoniale vanno solitamente dai 20 ai 25 metri quadri e ciò consente solitamente di poter contare su “pareti armadio” che variano dai 400 ai 450 cm in larghezza, proprio come l’armadio in questione.A proposito di altezza, quella dell’armadio fotografato è ad esempio di 260 cm, tale cioè da poter essere tranquillamente inserita all’interno di stanze di 270 cm. Quest’ultima è la dimensione minima di altezza considerata dalla maggior parte dei regolamenti comunali; per questa tipologia di mobile sono però disponibili numerose altre altezze che vanno solitamente da un minimo di 230 cm ad un massimo di tre metri. Un’ultima osservazione riguarda le maniglie: negli armadi ad anta liscia come questo, infatti, il design minimalista che contraddistingue tale tipo di progetto, fa sì che si debbano per forza scegliere delle aperture capaci di non inficiare l’effetto sobrio e rigoroso del mobile stesso. A questo scopo è stato deciso di fornire gli sportelli di alcune piccole “fresature”, le quali formano delle “nicchie” in cui sia possibile inserire le punte delle dita per aprire le ante. Esse possono essere posizionate sia nell’anta di destra che di sinistra in maniera da rendere più comoda l’apertura chiunque utilizzi questo tipo di armadio. Un modo come un altro per unire la funzionalità all’estetica di un prodotto d’arredo.
Armadio anta liscia con elemento laterale libreria
Rimaniamo nel mondo degli armadi “anta battente” con questa versione di armadio liscio dal gusto sobrio ed elegante. Come ogni armadio che si rispetti anche questo è infatti un compromesso fra estetica e praticità che ha uno scopo ben preciso: ottimizzare gli aspetti funzionali e contenitivi, unendoli con quelli prettamente estetici.Partiamo dalle sue dimensioni, le quali sono per questo armadio piuttosto generose, soprattutto se raffrontate a quelle medie di una camera matrimoniale. Il mobile in questione misura infatti 440 cm di larghezza ed è formato da 8 ante di armadio e da un elemento a giorno di circa 40 cm di profondità. La sua misura lo rende adatto ad ambienti molto ampi, che possiedano pareti libere sufficientemente grandi da essere riempite con armadi di queste dimensioni. E’ però assolutamente indispensabile sapere che gli armadi moderni consentono una ampissima possibilità di personalizzazione ed è dunque facilissimo adattarli ad ogni misura. Questa soluzione, ad esempio, può essere particolarmente adatta a quegli ambienti in cui il volume dell’armadio si avvicina troppo alla porta o a quelli in cui è necessario in qualche modo “abbellire” il suo profondo ed imponente “fianco laterale” parrebbe troppo evidente a chi lo osserva. Per risolvere questo specifico tipo di problemi è infatti previsto l’utilizzo di comodi e begli “elementi terminali a giorno” (come quello mostrato in queste foto), i quali hanno proprio la funzione specifica di “decorare” in un certo senso l’armadio stesso, in modo da far apparire più lieve il suo ingombro.
La forma di questi elementi può essere molteplice e può variare sia nelle dimensioni che nelle sue caratteristiche funzionali, vi sono elementi laterali da armadio che possono avere delle ante chiuse e delle parti a giorno; ve ne sono di stondati e di rettangolari e ve ne sono alcuni dotati di fisionomie così interessanti ed originali da essere doverosamente citati in un articolo come questo. Lo faremo dunque più avanti, dovendoci adesso concentrare sull’elemento laterale oggetto di questa foto, è assolutamente indispensabile sottolineare la sua bellezza e la sua estrema utilità. Del resto basta fare un po’ di conti con la vita frenetica del mondo moderno e di quanto poco spazio essa ci riservi per il nostro relax e per i nostri hobby, come la lettura (che siamo quasi sempre costretti a praticare nei pochi tranquilli attimi di calma che precedono il nostro sonno), per rendersi conto della valenza di questo mobile. Dove potremo altrimenti posizionare i nostri libri, in una camera in cui non è previsto per loro nessun appoggio? Ecco che una soluzione come quella qui mostrata può divenire davvero indispensabile in certi casi. Si tratta infatti, né più né meno, di una capiente libreria, la quale nei pochi centimetri (circa 35/40) della sua profondità è capace di contenere centinaia di libri che altrove non potrebbero mai trovar posto.
Non è affatto detto però che una libreria debba per forza essere utilizzata esclusivamente per dei libri! Ed ecco infatti che la dimensione estetica dell’elemento assume una nuova valenza, soprattutto se la si considera come contenitore di oggetti decorativi, quali vasi, piante, sculture, collezioni e quant’altro possa contribuire ad abbellire e adornare un ambiente altrimenti piuttosto “scabro” come può apparire spesso una camera da letto. D’altronde abbiamo già detto più volte quanto possa risultare determinate l’estetica di un prodotto in qualche modo “semplice”, come può essere un armadio, nel progetto complessivo di una camera matrimoniale. Questo è un aspetto che va tenuto presente sempre perché, se esternamente ogni armadio può essere considerato sempre diverso a seconda dei tanti modelli disponibili in commercio, per quanto riguarda l’interno il ragionamento non è molto diverso.
Internamente infatti, anche se questo armadio mantiene in realtà il suo regolare aspetto, può essere fornito anche di accessori aggiuntivi come la cassettiera, i ripiani porta camicie, i servetti oleodinamici e tutto quanto possa essere utile a mantenere l’ordine all’interno della camera, in modo facile e piacevole.
E’ opportuno soffermarsi su questo aspetto, specie in relazione a quelli che sono gli utilizzi quotidiani di un armadio, i quali si basano spesso su esigenze molto differenti fra loro. La base di partenza è sempre l’abbigliamento, che bene o male è il vero protagonista di ogni armadio. A seconda delle proprie abitudini può cambiare la disposizione interna più adatta che è necessario fornire all’armadio che si intende utilizzare. Qualora ci si vesta, ad esempio, molto spesso con abiti che necessitano di essere appesi, si dovrà infatti adibire il nostro armadio con numerosi “pali” su cui appendere le grucce; qualora invece si prediligano vestiti più adatti ad essere riposti piegati, sarà necessario predisporre gli spazi dotandoli di numerosi cassetti e di altrettanti ripiani. Una cosa è da non sottovalutare a questo proposito: il fatto incontrovertibile che gli abiti riposti nei cassetti vengono maggiormente protetti dalla polvere mentre quelli riposti sui ripiani hanno bisogno di una protezione e di una pulizia maggiori perché sono ovviamente più soggetti ad essere contaminati dalla polvere. Un buon armadio è un mobile che è possibile adibire a seconda dell’esigenza dei padroni di casa e che è soprattutto possibile “modificare” col variare temporale dell’esigenze. Vi è poi la questione delle “stagioni”, argomento che, specie in un paese dal clima molto variabile come l’italia, risulta essere particolarmente sentito. Si chiamano per l’appunto in gergo proprio “stagionali”, quegli armadi la cui dimensione interna permette una suddivisione degli spazi tale da poter separare e riporre in maniera diversa gli abiti invernali da quelli estivi. Questa caratteristica è da tenere davvero molto in considerazione quando si progetta un armadio, perchè da essa dipenderà la facilità con cui si potrà ottenere la migliore pulizia e la conservazione degli abiti.
Ma torniamo per un attimo a parlare di “estetica” e riprendiamo in considerazione quelle che sono le caratteristiche che determinano la forma ed il colore del nostro mobile. Ogni armadio, d’altronde, potrebbe apparire uguale a mille altri se non fosse per quelle peculiarità specifiche che solo i grandi prodotti di arredo sono in grado di esprimere e di far apprezzare. In questo caso quegli elementi caratterizzanti sono due: il colore utilizzato per verniciare le superfici laccate dell’armadio e le sue maniglie. Per quanto riguarda il primo carattere, non si tratta che di una delle innumerevoli possibilità che offre la grande industria del mobilio italiana. Tecnologia, innovazione, valori che mixati con quella dose di esperienza e tradizione che non guasta mai, sanno dar vita a soluzioni sempre nuove e capaci di soddisfare centinaia di migliaia di consumatori in tutto il mondo. In questo caso stiamo parlando di una “laccatura opaca”, un tipo di verniciatura capace di donare al mobile un effetto morbido e setoso grazie a vernici all’acqua totalmente atossiche di ultima generazione. Sono finiture estremamente particolari e tecnologicamente avanzate che danno il loro meglio quando si tratta di riprodurre colori particolarmente intensi come il blu, estremamente originale, presentato in queste foto. Anche per le maniglie si è puntato all’originalità: non una maniglia esterna, sporgente ed in qualche modo “usuale”, ma nemmeno una comune “gola” verticale, bensì un incavo, scavato e ben progettato, che attraverso il suo semplicissimo design è capace di donare un’eleganza estrema a questo mobile così sobrio e rigoroso nelle sue linee. Per aprire questo armadio è dunque sufficiente inserire la punta delle dita all’interno di questo incavo e tirare l’anta verso di se. Se posizionata alla giusta altezza questa sorta di fessura sarà molto pratica da utilizzare e molto bella da vedere. Un particolare eclatante che non sfuggirà a coloro che pretendono, anche in arredi funzionali quali sono gli armadi, caratteristiche capaci di rendere piacevole la loro vista ed assolutamente irripetibile il loro design.
L’armadio battente ad ante miste, in vetro ed in legno
L’originalità, è una delle caratteristiche più ricercate da chi pretende di arredare la propria camera con un armadio che sia bello da vedersi e non ingombrante nel suo aspetto.
Proprio sulla scia di questo tipo di esigenza si è andata affermando da un po’ di tempo a questa parte una delle ultime mode più interessanti ed innovative in tema di armadi: quella di fornire il proprio mobile da camera di trasparentissime ante in vetro. A voler essere sinceri, questa tendenza non è proprio un vera novità, perché già negli anni 90 alcune importati aziende brianzole avevano iniziato a produrre degli eleganti “armadi in vetro”. A quel tempo però la mania dell’ordine e della pulizia dominava i criteri progettuali dell’arredo e per questo motivo gli armadi erano quasi sempre forniti di vetri satinati che non lasciavano trasparire il proprio interno. Non sarebbe mai stato tollerato il mostrare, a quell’epoca, l’interno di un contenitore così intimo come può essere il proprio armadio guardaroba! I tempi però cambiano e al giorno d’oggi, pur non essendo mutato in chi compera un armadio il desiderio di riporre i propri abiti in un luogo ordinato e pulito, nessuno si vergogna a far vedere i propri abiti ed a mostrare l’ordine in cui è capace di tenere le proprie cose. Vi è poi una ragione prettamente pratica: chi può dire di non aver mai trovato qualche difficoltà nello scovare i propri abiti, all’interno del suo armadio? Un armadio a vetro risolve questo problema egregiamente perché mostra sempre in maniera ben evidente la posizione degli abiti ed il loro colore, in modo da poterli scegliere ed abbinare immediatamente.
Per questi motivi, ecco nate le nuove bellissime ante trasparenti! Esse sono costruite utilizzando quale supporto degli eleganti e leggeri telai in alluminio che fungono da cornice per delle grandi lastre in vetro temperato ed infrangibile. Tali ante vengono poi applicate a delle normali scocche di armadio, aventi la tradizionale componibilità che caratterizza questa moderna tipologia di mobilia. La grande novità di questa gamma di armadi sta nel poter abbinare alle ante in vetro anche dei comodissimi moduli chiusi con delle ante in legno, senza incontrare alcun problema estetico o funzionale. Le ante chiuse, infatti, consentono da un lato di nascondere in qualche modo le cose che non si gradisce mostrare alla vista, mentre dall’altro, creano un certo tipo di “movimento” compositivo che regala al mobile un design originalissimo ed elegante. La versione qui mostrata, ad esempio, alterna quattro ante in vetro a due moduli chiusi, caratterizzati da uno splendido colore verde laccato opaco. E’ da notare come l’alternanza quasi casuale dei moduli risulti assolutamente piacevole alla vista, donando all’insieme una dignità stilistica davvero degna di nota. La libertà progettuale di questa tipologia di armadi è in effetti talmente ampia da consentire l’accostamento anche di altre tipologie di elementi, come il terminale laterale a giorno che è possibile osservare a destra di questa foto. Si tratta senza dubbio di un esempio abbastanza eclatante di come un mobile di per sé piuttosto “semplice” e per qualche verso quasi “banale”, come può apparire a volte un armadio, possa rivelarsi invece un prodotto d’arredo dotato di una grandissima personalità.
Armadio con vano libreria centrale
Spesso, se si vuole interrompere la monotonia di un grande armadio,non c’è niente di più facile da fare che inserirci proprio in mezzo una graziosa libreria. Essa potrà movimentare il disegno dell’armadio, ma potrà nel contempo essere senza dubbio utile per contenere dei libri o dei bei soprammobili. E se nella nostra camera ci fosse un “pilastro” a deturpare e ingombrare la nostra più bella e utilizzabile parete? Perché non ricoprirlo con un originale scaffale a giorno che sia capace di uniformare il design dell’armadio? Sono tanti in effetti i vantaggi che questo tipo di soluzione presenta; di certo bisogna avere a disposizione delle dimensioni tali da non doverci “pentire” per aver preferito destinare dello spazio a questa tipologia di elemento, piuttosto che sfruttare lo spazio per alloggiarvi un’ulteriore anta di armadio, ma con le giuste condizioni il risultato è davvero garantito. Si perché anche se in casa lo spazio contenitivo non è mai troppo e bisogna fare molta attenzione a sfruttarlo fino all’ultimo centimetro, è altrettanto importante fare in modo di non peggiorare gli ambienti con l’arredo, anziché migliorarli. Nel caso fotografato, ci troviamo a che fare con un armadio ad anta liscia composto da due gruppi di 4 ante ciascuno ed unito tramite il modulo a giorno oggetto delle nostre attenzioni. Nel caso specifico stiamo parlando di un armadio che è diviso in quattro moduli da circa un metro di larghezza su ciascuno dei quali insiste una coppia di sportelli. La misura complessiva dunque è pari a 450 cm: una dimensione di tutto rispetto che giustifica tranquillamente il divertente uso che viene fatto dello scaffale centrale a interrompere la composizione, ma che non è disponibile in tutte le camere da letto.
Quando ci si trova di fronte ad armadi di questa grandezza, in effetti, è abbastanza naturale cercare di pensare a soluzioni che consentano di limitare l’ingombro visivo che l’armadio produce e, proprio come in questo specifico caso, si cerca spesso di adottare colori chiari e di fornire il mobile di un design originale e variegato. Internamente sono armadi, che consentono una grande libertà compositiva e permettono senza problemi di inserire accessori che, magari, in altre situazioni sarebbero impossibili da introdurre. E’ il caso, ad esempio, del cassetto a doppia altezza che si vede in questa foto. Si tratta di un accessorio comodissimo che permette di contenere tutti quegli abiti che, una volta ripiegati, prendono molto spazio come le maglie ed i golf. Un accessorio di questo tipo se inserito in un normale armadio a sei ante può risultare addirittura d’impiccio, perché non consente di utilizzare lo spazio sovrastante per dividere l’armadio in due vani entrambi sufficientemente alti per contenere gli abiti appesi. Nel caso dell’armadio in questione, invece, la sua ampia larghezza permette tranquillamente di inserire qualsiasi tipo di accessorio, perché lo spazio risulterà comunque complessivamente sufficiente a contenere tutto ciò che un armadio deve essere in grado di accogliere.
Ma torniamo per un attimo a parlare di estetica: uno degli altri elementi salienti del mobile fotografato in queste immagini è senza dubbio costituito dalle sue maniglie. Si tratta, come nei casi precedenti, di una coppia di maniglie “ad incasso” per il cui utilizzo è necessario inserire le dita all’interno di un incavo. A differenza delle maniglie presentate nei precedenti armadi, ci troviamo però di fronte ad un incavo che è costituito da una solida fusione in metallo opportunamente sagomata che, tramite una opportuna lavorazione, viene inserita all’interno del profilo dell’anta e laccata con lo stesso colore del mobile o con un colore differente. Le maniglie ad incasso sono un tipo di accessorio funzionale molto in voga in questi ultimi anni. La loro ampia diffusione è probabilmente dovuta al minimalismo preminente che, disprezzando ovviamente tutto ciò che “sporge” e che ingombra la visuale degli oggetti d’arredo, apprezza moltissimo le linee pulite che questo tipo di guarnizione è capace di esprimere. La maniglia ad incasso nasce dunque un po’ con lo scopo di “sparire” all’interno del progetto complessivo, diventando parte integrante dell’oggetto a cui è applicata.
Armadio con nicchie multi-funzioni
Cambia il modo di abitare la propria casa e con esso cambia di conseguenza il modo di acquistare i prodotti d’arredo. Non si va più semplicemente alla ricerca del miglior rapporto qualità-prezzo, ma si cerca di percorrere principalmente due strade, quella del miglior prezzo possibile (e per questo ci sono le apposite strutture commerciali della GDO Grande Distribuzione Organizzata) oppure quella, al contrario, attraverso la quale soddisfare il più possibile le proprie esigenze, sia dal punto di vista funzionale che estetico. Quando si parla di armadi questo assioma quasi matematico salta prepotentemente agli occhi perché ci si trova di fronte a persone che decidono di acquistare l’armadio più economico che sia possibile trovare (dato che non è per loro interessante altro che la sua funzione), e di fronte invece a sempre più persone che, pur di avere un armadio dal design unico e ricercato e dalla perfetta razionalità di utilizzo, sono disponibili a investirci anche molto denaro. Facendo un po’ di attenzione al proprio progetto d’arredo però è oggi possibile realizzare armadi eccezionalmente belli e funzionali anche con budget molto contenuti. E’ questo il caso dell’armadio qui fotografato, il cui design funzionale è stato risolto attraverso due efficienti nicchie capaci da un lato di interrompere l’invariabilità tipica di una armadio guardaroba, e dall’altro di permettere usi alternativi di questa importante tipologia di mobilia.
Quanti di noi si sono lamentati di non possedere uno spazio in camera, dove poter posizionare un grande specchio o un comodissimo servo-muto? Dunque perché non trasformare queste esigenze in un vero e proprio progetto d’arredo che sia capace di coniugare design e praticità in un unico prodotto? La nicchia funzionale proposta in questa foto è un esempio abbastanza evidente di come interventi da considerarsi a prima vista quasi banali, riescano invece ad assumere un grandissimo valore progettuale, se posti all’interno di un percorso funzionale ben congegnato. Questo che vediamo, in effetti, non è infatti altro che un vano aperto realizzato in un’essenza di legno che fa risaltare il proprio colore rispetto a quello del resto dell’armadio; In tale vano sono stati poi inseriti sia un grande specchio che un piccolo palo appendiabiti da utilizzarsi come servo-muto. Il vano in questione misura un metro per due ed è fornito di una illuminazione interna dedicata che fa risaltare tutta la sua originalità all’interno dell’armadio che completa. Tale nicchia fa da contraltare ad un altro vano, di forma stavolta più quadrata, il quale può essere utilizzato -a seconda di come lo si attrezza- sia come libreria che come una sorta di “alcova” da usare per sedersi. Le dimensioni, il posizionamento e le proporzioni delle due nicchie sono volutamente molto diverse fra loro, per far sì che esse riescano a stagliarsi ed a rendersi ben evidenti all’interno della parete unica ed uniforme che altrimenti formerebbe l’armadio. Quest’ultimo, in se, non è una delle versioni più semplici e minimali che possa trovare in vendita chi desidera un mobile guardaroba moderno. Con le ante lisce, laccate in un colore grigio molto tenue, l’armadio in questione è fornito di una componibilità tale da renderlo però progettabile per ogni ambiente senza alcun problema costruttivo. Osservando attentamente la foto panoramica dell’oggetto, si può notare come esso sia composto da elementi di 50 cm (corrispondenti ad un’anta) e da elementi di un metro (corrispondenti a due ante), intervallate a sua volta da moduli più stretti. La sua altezza può variare dai 230 ai 260 cm mentre la sua larghezza è componibile all’infinito, a seconda dello spazio disponibile.
Nel complesso è l’utilizzo delle nicchie il fattore davvero saliente per il design dell’armadio. Grazie ad esse la composizione risulta infatti mossa e variegata, mai priva di eleganza e di ricercatezza e con una sua precisa collocazione di stile.
Le speciali maniglie sono presenti sulle ante di questo armadio, le quali, al fine di mantenere il design di questo armadio più liscio e minimale possibile, sono state costruite con uno speciale meccanismo “a scomparsa” che permette di nascondere il loro profilo nello spessore delle ante. Realizzate in fusione di alluminio, queste maniglie vengono inserite all’interno degli sportelli tramite degli speciali macchinari e verniciate con lo stesso colore dell’armadio o con altri colori. Il meccanismo che esse contengono è semplicissimo: si tratta di una lamina metallica che viene agganciata ad una molla. Premendo questa lamina nella parte alta della maniglia, essa si solleva in basso e permette di inserire dentro la nicchia le dita. Una volta rilasciata, la lamina torna al proprio posto, mimetizzandosi perfettamente con il frontale dello sportello. In questo modo, l’armadio apparirà privo di qualsiasi orpello, pur mantenendo integre le proprie caratteristiche funzionali. Quello della funzionalità è infatti uno degli aspetti da tenere nella massima considerazione in un armadio. Del resto un armadio è fatto per “contenere”, ma anche per rendere facilmente disponibili ed accessibili gli abiti e gli oggetti che esso contiene. Qualora si decidesse, in nome del design complessivo dell’armadio, di sacrificare in qualche modo la sua funzionalità si rischierebbe di fare davvero un grande errore. Come abbiamo detto più volte, qualsiasi arredamento deve essere sempre basato su di un giusto compromesso fra estetica e praticità e, anche se non è sempre facile far coincidere i due aspetti, deve essere in ogni caso compito del designer quello di consigliare al meglio i committenti e progettare gli arredi in modo da far confluire in essi sia le esigenze prettamente estetiche che quelle squisitamente funzionali. E’ un lavoro che noi dei negozi La Casa Moderna facciamo da sempre con passione e i nostri tanti clienti soddisfatti ne sono la prova più eclatante.
Armadio in pendenza per mansarda o per soffitto “a tetto”
Sarebbe stato incompleto, questo articolo, se non avessimo parlato anche di quella tipologia di armadio così particolare da essere annoverata fra la categoria dei mobili “problematici”, quelli cioè che obbligano spesso i padroni di casa a esercitarsi in complicati progetti di arredo.
In effetti non sono pochi i casi in cui ci si trova ad arredare stanze di questo tipo. Si tratta per lo più di ambienti che necessitano dello sfruttamento di pareti in cui il soffitto è posto in pendenza, come le mansarde o quelle stanze poste in case dove non è prevista la soffitta.
Il soffitto in pendenza crea sempre il problema del posizionamento di un armadio di forma rettangolare perché costringe a abbassare la struttura del mobile quel tanto che basta da impedire al suo spigolo più alto di andare a impattare con il punto più basso del soffitto. Per evitare questo problema si creano solitamente degli elementi singoli o doppi di forma regolare a cui si applicano delle ante tagliate in modo da seguire la pendenza del soffitto. Per adottare questo tipo di costruzione è però indispensabile considerare opportunamente i raggi di apertura delle ante, in modo da evitare che le stesse vadano a picchiare nel soffitto quando si tenta inutilmente di aprirle. Nel caso si decida di usare dei moduli “doppi” (cioè a doppia anta), di larghezza di circa 90/100 cm, si è obbligati per il suddetto motivo a fornire gli armadi di ante con apertura “a soffietto”, incernierate nel lato più alto del modulo, in modo che le ante aprendosi non sbattano nel tetto. Nel caso si desiderino invece delle ante con normale apertura a battente, si è costretti forzatamente a optare per delle aperture rivolte tutte dal solito verso (o tutti gli sportelli con apertura a destra o tutti con apertura a sinistra) in modo da permettere le aperture di ogni anta singola. Questo piccolo stratagemma consente lo sfruttamento praticamente completo delle pareti in pendenza perché riesce a rendere usufruibile perfino il piccolo triangolo che si trova sopra al modulo interno rettangolare, sopra il quale sarà possibile appoggiare oggetti e suppellettili.
Armadio con “vano passa-porta” e cabina angolare
Sempre parlando di “mobili problematici” e di ambienti che necessitano di progetti particolari, eccoci arrivati ad un’altra delle situazioni che obbligano ad adottare soluzioni “su misura”, perfino in camera da letto.
Quante volte infatti ci si trova di fronte a pareti che sarebbero perfette da sfruttare per alloggiarci un bell’armadio guardaroba a tutta altezza, ma che si è costretti ad ignorare a causa di una porta che vi è piazzata, magari proprio nel mezzo. Anche in casi come questi nei negozi La Casa Moderna è possibile trovare soluzioni realizzate “ad hoc” in grado di risolvere in maniera semplice ed economica ogni tipologia di problema. Quella fotografata è ad esempio una soluzione di armadio che ingloba al suo interno un vano passante, realizzato esattamente in corrispondenza di una porta. Questa soluzione viene progettata e realizzata ogni volta “su misura” e permette di costruire sia moduli sopra-porta (come quello dell’armadio fotografato), sia armadi divisori bi-facciali, dotati di aperture passanti in grado di dividere, lasciando allo stesso tempo in comunicazione i due ambienti creati nella stessa camera. L’armadio in questa immagine è composto partendo da due elementi laterali posti a destra della composizione, che formano un mobile a 4 ante di circa 180 x 260 cm di altezza. Spostandosi verso sinistra è possibile vedere, appunto, il vano passante, che è realizzato “su misura” con dimensioni corrispondenti a quelle della porta esistente che, in questo caso, serve per accedere ad una piccola stanza studio/multifunzione. Questo vano è realizzato grazie ed un elemento “a ponte” a due ante, di un altezza di circa ottanta centimetri, tramite il quale è possibile superare la larghezza del vano porta, congiungendo la parte destra dell’armadio con quella a sinistra della porta.Dopo il vano sopra-porta infatti l’armadio prosegue con un elemento singolo ad un’anta che si unisce con una splendida cabina armadio angolare. Questo mobile è una vera e propria miniera di spazio: con le sue generose dimensioni (120 x 120 cm) è capace di contenere due vani soprapposti angolari, fatti apposta per contenere tantissimi abiti appesi.
La grande funzionalità di questo tipo di angolo sta nel fatto che le due ante, poste in maniera trasversale in confronto al resto dell’armadio, una volta aperte permettono una perfetta visuale del contenuto. Quel tanto che basta da rendere questo tipo di mobile un vero “must”, desiderato da tutti coloro che hanno a disposizione ampi spazi per alloggiare il proprio armadio. Da notare, in questo specifico caso, è anche l’apertura “a soffietto” delle due ante che coprono l’armadio ad angolo. Quest’ultime funzionano tramite un meccanismo scorrevole che permette di trascinare le due ante -unite da alcune cerniere- verso un lato o l’altro dell’armadio, in modo da ottenerne la massima apertura. Tale tipo di meccanismo è possibile da avere sia negli angoli (come in questo esempio) sia negli armadi dritti. E’ un tipo di apertura che si presta in special modo ai casi in cui si ha bisogno di ottenere delle aperture uniche su vani molto grandi. Se infatti si deve chiudere un armadio di 180 o 200 cm, con le ante “normali” si sarebbe costretti a suddividere le aperture in due vani separati. Con le ante a soffietto questo piccolo problema può essere facilmente superato: un soffietto aprirà due ante verso destra, un altro aprirà le altre due ante verso sinistra ed in questo modo sarà possibile avere completamente sott’occhio un unico vano da 180 cm o due metri.
Proseguendo con la descrizione dell’armadio in foto, è importante segnalare anche come, con questo tipo di modulistica “su misura”, sia possibile facilmente comporre dei grandi armadi ad angolo, anche in presenza di cabine spogliatoio come quella mostrata. Dopo la stessa cabina infatti l’armadio della foto si sviluppa verso sinistra con modulo ad anta doppia della larghezza di circa un metro e si conclude con un elemento terminale a giorno ad uso libreria. Certo, è da considerare il fatto che, per poter adibire un armadio così grande, è necessario avere lo spazio sufficiente. Uno dei tanti vantaggi di chi acquisita nei negozi La Casa Moderna è però quello di poter vedere personalizzati per i propri ambienti (e per i propri gusti) ogni prodotto d’arredo. Sarà quindi molto facile per noi accontentare, con questa tipologia di armadio, anche chi possiede spazi molto ridotti.
Armadio con piccole nicchie colorate
C’è “modo e modo” per arredare una casa, così come c’è “modo e modo” per acquistare un bell’armadio guardaroba. D’altronde cosa ci sarebbe di più semplice che controllare le misure della parete e poi recarsi in uno dei tanti “falansteri” colorati che nel mondo vendono mobili “al chilo”, per acquistare uno dei tanti banalissimi armadi disponibili? Peccato però che dopo poco tempo si sarebbe costretti a smontare il nuovo acquisto ed ad accostarlo accanto al cassonetto più vicino a casa, in attesa che avvenga il ritiro dei rifiuti ingombranti, perché ci siamo accorti della poca avvedutezza che abbiamo utilizzato nel suo acquisto.
Invece c’è un mondo di opportunità, di soluzioni, di idee e di progetti, che a volte è addirittura difficile immaginare per chi si limita ad acquistare il primo mobile che gli capita di vedere a buon prezzo. E’ questo il tipo di ragionamento che fanno coloro che si rivolgono ai negozi La Casa Moderna, i quali, oltre che bei mobili vendono delle gran belle idee. Come abbiamo visto più volte in questo articolo infatti non c’è nulla di più pericoloso, nell’acquistare un armadio, di mettersi in casa un mobile insipido e monotonamente noioso. L’armadio qui fotografato non ha invece sicuramente nulla di scontato, di banale o di mediocre.
La sua superficie frontale liscia, verniciata con una lacca di un bel colore chiaro, è stata infatti interrotta da tre piccole nicchie, laccate anch’esse, ma stavolta di un “blu china” particolarmente evidente. Questo tipo di soluzione però non è realizzabile con tutte le tipologie di armadio esistenti in commercio, perché è bensì specifica di questo modello, la cui componibilità è talmente vasta da consentire anche composizioni così articolate e originali.
Le piccole nicchie infatti sono una parte strutturale dell’armadio che, attraverso degli speciali procedimenti, può ricevere una verniciatura di colore differente rispetto al resto del mobile.
L’uso di questi piccoli vani è prettamente decorativo e serve sopratutto a interrompere la monotonia tipica di ogni armadio; è divertente però immaginare per ognuno di essi un uso “speciale” che sia utile a valorizzare la loro presenza e a far sì che l’armadio stesso ne subisca beneficio. L’armadio in questione è composto da ante da 60 cm e ciò significa che le nicchie blu in esso create, variano la loro larghezza dai 56 ai 114 cm, a seconda se corrispondono al vano singolo o doppio. Sono però disponibili anche vani di larghezza diversa che dipende dalla “partitura” che si intende dare all’armadio. Un discorso a parte merita l’altezza per la quale è prevista una misura minima di 32 cm fino ad un massimo di 96. Questo grande assortimento permette il variare delle dimensioni dei singoli vani, tanto da consentire quasi un “gioco” con il quale sia possibile alternare molto le proporzioni delle singole nicchie. E’ questa disponibilità di proporzioni e dimensioni la chiave dell’utilizzo di questo sistema di costruzione dell’armadio. Attraverso tale componibilità è facile disegnare prospetti capaci di emozionare e di rendere piacevole ogni grande superficie verticale.
Anche in questo caso infatti, si tratta in verità di un armadio molto liscio e moderno che, essendo oltretutto dotato di piccolissime maniglie “a scomparsa” potrebbe davvero “sparire” una volta posizionato nella parete per la quale è stato progettato. Questa è senza dubbio una possibilità, ma per chi desiderasse che il proprio armadio non fosse solo un semplice contenitore, ma che diventi invece un vero e proprio oggetto d’arredo, capace da solo di abbellire e decorare l’ambiente, ecco che soluzioni progettuali nuove ed originali, come quella qui mostrata, possono rivelarsi davvero molto utili.
Armadio ad angolo con spigoli stondati
La qualità di un mobile può dipendere da tanti fattori: la bontà delle materie prime con cui è costruito, le caratteristiche dei procedimenti produttivi con cui è realizzato, la qualità del progetto con cui è ambientato e senza dubbio, l’originalità del suo design. A proposito di quest’ultimo è senz’altro da segnalare il progetto che sta dietro a questo armadio, così importante ed originale, che è mostrato in foto. Si tratta di un vero e proprio sistema componibile “su misura” al centimetro, che annovera fra le sue molteplici possibilità di personalizzazione anche la facoltà di dotarsi di splendidi elementi stondati con i quali comporre sia gli angoli che i moduli terminali. In realtà la possibilità di ambientazione e adattamento di questo tipo di mobile è la stessa che si può trovare in molti altri prodotti La Casa Moderna: altezza e larghezza componibile “su misura”, disponibilità di tantissimi accessori, possibilità di inserimento di elementi speciali, come angoli terminali, ponti, vani a giorno e di tutto ciò che può trasformare un banale armadio in un grande prodotto d’arredo. La forma “speciale” che viene data ad alcuni elementi caratteristici di questo specifico mobile è però tale da renderlo annoverabile fra quei prodotti d’eccellenza che si possono trovare solo in alcuni selezionati punti vendita; come in quelli La Casa Moderna.
Si tratta, nello specifico di questo esempio, di un armadio con finitura laccata realizzato su di una struttura in laminato a cui sono applicate delle ante lisce. La finitura verniciata delle ante permette la realizzazione di alcuni sportelli “speciali” che vengono ottenuti grazie a particolari procedimenti di “curvatura” dei pannelli di fibra di legno che li costituiscono. Attraverso tale lavorazione questi pannelli, originariamente perfettamente dritti subiscono, attraverso dei macchinari, una pressione concentrica che li fa arrivare ad assumere la forma che si vede in queste immagini. L’angolo terminale con ante curve qui mostrato, ad esempio, misura 60 x 60 cm e può contenere sia piccoli appendiabiti che comodi ripiani. La forma e la proporzione di questo terminale lo rende particolarmente adatto a quegli ambienti in cui l’armadio è posto in prossimità di una porta o di una finestra. La forma curva dell’elemento, infatti, riduce l’impatto visivo che potrebbe causare l’imponenza di un normale fianco da armadio (specie nelle sue altezze maggiori, come il 260 cm) e rende l’armadio più bello e meno ingombrante. Interessantissima da questo punto di vista, è anche la presenza di due ante, anziché una, usate per chiudere tale elemento. Il fatto di essere montate in coppia sullo stesso elemento, non è affatto casuale per questo tipo di ante. Il sistema di apertura a battente infatti prevede negli armadi di moderna concezione la costruzione di sportelli che, grazie alle loro speciali cerniere in acciaio, si chiudono automaticamente una volta che vengono spinte verso l’armadio stesso. Tale tipo di chiusura automatico potrebbe causare delle distorsioni nelle ante curve, per questo motivo se ne riduce la larghezza in modo da non rischiare che, con l’andare del tempo, gli sportelli curvi vedano variare la loro forma originale a causa dell’umidità o del microclima degli ambienti ove sono posizionati. A livello estetico inoltre, questo tipo di suddivisione in due piccoli sportelli, crea un effetto ottico molto piacevole di ulteriore riduzione degli spazi, a tutto vantaggio dell’estetica dell’armadio che in questo modo apparirà ancora più snello e bello a vedersi.
L’altro elemento speciale di questa tipologia di mobile è senza dubbio l’angolo. Di armadi ad angolo abbiamo già parlato e parleremo a lungo in questo articolo a proposito del loro facile utilizzo e della possibilità che offrono a chi li acquista nel sfruttare degli spazi, altrimenti impossibili da utilizzare al meglio. In realtà come abbiamo visto e che ancora vedremo, ci sono tanti modi per poter utilizzare lo spazio dell’angolo in un armadio guardaroba. Fra questi vi è la versione classica che prevede la costruzione di un elemento “a elle” su cui insistono due ante, e poi vi è quello di forma “trapezoidale” che forma una sorta di spogliatoio e di cui abbiamo avuto modo di parlare alcuni paragrafi fa.
Quello in versione “curva” può essere tranquillamente considerato come una via di mezzo fra queste due ultime tipologie di armadi ad angolo. Esso infatti occupa uno spazio inferiore, rispetto a quello che potrebbe occupare una cabina ad angolo, ma offre un po’ di spazio interno in più, rispetto a quello che è disponibile in un normale armadio ad angolo. Vi è poi da considerare, ovviamente, la valenza estetica di questo tipo di modulo. Del resto, non tutti gradiscono nelle proprie camere la presenza di spigoli vivi o di elementi tagliati a trapezio, che in qualche modo creano superfici verticali oblique rispetto al parallelismo delle pareti. Per questo motivo l’angolo curvo è molto gradito da tanti clienti, anche in considerazione del fatto che attraverso le due sue ampie ante, una volta aperto, è possibile godere di una visuale completa del suo interno. L’armadio in questione è disponibile in tre altezze (230, 245 e 260 cm circa) e può essere laccato in qualsiasi colore. Quello della foto è realizzato con un tenue color canapa, però un armadio di questa importanza può essere tranquillamente verniciato con ogni tipo di colore -dai più chiari e brillanti, ai più scuri ed eleganti- a seconda dell’ambiente e dell’abbinamento di toni che il resto dell’arredamento e della decorazione richiedono.
Un altro aspetto interessante di questo armadio è senza dubbio quello relativo alla sua grandissima versatilità. Le ante curve, infatti, non sono che uno fra i tantissimi tipi di chiusura e di modulistica disponibili per questa tipologia di mobile. Vi sono anche per questo armadio ante a battente, a soffietto, moduli a giorno, moduli terminali a trapezio, a giorno e qualunque altro tipo di anta esistente attualmente in commercio a proposito di armadi “laccati” moderni.
L’ennesimo esempio di come un progetto, se ben realizzato, si trasforma sempre in un eccellente prodotto di arredo.
L’armadio “a specchio”
Se si considera l’arredamento non come una componente meramente funzionale della casa, bensì come una parte integrante di essa capace di modificarne sostanzialmente l’estetica, si può allora certamente parlare anche di mobili e di complementi come di elementi in grado di determinare già da soli il buon esito di un progetto.
Da questo punto di vista è possibile senza dubbio affermare che l’armadio a specchi (protagonista di questo paragrafo) sia di certo uno di quegli arredi che maggiormente è capace di modificare l’estetica degli spazi ove viene collocato. L’utilizzo diffuso di questo tipo di mobile non è molto recente e risale addirittura in Italia agli anni del boom economico, anni in cui, è sempre bene ricordarlo, si era forse più di adesso capaci di valutare quello che poteva essere il rapporto presente fra costo, estetica e benefici pratici degli oggetti che si acquistavano. L’armadio a specchi nasce infatti proprio per risolvere in maniera piacevole esteticamente, un problema prettamente pratico, quello della carenza di spazio delle stanze. L’intera parete a specchio che ci crea utilizzando un armadio di questo tipo, infatti, dilata i confini e gioca ambiguamente con i riflessi ed il rimando degli oggetti, creando otticamente spazi che nella realtà, non esistono. Un armadio a specchio moltiplica i volumi, illumina l’ambiente, nasconde il proprio ingombro in maniera pressoché completa e suggerisce visuali dell’ambiente altrimenti impensabili. Per questo motivo esso non è utilizzato esclusivamente nelle camere da letto, ma è bensì inserito anche nei disimpegni, negli ingressi e in tutti quei locali, magari privi di luce, che a causa delle loro ridotte dimensioni necessitano di ambientazioni un po’ più ricercate come questa.
Originariamente, la costruzione di un armadio a specchi non differiva molto da quella di un normale armadio guardaroba: l’unica differenza stava nelle ante su cui nel primo caso venivano applicate tramite dei colanti le lastre di specchio. Di recente invece, la moderna evoluzione tecnologica che ha interessato massicciamente anche la produzione dei mobili e degli arredi, consente per le ante degli armadi la realizzazione di leggerissimi telai in alluminio, a cui vengono applicate delle lastre in vetro o in specchio. Si tratta di strutture molto robuste che possono tranquillamente sostenere il peso di qualsiasi vetro temperato infrangibile, pur mantenendo nel complesso una leggerezza tale da essere perfettamente sopportata dalle cerniere metalliche che sostengono le ante.
L’aspetto forse più complesso di questo tipo di mobile è quello che riguarda la scelta delle sue maniglie, le quali devono avere delle caratteristiche tali da essere sufficientemente pratiche da usarsi e facilmente installabili su delle ante particolari come sono quelle a specchio. Un tempo per inserire delle maniglie o dei pomoli su delle ante rivestite completamente con degli specchi, si usava forare il vetro ed il legno sottostante in modo da poter inserire nei fori corrispondenti la vite necessaria per tenere ben fissata la maniglia o il pomello. Sotto questo punto di vista, l’evoluzione che ha riguardato la struttura delle ante ha rappresentato un grosso passo in avanti, perché il telaio di alluminio che sostiene gli specchi può essere adesso esso stesso corredato di una piccola sporgenza tramite la quale è possibile aprire le varie ante. In verità ci sono molti tipi di telaio, disponibili a questo scopo. Alcuni, i più larghi, rimangono in evidenza formando delle vere e proprie cornici che delineano il perimetro delle singole ante. Altri modelli di telaio invece, restano come quello fotografato, quasi invisibili e sporgono dal vetro solo quel tanto che basta per poter formare l’appiglio rappresentato dalle maniglie. Un importante appunto è necessario a proposito di questo tipo di armadio per quanto riguarda la sua componibilità. A differenza degli armadi moderni in legno infatti, un armadio a specchi necessita di essere costruito con un certo rigore a proposito di dimensioni e proporzioni delle ante. In un armadio in legno infatti, non è affatto raro o disdicevole vedere i moduli coperti da ante di larghezza diversa fra loro.
Nel caso degli armadi a specchio questo tipo di composizione è sconsigliabile: l’estetica dello specchio infatti male si abbina con l’asimmetria delle ante.L’idea che è necessario dare, quando si progetta un armadio a specchio, è quella di una superficie continua e regolare che riesca a dissimulare il più possibile le separazioni che esistono naturalmente fra le ante. In questo senso è particolarmente utile l’uso di una modularità regolare che doni a tutte le ante la solita larghezza. Le misure più utilizzate per gli sportelli sono, anche in questo caso, la larghezza 45 e la larghezza 50. Esistono armadi che consentono anche di utilizzare il modulo da 60, ma in questo caso si tratta di armadi la cui qualità è maggiore rispetto alla media, perché forniti di telai dotati di una robustezza tale da sostenere anche il peso di specchi così grandi. Per quanto riguarda le misure infatti, è bene precisare che un armadio a specchio può anche arrivare ad altezze di ben 260 cm, e ciò obbliga quindi a prendere nella massima considerazione il loro peso.
Per finire è opportuno parlare anche delle svariate tipologie di specchio che possono essere posti a copertura di questo modello di armadio. In verità ve ne sono molteplici e vanno dai semplici specchi chiari ai più complessi specchi bronzati, colorati e addirittura anticati. La loro specifica particolarità influisce ovviamente sull’estetica complessiva delle ante che andranno ad essere rivestite e ciò significa, in pratica, che a seconda del tipo di specchio utilizzato, sarà possibile ottenere uno stile piuttosto che un altro. Attualmente infatti, la maggioranza degli armadi a specchio sono caratterizzati da un design moderno e minimale, ma non è raro trovare anche armadi più “classici” rivestiti con dei preziosi specchi antichizzati.
L’armadio con vano porta Tv
Non sarebbe di certo potuto mancare, in un resoconto come questo, una delle tipologie di armadio più richieste negli ultimi anni, quella che permette l’istallazione di una tv al centro dell’armadio.
Nemmeno in questo caso si tratta di una novità assoluta, perchè già negli anni 70 si era cominciato in verità a produrre e commercializzare in Italia, armadi dotati di vani a giorno di dimensioni adeguate da poter contenere un normale televisore. Era però quella l’epoca in cui imperversavano le Tv con tubo catodico le quali erano caratterizzate da una profondità di almeno 60 cm. Ciò presupponeva, praticamente, che lo spazio predisposto per alloggiarvi il televisore, negli armadi di allora non era altro che un semplice vano a giorno dotato di dimensioni adeguate. Adesso il discorso è ben diverso: i televisori moderni, infatti, non hanno più le dimensioni di prima e il loro ridottissimo spessore consente un inserimento anche in spazi davvero limitati. Questo ha permesso ai designer di progettare armadi con i quali, non solo è possibile avere uno spazio dove fissare la Tv, ma è anche possibile orientarla e allo stesso tempo sfruttare lo spazio retrostante ad essa. E’ proprio questo il caso dell’armadio qui fotografato, il quale è dotato centralmente di un vasto vano che può variare in larghezza dai 100 ai 120 cm (come quello nella foto). Tale spazio è fornito di un’anta sulla quale è possibile fissare la tv e nascondervi dentro i relativi fili. Tramite l’apertura di tale anta è possibile orientare la tv in modo da vederla dal letto nell’angolazione migliore possibile ed è altresì possibile accedere ad un ampio vano che permette di sfruttare come contenitore anche quella parte di armadio che è nascosta dietro la Tv.
L’altissima qualità dei materiali e dei sistemi produttivi che è necessaria per costruire un modello come quello in questione appare evidente, sé si pensa alla difficoltà che può esserci nel far girare su se stessa, praticamente fino a 90 gradi, una Tv che nelle dimensioni più grandi può pesare anche alcune decine di chilogrammi. Per ottenere questo risultato è infatti necessario escogitare sistemi che in tutta sicurezza riescano a sopportare anche a distanza di molti anni sollecitazioni davvero non indifferenti. Nel caso specifico in questione, ad esempio, si è optato per ancorare l’anta che deve sostenere la tv, ad un robusto palo in metallo che funge sia da cerniera che da contenitore per i cavi. Attraverso questo ingegnoso sistema è stato possibile ricavare un vano retrostante di misure ragguardevoli che saprà certamente rendersi utile per contenere tutte quelle piccole cose che solitamente in camera non si sa mai dove riporre senza creare disordine. Solitamente questo modello di armadio viene dotato di alcuni vani a giorno posti sotto al vano Tv, che sono progettati per contenere sia gli eventuali apparecchi accessori, sia altri oggetti come libri e soprammobili. In questo specifico caso, per rendere ancora più accattivante il design del mobile, sono stati previsti dei graziosi cassetti “esterni” la cui forma contribuisce sostanzialmente a impreziosire il design complessivo dell’armadio. Da non dimenticare sono le due capientissime ante che fanno da coronamento al vano porta televisore. Esse coprono uno spazio grande circa un metro per un metro e profondo 60 cm: una vera e propria miniera di spazio in cui riporre tutti quegli abiti e quei complementi tessili che necessitano di essere riposti ripiegati. Per il resto rimane evidente, anche per questo armadio, un minimalismo complessivo tendente a ridurre al minimo gli orpelli e limitare le sporgenze. Le maniglie sono costituite da sottili gole in metallo laccato che evidenziano i profili verticali delle ante e ne slanciano la figura. I colori sono tantissimi variano dai toni più chiari dei laccati, fino a quelli più scuri delle essenze di legno.
L’armadio con cassettiera esterna
Rimasta per decenni a esclusivo appannaggio degli armadi da “cameretta”, la cassettiera esterna rappresenta invece, per ogni tipologia di armadio, una grandissima comodità. Essa risulta infatti molto più capiente dei cassetti interni -che si è soliti inserire negli armadi guardaroba- per il fatto che grazie ad essa è possibile sfruttare completamente lo spazio che in larghezza è disponibile fra due fianchi che ne compongono la struttura.Si tratta di una versione da sempre utilizzata, ma che da qualche decennio era abbastanza rara da trovare negli armadi per camera matrimoniale, a causa del desiderio di “pulizia stilistica” che si preferiva avere nel design degli armadi molto grandi. Ciò anche in relazione al fatto che i cassetti esterni causano comunque una sorta di “interruzione” in quelle che sono le perfette linee verticali parallele di un armadio guardaroba. Da un po’ di tempo a questa parte però questa tendenza si è abbastanza modificata ed è sempre più frequente trovare, anche nelle camere matrimoniali, armadi guardaroba completi di cassettiera “a vista”.
Quello presentato in questa foto rappresenta in un certo senso la più recente ed evidente evoluzione della tendenza attualmente in voga. Si tratta in pratica di un normale armadio ad anta battente, che è stato laccato di bianco sulle ante e la struttura del mobile stesso. Per quanto riguarda i cassetti invece si è preferito dare un tocco di colore alla composizione, laccando i frontali con uno splendido colore verde smeraldo. Il mobile segue di per se una modularità piuttosto “standard” regolata su moduli tutti uguali della larghezza di circa 90 cm ciascuno; la particolarità di questo oggetto però risiede nel prolungamento laterale, attraverso il quale si è fornito l’armadio di altri 4 cassetti che, pur essendo esterni alla struttura principale, si integrano perfettamente nel progetto complessivo. Tutto questo è possibile grazie all’eccezionale versatilità degli armadi La Casa Moderna, i quali consentono di utilizzare un assortimento di composizioni così vasto da permettere qualsiasi tipo di progetto.
In quante occasioni ci si è trovati infatti di fronte a stanze da letto in cui era impossibile inserire un comò, se non accostandolo magari ad un armadio esistente? Si tratta di un espediente che in realtà non si dovrebbe mai adottare, perché le regole dell’arredamento cercano di evitare il più possibile l’accostamento di due mobili vicini, quando questi sono posizionati sulla stessa parete. Ecco dunque che un armadio come quello qui fotografato può risolvere egregiamente questo tipo di problema, perché consente di riunire in un unico volume, continuo, due oggetti di arredo solitamente separati: l’armadio ed il comò, appunto.
La chiave del discorso sta tutta nel design che sta dietro a questo tipo di oggetto. Se il suo progetto fosse improvvisato, ci troveremo certamente di fronte ad un arredo strano e forse sproporzionato. L’armonia che invece sta alla base della costruzione di questi volumi, così particolari ed originali, permette invece di ottenere un risultato finale assolutamente piacevole ed omogeneo. Senza considerare tutto ciò che riguarda la praticità d’uso: chi non vorrebbe poter contare in un così alto numero di cassetti? Il sogno di ogni coppia!
Ma parliamo un po’ di misure. L’armadio in questione è composto da moduli che possono avere una larghezza di 90 o 100 cm, a seconda dello spazio di cui si dispone. Questo significa che, in pratica, il mobile qui fotografato, pur avendo una larghezza complessiva notevole 5 metri e 40 cm, può essere facilmente composto anche con due soli moduli da 90 alti 260 cm (come quello della foto), a cui si possono accostare altri soli 90 cm di cassettiera. Il totale complessivo di 270 cm, che è possibile ottenere da questa somma, permette di immaginare l’uso di questo armadio, praticamente in ogni camera matrimoniale.
Qualcuno, a proposito di questo tipo di composizione, potrebbe obbiettare circa lo sfruttamento non ottimale dello spazio esistente sopra la cassettiera: è bene però precisare che questo tipo di armadio è da preferirsi in quelle stanze in cui l’inserimento altrove di un comò o di un settimanale risulta impossibile o sconveniente. Osservando lo spazio vuoto sopra la cassettiera infatti, ci si accorgerà come quel pezzo di parete, quando si presenta sgombra da mobilia come in questo caso, permette di essere addobbata con un quadro, uno specchio o addirittura con delle mensole, esattamente come sarebbe possibile fare sopra ad un qualsiasi altro comò. Si tratta di una scelta che quindi va fatta con molta attenzione e possibilmente con l’ausilio di un professionista dell’arredo, il quale saprà certamente consigliare quale tipo di versione risulti essere più adatta a quel tipo specifico di stanza e di stile di arredamento.
L’armadio con ante “a segmento”
C’era una volta… l’armadio … si potrebbe dire… E per quanto paradossale possa sembrare, qualsiasi riflessione si voglia fare a proposito del suddetto mobile, dovrebbe cominciare proprio come cominciavano le fiabe di un tempo. Sì perché nella sua storica accezione, quella di mobile intimo e protettivo, piccolo ma ambiguamente intermedio fra le dimensioni degli ambienti che lo ospitano e quella degli oggetti che deve contenere, l’armadio è oggi, in sè, un arredo praticamente estinto. E’ vero… esso continua ad esistere in quelle sue sembianze originali in alcuni ambienti eleganti e raffinati, oppure al contrario, in piccoli e bui ripostigli… ma nelle camere da letto, ormai, il suo posto è preso da capienti pareti attrezzate, pratici sistemi contenitori componibili e invisibili guardaroba, che ci ostiniamo nonostante tutto a chiamare “armadio”, ma che davvero poco hanno in comune con gli armadi di un tempo.
Basta guardare queste foto per capirlo. Ormai il design ha soppiantato il concetto di armadio con quello di “contenitore a tutta parete” che si soprammette alle mura della casa, completandole e nascondendole, in quel gioco di spazi ormai reso praticamente indispensabile dalla vita moderna. Un armadio più che un mobile è dunque a questo punto diventato una parte della stanza e come tale, deve seguire il profilo degli ambienti ove è alloggiato, rendendo pratici ed utilizzabili gli spazi che si vengono a creare in profondità fra i muri e le sue ante.
Già le ante… essenza stessa dell’armadio e parte preponderante della sua imponenza, da esse dipende la gran parte della funzionalità e dell’estetica di questo indispensabile arredo. Quelle fotografate in questa foto, che corredano un grande armadio guardaroba a parete, sono talmente particolari ed originali da poter essere, giustamente, annoverate fra i pochi veri “prodotti di design”. Esse sono costituite da tre differenti segmenti verticali che, verniciati in due differenti colori, delineano ritmicamente la cadenza verticale delle aperture.
Nascosta fra i tre segmenti, infatti, vi è incastrata, quasi invisibile, una piccola lamina di metallo che funge da maniglia. Un grande numero di moduli doppi che coprono altrettanti vani della larghezza di circa un metro. Tutti uguali, tassativamente, in modo che non venga in alcun modo disturbata la perfetta cadenza con cui è suddiviso questo arredo. Si tratta senza dubbio di un progetto importante e dal grande effetto visivo che si presta soprattutto a quegli ambienti che necessitano di essere “arredati” più che semplicemente ammobiliati.
Più che di un armadio, stiamo infatti parlando di una “decorazione”, di un addobbo, di un’architettura lignea insomma che serve certo per contenere, ma che è progettata, soprattutto per essere ammirata. Ed ecco dunque che la parete sparisce e che diventa l’armadio il vero protagonista della camera da letto, fino a sostituire e migliorare, addirittura, l’architettura della casa. La grande stanza è infatti, in questo caso, divisa in due proprio dal grande armadio guardaroba, il quale, al suo interno cela dietro due comodissime ante “a soffietto” l’apertura che riunisce l’ambiente guardaroba, con la zona dove è posizionato il letto. Camera e stanza guardaroba quindi, una volta unite si ritrovano separate grazie ad una arredo, bellissimo, capace con il suo aspetto di ridisegnare l’ambiente fin dalle sue fondamenta architettoniche. Una cosa che solo gli arredi più importanti sono in grado di fare, perchè è solo grazie al design delle loro linee, alla funzionalità dei loro interni e alle avanzate metodologie costruttive che stanno alla base di questo tipo di progetti, che è possibile ottenere risultati di questa entità.
L’armadio ad angolo
Chiunque abbia avuto a disposizione in camera o nella stanza guardaroba, due pareti continue che formano un angolo, si sarà chiesto quanto fosse opportuno o conveniente utilizzare entrambe le pareti per posizionarvi un armadio ad angolo. In effetti questo tipo di soluzione, a partire dagli anni ’80 è entrata nell’immaginario collettivo di chiunque si trovasse ad arredare una stanza posizionandoci un armadio. Il motivo di questo successo è presto detto: si tratta di un contenitore particolarmente capiente che spesso, rispetto ad un normale armadi guardaroba riesce a possedere un volume praticamente doppio. La sua costruzione è possibile grazie all’utilizzo di un elemento angolare (un modulo tipico di questi modelli di armadio) formato da due ripiani uniti in modo da formare una specie di “elle”. Questa categoria di armadio è molto versatile e componibile e permette praticamente di raggiungere qualsiasi misura accostando al modulo angolare (che solitamente misura dai 100×100 ai 110×110 cm in larghezza) i vari moduli esistenti che misurano di solito 30, 45, 60, 90, 100 e 120 cm.
Nel caso si debba raggiungere una misura molto precisa è possibile operare una modifica che, attraverso la riduzione di un modulo “standard” permetta di realizzare il proprio armadio perfettamente “su misura”, adattandolo ad ogni ambiente. Si tratta del tipico armadio che consente la massima disponibilità di attrezzature interne.Come è noto infatti, anche se un armadio, a causa del suo grande volume, deve per forza possedere delle doti estetiche non indifferenti, il motivo per cui di solito si acquista questo tipo di mobile è la sua praticità di contenimento. La progettazione degli spazi interni dipende però molto dalle abitudini personali. Chi indossa ad esempio prevalentemente abiti, giacconi e capi-spalla, dovrà puntare prevalentemente su vani di grandi dimensioni da attrezzare soprattutto con pali appendiabiti. Al contrario chi predilige un abbigliamento più sportivo o comunque “Casual”, cioè composto perlopiù da indumenti che si ripongono piegati, dovrà orientarsi su ripiani e cassetti che si adattino bene anche a moduli di altezza e larghezza più contenute. Negli armadi ad angolo, come anche in tutti gli altri tipi di armadio, per facilitare l’istallazione dell’attrezzatura interna ed eventualmente cambiarne la disposizione, magari adattandola successivamente a delle rinnovate esigenze, quasi tutti i “sistemi” prevedono fianchi preforati su tutta la loro altezza, in modo da facilitare l’operazione di riposizionamento. Si comincia di solito scegliendo gli elementi base, dopo aver deciso i moduli per noi indispensabili come ripiani, cassetti e barre appendiabiti, si procede scegliendo gli altri accessori. Quest’ultimi infatti avranno senza dubbio funzioni più specifiche (porta pantaloni, porta cravatte, porta scarpe ecc.) e sapendo di aver già disposto ciò che in un armadio è davvero assolutamente necessario, sarà più facile decidere la disposizione del resto. Va da sè che più volume si ha a disposizione e maggiore è la possibilità di inserimento che avremo degli accessori interni. In questo senso l’armadio ad angolo è davvero l’ideale, perché con le sue generose dimensioni permette spesso di contenere accessori che nei normali armadi guardaroba non sono possibili da inserire.
Dal punto di vista invece prettamente estetico, il consiglio forse più importante da dare a chi decide di scegliere un armadio ad angolo è quello di non dimenticare mai l’imponenza che questa categoria di mobile può per sua stessa natura possedere. Del resto si tratta di un compromesso che si deve essere in qualche modo disponibili a corrispondere quando si acquista arredi così capienti. L’importante è tenerne conto in fase di progettazione! I sistemi per rendere piacevole anche un armadio di grandi dimensioni ci sono e sono davvero moltissimi… praticamente infiniti. Vani a giorno, librerie, ante “grafiche” o decorative, elementi particolari e tanti altri metodi che se ben usati possono davvero dissimulare in maniera egregia il volume creato in stanza da un armadio ad angolo. L’armadio delle foto qui presenti, ad esempio, è stato risolto attraverso l’uso progettuale di due ben distinte tipologie di ante: le normali ante chiuse e delle originalissime ante a telaio in vetro trasparente. L’aspetto complessivo può forse lasciare qualche perplessità nei più tradizionalisti, ma chi ha davvero a cuore il design dei propri arredi sa benissimo che per ottenere degli ottimi risultati occorre indiscutibilmente “osare” adottando sempre soluzioni nuove ed originali. Questa risulta particolarmente piacevole ed attuale perché unisce nel suo interno due specifiche tendenze attualmente molto in voga: quella cioè che predilige l’adozione di sistemi armadio ad angolo e quella perseguita da chi preferisce invece l’uso delle cosiddette “cabine armadio”. La parte vetrata infatti, riprende praticamente per intero le prerogative specifiche delle cabine: abiti bene in vista, attrezzature speciali, ergonomia di utilizzo e ampi spazi a disposizione. Una soluzione dunque particolarmente adatta per chi desidera possedere una cabina armadio ma non ha a disposizione una stanza vera e propria da destinare al guardaroba. In questo modo si possono utilizzare le pareti di una normalissima camera da letto per costruirvi un armadio notevolmente grande, particolarmente capiente e con le stesse caratteristiche di una cabina armadio, con aggiunto però il vantaggio di poter conservare gli abiti perfettamente chiusi e al riparo dalla polvere e dallo sporco.
Un ultimissimo accenno a riguardo delle cosiddette “finiture”: anche per gli armadi ad angolo la “Laccatura” è sempre molto attuale. Opaca o lucida e secondo un nuovo trend anche in finitura “malta”, si applica su qualsiasi tipo di frontale, da quelli in legno fino a quelli in vetro. Il legno naturale o colorato invece è preferito adesso come inserto e come accessorio, anche perché non appesantisca troppo con i suoi toni, i volumi già di per sé abbondanti degli armadi ad angolo.
L’armadio con cabina spogliatoio angolare
Diretta emanazione del modello precedente, questa tipologia di guardaroba, si contraddistingue per una particolarissimo utilizzo dell’angolo, il quale, grazie alle sue generosissime dimensioni, nasce per essere utilizzato, sia come spogliatoio, sia come vera e propria cabina armadio ad angolo.
La sua prima comparsa sul mercato risale ad una ventina di anni fa, grazie al lavoro di ricerca di alcune fra le più importanti aziende brianzole del settore. Si tratta in pratica dell’accostamento fra elementi armadio di normale fattura ed altri, specificatamente prodotti, attraverso i quali sono costruiti degli ampi spazi angolari dotati di due o più ante frontali. Tali vani possono essere a buon titolo considerati delle vere e proprie “stanze nelle stanze”, in quanto sono dotate di un soffitto, di una copertura frontale costituita dalle ante, e di un proprio arredamento, formato da un’attrezzatura interna (della stessa tipologia che si trova nel resto dell’armadio) che essendo priva di ante permette una visuale pressoché completa e contemporanea di tutti gli abiti contenuti nella cabina angolare.
Date le sue abbondanti dimensioni, il posizionamento all’interno delle stanze di questo modello di armadio è spesso pieno di difficoltà. Le dimensioni della cabina angolare infatti variano da un minimo di 100 x 100 cm fino ad un massimo di 200 x 200, ma il fatto che questo volume sia coperto da delle ante poste in tralice rispetto alle altre, crea numerosi problemi al resto dell’arredamento, specie quando ci si trova ad allestire delle camere di dimensioni medie e medio-piccole. Del resto però, per poter ottenere questo tipo di mobile, è necessario creare all’interno del suo angolo uno spazio che sia almeno sufficiente ad una persona ad entrarvi completamente e questo -insieme al volume occupato dagli abiti che devono essere in esso contenuti- porta il mobile ad assumere gli ingombri davvero notevoli che lo caratterizzano.
Esistono diversi sistemi costruttivi che consentono di ottenere questo tipo di armadio. Il più comune prevede la produzione di una sorta di “tetto” angolare -realizzato con lo stesso materiale e colore del restante interno del guardaroba- su cui vengono successivamente applicate le ante, ancorandole lateralmente a due fianchi. Questo metodo permette un sistema di apertura che tiene perfettamente sgombro il pavimento da qualsiasi impedimento, facilitando così l’ingresso e l’uso della cabina armadio angolare. Per quanto riguarda le attrezzature interne queste sono disponibili praticamente in tutte le loro versioni; ovviamente sono da preferirsi quelle che permettono di essere inserite anche in spazi piuttosto ristretti, come i pali appendiabiti e i ripiani, come si può vedere da queste foto è però possibile inserirvi senza grossi problemi anche dei mobili a cassetti e tutte quelle attrezzature speciali che sono attualmente utilizzate a tale scopo.
Armadio con ante scorrevoli in vetro o miste chiuse e a vetro
Lo abbiamo detto ormai moltissime volte: la scelta di un armadio è guidata principalmente da due criteri: estetica e funzionalità. A proposito di quest’ultima si può senza dubbio dire che essa riguarda in un primo tempo soprattutto i sistemi di apertura. Quando ci si trova ad arredare degli spazi piuttosto piccoli infatti, capita spesso di adottare per il proprio armadio un’apertura “ad ante scorrevoli”, la quale consente un più facile utilizzo, ad esempio quando fra l’armadio stesso ed il letto rimangono meno di 60 cm. Il sistema di apertura ad ante scorrevoli permette di non doversi preoccupare infatti del raggio di apertura dell’anta “a battente” ed in tal modo è più facile da usare negli spazi stretti. Data questa base di partenza è necessario poi capire come è meglio comporre l’armadio, in maniera che le sue grandi ante scorrevoli siano ben armonizzate con il volume stesso dell’armadio e con il resto della camera. L’armadio fotografato è uno degli esempi più attuali di progetto d’arredo realizzato con un armadio scorrevole dotato di ante molto particolari. Esse sono realizzate utilizzando come struttura dei robusti telai di alluminio i quali sono predisposti per essere utilizzati quali supporto per dei pannelli decorativi. Questi pannelli costituiscono le vere e proprie ante dell’armadio e possono essere costruiti sia in legno (quasi sempre si tratta di pannelli in particelle di legno ), laccato o rivestito in laminato, sia in vetro o specchio.Questo sistema di costruzione delle ante scorrevoli si presta solo ad armadi di alta qualità perché il peso che possono raggiungere ante di queste dimensioni, necessita di essere sostenuto da telai realizzati in una qualità che deve essere impeccabile sia dal punto di vista dei materiali che dei meccanismi di apertura. Il problema delle ante scorrevoli infatti risiede proprio nelle grandi dimensioni degli sportelli, le quali dipendono essenzialmente dal fatto che le ante scorrevoli devono essere sufficientemente larghe da non soqquadrare in fase di movimento e sufficientemente strette da consentire di accedere comodamente ad ogni vano una volta aperte. La funzionalità deve essere ricercata però anche nei meccanismi di apertura che devono rendere gli scorrimenti fluidi e silenziosi. In questo senso i profili e le guarnizioni sono fondamentali per attutire i rumori e per salvaguardare dalla polvere i vani interni.
Questo a maggior ragione quando si parla di ante in vetro, il quale è un materiale che per motivi di sicurezza -specie quando è utilizzato come tamponamento dei telai delle ante scorrevoli- deve essere necessariamente temprato e di uno spessore tale da impedire le rotture accidentali. La particolarità di questo armadio sta nello spessore del telaio, il quale è eccezionalmente sottile in rapporto al peso che è capace di sostenere. Ciò è dovuto appunto alla qualità della struttura la quale è realizzata mettendo insieme minuti profili dotati di un’eccellente robustezza, grazie a sistemi di assemblaggio di ultimissima generazione. Tutte le ante sono dotate inoltre di sistemi di rientro rallentanti, che sono meccanismi utilissimi in quanto impediscono alle ante di sbattere in fase di chiusura.
L’armadio in questione può essere personalizzato nelle dimensioni, nelle finiture e nelle attrezzature interne. Esso è componibile tramite l’assemblaggio di moduli che variano dai 90 ai 150 cm di larghezza e possono raggiungere i 260 cm di altezza. Tali moduli, multipli fra di loro, permettono di realizzare soluzioni praticamente “su misura” e “su ordinazione”. Quello rappresentato in queste prime due foto è ad esempio composto da tre moduli larghi 150 cm ciascuno. Su di ognuno di essi sono state poste a copertura delle ante larghe 150 cm e alte 260 cm il cui telaio portante è suddiviso in 4 pannelli ciascuno. L’intercambiabilità dei rivestimenti delle ante permette di alternare quindi i relativi pannelli in modo da ottenere versioni originali e piacevolmente inedite come quelle fotografate, nelle quali sono alternati l’utilizzo di pannelli in legno laccato con quello di originali lastre in vetro lavorato a righe. In fin dei conti, parlare dell’estetica del mobile “armadio”, significa considerare numerosi aspetti: la misura in cui esso si inserisce nell’ambiente, quelli che sono i materiali ed i colori predominanti in stanza e quelli che dunque è giusto utilizzare per l’armadio stesso e, non ultimo, il modo in cui viene posizionato. Dal punto di vista del suo aspetto in linea generale l’armadio è un elemento d’arredo che si presenta in due tipologie chiaramente distinte: in alcuni casi, come entità strettamente integrata alla parete che lo ospita e quindi assimilabile concettualmente ad un elemento architettonico, facente parte della casa, in altri casi, come vero e proprio “mobile indipendente” che, offrendo ovviamente maggiore possibilità di intervento anche dal punto di vista “decorativo, è interpretabile piuttosto come oggetto di design.
Questa differenza è sempre da tenere nella massima considerazione quando si sceglie un armadio. In poche parole si tratta di operare una scelta che, fin da subito, ci costringa a decidere quanto l’armadio debba “sparire” nella nostra parete e quanto invece esso debba evidenziarsi su di essa.
L’armadio in questione fa evidentemente parte di questa seconda tipologia di scelta. Nonostante la presenza massiccia del vetro infatti, la sua funzione rimane prettamente ed indiscutibilmente decorativa. La cosa strana, in questo caso, è che questa sua specifica peculiarità è data da due elementi distinti: uno interno ed uno esterno alla struttura. Per quanto riguarda l’esterno, stiamo parlando ovviamente della forma delle ante, la quale già per la sua specifica versatilità, rappresenterebbe di per se una eccellenza stilistica, se non fosse che a questa si aggiunge anche, addirittura, la presenza di una tipologia di vetro già di per se decorativo, in quanto dotato di una tramatura propria formata dalle piccole righe verticali che presenta. Vi è però pure un altro elemento della struttura che contribuisce sostanzialmente all’estetica complessiva dell’armadio e questo è (udite, udite!) il suo interno. Si perchè la presenza di vetri che come questi lasciano intravedere chiaramente cosa l’armadio contiene, portano questo mobile in un’altra dimensione estetica in cui la “funzione” diventa essa stessa parte dell’estetica del prodotto. Il motivo di questo è abbastanza evidente: un armadio a vetri è senza dubbio un oggetto d’arredo che stupisce e questa sua funzione quasi “teatrale” necessita di alcune accortezze che chi preferisce questo tipo di mobile sa di dover avere. Stiamo parlando ovviamente dell’attrezzatura interna dell’armadio, ma anche degli oggetti che dentro esso saranno contenuti in quanto essi, diventeranno volenti o nolenti protagonisti parti dell’arredo della stanza ben più che in altri casi.Il concetto che si deve tenere presente è più o meno quello che anima coloro che arredano le grandi stanze guardaroba a vista: quasi dei veri e propri “negozi” che dentro casa necessitano di essere allestiti ed ordinati con grande meticolosità, al fine di assolvere fino in fondo ai sui compiti: quello di contenere funzionalmente e quello di meravigliare e sorprendere.
Quando si parla di armadi che lasciano vedere o intravedere il loro interno, significa parlare più o meno la stessa lingua. Del resto che senso avrebbe questo tipo di acquisto se esso non fosse accompagnato dal desiderio di attrezzare il proprio armadio con un’eccellente attrezzatura interna, tale da permettere una altrettanto eccezionale disposizione degli abiti e degli oggetti che in essa dovranno essere contenuti? E allora via libera ai “pali portabiti oleodinamici”, alle cassettiere multimisura, ai cestelli, ai ripiani estraibili, così come a tutti quegli accessori che, come portacravatte, porta pantaloni, porta cinture eccetera, danno la vera dimensione di una armadio guardaroba “di lusso”.
Tali differenze di concezione si riflettono ineluttabilmente su quelle che sono le dinamiche arredative dell’intera stanza, perché diventa immediatamente evidente la preponderanza che può avere un armadio di questa tipologia all’interno di un progetto d’arredo. Per prima cosa è dunque necessario chiedersi se la stanza necessita veramente di interventi così importanti come quelli che possa implicare la presenza di un armadio stilisticamente rilevante come questo; subito dopo è anche però necessario domandarsi se siamo in grado di adeguare la nostra mentalità ed il nostro stile di vita ad un tipo di arredo che, come questo, ha bisogno di un ordine ed una pulizia assolutamente privi di compromessi. Non c’è nulla di peggio infatti di un armadio a vetro nel cui interno si intraveda il disordine tipico di qualsiasi altro armadio guardaroba “chiuso”… Come non c’è nulla di meglio di un armadio a vetro in cui è possibile vedere un perfetto ordine ed una adeguata pulizia! Attenzione però: per chi vuole questo tipo di estetica, ma teme di non essere in grado di sostenere l’impegno che potrebbe necessitare il mantenere un intero armadio sempre perfettamente in ordine, la soluzione c’è, ed è proprio quella di fornire i telai delle ante di pannellature miste: in questo modo gli abiti più belli, le scatole più interessanti e la biancheria del corredo “buono”, potranno far bella mostra di se all’interno delle ante trasparenti, mentre tutto il resto sarà opportunamente riposto nelle parti chiuse, in modo che la visuale complessiva non sia disturbata da presenze non prettamente “eleganti”.
Insomma senza dubbio si tratta dell’ennesimo esempio di come il design possa davvero incidere positivamente sulla vita della gente.
L’armadio scorrevole ad ante lisce
Da sempre considerato la soluzione “per antonomasia” degli spazi difficili, l’armadio scorrevole viene scelto, oggi, soprattutto per le sue doti estetiche. Quello che a prima vista può sembrare un paradosso, ha però le sue buone ragioni di esistere. Il motivo è presto detto: abbiamo appena descritto (nel paragrafo precedente) una tipologia di armadio delle tante che basano bellezza del loro aspetto sull’originale e versatile forma delle loro ante. Qui ci troviamo invece sul fronte opposto: purezza delle linee, completa carenza di orpelli, una dinamica eleganza che pur basandosi sul minimalismo delle forme è capace comunque di emozionare e, a volte, anche di sorprendere.
Eppure, a voler guardare le cose con la dovuta attenzione, ci si accorgerebbe che un armadio scorrevole è soprattutto “contenuto tecnologico” e capacità produttiva. Sì perché ciò che si vede esteriormente, in questo modello così popolare e desiderato di armadio, è principalmente dovuto a come è costruito il mobile al suo interno. Stiamo parlando di scorrimenti di alta qualità che consentono la perfetta apertura e chiusura di ante dalle dimensioni, fino a pochi decenni fa assolutamente inusuali. Stiamo parlando di elevatissime tecnologie produttive che permettono la costruzione di sportelli di dimensioni a volte davvero enormi, senza che questi col naturale passare del tempo subiscano distorsioni, rotture o “imbarcamenti”. Stiamo parlando soprattutto di armadi che vengono progettati allo scopo di essere più funzionali possibile, pur mantenendo un aspetto a dir poco maestoso.
Gli armadi scorrevoli -almeno nella loro moderna concezione- fino a pochi decenni fa infatti non esistevano. Sì, esiste praticamente da sempre l’usanza di far scorrere gli sportelli dei mobili su delle semplici guide di legno, ove se ne presenti la necessità, ma a coniugare questo tipo di uso, così specifico e particolare con quello degli armadi guardaroba di dimensioni “contemporanee” si è cominciato addirittura solo alla fine degli ’70. E’ stata circa in quell’epoca infatti che si è iniziato a considerare la possibilità di utilizzare questo tipo di apertura anche su quegli armadi che, oramai, avevano raggiunto dimensioni ragguardevoli, ben diverse da quelle dei contenitori dei secoli precedenti, fatti apposta per contenere, tuttalpiù, il corredo della sposa. Lo si è fatto, come noto, inizialmente per risolvere un problema prettamente pratico: quello di avere la possibilità di aprire comodamente l’armadio, anche laddove non si possedesse dello spazio frontale sufficiente a muoversi in libertà.
Questa necessità ha obbligato schiere di architetti, designer ed ingegneri a scervellarsi per trovare le soluzioni più innovative e funzionali, che consentissero agli utenti di poter aprire, spostandole lateralmente, delle ante a volte davvero enormi e difficili da smuovere con comodità. Lo si è fatto usufruendo della più alta evoluzione tecnologica che a quel tempo iniziava appena a far caolino anche nel settore arredo e chiedendosi, in pratica, quale sistema di scorrimento avrebbe potuto garantire un perfetto funzionamento di aperture così particolari. La scelta è andata a cadere su quello che è ancora attualmente il sistema di apertura delle ante scorrevoli di gran lunga più utilizzato e che ha forse avuto a cavallo fra gli anni ottanta e i novanta il suo massimo sviluppo. Si tratta in pratica di un sistema di guide che vengono applicate non all’interno (come era avvenuto fino ad allora), bensì all’esterno della struttura degli armadi ad anta scorrevole. Attraverso dei solidi profili di alluminio, posti sopra e sotto alla struttura dell’armadio, si ottengono dei perfetti “binari” su cui far scorrere dei “carrelli” del tutto simili a dei pattini a 4 ruote. Questi “pattini” sono in pratica la vera innovazione tecnologica che sta alla base dei moderni armadi scorrevoli. Essi, vengono fissati alle grandi ante attraverso dei supporti speciali che permettono di agganciare i carrelli alla struttura dell’armadio, posizionando le loro ruotine proprio in esatta concomitanza con i binari in alluminio.
Lo scorrimento delle ante è consentito dalla distanza che i supporti dei carrelli pongono in mezzo fra ante e struttura: alcune ante, infatti scorreranno perfettamente aderenti al fusto del mobile, mentre le altre viaggeranno distanziate dalla struttura quel tanto che basta da consentire che le altre ante ci possano scorrere in mezzo.
A dirsi, può sembrare a prima vista anche una cosa, in fin dei conti, semplice, ma per ottenerla sono stati necessari anni e anni di studi, lavoro, esperienze e continui miglioramenti che hanno consentito di arrivare alla qualità odierna. Attualmente è infatti possibile costruire armadi scorrevoli con ante di dimensioni che, in teoria, potrebbero non avere limiti se non fosse per i problemi relativi al trasporto ed all’installazione degli sportelli troppo grandi.
Gli armadi di qualità adesso, hanno ante che possono tranquillamente raggiungere la misura di 150 x 260, hanno dei sistemi di frenatura che permettono di rallentare i grandi sportelli in apertura ed in chiusura ed hanno profili e guarnizioni che impediscono alla polvere di potersi infiltrare fra le ante e la struttura in modo da rendere il contenitore sicuro e salubre.
Una qualità dunque che si può principalmente definire “tecnologica”, che chi acquista un modello di questi deve per forza considerare e che permette la costruzione di mobili eleganti e maestosi come quelli presentati in queste foto. Le loro caratteristiche eppure si basano sulla più assoluta semplicità, sta però proprio nella misura degli sportelli che questi armadi possiedono la vera eccellenza estetica. Il perché è, volendo, quasi ovvio: nella moderna concezione del “minimalismo” applicato all’arredo, per dare eleganza e prestanza ad un mobile occorre, come abbiamo già avuto occasione di dire, ridurre al minimo le linee e evitare qualsiasi forma di aggiunta o di orpello. L’armadio scorrevole risulta la più perfetta coniugazione di questo concetto perchè permette l’uso di ante talmente grandi da sostituire con la loro superficie ben tre ante di quelle definite “a battente”.
Questa minore suddivisione delle superfici verticali, come la differente e più pulita concezione degli spazi, determinano dunque progetti di arredo che si sposano in maniera insuperabile con il desiderio di chi immagina il proprio armadio come un volume da evidenziare il meno possibile. Ciò non significa però assolutamente che questo debba determinare quasi un “anonimato” di questo tipo di arredo: anzi ! Tuttaltro! In queste quattro foto sono ad esempio mostrate due diverse elaborazioni della stessa tipologia di armadio ad anta scorrevole: nel primo caso vi è presentata una versione in cui sia il colore che la presenza della maniglia sporgente denunciano il desiderio della committenza di evidenziare in qualche modo l’armadio ed il suo volume all’interno della stanza da letto. Nel secondo caso invece siamo alla presenza di un armadio, addirittura privo di maniglie, che tramite l’applicazione di una sottilissima e quasi invisibile gola verticale consente di ottenere un’estrema pulizia delle linee, capaci davvero quasi di far “sparire” il grande volume dell’armadio, all’interno della parete che lo contiene. Quale preferire ? Dipende. Dipende da tante cose… dipende dal proprio gusto, dal proprio ambiente, dal resto dell’arredamento presente nella stanza e dipende, soprattutto, da ciò che si desidera il proprio armadio diventi; se esso cioè dovrà diventare parte integrante della casa o se dovrà, al contrario, divenire “oggetto decorativo”, dotato di una propria specifica personalità e di un proprio caratteristico design. Solo operando questa scelta sarà infatti possibile il risultato che si intende raggiungere. Dopo… solo in un secondo momento, sarà possibile pensare al resto: attrezzature interne, qualità dei materiali, disposizione degli abiti e tutto quanto sarà indispensabile decidere prima di acquistare un armadio.
I nostri Interior Designer di Griva, sono a disposizione per consigliere sempre al meglio e condividere con tutti voi quelle che sono le nostre esperienze e le nostre competenze. Per far questo abbiamo sono bisogno di conoscere quelli che sono gli spazi a disposizione, quelle che sono le esigenze di chi vi dovrà abitare e quelli che sono i risultati estetici che si intendono raggiungere. A quel punto starà a noi, con le nostre capacità ed il nostro ingegno, formulare quelle che a quel punto saranno certamente le proposte più adeguate ed esteticamente valide per qual tipo di ambiente. Lo faremo perché questo è il nostro lavoro e lo facciamo per i nostri clienti, praticamente, da sempre.
L’armadio scorrevole ad angolo
Croce e delizia di chi fa dell’armadio soprattutto una questione di spazio, l’armadio ad angolo è anch’esso un'”invenzione” piuttosto recente. E’ stato infatti a partire dagli anni ottanta che sono entrate in produzione delle categorie di armadi che, grazie alla loro ampia componibilità, prevedevano la possibilità di utilizzare un elemento ad angolo che consentisse di proseguire l’armadio su due o più pareti conseguenti. Sulla falsa riga di ciò che già da tempo avveniva per le cucine componibili, la moderna industria italiana dell’arredo ha iniziato a intravedere la possibilità di un maggiore sfruttamento dello spazio interno alla camera, al fine di ottenere un volume di contenimento maggiorato rispetto a quello consueto dell’armadio “stagionale”. Al giorno d’oggi ci sono in produzione decine e decine di tipologie differenti di armadio ad angolo che, a parte la “pellicola esterna” rappresentata dalle loro ante, possono presentare caratteristiche costruttive molto differenti fra loro. Abbiamo già visto ad esempio in alcuni precedenti cataloghi la possibilità di fornire l’angolo con delle ante curve che donano al mobile brio ed eleganza. Abbiamo visto armadi ad angolo che grazie alle loro dimensioni possono trasformare il loro elemento angolare in un vero e proprio “spogliatoio”; ed infine abbiamo anche visto la maniera con cui è possibile costruire un armadio ad angolo anche solo semplicemente accostando due strutture separate in maniera da ottenere un armadio doppio avente però la continuità stilistica di un corpo unico.
In quest’ultimo caso parliamo invece di un armadio ad angolo non molto usuale, ma che non mancherà di affascinare chi si sta avvicinando a questo “magico mondo”: l’armadio ad angolo con le ante scorrevoli.
Di per sé, questa potrebbe non apparire a prima vista come l’eccezionale novità che essa invece rappresenta. In verità invece, fino a poco tempo fa non era neppure contemplabile una combinazione che prevedesse l’abbinamento delle ante scorrevoli con l’angolo. Oggi questo è invece possibile da realizzare grazie a guide speciali che permettono di far scorrere le ante anche sul lato dell’armadio privo del fianco di sostegno. La versione qui fotografata è particolarmente interessante anche dal punto di vista del design perché è giocata su di un abbinamento di spessori diversi che dissimula la differenza di profondità che esiste sulla maggior parte degli armadi scorrevoli. Questa differenza è dovuta alla specifica tipologia delle aperture che permettono alle ante di muoversi parallelamente una sull’altra in modo che aprendosi si sfiorino appena. Questo movimento presuppone quindi che le ante siano posizionate su almeno due assi differenti: uno perfettamente aderente al fusto dell’armadio e uno spostato in avanti rispetto al precedente quel tanto che basta per far sì che le ante non sbattano insieme. L’armadio qui fotografato, gioca un po’ su questa distonia tipica di tutti gli armadi scorrevoli e attraverso l’applicazione di strisce verticali evidenzia in qualche modo questa specie di “motivo”, nascondendo nel contempo le differenze di profondità esistenti fra le ante. Molto interessante, in questo specifico caso è anche lo spazio angolare, il quale per poter essere abbinato alla dimensione praticamente doppia, in larghezza delle ante scorrevoli, possiede delle dimensioni proporzionalmente adeguate. In particolare, mentre in un normale armadio ad angolo con le ante a battente l’angolo misura solitamente 100 o 110 cm, qui ci troviamo di fronte un mobile ad un solo vano che misura ben 134 x 134 cm! Un incredibile volume che grazie ad un unico spazio aperto permette una visuale praticamente completa degli abiti appesi sia nel piano di sotto che nel piano di sopra.
Armadio scorrevole a pannelli sovrapposti
Guardando alle novità più recenti del mercato, fra quelli che si possono annoverare a buon diritto fra gli armadi scorrevoli più richiesti e popolari, vi è senza dubbio la categoria di mobile di cui tratteremo in questo paragrafo. Essa rappresenta un’ulteriore evoluzione del concetto di anta scorrevole, declinato però stavolta non attraverso l’utilizzo di telai in alluminio o legno, in cui possono essere inseriti dei pannelli in legno o vetro, bensì tramite l’uso di vere e proprie “boiserie” realizzate in fibra di legno e montate in maniera sovrapposta.
Questa tipologia di anta scorrevole nasce da esigenze prettamente pratiche dovute alle dimensioni stesse delle ante, le quali, in un armadio ad anta scorrevole, possono a volte raggiungere dimensioni davvero ragguardevoli, arrivando perfino a superare la misura di 150 x 260 cm. Il trasporto di questi modelli di sportelli si può dire abbia rappresentato quindi -praticamente fin da quando sono stati inventati gli armadi scorrevoli di moderna concezione- un problema di non facile soluzione. Fra gli “escamotages” produttivi che hanno consentito di superare brillantemente questo tipo di problema, vi è senza dubbio quello di costruire le ante dividendoli in settori, separati o separabili, in modo da poter essere smontati per agevolarne il trasporto. Si tratta di una vera e propria “invenzione” dei più brillanti “product designer” italiani (non a caso considerati i migliori del mondo) i quali hanno saputo trasformare un’esigenza tecnica in una graditissima forma decorativa, che ha sostanzialmente contribuito alla diffusione ed all’ampio utilizzo degli armadi scorrevoli. Diciamo subito che, quando si parla di ante scorrevoli “a settori” o a “boiserie”, si intendono dei pannelli in legno o fibra di legno ottenuti costruendo dei parallelepipedi in fibra di legno tamburata (cioè alleggerita al suo interno), i quali vengono realizzati applicando dei pannelli sottili in fibra, Medium Density o compensato di legno, a dei solidi telai interni. I pannelli in tal modo ottenuti hanno solitamente un’altezza pari alla metà di quella dell’intera anta ed uno spessore che va dai 3 ai 5 cm. L’unione fra il pannello superiore (detto anche in gergo “settore” o “boiserie”) e quello inferiore avviene grazie a dei robusti fissaggi in metallo che permettono di smontare e rimontare l’anta qualora il trasporto lo rendesse necessario.Oltre a questo però consentono di inserire fra un pannello e l’altro, un ulteriore elemento costruttivo, il quale può essere realizzato in un’altra essenza, in un altro colore, e può essere addirittura predisposto per l’inserimento di una maniglia.
Si tratta dunque, in buona sostanza, di un sistema produttivo che verte sul montaggio sovrapposto di un certo numero di pannelli che, una volta combinati fra loro, possono dar vita a disegni molto piacevoli ed eleganti, capaci sicuramente di rendere meno “monotono” l’aspetto di un armadio scorrevole completamente liscio.
Gli armadi presentati nei due esempi che accompagnano questo paragrafo sono abbastanza emblematici dell’uso che si può fare di questa tipologia di anta. Nel primo caso si tratta di un armadio dotato di ante da 150 x 260 cm, divise in due pannelli sovrapposti laccati in uno splendido colore canapa opaco, fra i quali si staglia un sottilissimo spessore di legno di rovere. Questo “inserto” è un po’ quello che da numerosi secoli rappresenta senza dubbio “l’intarsio”, cioè una forma decorativa che prevede l’inserimento di elementi di colore e sostanza “differenziati”, all’interno di uno stesso mobile. L’uso di questi inserti quindi, pur se ottenuto tramite la risoluzione di un problema prettamente tecnico (quello del trasporto), assume una valenza schiettamente decorativa che, come è facile vedere in queste foto, può essere coniugata alla praticità d’uso grazie all’utilizzo dell’inserto quale vera e propria “maniglia”. Nel primo caso, si tratta di una piccolissima maniglia ottenuta con un incisione orizzontale all’interno del “regolo” in legno, che attraversa orizzontalmente tutta la superficie dell’anta. Nel secondo caso, invece, si tratta di una fessura ottenuta intagliando verticalmente la fascia orizzontale in legno, inserita fra i due pannelli che compongono gli sportelli.
E’ abbastanza superfluo sottolineare che il design dell’armadio cambia sostanzialmente a seconda delle dimensioni dell’elemento decorativo che si inserisce all’interno dell’anta: il suo valore sarà infatti ovviamente minimale, qualora si desiderasse alleggerire l’estetica del mobile e si optasse per un tipo di anta interrotta solo da un sottile elemento in legno orizzontale, e sarà invece più evidente e decorativo qualora si optasse invece per l’inserimento di una fascia più alta e predominante nel design dell’armadio.
Quella posizionata al centro in quest’armadio è ad esempio alta circa 16 cm, è realizzata in vero legno impiallacciato e risulta particolarmente interessante grazie al contrasto che produce il suo caldo color “miele”, all’interno di un armadio scorrevole laccato con un colore “fango” molto elegante e piacevole.
In entrambi i casi si tratta di modelli che si prestano particolarmente all’abbinamento con “complementi notte” in legno. Per spezzare la monotonia di un arredo da camera “monocolore” infatti, viene spesso utilizzato il legno per costruire comò e comodini che, posti in abbinamento con una armadio che in qualche modo richiama la loro essenza, formano degli insiemi davvero molto piacevoli.
Come abbiamo detto l’ideazione di questo modello di armadio è dovuta a questioni di trasporto delle ante molto grandi, questo però non ha impedito ai designer di utilizzare questo stesso sistema produttivo anche per costruire armadi dotati di ante dalle dimensioni più “regolari” di quelle presentate in queste foto. Ci sono modelli che prevedono infatti l’uso di sportelli a settori anche per elementi di 90/100 e 120 cm, va da sè però che alcune specifiche tipologie di queste, esprimo al meglio la loro valenza estetica quando hanno delle misure abbondanti.
E’ importante sottolineare che quelli esposti in questo paragrafo sono solo due degli innumerevoli esempi di questa tipologia di armadio scorrevole esistenti sul mercato. Essi spaziano dai più lisci e regolari ai più particolari e decorativi e, pur mantenendo le proprie comuni prerogative costruttive, sanno esprimere tutti una propria spiccata personalità che può risultare particolarmente evidente quando vengono utilizzati con criterio e con competenza.
Si tratta quindi di un altro dei numerosi consigli che sarà possibile ricevere nei negozi La Casa Moderna in cui, professionisti specializzati, formulano specifiche proposte d’arredo per tutti coloro che voglio una casa capace di esprimere il proprio stile di vita.
Armadio scorrevole a pannelli verticali bicolore
Nato per gli stessi identici motivi indicati per la precedente categoria di armadio, anche questo modello si presta particolarmente alle ante di misura notevole, proprio per le caratteristiche che consentono di abbinare sulle stesse ante due materiali o colori differenti. Il supporto strutturale in questo caso è diverso perché si tratta di un telaio metallico per così dire “evoluto”, che permette di montare sui telai stessi dei pannelli o delle lastre di materiali anche molto differenti fra di loro, come il laminato, il laccato e il vetro.
Questa versatilità ci dà lo spunto per parlare di quelli che sono i materiali più utilizzati per la produzione ed il rivestimento degli armadi moderni. Il modello presentato in queste foto, ad esempio, è realizzato istallando sul solito telaio in alluminio, un pannello in laminato colore Olmo scuro ed un pannello laccato colore grigio chiaro. Nel primo caso si tratta di una lastra, realizzata solitamente in particelle di legno, a cui viene applicato una sottile lamina plastica. La sua superficie può apparire liscia e monocolore, oppure possedere delle decorazioni in rilievo che lo rendono del tutto simile al legno laccato. Vi è poi un procedimento grazie al quale, fra gli strati di Melamina (la tipologia di plastica che viene utilizzata a questo scopo) che formano la robusta lamina viene inserita la stampa di una fotografia riproducente la sembianza di un legno naturale, come in questo specifico caso l’olmo.
Questo materiale è particolarmente utilizzato nell’industria moderna dell’arredo principalmente per due motivi: il primo è prettamente pratico ed è dovuto all’altissima resistenza agli urti, ai graffi ed alle abrasioni che il “laminato” possiede. Il secondo è invece dovuto al livello estetico che le superfici di questo tipo hanno ormai raggiunto, le quali possiedono adesso una similitudine con i materiali che intendono imitare, tale da arrivare ad “ingannare” spesso perfino gli addetti ai lavori.
Per quanto riguarda il “laccato” invece, si può dire che si tratta del materiale che per antonomasia viene considerato quello tipico degli armadi da camera. Esso è realizzato utilizzando dei pannelli, che possono essere in legno listellare, compensato oppure truciolare, i quali una volta tagliati nella misura che occorre, vengono opportunamente trattati al fine di ricevere una definitiva procedura di verniciatura. Tale procedura, definita appunto “laccatura”, avviene tramite l’applicazione di un certo numero di strati di “lacca” (da cui il suo nome), data solitamente con specifici macchinari “a spruzzo” attraverso i quali si ottengono delle perfette superfici, dall’aspetto setoso ed omogeneo. La laccatura può essere effettuata sia in versione opaca che lucida, ma i due tipi di finitura richiedono un tempo di applicazione e un numero di “mani” (cioè di strati di vernice essiccata sovrapposti) differenti.
La laccatura, nella moderna industria dell’arredo è considerata, pienamente a ragione, fra le quattro lavorazioni più pregiate che possono essere effettuate al fine di produrre le superfici dei mobili. Queste lavorazioni sono l’impiallacciatura, l’intarsio, l’intaglio e appunto, la laccatura.
Anche il cosiddetto “impiallacciato” è un materiale spesso utilizzato nella produzione degli armadi. In questo caso al pannello in compensato o truciolato, viene applicato un sottilissimo strato in vero legno naturale, scelto fra le centinaia di essenze usate a questo scopo, le quali, per gli armadi guardaroba, principalmente sono, il rovere, il noce, il ciliegio, l’olmo, il teak ed il frassino. Le superfici ottenute tramite impiallacciatura, oltre ad avere il pregio e la bellezza tipiche del legno, possiedono un altro vantaggio particolarmente utile dal punto di vista della produzione, quello di poter assumere diversi toni di colore a seconda della verniciatura che subisce. Ciò consente una grandissima versatilità dal punto di vista arredativo, perché permette di effettuare abbinamenti con gli altri componenti di arredo della camera, che altrimenti sarebbero difficili da realizzare.
Un tempo era usanza utilizzare l’impiallacciato anche per fabbricare gli interni degli armadi, l’industrializzazione del comparto e l’impoverimento del mercato dell’arredo successivo alle recenti crisi economiche, ha però fatto affermare il laminato come il materiale più adatto a questo scopo. Attualmente infatti quasi la totalità degli armadi vengono prodotti con gli interni fabbricati in laminato. Esistono per questo uso laminati che simulano il vero legno, laminati “tramati” che invece simulano dei rivestimenti in elegante tessuto e altri, più recenti, che simulano superfici materiche naturali come la pietra o la malta. Si tratta in tutti i casi di rivestimenti che coprono i pannelli usati strutturalmente al fine di renderli molto robusti e praticamente inattaccabili agli urti ed ai graffi; doti queste che ovviamente non possono essere considerate proprie del vero legno impiallacciato.
Un altro aspetto da considerare dal punto di vista dei materiali costruttivi usati per gli armadi guardaroba è la qualità delle parti metalliche che servono da struttura o da elementi di fissaggio per gli armadi. La tecnologia è infatti diventata parte integrante dell’arredo moderno ed è spesso sulla qualità di taluni meccanismi, fissaggi o scorrimenti che si giudica ormai la bontà degli arredi. Tale assioma risulta particolarmente vero nel caso degli armadi guardaroba, i quali pur apparendo a prima vista come arredi relativamente “semplici”, possono altresì integrare anche contenuti tecnologici altamente rilevanti. E’ questo il caso dei meccanismi che corredano le ante scorrevoli, ma anche delle guide che permettono i cassetti di scorrere in maniera semplice ed uniforme, magari rallentando in fase di chiusura in modo da impedire sbattimenti o rotture. Purtroppo si tratta di attributi qualitativi che difficilmente riescono ad essere compresi e valutati dalla folta schiera di clienti che si approcciano ad un acquisto di arredo. Per questo motivo è sempre più importante affidarsi a professionisti “di fiducia” che grazie spesso alla loro lunghissima esperienza sanno consigliare al megli su quelli che sono i vantaggi di taluni materiali. I negozi La Casa Moderna sono stati creati proprio per offrire quella consulenza e quelle competenze che sono indispensabili a chi sta per decidere come arredare la propria casa. Da noi è possibile dunque trovare capacità e preparazione, anche dal punto di vista schiettamente tecnico, in modo che, anche a distanza di molti anni, i mobili che noi vendiamo mantengano inalterate tutte le doti per le quali sono stati preferiti.
Armadio scorrevole “complanare”
Proprio per restare in ambito prettamente “qualitativo” eccoci infine a presentare quello che è universalmente considerato uno dei prodotti a più alto contenuto “tecnologico” che si possa trovare in commercio a proposito di armadi guardaroba.
Questo modello di armadio nasce allo scopo di accontentare anche coloro (in verità pochi) che non gradiscono l’effetto “soprapposto” tipico degli armadi con ante scorrevoli. Nei paragrafi precedenti infatti abbiamo spiegato come, per poter far scorrere le ante sulla stessa superficie frontale di una armadio fosse necessario posizionarle una più avanti ed una più indietro in modo che esse non vadano a sbattere fra di loro in fase di apertura o chiusura. Questa posizione “sfalsata” in profondità delle due ante, causa ovviamente una sorta di scalino sul fronte dell’armadio, che non si presenta come una superficie unica, come è nel caso degli armadi “a battente”, bensì suddivisa in almeno due o più volumi dotati di spessore differente. Al fine quindi di evitare questa piccola distonia, si è provveduto ad inventare un sistema di scorrimento “complesso”, che prevede non solo uno scorrimento laterale delle ante, bensì anche uno spostamento “in avanti” di uno sportello in fase di apertura. Tale movimento avviene grazie ad un complicato meccanismo che riesce in qualche modo ad avanzare l’asse di scorrimento dell’anta che viene aperta in modo che essa possa riuscire a scorrere davanti all’altra. Un problema risolto dunque in maniera “ingegneristica” che, circa una quindicina di anni orsono, ha consentito alle aziende di sbizzarrirsi nel creare una nuova tipologia di armadio abbastanza differente dalle precedenti.Il risultato di tutto questo lavoro ha consentito la creazione di armadi effettivamente molto belli, dotati di una superficie frontale unica davvero accattivante che non manca mai di interessare gli amanti delle linee sobrie rigorose ed eleganti.
Volendo provare a descriverne almeno le caratteristiche salienti potremmo dire che l’armadio “complanare” ha delle dimensioni che si aggirano sempre intorno alla larghezza di 300 cm e ad un’altezza di circa 260 cm. Le sue dimensioni sono infatti dettate da quelle dei meccanismi che ne permettono l’apertura i quali, sono applicabili esclusivamente a coppie di ante della larghezza di 150 cm. Ciò significa che questo modello di armadio è un armadio che viene prodotto solo in versione a due ante o in un numero di ante multiplo di due. Le sue caratteristiche interne sono quindi del tutto comuni ad un normale armadio scorrevole a due ante grandi, ma la dimensione delle stesse e il funzionamento degli scorrimenti di cui sono dotate, obbliga i produttori a costruire l’armadio complanare dotandolo di ante frontalmente molto lisce e prive di sporgenze evidenti. Per tale motivo gli armadi complanari sono sempre suddivisi in settori, alcuni in senso orizzontale, altri in senso verticale. Circa il sistema costruttivo, attualmente sono più comuni da trovare quelli dotati di ante a “boiserie”, cioè come quelle degli armadi di cui abbiamo parlato pocanzi, però esistono anche armadi scorrevoli dotati di ante a telaio in metallo e in legno. Questa versatilità permette l’uso di quasi tutti i materiali di rivestimento, e ciò rende possibile trovare in commercio armadi complanari in legno, in legno laccato, in vetro, in specchio ed altri numerosi materiali.
Come abbiamo detto, si tratta di un mobile tecnologicamente molto evoluto (forse il più evoluto in assoluto, a parte le cucine) che, per i suoi contenuti tecnici, non può che avere un costo proporzionalmente più alto rispetto a tutte le altre tipologie di guardaroba presentati in questo articolo ed in commercio. I vantaggi che esso offre in più, rispetto ad un normale armadio scorrevole a due ante sono prettamente estetici, sta dunque al giudizio di chi lo acquista il valutare l’opportunità o meno di investire in un oggetto di tale bellezza e design.
Con questo articolo abbiamo navigato nel mondo degli armadi guardaroba più nuovi ed originali, affrontando al contempo alcuni importanti argomenti che possono interessare coloro che si approcciano a questo tipo di acquisto. Si tratta di una piccola infarinatura che deve essere presa solo come uno stimolo ad approfondire dei temi che devono essere per forza considerati da chi arreda la propria camera da letto con un mobile dalle dimensioni notevoli come un armadio guardaroba moderno.
Conclusioni
Speriamo che la nostra guida su come scegliere un letto imbottito ti abbia fornito le informazioni necessarie per prendere una decisione consapevole e soddisfacente. Presso Griva Arredamenti, siamo pronti ad aiutarti a realizzare arredamento su misura.
Ti invitiamo a visitare i nostri showroom di Pinerolo e Torino, dove potrai scoprire di persona la qualità e l’eleganza dei nostri mobili. Potrai toccare con mano i materiali, valutare le soluzioni di spazio e ottenere consigli personalizzati dai nostri esperti.
Se hai domande o desideri ulteriori informazioni, non esitare a contattarci. Saremo felici di fornirti tutte le risposte di cui hai bisogno dai nostri esperti interior designer.
Per definire in piena esattezza l’ambiente soggiorno sarebbe opportuno sfogliare un dizionario di architettura. Una volta rintracciata la voce relativa potremmo trovarci scritto: «dall’aggettivo diurnus, di ogni giorno; stanza destinata alla vita quotidiana in comune di un nucleo familiare o di una collettività. Anche Living-room, locuzione inglese di uso internazionale, propriamente traducibile con “stanza per vivere”, possiede più o meno lo stesso significato, strettamente legato al concetto di “vivere”. Proprio perché destinato alle attività specifiche della vita di tutti i giorni, dunque, questo ambiente tende a porsi come la sintesi di tutto l’abitare familiare e a occupare, solitamente, la maggior parte dello spazio all’interno della dimora. Definirne le dimensioni e la collocazione di un soggiorno nell’alloggio non è tuttavia così immediato come succede per altri ambienti adibiti a una funzione specifica, dato che alla sua determinazione concorrono, di volta in volta, le abitudini familiari, lo spazio a disposizione e l’esposizione dell’edificio. Tutti fattori che colui che progetta l’immobile deve interpretare per arrivare a dare una risposta soddisfacente ai suoi utilizzatori.
Un po’ di storia
Cominciamo però con l’individuare per prima cosa (anche se in questa disamina è possibile farlo solo accennandone fugacemente) da dove ha origine il soggiorno della moderna casa d’abitazione. La tipologia della casa ad appartamento è di origine antichissima ed è addirittura antecedente alle prime grandi città greche e romane. La sua moderna coniugazione è però perlopiù settecentesca e deriva direttamente dagli stilemi della dimora nobile. La sua struttura è finalizzata però, non più a un’organizzazione simmetrica di tipo “Palladiano” degli ambienti, ma è concepita tenendo presenti quasi sempre altri importanti fattori, primo fra tutti il doppio affaccio della casa: verso strada e verso “corte”, ovvero verso l’interno del condominio o del palazzo. Verso strada i primi “appartamenti” rivolgevano il salone, l’anticamera e le camere padronali; verso “corte”, la cucina, le altre stanze e gli alloggi per la servitù. A questo punto è necessario precisare che il significato dato all’epoca alle determinazioni di queste stanze non è certamente quello attuale: in proposito abbiamo trovato alcune divertenti definizioni: “L’anticamera è quella stanza che precede l’appartamento; ordinariamente è la sala pei domestici e in esse non devono esservi “ornati” … ” “La sala da pranzo , che vien dopo immediatamente all’anticamera, e che talvolta sta in luogo di essa, dev’essere quadrellata (ovvero “piastrellata” ndr) e non di tavole di legno onde si possa lavarla dall’untume che può cadervi dai cibi durante il pranzo … ” “II salone è il luogo di cerimonia ove si accolgono i forestieri, e quello nel quale deve dispiegarsi il maggior lusso e ricchezza … Ne’ bei saloni prodigansi i marmi, i bronzi, la doratura, la scultura, e soprattutto gli specchi; l’adornarsi di statue, di quadri, di lampade e candelabri, contribuisce alla magnificenza della stanza… ” “La camera da letto è l’asilo del sonno: conviene perciò situarla lungi dallo strepito dei cortili, e da quanto può destare distrazione …” (U. Vitry, Il proprietario architetto, Venezia, 1840).
Se questo è da considerarsi lo schema originario, presente principalmente nelle case dell’alta borghesia, ciò a cui si assisterà in seguito sarà un lento ma continuo affinamento che porterà gli ambienti a disporsi in progressione “dal pubblico al privato”, rendendo il soggiorno più “democratico” ed in un certo senso “popolare”. Nel periodo di tempo di questa evoluzione l’originale salone diventerà piano piano il cuore della distribuzione interna della casa.
Si parte cominciando a concepire la stanza “contemporaneamente come vestibolo e come spazio di soggiorno” che serve a distribuire “da un lato i locali di servizio che ne dipendono (cucina, dispensa e , dove esiste, lo studio) e, dall’altro, le parti più private, ovvero le camere e il gabinetto.” (F. Loyer, L’appartamento haussmanniano, in “Il progetto domestico”, XVII Triennale di Milano, Milano 1986). Tale modello subirà diverse trasformazioni prima di assumere l’aspetto attuale: la sala da pranzo diventerà nei primi anni del novecento, comunicante col salone (o salotto) mediante una doppia porta vetrata, mentre i servizi domestici (come la cucina) ne verranno allontanati. (È facile riscontrare come questa distribuzione si ritrovi pressoché identica, almeno fino ai primi decenni del XX secolo, nella moderna casa ad appartamenti di livello medio-superiore). La casa piccolo borghese, invece, a partire dal XIX secolo, semplifica di fatto questo schema sino ad arrivare al secondo dopoguerra in cui, in essa, salotto e stanza da pranzo diventano già un unico ambiente di ricevimento, isolato sia dalla zona notte, sia dalla cucina. Sarà dopo, negli anni del boom economico, che quest’ultima diventerà la parte più vivibile dell’abitazione, trasformandosi da “cucinotto” a cucina famigliare, mentre il soggiorno resterà ancora per qualche anno quella parte “ufficiale” della casa, spesso poco utilizzata.
Questo “taglio” dell’alloggio, anche se diversamente caratterizzato in ogni Paese, subirà un’ulteriore mutazione nelle tipologie di alloggio costruite più di recente, in linea con le metodiche architettoniche in voga degli ultimi decenni del ‘900, in cui l’appartamento ha dovuto assumere dimensioni sempre più contenute pur dovendo far fronte a esigenze familiari complesse. A partire dagli anni ‘80, pur se rimane la divisione notte/giorno, una delle caratteristiche fondamentali risalenti alla casa ottocentesca, la cucina assume un diverso rilievo ed entra per la prima volta a far parte della zona “pubblica” dell’abitazione, spesso facente parte dello stesso locale di soggiorno. Il soggiorno-cucina diventa così -a sua volta unito spesso con l’ingresso- la vera zona conviviale e accogliente della casa. Tale mutamento della sua conformazione fa sì che il suo arredo diventi in questo modo rappresentativo del livello di vita della famiglia che lo abita. Questo è lo schema distributivo che vige anche ai giorni nostri, senza sostanziali variazioni. Nelle case più moderne e attuali possiamo solo rilevare, in controtendenza con questo schema, un duplice sviluppo che si dipana a seconda delle dimensioni dell’edificio dirigendosi, da un lato, verso l’alloggio che dà molta importanza agli spazi filtro (ingresso, atrio, stanza da pranzo convenzionale) che si frappongono fra il visitatore e il living-room (soluzione questa riservata agli appartamenti di maggiori dimensioni e alle case unifamiliari) e dall’altro verso l’alloggio in cui lo spazio di soggiorno, opportunamente dilatato per forma e proporzioni, più che per dimensioni, diventa anche spazio di distribuzione dei percorsi interni (integrazione completa con la cucina e la zona pranzo, eliminazione dell’ingresso e delle altre zone di servizio e collegamento di passaggio con la zona notte). Quest’ultimo schema si ritrova nelle case di minori dimensioni, pensate per una vita che si svolge prevalentemente fuori casa, cioè la maggior parte delle abitazioni di oggi giorno.
I soggiorni moderni
Tale excursus introduttivo era necessario, sia per ripercorrere l’origine del nostro modo di abitare oggi, sia per dimostrare che il soggiorno è un ambiente in perpetua evoluzione, difficilmente catalogabile in uno schema tipologico buono per tutte le occasioni. Probabilmente infatti ciascuno di noi ha assimilato dalla propria storia famigliare un particolare modo di abitare e intendere la propria casa, per poi riproporlo nel soggiorno, (il locale che viene infatti più “vissuto”) il quale diviene così “specchio” della interiorità di ognuno. Il soggiorno è quindi divenuto col tempo “il luogo della famiglia”, nella sua più interiore accezione. Ma, col senno di chi conosce l’attuale funzione pubblica del locale soggiorno è legittimo che questo ambiente sia adesso completamente slegato all’idea di “salone”, il luogo-simbolo dell’abitazione, in cui debbono “dispiegarsi lusso e ricchezza” come dicevano molti anni fa, non confermandone dunque negli arredi la mansione di “zona di rappresentanza” della casa rispetto ad altre stanze più intimamente vissute?
È forse assai più opportuno che, pur abbandonando le tentazioni formali, quest’ ambiente (ahimè, sempre più piccolo) sia utilizzato come il luogo dove la famiglia può veramente ritrovarsi o dove intende “ritagliarsi” delle zone d’uso autonome e confacenti a ciascuno, senza mai dimenticare però la responsabilità del soggiorno quale “stanza dove si ospita” e si ricevono parenti e amici. Sarà quindi, con molta probabilità, la plausibile sommatoria di molte finalità, tra cui la principale è quella del soggiornare (conversare, leggere, guardare la TV), senza però mai scordare anche quelle di riposarsi (relax), di pranzare (funzione del riunirsi insieme), lavorare, giocare, suonare e così via, fino ad arrivare a quella, altrettanto basilare, dell’ospitare. E in quest’ottica, dove sarà più opportunamente collocato, il soggiorno, rispetto agli altri ambienti della casa? Ancora in una posizione “formale” di rappresentanza, o in una zona intima e raccolta, magari affacciato su un giardino interno, senz’altro più confortevole e esclusivo? Scartando le soluzioni di dimensioni troppo limitate e tipologicamente vincolate, si può dire che il soggiorno ormai da un po’ di tempo tende giustamente a occupare la zona più piacevole dell’abitazione e più vicina al suo ingresso, anche perché dimensionalmente è un locale che può arrivare a una percentuale pari al 40 o al 50 per cento della superficie totale della casa. L’esposizione a ovest o a sud-ovest sarebbe la più favorevole, dato che l’uso della stanza dovrebbe avvenire per definizione prevalentemente nelle ore diurne, ma ormai qualsiasi orientamento viene universalmente accettato in quanto buona parte degli appartamenti vengono utilizzati specialmente di sera.
Nella maggioranza dei casi è frequente che il soggiorno si relazioni intimamente con lo spazio esterno: balcone, terrazza, loggia o giardino posteriore, specie nelle case di città. Il rapporto tra queste due zone può essere così intimo che, quando è possibile l’apertura pressoché totale delle finestre (porte-finestre), si può passare indifferentemente dall’interno all’esterno e viceversa, ampliando così di fatto la superficie del locale.
Le planimetrie che si possono riscontrare per gli appartamenti moderni evidenziano come diversi architetti hanno risolto il rapporto del soggiorno con gli altri locali e con l’esterno, secondo una libertà distributiva che è tanto maggiore quanto più sono state tenute presenti le singole esigenze degli abitanti e il tipo specifico di casa che si andava a progettare.
Siamo convinti -e anche questa breve analisi lo ha dimostrato- che gli spazi di soggiorno siano dunque ancora oggi destinati a trasformarsi ulteriormente, sia per la continua riduzione della superficie delle stanze conseguente all’alto costo degli alloggi, sia per il mutamento in atto delle abitudini familiari. Alcuni esempi abbastanza palesi in questo senso sono, oltre alla minor presenza in casa degli abitanti durante le ore mattutine/diurne, la minor frequenza con cui si consumano i pasti in comune, l’uso del locale in orari molto differenziati, e la presenza e l’importanza che ha assunto la televisione come elemento informativo e di divertimento. Tutti fattori che hanno fatto diventare il soggiorno moderno una cosa molto diversa dal “salone” del passato. Ecco che uno spazio tradizionale di 4×4 m (o 5×4 metri) non solo si dimostra quindi oggi spesso insufficiente ad accontentare alcune di queste diverse esigenze, ma si trova quasi sempre anche vincolato ad essere abbastanza flessibile da rispondere a queste vere e proprie “trasformazioni di uso” che possono diventare necessarie anche nell’arco di brevissimo tempo.
Una soluzione possibile a questo problema può essere quella che ci viene proposta dalla radicalizzazione delle tendenze in atto: non si progetta più, in pratica, soltanto uno spazio comune in cui trovarsi insieme, ma si individuano pure al suo interno delle aree differenziate e specializzate per le diverse attività, da utilizzarsi volendo, anche tutti insieme.
In quest’ottica è possibile dare molta importanza alla cucina (nuovo spazio di aggregazione secondo gli archetipi della Tv e della pubblicità), che si integra infatti sempre più di frequente al soggiorno, decretando in pratica la scomparsa della zona pranzo così come tradizionalmente intesa. Tuttavia, il permanere in Italia di una tradizione culinaria addirittura secolare e ben radicata, le abitudini, in fondo, sedentarie della popolazione, la presenza ancora ben strutturata di nuclei familiari con figli, fanno sì che tale tendenza si concretizzi, al massimo, nel dare maggior importanza a una grande cucina abitabile e nell’eliminare l’ulteriore tavolo (con gli ingombranti mobili che spesso lo accompagnavano) che una volta si posizionava nella sala da pranzo, appositamente collocata in casa. In verità questa mutazione crea molto spesso anche il desiderio (o dovremmo forse parlare di vero e proprio “pentimento”) di rinunciare agli “open-space” e di avere un ambiente cucina separato dal soggiorno (se non altro per creare un filtro al passaggio di odori e rumori) e collocato in un locale a sé stante. Tale desiderio finisce però quasi sempre per rimanere inesaudito per la carenza di spazio presente nei nuovi edifici ed è per questo che le conformazioni attuali dei soggiorni sono così diffuse. Va da sé che il soggiorno, in ogni caso, rimarrà lo spazio deputato ad accogliere le altre attività sopra descritte compresa un’adeguata zona pranzo, magari organizzata con elementi ripiegabili (se usato per poche significative occasioni all’anno), oppure attorno a una tavola di piccole dimensioni e certamente allungabile, così come tutte le altre attività di cui avremo modo approfonditamente di parlare in questo spazio.
Come si progetta la “zona giorno”
Occorre sempre tenere presente che qualsiasi disposizione si decida, lo spazio del living dovrà avere quel minimo di adattabilità da poter essere usato almeno da due gruppi di persone di famiglia che svolgono attività diverse: pranzo, ospitalità, conversazione e lettura, musica e relax, zona lavoro e zona studio, con tutte le difficoltà di queste coesistenze … Tali zone saranno dunque tanto più funzionali quanto più potranno essere separate visivamente, acusticamente e spazialmente, le une dalle altre. Ciò si potrà ottenere cercando di interpretare nel migliore dei modi la forma e le dimensioni del locale a disposizione. Quello che occorre fare per prima cosa quando si progetta un soggiorno è pensarlo proprio attraverso la molteplicità delle sue funzioni e individuando le necessarie relazioni tra l’una e l’altra, in riferimento ai singoli tempi di utilizzo. Anzitutto, le dimensioni: le norme italiane fanno cenno specifico a questo locale solo per precisare che “ogni alloggio deve essere dotato di una stanza di soggiorno di almeno mq.14” [D.M. 5 luglio 1975 art. 2}. Queste dimensioni, a parte le considerazioni che potremmo fare a proposito dei “monolocali”, si rivelano a una prima analisi del tutto insufficienti in merito ai soggiorni. Basta fare un po’ di conti: immaginando una profondità del locale di 4 metri, ne risulterebbe una larghezza utile di soli 3,5 metri; se a questi si tolgono poi anche gli ingombri creati dalle aperture, ci si accorge della difficoltà che si presenta nell’effettuare qualsiasi arredamento. Anche se affiancato da una cucina abitabile di 12-15 mq, in cui collocare magari un bancone penisola, le superfici del locale di soggiorno non dovrebbero mai essere dunque inferiori a 20 mq (5x4m). Tali proporzioni consentirebbero di ritagliare dall’ambiente principale una piccola zona pranzo (magari in nicchia o con un tavolo pieghevole o allungabile) di circa 5-6 mq dove ospitare i commensali delle ricorrenze più importanti, e di riservare alla zona relax il resto delle superfici. Uno spazio conversazione arredato da un divano e due poltrone disposti ad angolo occupa non meno di 15-16 mq. Ciò suggerisce in qualche modo la forma più accettabile per un soggiorno moderno: spesso ci si trova di fronte a stanze pressoché quadrate che sono già abbastanza soddisfacenti; in genere, in questi ambienti, pranzo e conversazione, vengono collocati in angoli tra loro opposti e le due zone funzionali coesistono senza grossi problemi. Dove è però possibile, a volte risulta maggiormente funzionale una forma allungata in cui disporre da un lato il pranzo (verso la cucina) e da quello opposto le sedute relax, la TV o le altre zone d’uso. Per esemplificare questi concetti si può ragionare immaginandosi un locale di soggiorno arredato di 36 mq (ciascuno lo adatti alle proprie misure), irregolare, la cui sagoma sia capace di suggerire alcune soluzioni di arredo tipo. Nella parte a minor profondità, collegata con la cucina, sarà ovviamente collocata la zona pranzo (magari con il tavolo rettangolare disposto col lato inferiore contro la parete esterna, per godere delle migliori condizioni di illuminazione naturale); nella zona più ampia verrà invece organizzata una zona conversazione realizzata su misura attraverso arredi specifici, anch’essa ben illuminata dalle finestre. In uno spazio più riservato, infine, una zona che può diventare zona lavoro, studio dei figli, da gioco ecc... La zona pranzo si affaccerà direttamente sulla terrazza dove sarà a quel punto possibile organizzare con comodità anche un pranzo all’aperto. Lo stesso schema può essere proposto con un altro arredo in cui il tavolo da pranzo sarà ancora nella zona stretta ed in cui verrà individuata una zona conversazione più aperta (a “C”) verso il pranzo (che si può ampliare con altre sedie, all’occorrenza). Lo spazio più vicino alla finestra potrebbe essere a quel punto arredato con librerie e altri mobili (tipo uno scrittoio) per un uso diverso dal relax, dato che non si potrà presumibilmente disporre di un ambiente autonomo per questo scopo. Naturalmente è possibile immaginare tante altre possibili soluzioni: appare comunque evidente che una superficie di queste dimensioni (o anche leggermente minori) consente una distribuzione razionale degli arredi e una suddivisione “a zone” come sarebbe perlomeno difficile ipotizzare in un soggiorno di 20 mq.
Vediamo ora come immaginare una distribuzione un po’ più articolata in cui venga dato un dimensionamento più abbondante alle singole funzioni. È lo schema tipico che può possedere una casa unifamiliare, ma potrebbe essere riproponibile anche in una situazione diversa, come nel caso degli appartamenti più grandi. Questa soluzione prevede, in mancanza di una stanza cucina vera e propria ed abitabile, uno spazio soggiorno-cucina in cui sia possibile corredare gli arredi di un bancone destinato alla prima colazione o al pranzo familiare (da usarsi in alternativa al vero e proprio tavolo da pranzo, comunque presente) particolarmente pratico per uso quotidiano e ben separato dalla zona di lavoro della cucina. A questo si aggiungerà dunque una zona pranzo più formale, posta in prossimità della cucina ma effettivamente e visivamente ben separata da essa (come l’anticamera degli appartamenti tradizionali), che non sarà a quel punto necessario attraversare prima di giungere alla zona notte o uscire all’aperto. Infine, la zona conversazione, che in questo caso sarà strutturata tramite pareti attrezzate e mobili imbottiti, assolutamente fuori dai percorsi di transito e a sua volta suddivisibile in diverse zone funzionali come la zona relax, i contenitori, la libreria, la zona tv, lettura studio ecc…
Concludiamo infine con l’immaginare lo schema di una sorta di monolocale soggiorno, in cui le dimensioni sopra esposte abbiano a subire dunque una brusca riduzione ed in cui dovranno essere presenti tutte le funzioni con, in più, una zona di sedute trasformabile in letto. In questo schema (circa 45 mq) dovrà essere salvaguardata l’identità della zona pranzo che sarà posta in comunione con la cucina, mentre alla parte conversazione/relax/TV (trasformabile in letto) verrà riservato il lato più luminoso della stanza, in prossimità della finestra, in modo che questa zona funga anche da “chiusura” dello schema distributivo. Anche nelle piccole dimensioni di questo ultimo esempio inventato c’è comunque la possibilità di suddividere quest’ultima parte di soggiorno in due zone: conversazione da una parte e ascolto musica o TV dall’altra, magari sfruttando le svariate opportunità che offrono gli arredi moderni, come i divisori, le interpareti, le vetrate scorrevoli e fisse e tanti altri. L’importante è mantenere comoda, ma abbastanza contenuta, la quota di spazio riservata ai percorsi interni dell’alloggio: gli schemi dimensionali finora esposti evidenziano infatti tutti che le misure d’ingombro medie da destinare al transito delle persone, all’accesso alle principali attrezzature, agli ingombri delle persone sedute e in movimento, partono almeno dai 100 cm minimo. Ciascuno dovrà dunque utilizzare tali spazi tenendo conto che certe misure non possono essere ulteriormente ridotte, se non a scapito dell’agibilità dei locali.
L’arredo del soggiorno è, insomma, solo apparentemente un facile “puzzle” di accostamenti ben calibrati. Esso deve nella realtà quotidiana proporre anche degli spazi “vivibili” e, all’occorrenza, trasformabili per poter essere veramente riuscito. È inutile pensare al soggiorno come a un contenitore capace di ospitare tutti i simboli del benessere familiare e nel contempo essere pratico da usare. I grandi spazi arredabili sono rari e, quando ci sono, molto costosi da arredare e decorare, e per questo presentano spesso il rischio di restare perennemente vuoti. È indispensabile, quindi, essere obiettivi e palesare con esattezza le proprie esigenze, arricchendo spazi, magari apparentemente modesti, con semplici elementi d’arredo, colori, specchi, complementi che li rendano comunque interessanti e rinunciando invece a formalità o a inutili esibizioni. È in questa logica che entra in gioco a pieno merito la qualità degli arredi e la differenza che c’è fra “ammobiliare” e “arredare”. Chi vuole semplicemente “ammobiliare” un soggiorno, può tranquillamente riempirlo alla “meno peggio”, acquistando i propri mobili presso uno qualsiasi degli enormi falansteri che costellano l’Italia e in cui sono venduti i mobili “un tanto al chilo”. Chi desidera invece “Arredarlo” (e la “A” maiuscola non è casuale) farà meglio ad affidarsi a professionisti e rivenditori che oltre a proporre prodotti di qualità, siano in grado di progettare gli ambienti e consigliare i propri clienti al meglio. Perché tutte le varianti che possono essere presenti in un arredamento entrano in gioco nell’allestimento di un soggiorno e nulla può dunque essere lasciato al caso.
L’illuminazione del soggiorno
Proprio perché ne abbiamo suggerito la suddivisione ottimale in zone, l’illuminazione del soggiorno deve essere progettata in funzione delle attività (visive e non) che nel locale si svolgono. È importante sottolineare, a questo proposito, quanto sia fondamentale in soggiorno sfruttare bene la luce a disposizione, sia naturale che artificiale, creando degli ambienti ben illuminati, gradevoli da vivere, comodi e abbastanza flessibili da poter essere trasformati senza rivoluzionare la stanza.
Questo si ottiene prevedendo correttamente le funzioni, i giusti spazi di passaggio e di movimento, a priori, prima cioè di una corretta impostazione d’arredo, senza dimenticare mai, che una fonte luminosa, quando prevista, può essere facilmente spenta quando la stanza risulta troppo illuminata, mentre è assolutamente impossibile fare il contrario quando la stanza risulta in quel momento buia e non si è prevista nessuna illuminazione aggiuntiva.
Come concetto generale diciamo che si dovrà procedere prevedendo un sistema di illuminazione generale (lampade da soffitto o lampade da terra, a illuminazione diretta o indiretta) che garantisca una base sufficiente di illuminazione, per poi proseguire considerando le singole zone d’uso, le quali dovranno necessariamente avere un’illuminazione specifica. Questo va detto per evitare situazioni di discontinuità di luce tra una zona e l’altra, per permettere corretti rapporti di luminanza nel campo visivo ed evitare all’occhio faticosi sforzi di adattamento a causa di eccessive diversità tra i livelli di illuminazione. La zona del tavolo da pranzo di tipo tradizionale deve essere dunque illuminata con un sistema che garantisca la luce proveniente dall’alto, necessaria a tale attività, ma anche ad altre di carattere generico come lavori di cucito, lettura, giochi, computer, o altro ancora da fare al tavolo. L’illuminamento medio necessario ad una zona pranzo è pari a circa 500 lux e può essere ottenuto con lampade da soffitto con luce rivolta verso il basso capaci di mettere in risalto l’apparecchiatura della tavola (che però può creare fastidiose riflessioni se il piano del tavolo è trasparente o riflettente), ma che risulta spesso più accettabile se viene realizzata con lampade schermate. Se il tavolo non ha una collocazione fissa e deve poter essere spostato, è consigliabile l’adozione di apparecchi montati su supporti mobili (da terra) che abbiano un braccio sufficientemente ampio da poter essere utilizzate in luogo del lampadario.
Le lampade dovranno evidentemente mettere in evidenza la qualità e il colore dei cibi, ma anche permettere una piacevole conversazione fra le persone e soprattutto essere capaci di illuminare chi usa il tavolo per studiare o per lavorare. Non è opportuno quindi scegliere lampade che abbiano il difetto di modificare una corretta percezione dei colori. Quando si decide di posizionare uno spazio relax dove poter leggere, occorre considerare che la lettura in poltrona comporta una serie di difficoltà visive che sono difficili da risolvere singolarmente, se non destinando una specifica fonte luminosa a questo scopo. Per tale mansione sono dunque da preferirsi quegli apparecchi illuminanti tipo le lampade a tavolo o a terra, dotate di una fonte luminosa diretta, che si presti ad illuminare perfettamente ciò che si sta leggendo, senza creare fastidi agli occhi. Se invece in stanza non è richiesta un’illuminazione specifica per la lettura, è sufficiente predisporre un tipo di illuminazione “diffusa” realizzata o con una plafoniera di grandi dimensioni, con lampade direzionabili da soffitto o da terra (a illuminazione indiretta) oppure “localizzata” mediante lampade da tavolo o da parete situate di fianco a chi legge. Una cosa però deve essere chiara: una lampada da terra non può essere scelta per l’illuminazione generale di tutto l’ambiente: essa, specie se combinata con un variatore di intensità luminosa, può essere considerata un comodo ausilio, ma solo se si è provveduto a predisporre altrove una illuminazione generale già di per se sufficiente a illuminare il soggiorno. La zona di lavoro, così come detto sopra per ciò che concerne la lettura, deve godere di una buona illuminazione diurna, ma per l’uso notturno, oltre ai lampadari provenienti dal soffitto, devono essere, pure in questo caso, utilizzati apparecchi a luce diretta disposti vicini alla postazione. I moderni sistemi al led hanno risolto adeguatamente il problema di una buona illuminazione concentrata su una piccola superficie e capace di non interferire con l’illuminazione delle zone circostanti. Occorre non dimenticare infatti che per la lettura e la scrittura si richiede un livello di illuminamento di 500 lux come per il pranzo, ma molto più concentrati e diretti. Per la zona relax, in cui è invece gradevole un tipo di illuminazione diffusa a bassa intensità (per vedere la Tv, ascoltare la musica o altro) sono sufficienti da 60 a 120 lux. Quello della televisione è un fattore da considerare con la massima attenzione quando si parla di illuminazione del soggiorno. A parte l’illuminazione diurna, che come noto non è bene interferisca con gli schermi, è difatti indispensabile che anche la luce artificiale sia posizionata in modo da non creare fastidio durante la visione dei programmi TV. La sera in soggiorno, di frequente si fa l’errore di lasciare il televisore completamente al buio mentre lo si guarda pensando di creare le migliori condizioni di visibilità. In verità invece, così facendo, si va a creare un grave contrasto di luminosità tra la tv e il resto della stanza, affaticando i nostri occhi che, muovendosi naturalmente per tutto il volume della stanza, ne possono risultare notevolmente affaticati. Per questo motivo è importante considerare sempre la predisposizione di alcune luci che potremmo definire “di atmosfera”, le quali avranno in un certo senso il compito di “accompagnare” la funzione naturale dei nostri occhi, senza che questi abbiano a stancarsi durante gli “spostamenti visivi” dei bulbi oculari verso i diversi angoli della stanza. Anche a questo proposito si rivelano molto utili le luci al led, le quali vengono prodotte in barre e strisce e possono per questo venire opportunamente e comodamente posizionate nei mobili da soggiorno e in altri punti della stanza, in modo da illuminare l’ambiente circostante. La luce va posta in questo caso dietro, o comunque in prossimità della Tv e va orientata verso il basso o verso il muro, facendo in modo che essa non sia puntata direttamente verso lo schermo.
A tale scopo possiamo anche scegliere di installare le strisce led in alto, magari in un contro-soffitto, in modo che illuminino la zona prospiciente la tv o quelle nelle sue immediate vicinanze, creando un piacevole effetto “diffuso”, che può rivelarsi particolarmente utile anche quando ci si trova a doversi alzare dal divano per recarci in altri ambienti della casa.
I colori del soggiorno
Giunti a questo punto, la maggior parte dei lettori si aspetterà magari di trovare in queste pagine una lista, più o meno nutrita, dei colori che vengono considerati più adatti da utilizzare in soggiorno e da abbinare nei vari componenti del suo arredamento: ebbene, non sarà, così. Se si avesse la pazienza di consultare le centinaia di manuali di arredamento che negli anni sono stati scritti, troveremo infatti a proposito di questo argomento, decine e decine di opinioni diverse, che dipendono da tantissimi differenti fattori, ma che sono tutte ugualmente da considerarsi valide. Per il momento in cui sono state scritte.È infatti la componente “temporale”, che porta ognuno di noi a considerare bello e indicato al nostro scopo, il colore che magari in quel momento piace alla maggioranza delle persone e per questo ritenuto più “di moda”. Ciò è proprio dei comportamenti umani e non c’è nulla di male in tutto questo. Ci saranno tempi in cui, nella scelta dei colori del nostro soggiorno, si sarà più tendenti a considerare particolarmente attraente un colore, altri in cui invece ci troveremo a sceglierne senza alcun dubbio un altro. Questo è dovuto alle quantità di informazioni che il nostro cervello, molto spesso inconsciamente, è in grado di assimilare e che per questo motivo si stratificano una sull’altra, consentendoci di riconoscere istintivamente il “nuovo” dal “vecchio”. In un periodo in cui le esposizioni di mobili saranno piene del colore rosso, saremmo più portati a giudicare magari il rosso come un colore di tendenza che ben si adatta ai nostri ambienti. In altri periodi invece la vista delle riviste di arredo, colme magari di soggiorni in cui la predominante cromatica è tendente al grigio, potrà indirizzare le nostre scelte verso le varie tonalità esistenti per quel colore. Sulla scelta del colore, non influisce però solo la moda, o la tendenza in atto. Sono molti i fattori che possono influire la scelta, primo fra tutti il gusto personale, e poi senza dubbio, anche la conformazione dei locali che ci si trova ad arredare. Sul primo, è notoriamente impossibile discutere ed è dunque soprattutto in merito alla seconda che è possibile indicare delle regole universali, valide in ogni momento, e che possono essere sempre utili quando si tratta di scegliere i colori di un arredo. Ad esempio: in un soggiorno dalle dimensioni normali, dove i mobili sono solitamente pochi in confronto alle pareti che rimangono libere, i colori di quest’ultime assumono un’importanza che non è affatto secondaria rispetto a quella degli arredi: la tappezzeria o la tinteggiatura devono essere quindi particolarmente curate nella loro scelta, specie quando si intende arredare un ambiente così “vissuto” come è di solito un soggiorno. La tinteggiatura (o la tappezzeria unita) ha nei soggiorni una funzione che è molto specifica e che serve a rendere piacevoli anche quelle zone di muratura che rimangono “a vista” e che, pur non contenendo arredi, collaborano attivamente all’effetto complessivo dell’allestimento. Partiamo però innanzitutto col descrivere i muri e le tipologie di murature che si possono incontrare in un soggiorno: i soggiorni moderni, hanno quasi per definizione delle murature intonacate a intonaco civile (quindi leggermente goffrate), oppure a gesso (dunque completamente lisce).
Non sono rari però i casi in cui i progetti più ambiziosi e innovativi, lasciano spazio anche a pareti con cemento armato lasciato al grezzo, oppure con mattoni “a faccia vista”. Nelle case antiche, oltre a queste tipologie di superfici, è possibile riscontrare anche la possibilità di lasciare delle parti senza intonaco, in modo da poter ammirare la bellezza delle pietre antiche con cui è stato costruito l’edificio. In ogni caso, quando si opta per non intonacare le pareti (a intonaco o a gesso), quando si decide cioè di non ricoprirle con un materiale che tenda a lisciarle, lo si fa con l’intento di “insaporire” gli ambienti in modo che anche i muri contribuiscano in qualche modo all’effetto decorativo che si intende dare alla stanza. Con lo stesso tipo di criterio, bisogna ragionare però anche quando siamo di fronte ad un soggiorno dotato di pareti perfettamente lisce e magari colorate di bianco. La domanda che occorre porsi per prima cosa è: l’arredo del mio soggiorno, necessita di un ulteriore ornamento (e dunque un maggior “carattere”) oppure è già di per sé sufficiente a svolgere la sua funzione di arredamento? Anche in questo caso, infatti, siamo di fronte alla scelta che ci si trova a dover fare quando siamo chiamati a decidere fra “arredare” un soggiorno o semplicemente “ammobiliarlo”. Arredare un soggiorno non significa solo riempirlo di mobili quel tanto che basta a renderlo utile in termini di contenimento, ma significa soprattutto immaginare un allestimento completo, che, come abbiamo già detto più volte, deve includere nel progetto non solo gli arredi, ma anche l’illuminazione, la decorazione, le finiture edili e tutto quanto può concorrere all’effetto finale che noterà chi entra nel nostro soggiorno. Nel caso della tinteggiatura (o della carta da parati unita), qualora si opti per rinunciare alle normali pareti bianche che adornano un salotto, essa dovrà dunque essere pensata con un colore ben definito, che magari sarà il solo presente nel locale oltre al bianco dei soffitti, ma che si intonerà perfettamente col pavimento e con gli arredi che si è previsto di inserire. Tale tonalità, infatti, dovrà essere necessariamente estesa ai mobili e viceversa: ciò deve essere tenuto sempre nella massima considerazione: per questo motivo è necessario progettare il soggiorno nel suo complesso e non solo per quanto riguarda la parete che si intende arredare. Per esempio, se si decide di declinare la propria stanza con un caldo tono pastello, si decideranno i colori delle ante del mobile, degli imbottiti e delle pareti in modo che possano rappresentare l’uno la declinazione dell’altro. In merito a questo è ovvio che le scelte consigliabili sono quelle che portano a prediligere per la nostra zona giorno colori non troppo accesi, che non risultino insopportabili una volta passati di moda e che, soprattutto, non siano di fastidio agli occhi per la loro tonalità. Questo però non significa affatto che i colori più vivi, come certe tonalità di arancio, rosso, turchese o verde non possano mai essere usati in un soggiorno, anzi, tutt’altro! I toni più vividi, hanno infatti un grande potere decorativo e per questo possono essere utilizzati quasi in ogni caso, dosandoli con parsimonia e con la dovuta attenzione. Del resto, il “minimalismo” imperante nell’arredamento moderno, dopo l’affermarsi del “razionalismo” in architettura, necessità di essere un po’ smosso dalla sua naturale monotonia. Ecco che per questo motivo, risulteranno spesso molto utili tutti quegli “innesti” che porteranno ad esempio a inserire qualche cuscino colorato sul divano, che riprenda magari il colore di qualche elemento del mobile del soggiorno, oppure il colore delle sedie della zona pranzo, come anche quello “spruzzo di colore” che molto spesso si trova sulle carte da parati realizzate “su misura”, che tanto sono di moda in questo periodo.
Se l’ambiente non è piccolissimo, il colore delle pareti può essere interrotto da quello delle porte, che potrebbero essere bianche, come il soffitto, quando si ha la necessità di farle “sparire” a livello arredativo. Quando invece si ha la possibilità di farle intonare al pavimento, alle pareti ed al resto degli arredi, è opportuno farlo, senza dimenticare però che le porte, come tutto il resto degli infissi, sono parti integranti dell’edificio, e non essendo “mobili”, come invece sono il resto degli arredi, non sono soliti subire frequenti sostituzioni. Quando è possibile, quando cioè c’è lo spazio “giusto” per poterlo fare, sulle pareti si appenderanno opere d’arte stampe, disegni, litografie o poster, secondo il carattere della casa, delle persone che ci abitano e della spesa che si intende sostenere.
Anche questa può rappresentare una grande occasione per dare un po’ di sapore alla zona giorno, tramite un opportuno inserimento di “colore” e può essere altresì da stimolo per effettuare, magari con l’andare del tempo, quella piccola serie di “aggiustamenti” che ci permetteranno di mantenere il nostro soggiorno molto bello e attuale. È in quest’ottica che viene ritenuta vincente la scelta di colori che non abbiano la capacità di impegnare troppo gli ambienti. Se si decideranno ad esempio dei cuscini colorati, sarà infatti più facile sostituirli in futuro con un colore più di moda, così come se si decidono degli inserti “accesi”, all’interno del progetto del nostro mobile componibile, essi saranno più facili da sostituire, e saranno integrati nella giusta misura.
Se si preferisce la tappezzeria, o sarebbe meglio dire la “carta da parati”, per rendere particolare e interessante la parete dove poggiano i mobili, la scelta potrà essere fatta tra quelle in cui non sono presenti soggetti che possono venir coperti dagli arredi, tra quelle che propongono dei colori che si intonano perfettamente con il resto delle pareti e con gli arredi stessi, così come tutte quelle carte a disegno minuto ( carte a motivi ripetuti o rigate oppure di tipo telato, cioè a disegno “trama di tessuto”) che per loro stessa natura non presentano particolari problemi di adattamento. Qualora si decida invece di decorare con la carta da parati qualche altra parete del soggiorno, magari perché destinata a rimanere vuota, essa dovrà essere riempita con un soggetto adeguato che sia capace di assumere da solo una certa valenza estetica, come un fiore, una figura o tutto ciò che può possedere già da solo uno spiccato significato decorativo.
Quando il soggiorno è molto piccolo e le porte, le finestre e gli arredi, occupano quasi tutte le pareti, si può curare con minore attenzione il colore di quel poco dei muri che restano sgombri, occorre comunque però considerare nella giusta misura il rimanente delle superfici, come sono ad esempio le tende, i mobili, gli imbottiti, il tavolo e le sedie. Anche in questo caso, vige l’assoluta responsabilità di scelte che consentano un certo coordinamento di toni. Le tende avranno dunque la funzione della tinteggiatura, con rifiniture attinenti a quelle del divano e del mobile da soggiorno, cosi come tutti quei dettagli capaci di assumere un certo significato nel contesto del progetto. Anche le sedie, qualora la zona pranzo sia posizionata all’interno del soggiorno, potranno avere dei richiami attinenti al resto dell’arredo; stessa cosa può dirsi del tavolo che però, grazie alle sue evidenti dimensioni, può assumere all’interno del progetto complessivo della zona giorno, una importanza davvero notevole. Il tavolo da soggiorno, come vedremo più avanti, contiene infatti spesso negli arredi moderni delle valenze di “oggetto di design” che ben pochi altri pezzi dell’arredo sono in grado di attribuirsi. Ecco che allora, anche il tavolo, può possedere connotazioni d’arredo, specifiche relativamente al proprio colore, fino ad arrivare a diventare un vero e proprio “oggetto-scultura” da esibire proprio come si fa con un’opera d’arte.
Per quanto riguarda i colori del resto dei mobili, vigono più o meno gli stessi criteri. In un soggiorno dove vi sono due, tre o anche più gruppi di arredi (come salotto, mobile soggiorno, tavolo con sedie e cucina) i colori potranno anche essere diversi, ma dovranno comunque essere “legati” tra loro tramite qualche richiamo o qualche tono evidentemente ricorrente. Per quanto riguarda gli arredi dunque, due o più colori potranno senza dubbio coesistere, nello stesso soggiorno, ma essi dovranno essere coordinati e usati con molta misura. È ad esempio buona regola non approfittare troppo dei tessuti fantasia, prima cosa perché se impiegati con parsimonia, essi acquistano tutto il rilievo necessario a valorizzarsi, ma soprattutto perché risultano più difficili da abbinarsi col resto degli arredi. Un materiale di sicuro accostamento è al contrario la pelle: adatta a ricoprire poltrone moderne o tradizionali, può essere, per sua stessa natura avvicinata a qualsiasi tessuto, dalla seta alla canapa, a qualsiasi tipo di legno e a qualsiasi tipo di laccatura sia opaca che lucida. La pelle è un materiale di lunghissima durata e, così come è trattata oggi, antimacchia e di relativamente facile manutenzione. I tessuti moderni, dalle trame più “grosse” a quelle più fini come le “microfibre”, sono invece prodotti molto più diffusi della pelle, che per loro stessa natura non è possibile in realtà classificare in una sola categoria di materiale.
Il cinz, il lino, il cotone, i “misti” o i sintetici più attuali sono tutti tessuti indicati a rivestire poltrone e divani di linea morbida, con braccioli arrotondati e cuscini in piuma, ma che si adattano anche a quegli elementi moderni dalla linea asciutta che arredano frequentemente i salotti moderni.
In relazione ai colori, quando si scelgono divani e poltrone e si hanno problemi di accostamento con gli altri arredi, è meglio orientarsi su quelli che non hanno toni particolarmente sgargianti in modo che sia più facile abbinarli con tutte le parti di legno e laccate dei mobili. Nessun problema dunque se piacciono poltrone e divani rivestiti in tessuti di colori neutri (il grigio, il canapa, il tortora, lo juta, ecc.), sono tutti colori che stanno bene accostati a qualsiasi essenza di legno, naturale o laccata che sia. Un discorso a parte è rappresentato dai colori bianco e nero, i quali, non essendo in realtà dei veri e propri colori, sottostanno a delle regole un po’ diverse. Con il bianco, ad esempio, si costruiscono praticamente da interi decenni mobili, armadi, tavoli, tavolini, elementi libreria e mobili imbottiti che così, volendo, possono allestire un soggiorno “total white” dal sicuro effetto scenico, sul cui gusto però potremmo disquisire per mesi. Da un lato potremmo trovare chi si lamenta della monotonia di questo tipo di ambienti, mentre dall’altro troveremo senza dubbio chi ritiene indiscutibile la capacità di questi locali di non passare mai di moda. Per il nero, il discorso è abbastanza diverso. Si perché con esso, al contrario, si tende a colorare quelli elementi “particolari”, come i divani, le credenze e i tavoli, che tramite questo colore così deciso assumono una valenza molto caratterizzante all’interno del progetto. Il problema è, in quel caso, di come coordinare il resto degli arredi che finiscono di solito con l’essere abbinati coi vari grigi esistenti o con lo stesso bianco, in un effetto complessivo che mantiene quasi sempre una certa monotonia di toni. Le soluzioni possono essere dunque piacevoli anche in questi ultimi casi, a patto che però si abbia sempre bene in mente un progetto complessivo che tenga in considerazione tutte le possibili problematiche inerenti al coordinamento di questi colori così caratteristici.
Quando il soggiorno è anche sala da pranzo
Fatte salve queste precisazioni di tipo generale circa la zona giorno, la preoccupazione maggiore del suo progettista sarà dunque quella di stabilire una corretta organizzazione delle funzioni interne al soggiorno, in modo da consentire lo svolgimento delle principali attività salvaguardando, nel contempo, anche l’intimità di determinate parti dell’alloggio (come la zona notte o la zona di servizio). È frequente, in questi casi ricorrere a una distribuzione che prevede la zona cottura in un angolo lontano dalla porta d’ingresso dell’appartamento (anche questa molto spesso affacciata sul soggiorno stesso), mentre la zona pranzo e poi il salotto (inteso come sommatoria di parete attrezzata “porta Tv” e divani imbottiti) si trovano più vicine all’ingresso, nella zona meglio illuminata dell’alloggio. A conferma di quanto detto sopra per i soggiorni più grandi, nel caso del locale multifunzione soggiorno/cucina, la zona pranzo tende a ridurre parzialmente il suo assetto rigido (non sono infatti rari i casi in cui si opta per banconi, penisole, consolle apribili ecc.), ma il tavolo rimane comunque un arredo fondamentale attorno a cui sedersi per pranzare, ma anche per studio, lavoro oppure per altre attività. Le sue dimensioni, sono però un problema sempre più sentito nei soggiorni moderni. È frequente a tal proposito l’utilizzo di tavoli allungabili che possono essere sistemati all’occorrenza nelle parti più indicate all’interno dell’alloggio, con dimensioni a volte davvero molto ridotte, ma che permettono di estendersi notevolmente all’occorrenza. Nel caso però di soggiorni in cui sia già stato destinato uno spazio specifico per zona pranzo, come dovrà essere collocata, quest’ultima? Quali caratteristiche dovrà avere una zona pranzo, per essere cioè adeguatamente disposta e dimensionata all’interno del soggiorno? Beh, innanzitutto occorre distinguere fra le abitazioni che posseggono una vera e propria sala da pranzo e quelle che invece (come avviene sempre più spesso) hanno questa funzione prevista all’interno di un locale unico, che comprende sia zona pranzo che salotto e, a volte, anche la cucina.
Nel primo caso, si tratta di alloggi solitamente grandi, dalla superficie superiore agli ottanta-novanta metri quadri, in cui si avrà la fortuna di poter disporre di locali pranzo in cui collocare con facilità anche tavoli di dimensioni ragguardevoli, come 180 x 90 o 200 x 100 cm.
In questi appartamenti è abbastanza semplice poter scegliere quello che può essere l’arredo del nostro ambiente pranzo. Basterà infatti scegliere un bel tavolo, magari dalla forma originale e dal design accattivante, abbinarlo poi con delle adeguate sedie e completarlo con mobile contenitore adeguato, come una credenza ed una vetrina, in modo da formare un ambiente separato e compiuto. Quando quest’ambiente sarà separato fisicamente dalle altre stanze, sarà possibile arredarlo senza alcun coordinamento con altri arredi, facendo comunque attenzione all’abbinamento fra i mobili della zona pranzo che dovranno ovviamente essere fra loro perfettamente coordinati. Nel caso, invece questa zona risulti in qualche modo comunicante con le altre zone giorno della casa, siano esse cucina o salotto, è assolutamente necessario che vi siano dei “traits d’union” fra le diverse parti funzionali, in modo da garantire un risultato complessivo adeguato, sia a livello di colori, che di materiali. Un caso abbastanza comune di locale soggiorno “multifunzione” è quello che prevede l’alloggiamento nella stessa stanza dell’ingresso, della cucina, della zona pranzo e del salotto. Sono queste le situazioni in cui, per poter ottimizzare le superfici delle case e ridurne i costi, si opta per soluzioni architettoniche capaci di riunire più locali in un unico ambiente al fine di ridurre al minimo gli spazi poco utilizzati come i corridoi o gli ingressi. Le superfici di queste stanze però, come abbiamo detto fin dall’inizio, finiscono spesso per limitare troppo alcune zone funzionali, al fine di privilegiarne altre. È questo proprio il caso della zona “pranzo” che molto frequentemente si trova a dover contendere i propri spazi fra una cucina, assunta sempre più a luogo conviviale, ed un salotto su cui si passa in relax molto più tempo di quanto non si impieghi per mangiare. Ecco il motivo principale per cui a volte, si ha molta difficoltà nello scegliere un tavolo da pranzo per la zona giorno. Quando in una stanza multifunzione come questa si ha la possibilità di accostare un tavolo alla cucina, lo si fa potendo contare su numerosi tipi di tavoli che sono destinati a quest’ambiente con dimensioni anche piuttosto contenute. Si tratta per lo più di tavoli a quattro gambe che, proprio per la loro usale collocazione, vengono prodotti in misure piccole, ed in versioni quasi sempre allungabili. Nel caso si decida di inserire in stanza un vero e proprio tavolo da soggiorno ci si troverà invece ad avere a che fare con oggetti dalle dimensioni abbondanti, che proprio a causa di quest’ultime presentano spesso delle difficoltà di inserimento. Questo è dovuto al fatto che il tavolo da soggiorno, proprio per differenziarsi da quello da cucina, possiede delle caratteristiche diverse da quest’ultimo, soprattutto per quanto riguarda il basamento, che in questo caso non ha mai quattro normali gambe ma è bensì spesso caratterizzato da uno o più elementi centrali che gli fungono da supporto.
Nel caso dei tavoli da soggiorno questo fattore porta spesso alla necessità di creare tavoli di dimensioni adeguate ad evitare che il manufatto presenti problemi di ribaltamento ed allo stesso tempo che consentano alle persone di starvici sedute senza che esse debbano sbattere i piedi contro il basamento del tavolo stesso. Un oggetto di questo tipo ha solitamente delle dimensioni minime di 160 x 90 cm ma può raggiungere in certi casi anche la misura di 240 x 100 cm. Ciò sta a significare che per poter alloggiare un vero tavolo da soggiorno in uno spazio adeguato occorre che sia disponibile in stanza un vuoto grande almeno tre volte le dimensioni del tavolo che si intende inserire. Secondo questa regola, per poter posizionare ad esempio un tavolo di 180 x 90 cm è dunque necessario lasciare uno spazio dedicato che sia largo almeno 120 cm per ognuno dei lati del tavolo stesso, ovvero 300 x 210 cm. Cosa che non è sempre facile da fare con i soggiorni di oggi giorno.
Per quanto riguarda il resto si può dire che una zona pranzo inserita in un soggiorno, può dirsi completa anche se non vi è presente in stanza un mobile contenitore appositamente abbinato come una credenza o una vetrina. Questi mobili, d’altronde sono solitamente abbastanza ingombranti e se non si possiede lo spazio a disposizione necessario per poterli inserire, i loro volumi possono essere facilmente sostituiti dai contenitori con cui si arreda la parete Tv, e più avanti vedremo anche come è possibile ed opportuno farlo. Per chi invece ha la fortuna di possedere uno spazio sufficientemente grande da poter essere arredato come una vera e propria sala da pranzo, è necessario precisare che il locale in questione (o la zona del soggiorno destinata a questo scopo) deve essere sufficientemente illuminato, i mobili che compongono la zona pranzo devono essere perfettamente integrati fra loro e devono altresì essere posizionati in maniera da poter essere vicini al tavolo quel tanto che basta da renderli evidenti nel loro insieme: Tavolo, sedie, credenza più un eventuale vetrinetta. La “credenza” è un mobile da sala-pranzo che di recente era caduto un po’ in disuso, ma che ultimamente sta tornando di gran moda (specie per le abitazioni più grandi), grazie alle sue grandi doti arredative. Si tratta quasi sempre di oggetti-scultura che, come i grandi tavoli di design, vengono spesso preferiti per le loro qualità estetiche più che per la loro capacità di contenimento. Questi mobili, infatti, possono assumere un grande valore decorativo dato dal loro design e allo stesso tempo, grazie alle loro proporzioni, impegnare veramente poco la parete dove essi sono posizionati. Questa parete, infatti, rimane spesso per la maggior parte vuota quando vi è posta una credenza e ciò permette di decorare il muro sovrastante nella maniera che si ritiene più opportuna, con quadri, stampe, arazzi, carta da parati ecc. Per quanto riguarda la vetrina, o “vetrinetta”, questo è un mobile tipicamente da sala da pranzo che deriva dall’abitudine che avevano un tempo le massaie di “mostrare” nel salotto buono, il proprio servito di piatti migliore. Oggi questa usanza in realtà non c’è più, permane però molto frequentemente in tante famiglie il desiderio di mostrare qualcosa, come una collezione, una serie di ricordi, una piccola raccolta di manufatti, tutto quanto cioè valga in fondo la pena di essere esibito a chi viene a farci visita a casa. La vetrinetta moderna è però abbastanza diversa da quella del passato: oggi, si possono costruire contenitori d’arredo completamente realizzati in vetro o plexiglass in cui la struttura quasi scompare in confronto al suo contenuto e, cosa molto interessante, questi oggetti d’arredo “trasparenti” possono essere inseriti in mobili molto più ampi, come le pareti attrezzate e le librerie da soggiorno, valorizzandone il design senza pregiudicare la loro funzionalità.
Quando il soggiorno è anche ingresso.
L’ingresso di un appartamento, quando esiste, è ormai da decenni un locale “di servizio” che ha quasi sempre dimensioni ridotte, che difficilmente riceve luce naturale diretta e che spesso si concretizza in un banale e breve corridoio con le porte che si aprono lungo le proprie pareti. Poiché la luce è sempre piuttosto scarsa, l’ambiente “ingresso” diventa dunque un locale tendenzialmente cupo, inutile a livello funzionale, poco accogliente e in cui si cerca infatti di sostare istintivamente il meno possibile. Ecco le motivazioni logiche e ineccepibili per le quali l’ingresso viene sempre più fatto “scomparire” all’interno delle moderne abitazioni e viene per questo integrato nel Living in misura sempre più consistente. Nelle nuove costruzioni, tale trasformazione avviene abbastanza facilmente tramite un’apposita progettazione. Nelle ristrutturazioni invece ciò che avviene più di frequente è la semplice demolizione delle pareti divisorie dell’ingresso al fine di creare degli open-space, con la zona giorno e la cucina. Per poter abbattere opportunamente la parete divisoria tra l’anticamera e il soggiorno però, il pavimento, nelle due zone, deve essere uguale e questa è una cosa che avviene molto di rado. Per tale motivo, si procede quasi sempre ad una ri-pavimentazione dell’ambiente aperto e ciò facilita molto il ri-allestimento della stanza. Nell’ingresso tradizionale “a pianta rettangolare”, le pareti sono i naturali supporti delle porte necessarie per immettere alla cucina, al soggiorno e alle camere da letto. Venendo a mancare questo tipo di separazione “sostanziale”, nelle nuove abitazioni con la zona giorno open-space unita al proprio ingresso, si viene a creare una situazione in cui può verificare una sorta di “disagio” in chi si trova ad entrare direttamente in un locale molto intimo e famigliare come il soggiorno. A questo scopo si ritiene spesso molto utile realizzare una sorta di “filtro virtuale” che può essere rappresentato da un muretto alto circa un metro e mezzo, un grigliato in legno, un mobile passante divisorio o una sorta di armadio che serva anche come attaccapanni per la famiglia e gli ospiti. In un soggiorno che ha le misure e l’illuminazione naturale di un locale “abitabile”, si può studiare una sistemazione della zona ingresso che si stacchi dagli schemi creando, ad esempio, un angolo spogliatoio posizionato nei pressi della porta, oppure una zona per il relax e la lettura con un paio di poltroncine leggere e un tavolino d’appoggio. Si può anche creare un angolo supplementare per lo studio e l’uso del computer, con uno scrittoio, una libreria e una poltrona relax. Il portaombrelli che è un elemento che non si vorrebbe tenere nell’ingresso, ma è utile, andrebbe posizionato nascosto in un angolo, il più possibile vicino alla porta d’ingresso, in modo però che non risulti troppo in vista.
Ciò che avviene sempre più di frequente è la realizzazione di mobili da soggiorno che, essendo posizionati spesso proprio sulla parete prospiciente la porta di ingresso, vengono progettati appositamente per essere già provvisti di divisori, elementi armadio, spazi “svuota-tasche” e tutto quanto può essere utile in un ingresso. Il tratto di parete prospiciente alla porta d’ingresso potrà essere arredato con uno specchio per dilatare visivamente lo spazio e avere una visuale complessiva della propria persona prima di uscire.
Nelle case più contenute, il mobile da soggiorno, ovvero quello solitamente destinato a contenere la tv, può rappresentare anche un’occasione per creare quella sorta di filtro, che spesso si ritiene utile in quelle stanze soggiorno in cui la porta di ingresso della casa si apre direttamente sul salotto. In questi casi infatti, la grande disponibilità di mobili componibili “su misura” che si possono trovare in commercio, consente di poter sviluppare dei progetti molto interessanti in cui delle specie di “prolungamenti” si dipanano a partire dal mobile soggiorno stesso per trasformarsi, vicino alla porta di ingresso, in librerie bi-facciali, piccoli armadi guardaroba, angoli studio, ecc… Il tutto senza che sia dunque appositamente creato un mobile avente lo scopo di separare virtualmente l’ingresso dal resto della zona giorno. A parte questa specie di separazione o di filtro, quando si progetta un soggiorno che possiede al suo interno la porta d’ingresso che si apre direttamente su di esso, occorre pensare la zona d’ingresso come una zona a se stante, magari dotata del suo specchio (utile quando si sta per uscire), del suo spazio per il video citofono, del suo svuota-tasche, del suo appendi abiti, del suo porta ombrelli e di tutto quanto è indispensabile vicino alla porta d’ingresso di una casa. Tale zona dovrà essere dunque in qualche modo “rimarcata” anche se non si ha la possibilità di farlo fisicamente. Molto utili in questo senso possono risultare gli scalini (che però bisogna assolutamente evitare quando sono troppo vicini alla porta d’ingresso) o i ribassamenti dei soffitti, meglio se dotati di un’illuminazione ad incasso. Questi sono alcuni “espedienti” che possono, grazie anche solo alla loro presenza, creare una sorta di “definizione” molto accurata della prima zona che si incontra in una casa.
La questione “imbottiti”
Come abbiamo già detto precedentemente, l’arredamento del soggiorno deve tener conto della vita sociale della famiglia: si ricevono molti amici? Si è soliti fare inviti per festeggiare a tavola le ricorrenze familiari? Si legge molto e vi è quindi un costante arrivo di libri da collocare adeguatamente? Occorre inserire l’impianto di alta fedeltà? Insomma, bisogna porsi più domande possibili, quando si arreda un soggiorno, esaminando con queste tutte le necessità della famiglia: soltanto a risposte avvenute risulteranno chiari quali elementi sono più importanti di altri, quanto spazio deve essere riservato a una certa zona, quali mobili devono essere conservati e quali acquistati. Tutte le più recenti e autorevoli ricerche, dimostrano ad esempio statisticamente che la zona di gran lunga più utilizzata dei moderni soggiorni è quella del “salotto”, ovvero quella parte dove risiedono i mobili imbottiti. Per questo motivo la zona relax, viene organizzata al giorno d’oggi con elementi che prediligono la comodità sopra qualunque altro aspetto.
Ma come si progetta una zona relax davvero degna di questo nome? Innanzitutto è bene precisare che, per poter essere considerata tale, questa zona dovrà essere in grado di permettere il relax di un numero di persone almeno pari a quello dei componenti della famiglia oltre a, ove possibile, consentire anche di accogliere degli ospiti. Il divano nelle case moderne viene solitamente posizionato di fronte al mobile da soggiorno o alla parete che contiene la Tv, ma non sono rari i casi in cui la presenza di un camino rivoluziona questo schema tradizionale, prediligendo, specie in alcune aree geografiche l’intimo tepore che può donare ogni focolare. Un’ultima osservazione riguarda l’esigenza di garantire la migliore illuminazione possibile ai vari elementi di questa zona del soggiorno polifunzionale, cosa che non è sempre facilmente realizzabile. Col divano vicino alla finestra e il tavolo spostato contro la parete laterale o, meglio, col lato lungo rivolto verso la finestra stessa, otterremo ad esempio le migliori condizioni possibili di illuminazione e vivibilità dell’ambiente, durante le ore diurne. È opportuno però che la posizione del mobile della Tv sia, in merito a questo, particolarmente valutata in quanto è ormai risaputo che i riflessi della luce naturale possono infastidire la visione della televisione stessa.
Per tale motivo sarebbe sempre opportuno posizionare il mobile che alloggia la tv, sia esso una libreria o una “parete attrezzata”, in maniera che esso venga collocato nella parete più in ombra, quella cioè che meno viene irradiata dai raggi solari durante il giorno. Quello che è certo in ogni caso è che la sistemazione ideale del salotto, all’interno della stanza soggiorno deve permettere una disinvolta circolazione a chi si muove nell’ambiente, evitando ingombri e rendendo necessari giri viziosi per spostarsi da una zona all’altra.
Se esiste già un posto comodo altrove per pranzare in famiglia o con gli amici, è inutile sacrificare spazio allestendo una zona pranzo in soggiorno e creando un inutile doppione. Molto meglio riservare questo spazio agli imbottiti e a quegli elementi che per utilità o aspetto gradevole diventano elementi necessari del relax della famiglia. Parlando infatti dell’argomento “soggiorno” è chiaro ed evidente a tutti che divani e poltrone rimangono comunque al primo posto nella classifica per ordine di importanza. Per questo è indispensabile che gli imbottiti siano soprattutto comodi, di forma collaudata (cioè non bisogna mai buttarsi su quello che “fa moda”, ma piuttosto su ciò che ci risulta più confortevole), frutto dello studio di un buon ideatore e di un “serio” esecutore. E poi, occorre fare attenzione a certe economie da ritenersi “controproducenti”. Se struttura e imbottitura non sono di qualità se ne vedranno presto gli inconvenienti, primo fra tutti l’affossamento del piano-sedile. Acquistando gli imbottiti, bisogna tener presente infatti certi punti imprescindibili. Ad esempio: scegliendo divani a elementi separati (tipo divano a due posti, divani a tre posti o poltrone), si potrà in futuro essere più liberi nel decidere una nuova disposizione. Preferendo invece i divani cosiddetti “componibili” (cioè quelli con penisola, ad angolo o con “meridiana”), si può essere certi di uno sfruttamento davvero ottimale dello spazio, ma saremo probabilmente costretti, anche in futuro, a mantenere la conformazione e la posizione originale del salotto che si è scelto. Quasi mai, difatti, i salotti componibili, sono anche “scomponibili”, possono cioè variare la loro morfologia a seconda delle esigenze; ve ne sono alcuni modelli che permettono anche questa possibilità, è vero, ma quest’ultimi esistono sul mercato in misura davvero contenuta spesso a causa della difficoltà che hanno i produttori nel progettare e costruire prototipi di divani capaci di essere belli, anche una volta ricomposti in maniera differente da quella originale con cui sono stati disegnati. Ciò che a tal proposito è sicuramente sconsigliabile è mettersi in casa poltrone e divani di dimensioni non adatte all’ambiente che si possiede. Non è detto infatti che i divani più “grandi” si rivelino obbligatoriamente anche più comodi: essi in più delle volte possono, al contrario, procurare non pochi problemi durante la pulizia dei locali, sono quasi sempre fuori proporzione rispetto allo spazio disponibile e più che altro, possono limitare le indispensabili zone di passaggio che i soggiorni moderni devono tassativamente possedere. Per quanto riguarda la pulizia, poi, bisogna osservare che se gli imbottiti sono sollevati da terra, magari grazie a piedini rialzati, oltre a poterci passare sotto con scopa elettrica o robot aspirapolvere, il rivestimento (pelle o tessuto che sia) non verrà né sporcato né deteriorato dagli urti nelle zone basse (provocati dalle scarpe di chi si siede, e dagli attrezzi di pulizia). Poltrone e divani con braccioli sono più confortevoli, meglio quindi che li abbiano, a meno che lo spazio non sia così “preciso” da non poterli permettere. Quando si sceglie una disposizione con il divano che fa da divisorio (messo cioè non appoggiato a parete, ma in mezzo alla stanza), bisogna che esso sia a spalliera bassa perché non crei una fastidiosa barriera e deve possedere un retro che sia sufficientemente bello da vedersi anche per chi entra per la prima volta in soggiorno. E qui arriviamo a discutere della questione forse più spinosa, cioè quella del design del salotto e quindi dei suoi mobili imbottiti, come divani e poltrone. Uno dei punti da tener maggiormente presente quando si arreda il soggiorno è infatti questo: quanta importanza va data all’estetica dei nostri divani? Certamente molta … e questo può creare di sicuro un certo imbarazzo in chi si trova a dover scegliere fra un divano bello (e che gli piace) ed un divano brutto che però gli risulta comodissimo. Anche in questo caso, come in molte altre situazioni della vita, “in medio stat virtus”, ovvero occorre giungere ad un certo compromesso che tenga ben presente il design dell’imbottito che si sta comprando, senza dimenticare che esso deve assolutamente risultarci comodo. Anche perché è sempre bene non dimenticare che il soggiorno è un locale che non viene “vissuto” solo in famiglia, ma è che anche spesso condiviso con altri e quindi non deve essere fatto esclusivamente su misura per noi. Altrimenti si potrebbero creare situazioni imbarazzanti, come quella dell’impettito professionista invitato ad “accomodarsi” su ex cassette della frutta dalla padrona di casa fanatica dell’arredo di “recupero” o quella della signora ultraottantenne fatta sedere su di un divano “di design” talmente basso da renderle impossibile il rialzarsi.
Anche in merito al loro posizionamento sono tanti i fattori da tener presente quando si collocano divani e poltrone all’interno di un soggiorno; per prima cosa non bisogna mai dimenticare il fatto che la disposizione degli imbottiti deve sì certamente favorire la visione del televisore, ma deve anche agevolare la possibilità di conversazione. I divani vanno quindi messi in modo da formare una zona circoscritta, in cui si possa interloquire con facilità e che sia legata magari da un tavolino “da fumo” che possa fungere da “trait d’union” della zona relax.
Il tavolino centrale, quello che spesso viene posizionato davanti a divani e poltrone, deve essere infatti basso per agevolare la posa e la presa di oggetti di chi sta seduto: le altezze giuste vanno da 40 a 45 cm, ma vi sono tavolini anche più bassi ed ugualmente comodi se si calcola che certi posti a sedere sono oggi molto bassi, formati in pratica da un gradino di 20-25.cm, completato da un cuscino di 10-12 cm. Tra il tavolino e gli imbottiti ci sarà un passaggio, non troppo limitato ma neanche troppo largo per non costringere chi sta seduto a spostarsi troppo o addirittura ad alzarsi per posare o prendere qualcosa dal tavolino: 40 centimetri è uno spazio giusto. La forma del tavolo dovrebbe essere congeniale all’angolo conversazione, che a sua volta è però condizionato dalla forma della stanza soggiorno. Se il locale è piuttosto lungo e stretto e la zona conversazione formata da elementi che stanno l’uno di fronte all’altro, il tavolino sarà di forma rettangolare (naturalmente con i lati maggiori paralleli ai sedili dei divani o delle poltrone); se la zona conversazione è a forma quadrata, cioè con divani messi ad angolo e poltrone che “chiudono” la disposizione, il tavolino più adatto è di forma quadrata, la più giusta per “servire” tutti i posti a sedere. I tavolini d’angolo, quelli isolati che si pongono di solito fra due imbottiti, fanno da supporto al tavolino centrale quando la zona conversazione è piuttosto ampia e quest’ultimo non ha le dimensioni indicate per coprire tutta la zona o le misure più adatte a raggiungere gli ospiti del salotto diventerebbero troppo ingombranti. Se lo spazio disponibile per il salotto fosse molto limitato, meglio servirsi di quei tavolini in scala (di solito sono tre) che stanno l’uno sotto all’altro e che quindi normalmente occupano lo spazio del più grande, ma che possono venir estesi all’occorrenza. Nei piccoli locali sono di aiuto i tavolini con rotelle, facili da spostarsi, da tenere sotto la finestra, dietro a una porta, insomma da qualsiasi parte, e da avvicinare alle poltrone solo quando servono.
Come si arreda una parete attrezzata per il soggiorno?
È una domanda a cui non è possibile dare una risposta precisa perché sono tanti gli elementi che condizionano, caso per caso, la sentenza definitiva. Tuttavia esistono alcune regole che, se osservate, ci faranno evitare errori vistosi, disagio e spese inutili. Le regole riguardano la funzionalità ed il design e si può senz’altro affermare che dove c’è funzionalità c’è disciplina e quindi una certa dignità estetica. Naturalmente, partiamo dal presupposto che qualsiasi arredamento deve essere sempre impostato secondo lo stile che è congeniale a chi ci deve convivere (rustico, classico, attuale, disinvolto, minimale, ecc.) poi, seguendo la linea coerente scelta, si arriverà, magari per step successivi, a una buona conclusione finale.
Presupponendo che chi segue le pagine del nostro sito “la Casa moderna” prediliga proprio questo nostro peculiare tipo di stile, chi ha da arredare un soggiorno dovrà prima di tutto esaminare attentamente l’ambiente che ha a disposizione, la sua forma, le sue dimensioni, il suo orientamento (compresa l’illuminazione naturale e artificiale) e cominciare ad immaginare il risultato finale che ci pare più gradito secondo lo stile che si vuole perseguire. È importante procedere partendo col disegnare la pianta del locale, segnare le misure delle pareti e quelle delle aperture (porte e finestre), tener presente gli ingombri problematici come i pilastri, i camini, le canne fumarie e i cassonetti degli avvolgibili delle finestre e poi individuare con molta esattezza i punti luce e le prese di corrente. Riprodurre una pianta può forse creare qualche difficoltà a chi non ha confidenza con il disegno “in scala”, ma aiutandosi con la carta millimetrata si arriverà senz’altro a “riportare” abbastanza fedelmente su carta il locale da arredare. La scala più comoda in cui disegnare un soggiorno (in pratica la grandezza del disegno che deve rappresentare la stanza) è la 1:20 (uno a venti): il che significa che a ogni centimetro riportato sulla carta millimetrata, corrispondono 20 cm al vero. Quindi, per fare un esempio, se dobbiamo riprodurre un tratto di parete che misura m 3,00 (tre metri), si dovrà disegnare sul foglio una linea lunga 15 cm. Se una porta misura 80 cm, si lascerà uno spazio, per indicare l’apertura, di 4 cm e così via… La precisione generale delle misure è indispensabile quando si devono comperare mobili componibili o comunque mobili in genere che devono riempire uno spazio delimitato (per esempio una libreria o un armadio a tutta parete). Per questo motivo i nostri negozi hanno personale specializzato che viene inviato nella casa del cliente a eseguire un cosiddetto “rilievo”, quando lo si reputa necessario prima di costruire un mobile: in questo modo si eliminano certe possibili imprecisioni, senza contare che la responsabilità di una eventuale discordanza tra misure sulla carta e misure al vero ricade sul venditore. Il rilievo effettuato in proprio dal cliente è però lo stesso necessario quando esso si reca presso un qualsiasi negozio di mobili: prima cosa perché tramite esso saremo meglio in grado di immaginare quale, fra gli esempi esposti, sia il soggiorno più adatto alle proprie esigenze e, in secondo luogo, perché ciò permetterà al negoziante o all’arredatore di provvedere a formulare un primo progetto di massima ed un preventivo di spesa su cui basare la propria scelta definitiva.
Disegnata dunque la pianta del locale, si disporranno sul foglio le sagome dei mobili che desidereremo inserire; distinguendo con colore diverso i mobili dagli imbottiti e dalle lampade. Le varie sagome, naturalmente, devono essere nella stessa scala (1:20) della pianta del locale in cui saranno inserite alla ricerca della migliore disposizione dei diversi elementi. Una volta individuata la parete migliore da attrezzare con il mobile porta Tv, si deve procedere alla misurazione della sua altezza in modo da poter disegnare frontalmente su di un altro foglio la parete in questione in scala 1:20, riportandovi sopra però anche gli elementi salienti come le prese di corrente, la presa dell’antenna Tv, gli eventuali punti luce, gli ingombri edili e tutto quanto possa pregiudicare la costruzione della nostra parete attrezzata.
A questo punto avremo ottenuto la riproduzione “in alzato” della parete che avremo deciso di attrezzare e dovremo per forza procedere ad una scelta circa la morfologia degli arredi che desideriamo posizionarvi.
Libreria “a spalla” o “Mobile Componibile”?
Fra il vasto assortimento di arredi da soggiorno di cui noi de “La Casa Moderna” siamo ideatori, produttori e rivenditori, vogliamo, in questo poco spazio a disposizione, scegliere quelli che ci sono sembrati utili a farne uno spazio significativo, portando l’analisi di questi elementi sino a proposte d’arredo semplici, ma condotte fino al dettaglio. Abbiamo già accennato in precedenza al fatto che il soggiorno può raccogliere in sé numerose funzioni: zona pranzo, zona conversazione, zona studio/lavoro, zona libreria e zona ascolto musica e TV. È il caso dei locali soggiorno multiuso, tipologia un tempo “classica” solo relativamente alle case per vacanze o ai monolocali e adesso invece assai diffusa ovunque, sia negli stabili di nuova costruzione, sia in quegli esistenti e spesso soggetto di una ristrutturazione. I mobili da soggiorno che vengono posizionati in stanze di questo tipo devono per questo essere progettati seguendo attentamente ogni esigenza che l’utente potrà avere in merito al proprio uso. Da questo momento dunque, dovranno partire le domande che è necessario farsi quando si progetta un mobile di questo tipo: Quanto spazio abbiamo a disposizione? Ci serve un mobile che sia capace di contenere la Tv? Se sì, quanto sarà grande la Tv che dovremo alloggiarci? E dove sono posizionate le prese che necessitano per far funzionare la stessa Tv? Abbiamo necessità di avere un notevole contenimento di oggetti all’interno del mobile? Quanti libri possediamo? Abbiamo bisogno di uno spazio vetrato dove esporre una collezione o altre suppellettili? Desideriamo possedere uno spazio “bar”? Necessitiamo di un piccolo scrittoio dove andare a collocare il computer? Con una superficie a volte inferiore anche ai 30/35 mq, quello che basta cioè per salvaguardare le condizioni minime di abitabilità e i requisiti igienico-sanitari principali dei locali d’abitazione, risulta abbastanza evidente che una parete attrezzata può rappresentare davvero un ottimo ausilio per i problemi di arredamento di un soggiorno. Tramite di essa si possono risolvere infatti numerose situazioni “incresciose” in cui sarebbero addirittura potuti venire meno i concetti distributivi stessi su cui si regola tutta l’organizzazione funzionale interna dell’alloggio. Visto le dimensioni medie attuali degli alloggi infatti, come sarebbe possibile altrimenti rispondere ad un così grande numero di esigenze, se la moderna industria italiana del mobile non consentisse una così ampia possibilità di personalizzazione? È bene a questo punto precisare che i mobili prodotti in Italia, hanno in questo senso delle peculiarità che sono difficili da riscontrare in egual misura in altri paesi del mondo. L’Italia infatti, tradizionalmente patria di grandi artigiani del mobilio, ha trasferito la propria antica professionalità nella moderna industria, tramite un’organizzazione “Just in time” che consente alle maggiori aziende italiane di produrre mobili altamente personalizzati per i gusti e le esigenze di ogni singolo cliente. È questo tipo di organizzazione che consente la produzione dei cosiddetti mobili componibili da soggiorno, i quali sono una categoria speciale di mobili che possono essere in generale ricondotti a due grandi famiglie: le pareti attrezzate (in gergo anche detti “mobili a bussolotto o a elementi singoli) e le librerie cosiddette “a spalla”.
Vediamo a tal proposito di fare un po’ di chiarezza.
Con il termine “Parete attrezzata” o “mobile da soggiorno componibile” si definisce di solito un tipo di mobile composto da “elementi singoli” di tipo componibile, che possono venir assommati seguendo uno schema precedentemente previsto. Fanno genericamente parte di questa categoria tutti quei mobili multifunzione che, per caratteristiche e morfologia, non posso essere considerati delle vere e proprie librerie anche se sono costruiti con elementi detti “a spalla portante” e neppure dei mobili “fissi” quali possono essere le credenze e le vetrine. Caratterizzati dunque dall’accostamento progettuale di più o meno elementi fra loro componibili, questi mobili, prendono la forma che si intende dar loro attraverso la scelta delle peculiarità e le funzionalità che, una volta messi insieme, tali elementi andranno ad avere. Diciamo che si tratta di una specie di gioco in cui attraverso l’accostamento di singoli elementi dotati ciascuno di una specifica funzione, si avrà ad ottenere complessivamente il mobile dotato delle varie funzionalità di cui si necessità.
Nel caso invece dei cosiddetti “mobili libreria” oppure “mobili a spalla portante” o ancora “Mobili-parete a spalla” stiamo parlando in pratica di “scaffali” aventi più o meno le stesse caratteristiche di una qualsiasi libreria componibile, che sono però dotati di alcune specifiche peculiarità che li rendono perfettamente adatti ad un loro utilizzo in soggiorno. Questo tipo di componibile infatti, differisce dalle normali librerie sia per la grande disponibilità di misure che hanno i suoi componibili, sia per la disponibilità di elementi funzionali caratteristici che li rendono perfettamente adattabili all’uso specifico per la “zona giorno”.
Tant’è vero che in gergo si definisce questa tipologia di produzione “programma a spalla”, una denominazione che la dice lunga sulle capacità compositive che tali prodotti possiedono. Volendo generalizzare, si può dire che i due sistemi produttivi (mobili a bussolotto e programmi a spalla) differiscono soprattutto per le loro proporzioni che, per quanto riguarda le pareti attrezzate o a elementi componibili, sono sviluppate in larghezza, piuttosto che in altezza, mentre per le librerie a spalla avviene l’esatto contrario. Ciò ovviamente, non è sempre vero, e se succede abbastanza di raro di incontrare (specie nelle mostre di mobili) dei soggiorni ad elementi componibili alquanto alti, altrettanto non si può dire per le librerie utilizzate allo stesso scopo, le quali possono variare da un’altezza variabile dai 180 ai 300 cm. Entrambe le tipologie di mobile possono poi venir progettate e montate sia “a terra”, cioè poggiate sul pavimento, sia “sospese” cioè appese sulla parete che deve ospitarle senza che necessariamente siano posate in terra. Ambedue, poi, possono essere fornite di quegli elementi funzionali diventati così indispensabili al giorno d’aggi in un soggiorno, quali possono essere, l’elemento “porta tv”, la vetrina, il contenitore a cassetti o cestoni, la ribalta, l’elemento bar, la zona scrittoio e chi più ne ha più ne metta.
Potremmo allora dire, forse più correttamente, che i due sistemi si differenziano soprattutto per le modalità costruttive e progettuali, in quanto, mentre nel primo caso si procede col progettare il mobile più o meno così come si fa per una cucina componibile, ovvero accostando dei singoli elementi già di per se finiti e definiti, nel secondo si lavora immaginando il mobile, un po’ come farebbe un falegname chiamato a costruirlo, cioè mettendo insieme dei singoli pezzi (fianchi, ripiani, ante e quant’altro) che non avrebbero da soli una dignità ed una utilità definite, ma che solo una volta messi insieme assumono le sembianze di un mobile vero e proprio.
Anche dal punto di vista estetico, i due tipi di soggiorni risultano al quanto diversi. I mobili componibili a elementi singoli, infatti, producono solitamente sulla parete arredata un effetto più leggero e contenuto, pur offrendo a volte anche una notevole dose di spazio, sia interno (dentro le loro ante), sia esterno (sopra le loro mensole e i loro vani a giorno). Le librerie a spalla invece, essendo più abbondanti a livello volumetrico, possono creare un maggior impatto sulla parete che vanno ad arredare e questo è uno dei motivi per cui vengono prodotte anche in versione molto bassa, oppure sospesa. A livello funzionale però, le librerie componibili possiedono rispetto ai mobili a bussolotto dei vantaggi indiscutibili. Primo fra tutto, logicamente, il volume interno, che in una libreria può essere addirittura gestito attraverso l’utilizzo o meno che si intende fare delle ante chiuse. Sì perché una libreria da soggiorno, se anche nasce dall’esigenza di contenere (come dice la parola stessa) dei libri, può essere dotata di sportelli, vetrine, ribalte e cassetti, così come qualsiasi altro mobile da soggiorno. Tale peculiarità consente dunque di creare delle situazioni in cui, oltre ai normali “spazi aperti” che nelle librerie sono fatti apposta per contenere dei libri, si possono ottenere dei validi e capienti volumi “chiusi”, da utilizzarsi per riporvi qualsiasi tipologia di suppellettile, dalla più piccola alla più grande. Recentemente a tutti questi vantaggi, si è aggiunto anche quello di poter progettare la propria libreria sia nel tradizionale sviluppo verticale (cioè con i fianchi che svettano verso l’altro con i ripiani agganciati ad essi), sia nell’innovativo sviluppo orizzontale, in cui, per le librerie di certe proporzioni, è possibile utilizzare dei lunghi ripiani posti orizzontalmente, con funzione strutturale, mentre i fianchi interni, notevolmente ridotti in dimensioni, come divisori e sostegni verticali.
In quanto a colori e finiture, quelli attualmente in produzione sono quasi tutti sistemi che consentono una vastissima gamma di varianti, con le quali si possono fare degli accostamenti capaci di ottenere risultati più gradevoli di quello che sarebbe stato con il “tutto uguale”. Per esempio, i mobili laccati vanno benissimo accanto ai mobili in legno naturale, e tutti e due i tipi vanno d’accordo con quelli in metallo e cristallo in un insieme che se ben progettato risulta assolutamente piacevole ed omogeneo. Ricordiamoci infatti che volendo aggiungere dei mobili così importanti e voluminosi nell’arredamento moderno di un soggiorno che quasi mai risulta oggigiorno essere “troppo grande”, dovremo necessariamente scegliere progetti di mobili che, pur se semplici e lineari non possono mai scadere nella monotonia. Pena il disastro stilistico. E su questo punto occorre proprio fare molta attenzione perché, a parte le regole che abbiamo poc’anzi citato, la scelta dei colori dei mobili (legno chiaro o legno scuro, laccato neutro o sgargiante ecc.), è puramente personale. Va dunque tenuto ben presente che tale scelta dovrà essere effettuata in relazione non tanto alla tipologia di mobile che si sta allestendo in quanto piuttosto all’ambientazione complessiva che tale mobile andrà a completare. Un tempo, in un locale dove fossero posizionati mobili scuri, si sarebbe senza dubbio scelto di operare su delle pareti molto chiare, in tinta unita di tonalità calda e comunque in situazione di “stacco” rispetto ai toni del mobile da soggiorno. Oggigiorno non è più così e arazzi, decorazioni, pavimenti, tappezzeria e mobili, quando sono scelti tutti fra i toni più scuri, possono rappresentare un insieme molto raffinato, specie se l’ambiente può godere di un’ottima illuminazione naturale o artificiale. Quando in un mobile da soggiorno ci deve essere molto contenimento perché magari la cucina è piccola o insiste sullo stesso ambiente, nello stesso mobile dovranno essere dunque declinati con rigore stilistico e funzionale, tutti quei criteri che devono portare a raggiungere il proprio scopo pratico, senza pregiudicare il fattore estetico. Se ad esempio in casa non vi fosse lo spazio per un contenitore tipo credenza, le stoviglie e l’occorrente per la tavola potranno trovar posto nell’unico mobile del soggiorno, opportunamente dotato di ante chiuse. Se necessitiamo di molti spazi chiusi da utilizzare quali contenitori, il mobile libreria si rivela molto adatto a questo scopo. Con gli elementi a giorno nella parte alta infatti, la libreria potrà avere magari ante piene in basso, in cui se necessario la profondità potrà anche essere superiore, oppure anche nella parte alta in modo da creare un po’ di movimento nella monotonia degli scaffali a giorno, solitamente utilizzati per riporvi i libri. Un mobile di questo tipo sempre dovrebbe poter stare sul tratto di parete che si trova di fronte alla zona conversazione, cioè proprio in quello spazio tradizionalmente predisposto all’alloggiamento della Tv. Ciò suggerisce una soluzione solitamente ovvia: quella cioè di posizionare la tv in uno spazio appropriato creato appositamente per alloggiare il televisore a seconda delle sue dimensioni. Un altro vano può essere riservato a quel punto all’impianto stereo, come anche all’angolo bar, alla vetrinetta al piccolo scrittoio (magari nascosto in una ribalta) e a tutto quanto possa essere utile in una parete da soggiorno.
Un eventuale camino, dovrà essere a quel punto posizionato invece lateralmente, in modo che dai divani sia possibile godere contemporaneamente sia della visione televisiva sia di quella del caminetto acceso. I tecnici infatti sostengono che, per un buon funzionamento di un camino all’interno di un soggiorno, quest’ultimo non deve essere troppo compresso o racchiuso dalla presenza dei mobili.
Mentre i mobili a contenitori singoli (a bussolotti) trovano sempre posto addossati alle pareti, a volte, quelli fatti sotto forma di libreria vengono usati come divisorio: messi in modo trasversale rispetto alle pareti, essi possono infatti fungere da “paravento” per l’ingresso o la cucina, oppure essere di tipo “passante” ciò dotate di un vano fatto apposta per agevolare il passaggio fra uno e l’altro lato della stanza. In questo caso la libreria è solitamente priva di schienale in modo che non ostacoli il percorso della luce da una zona all’altra.
Anche i vani “a giorno” (o aperti) infatti, in ogni mobile da soggiorno che si rispetti, hanno una dignità stilistica del tutto paragonabile a quella delle ante chiuse, specie quando essi sono disposti in modo originale e in zone diverse da quest’ultime: questa particolarità progettuale è soprattutto indispensabile quando si ha bisogno di un mobile di grandi dimensioni e molto contenitivo, che per queste sue caratteristiche sarebbe stilisticamente difficile da progettare, se non utilizzando un’alternanza di vani a giorno e vani chiusi tale da non farlo apparire come un banale armadio da camera. La libreria può avere una profondità variabile tra 30 e 45 cm e può avere anche parti sporgenti fino a 60 cm, quando queste sono previste chiuse.
L’altezza massima da tenere tra un ripiano e l’altro per ospitare anche i libri di dimensioni molto grandi (ed eventualmente anche i vecchi dischi a 33 giri) è di 35 cm, mentre quella minima si aggira intorno ai 27 cm. L’altezza da terra massima raggiungibile per prendere un libro senza l’ausilio di una scala si aggira attorno ai 200 cm e ciò sta a significare che, nel caso si progetti una libreria più alta essa dovrà essere in parte utilizzata per mettere i libri e gli oggetti meno utilizzati.
I vani a giorno, non sono però ad esclusivo appannaggio delle librerie. Un elemento “a giorno” che si accosta molto comunemente anche all’idea di mobile “a elementi singoli” (o comunque alla parete “attrezzata”) è ad esempio la “mensola”. In legno naturale, laccato dello stesso colore del mobile oppure in tinta contrastante, essa può essere applicata come complemento ai contenitori componibili oppure costituire, ripetuta, l’unica soluzione per la parte alta di un mobile che non vuole essere (o meglio “apparire”) una vera e propria parete-libreria. L’applicazione delle mensole deve essere fatta in modo che risultino “pulite” sul muro, cioè senza nessun sostegno in vista. In fin dei conti si tratta spesso di semplici assi e per questo il metodo migliore per fissarle a muro è quello detto “a perni” o “a baionetta”, con il quale nello spessore del legno della mensola vanno a conficcarsi degli elementi in metallo ancorati a muro con tasselli a espansione, che rendono “invisibile” tutto il sistema di ancoraggio. Questo metodo è valido finché le mensole sono contenute nella profondità di circa 20-25 cm, ma quando diventano veri e propri ripiani da usarsi come scrittoi o piani di servizio, esse dovranno prevedere supporti in ferro o mensoline in legno di sostegno a garanzia di un’assoluta sicurezza.
Musica e Tv in soggiorno
Tutti sanno che nella maggior parte dei soggiorni, alla zona conversazione-relax è intensamente legata anche l’utilizzo della TV, oggetto “di culto” che forma ormai una parte inscindibile delle ore dedicate al relax. Di conseguenza, nel progettare la disposizione del soggiorno – salvo indicazioni diverse – va individuata anche la parete o la zona dove è possibile collocare il televisore, tenendo conto che, come abbiamo visto nel precedente capitolo, l’apparecchio dovrà essere naturalmente collegato anche con un’antenna esterna e quindi si dovrà trovare in prossimità di una parete fornita dell’apposita presa. Anzitutto, anche qui, qualche dimensione da definire. Per non affaticare la vista si suggerisce che la dimensione del cinescopio sia direttamente correlata alla distanza da cui l’apparecchio viene visto. Una volta era d’uopo considerare che tale distanza non fosse maggiore di 5 volte la diagonale del cinescopio (cioè, in pratica, della dimensione dell’apparecchio, generalmente espressa in pollici). Al giorno d’oggi invece, le nuove tecnologie (plasma, led, lcd ecc.) grazie alle quali i televisori vengono prodotti, consentono facilmente di ottenere a basso costo, anche Tv di dimensioni davvero notevoli e questo ha portato molti utenti a preferire questo tipo di apparecchio, rispetto ad altri di dimensioni forse più adeguate al proprio soggiorno. Le soluzioni per la collocazione dei nuovi schermi sono davvero svariate e grazie alla sua profondità ridotta (a volte a pochissimi centimetri) è possibile posizionare la Tv praticamente in ogni mobile da soggiorno in cui si sia previsto un vano sufficientemente grande da contenerla. A questo proposito le metodiche di inserimento sono numerosissime: un televisore molto grande può essere, ad esempio, messo direttamente sopra una base bassa (che può contenerne gli accessori) e posto al centro di una parete completamente vuota nella sua parte alta; Oppure potrà essere inserito all’interno di una libreria in cui sia stato creato un vano (corredato di schiena oppure privo) di dimensioni più grandi di quelle della Tv, oppure, come nel caso della foto, una speciale predisposizione costituita da un braccio orientabile o da un albero girevole quel tanto che basta per poter spostare l’angolo di visione della TV stessa. Vige una regola in merito al posizionamento della Tv all’interno dei mobili che a prima vista può sembrare anche ovvia, ma che nella pratica si rivela spesso disattesa. Essa può essere in pratica concretizzata in questo concetto: se la televisione possiede una dimensione superiore ad un decimo della superficie totale della parete su cui essa sarà posizionata, occorre progettare il mobile da soggiorno partendo da questa “ingombrante” presenza, per poi disegnare tutto ciò che può starci intorno, se invece la Tv sarà più piccola di questa dimensione “limite”, sarà possibile fare il contrario, ovvero pensare al mobile che si sta progettando come un elemento di arredo in cui va inserito “anche” il televisore. Oltre a questo, mentre uno schermo più grande dovrà avere una collocazione precisa ed eventualmente un supporto o una staffa a muro rotante per modificarne a piacere l’orientamento, quelli più piccoli potranno essere inseriti in qualsiasi mobile senza troppa difficoltà, facendo solo attenzione alla sua posizione rispetto a chi lo deve guardare da seduto. In base a questa riflessione si potrà scegliere la parete interessata dove inserire la tv, pensando di posizionarla sul ripiano di una libreria o sulla base di un mobile componibile, avendo però comunque cura di considerare che la visione diretta a 90° dell’apparecchio (ovvero perpendicolare alla parete) è sempre la più raccomandabile. Eccezionalmente, e nel caso di apparecchi molto grandi, potrà essere prevista anche una visione da lontano, ad esempio dalla zona pranzo, ma solo se questa è nelle immediate vicinanze del mobile da soggiorno. Non c’è infatti niente di più disdicevole di una serie di commensali che oltre a guardare la Tv mentre pranzano (cosa che non andrebbe mai fatta ma che molto spesso, invece … si fa) sono costretti a guardarla di sbieco e da lontano. Il televisore, con le sue dimensioni attualmente così importanti, ha sostituito integralmente anche la proiezione domestica grazie ai sistemi di riproduzione su grande schermo di film e filmati tramite internet ed i dvd. Per ottenere il massimo coinvolgimento nella visione si usa adottare un sistema di diffusione sonoro Dolby Surround che è un apparato che prevede uno speciale amplificatore e cinque diffusori. Oltre ai due tradizionali, solitamente da posizionare frontalmente a chi gli ascolta, lateralmente alla Tv, ad un’altezza circa pari a quella degli orecchi, andrà aggiunto un diffusore centrale nei pressi del televisore (solitamente sotto) e due piccole casse per gli effetti da sistemare alle spalle del punto d’ascolto a un’altezza di circa 1,8 metri. La proiezione di film si può ritenere, quindi, una concomitanza, rispetto all’ascolto di musica e da organizzare in alternativa a quest’ultima, ma tramite i soliti apparecchi. Circa la posizione dei divani, nell’arredo di un soggiorno moderno, si dovrebbero riservare almeno tre metri liberi davanti alla zona dove viene disposto lo schermo per ottenere una proiezione ottimale. Come vedremo adesso, se il locale riservato al soggiorno è abbastanza ampio, oltre al nucleo principale formato da un certo numero di pezzi imbottiti, vi potrà essere una zona lettura o ascolto della musica formata da una o due poltrone relax con schienale alto e completate da un pouf, oppure da quelle di tipo chaise-longue.
Il tema della diffusione sonora nelle zone “giorno di un’abitazione si può affrontare sotto due punti di vista: o come sistemazione ottimale delle apparecchiature acustiche nei mobili posti nel locale in cui la musica viene riprodotta; o come “diffusione sonora” nell’ambiente. Esaminiamoli dunque separatamente. Un impianto hi-fi va inserito nell’ambiente seguendo le indicazioni utili al miglior ascolto sia per quanto riguarda la posizione delle casse acustiche sia degli ascoltatori. Una volta lo “stereo” era un ingombrante apparecchio che risultava spesso difficile da collocare in un mobile da soggiorno. Oggi invece gli apparecchi hanno dimensioni nettamente ridotte e, a parte gli amplificatori “professionali”, non richiedono che un piccolissimo spazio per poter essere inseriti in un vano. A parte i vari lettori esistenti, attualmente sono molto utilizzati a questo scopo le radio digitali, che consentono l’ascolto di radio presenti in ogni parte del mondo e i computer portatili, che una volta attaccati a un adeguato amplificatore, possono trasmettere musica digitale di altissima qualità. La sistemazione migliore delle casse è a circa l metro dal pavimento, (più o meno l’altezza delle orecchie di chi sta seduto su un divano), a una distanza reciproca atta a garantire un effetto sonoro valido ed esteso a tutto il locale. In merito alla diffusione sonora del locale, gli schemi consigliati sono due, che più o meno si equivalgono, in quanto a risultato ma che differiscono fra di essi in quanto a proporzioni del locale: nel primo, la posizione degli ascoltatori deve essere al vertice di un triangolo equilatero che ha le casse agli altri vertici; nel secondo, la distanza tra le casse deve essere pari a 3/4 di quella misurata ortogonalmente tra le casse e gli ascoltatori. Se applichiamo questi concetti a una zona conversazione tradizionale, si dovrà ipotizzare di collocare le casse sulla parete opposta al divano (o alle poltrone), alla distanza sopra calcolata (che di solito è variabile tra i 3 e i 4 m). La posizione ideale per essere dunque collocate su di un mobile da soggiorno. Le casse (ne esistono anche di piccole dimensioni) potranno essere infatti indifferentemente appoggiate su supporti autonomi, collocate a parete oppure inserite su di una base, una mensola oppure una libreria. Il punto migliore di ascolto sarà al centro dei due altoparlanti, alla distanza sopra accennata. Naturalmente si dovrà scegliere anche una posizione opportuna per le apparecchiature, in modo che siano facili da manovrare e nel caso degli amplificatori professionali, non risentano troppo delle oscillazioni delle strutture. La situazione è oggi enormemente favorita rispetto a quella di qualche anno fa anche dalla presenza del telecomando e dalla qualità del materiale sonoro che, grazie ad internet ed alle tecnologie digitali in genere, consente di ottenere ottime riproduzioni anche con apparecchi dal costo modesto. Per quel che riguarda il “trattamento” delle pareti, anche se non è necessario trovarsi di fronte a un ambiente insonorizzato di tipo professionale, è bene almeno sapere che i materiali morbidi (tende, tappezzerie) assorbono il suono e quindi consentono che l’onda principale arrivi direttamente e senza riflessioni indesiderate all’ascoltatore. È opportuno che anche elementi gli architettonici riflettenti, come le pareti nude e le finestre, siano schermati da tendaggi o tappezzerie che aiutano molto in questa funzione. Libri e scaffalature in legno presenti nell’ ambiente possono essere considerati altrettante “trappole” per catturare onde sonore che altrimenti sarebbero riflesse dalle pareti.
La zona Studio/Lavoro
Un tempo la “zona studio” era esclusiva degli arredamenti di prestigio, dove si poteva immaginare un’ampia scrivania circondata da enormi librerie, all’interno di stanze specificatamente allestite a quello scopo. Oggi le case non sono certo quelle di una volta, ma per fortuna anche le apparecchiature dedicate allo studio e allo smart working non occupano molto spazio; in compenso, sono molto più diffuse e devono ormai trovare una collocazione precisa all’interno di qualsiasi abitazione. Ci riferiamo, naturalmente, al computer e alle attrezzature ad esso contigue (come le stampanti, gli scanner e quant’altro). Non necessariamente in una casa moderna queste apparecchiature trovano posto in soggiorno, se non possiedono un locale dedicato: un angolo del corridoio ben individuato o una particolare nicchia posizionata in qualche altro anfratto della casa, potrebbero essere sufficienti per un primo approccio al problema. Ma quando questi spazi mancano e occorre fare di necessità virtù, anche un ripiano di una scaffalatura può assolvere in assenza di una vera e propria scrivania, le medesime funzioni. Pure in questo caso è opportuno, comunque, che la zona studio non sia posta in una parte del soggiorno scelta a caso, ma disponga invece di uno spazio specifico ben individuato e definito. Esso potrà ad esempio essere disposto in un angolo del soggiorno, alla base di una libreria, o in una zona del mobile componibile a elementi, magari ben caratterizzata da una mensola dotata di un’adeguata dimensione. L’attrezzatura base necessaria a questo scopo infatti è relativamente limitata e può essere facilmente costituita da un semplice piano ad uso scrivania, da alcuni contenitori bassi -meglio se a cassetti- e da una parte del mobile da usarsi in quanto libreria. La scrivania può avere le dimensioni normali di 120 x 60 cm, ma può anche ridursi a soli 90 x 50 cm, una misura che consente già l’installazione di un computer portatile o l’appoggio di un libro e di un quaderno dei più grandi. Gli spazi di movimento attorno alla scrivania devono riprodurre, in pratica, quelli che vengono fissati per il tavolo da pranzo, ma con una sostanziale differenza, quando la zona studio è inserita all’interno di un mobile, essa non dovrà necessariamente prevedere il sostare in quella zona di una sedia, ma anzi, sarà possibile utilizzare allo stesso scopo anche una robusta anta a ribalta, in modo che la presenza della sedia davanti a questa zona del mobile risulti del tutto superflua. Molto importante l’illuminazione naturale e artificiale di questo luogo e, in genere, del tavolo da lavoro: è bene quindi che la scrivania sia sempre accostata (ove possibile) a una finestra dal lato sinistro, in modo che la luce naturale cada direttamente sul piano di lavoro e che, nelle ore serali, essa sia sufficientemente illuminabile da consentire una comoda lettura. In realtà, con l’uso del computer queste regole possono essere tenute in minor considerazione, ma si dovrà comunque evitare di disporre il piano in una posizione non adeguata che possa pregiudicare (come abbiamo detto poc’anzi a proposito di TV) la visione dello schermo.
La zona Bar e la zona vetrina.
In merito ai mobili da soggiorno un’ultima considerazione può essere fatta a proposito di alcune zone funzionali un pochino meno diffuse attualmente, ma che meritano lo stesso di essere esaminate con un’appropriata attenzione. Diciamo subito che la denominazione “zone funzionali”, potrebbe essere da qualcuno ritenuta un po’ eccedente, perché in questo caso sarebbe forse più opportuno parlare di “vezzi” di cui uno, il primo, è prettamente maschile mentre l’altro è più riconducibile ai desideri muliebri. Eppure anche se di vezzi sicuramente si tratta, c’è da dire che stiamo parlando di elementi di arredo che hanno radici molto remote e non sono di certo nati da esigenze recenti. Il primo, il bar, risale agli anni del boom economico, anni in cui veniva data un’importanza ben maggiore di oggi agli ospiti e in cui le case erano spesso arredate anche allo scopo di far apparire adeguatamente benestante il proprio ceto. Avere il “bar” in casa era all’epoca una certa forma di ostentazione con cui i mariti erano soliti trattenere gli amici che andavano a trovargli durante qualche visita famigliare. Per chi non poteva permettersi un mobile appositamente studiato (quelli arriveranno negli anni ’70) la zona bar, allora come ora, faceva parte di un mobile multifunzione, da cui era d’uopo mantenere pronte all’uso alcune bottiglie di liquore ed alcuni bicchieri, da utilizzarsi durante le occasioni conviviali. Oggigiorno, più o meno seguendo la stessa filosofia, chi è abituato a ricevere delle visite in cui si è soliti consumare qualche bicchierino di liquore, fa predisporre un apposito spazio chiuso, all’interno del proprio mobile da soggiorno, proprio allo scopo di contenere e conservare bottiglie e bicchieri. Il bar inserito del mobile non è però un mobile chiuso qualunque, ma possiede bensì delle caratteristiche esatte. Per prima cosa la sua apertura, che deve essere a ribalta per consentire, proprio come si faceva tanti anni fa, di riporre sull’anta aperta il vassoio su cui poggiare i bicchieri da porgere agli invitati. Secondariamente la sua altezza, che è solitamente diversa dagli altri sportelli chiusi a ribalta perché, dovendo contenere delle bottiglie deve avere una dimensione in altezza tale da superare almeno i 35 cm che può arrivare a misurare una bottiglia. C’è chi poi preferisce personalizzare questo vano con uno specchio posto in luogo dello schienale oppure con un vetro, che magari lasci intravedere (ma mai vedere) all’interno dell’anta, tutto il ben di dio che contiene. Con lo stesso concetto, si utilizzano e si inseriscono bene o male nei mobili da soggiorno anche le “vetrine” le quali altro non sono che ante dotate di sportelli a vetro in modo da poter mostrare a tutti il loro contenuto. Si tratta dunque di mobili “da esposizione” che come abbiamo accennato in un precedente capitolo, un tempo venivano utilizzate per contenere il servizio “buono” cioè il completo di piatti e ceramiche che quasi mai mancava nelle case borghesi, ma che recentemente vengono molto più spesso utilizzate per esporvi delle collezioni o delle raccolte. Esse sono per questo motivo dotate solitamente di vetri trasparenti e di una illuminazione interna capace di valorizzare gli oggetti in esse contenute. Allo stesso scopo, le vetrine inserite nei mobili da soggiorno e nelle pareti attrezzate, vengono anche dotate di ripiani in cristallo, i quali, hanno lo scopo, puramente ornamentale, di evidenziare gli oggetti che contengono e di far passare fra di essi la luce necessaria a valorizzarli. Le vetrine, all’interno del progetto di un mobile da soggiorno possono anche però avere un fine prettamente decorativo. Esse risultano difatti particolarmente utili a spezzare la monotonia che può ad esempio danneggiare l’immagine di un moderno e minimale mobile da soggiorno, grazie proprio alle loro innate doti di luminosità e di leggerezza estetica. Si può tranquillamente dire, a questo proposito, che quando hanno una funzionalità reale (cioè dettata da una vera esigenza di contenere degli oggetti “speciali”) e non solo da necessità estetiche esse riescono ad assumere una valenza davvero notevole. Sotto questo punto di vista è bene precisare infatti che non c’è nulla di più sconveniente di una vetrinetta disadorna o disordinata. Per questo è così importante che se ne abbia ben chiaro il possibile utilizzo, perché in tal modo il suo uso sarà regolato dalla necessità di contenimento “estetico” che essa per sua stessa natura possiede.
Il soggiorno del futuro
Noi forse non ce ne accorgiamo, ma casa del terzo millennio si sta già evolvendo verso stili di vita e di convivenza inediti, più elastici e meno focalizzati sulla famiglia tradizionale: la moderna società metropolitana, fatta di single, coppie felici e coppie scoppiate, di nuclei allargati a volte con fatica e a volte con estrema naturalezza , afferma una nuova tendenza abitativa, quella che al grido dì “abbasso le pareti” prelude alla totale abolizione della compartimentazione dell’ambiente domestico. In questa logica dì volumi “leggeri” va collocata un’organizzazione drasticamente trasformata degli spazi dedicati alla convivialità, che vede le singole zone tutte fruibili, attrezzate e accessibili in ogni momento. Con la scomparsa di tinelli e corridoi, è ormai già caduto anche l’obbligo dì rispettare la rigida e tradizionale suddivisione degli ambienti (giorno, notte, servizi) e, come abbiamo visto, già oggi si afferma il concetto di “soggiorno esteso” che assimila sala da pranzo, salotto, studio e cucina (perfino il bagno, magari nobilitato e trasformato in “isola di benessere”) in un’unica entità. Senza divisioni tra privato e sociale, senza barriere. Sono questi i luoghi contemporanei del vivere quotidiano che piano piano si stanno trasformando in locali armonicamente fusi in nuovi assetti più congeniali all’odierna ricerca di aree multi-funzionali, che favoriscono l’incontro in piena libertà. Per questo gli interni del futuro saranno ancora di più “in progress” e pensati per rispondere a un’esigenza di semplicità, funzionalità e unitarietà. Le nostre prossime case saranno fatte di ambienti che si susseguono senza soluzione di continuità, prediligendo nuove geometrie e materiali inediti. Non più appartamenti, ma volumi, anche assolutamente “fuori luogo”, in cui coniugare il nostro nuovo modo di vivere quotidianamente la convivialità, come anche l’intimità delle mura domestiche. Le porte, almeno quelle che rimarranno, diventeranno elementi flessibili che, quando necessario, tutto potranno apparire tranne che divisioni e separazioni. Prevarrà l’idea dei sistemi scorrevoli, di grandi superfici uniche in vetro trasparente o colorato, le quali permetteranno di godersi il più possibile gli spazi aperti della casa sapendo che, con un semplice gesto, sì potranno ripristinare comfort e intimità. Questo sarà il punto focale del soggiorno del futuro: un locale open-space, che però sarà in grado, quando necessario, di separarsi in tante piccole isole, per poi ritornare ad essere lo spazio aperto in cui tutti amano vivere.
Le stesse pareti interne, catalizzando l’interesse e lo sviluppo di nuove tecnologie sensoriali o elettroniche (pareti sonore, luminose, termiche e magnetiche), supereranno la loro connotazione archetipica di elemento separatore e si arricchiranno dì movimenti inaspettati e sorprendenti (scorrimento, rotazione, ribaltamento o altro). Tende realizzate in materiali innovativi trasparenti leggeri, consentiranno domani oltre che ombra e privacy, anche visibilità, illuminazione e mobilità. Più elementi funzionali che complementi decorativi, i mobili scandiranno invece, da soli, le diverse aree del living divenendo oggetti dì arredo trasformisti, mutanti e mutevoli, per rispondere a pieno alle molteplici opportunità d’uso che si presenteranno. Mobili che saranno per questo davvero “mobili” e che presidieranno gli spazi aperti con funzioni diverse e articolate: tavolinetti da salotto che in poche mosse si trasformeranno in tavoli da pranzo; librerie versatili che, all’occorrenza, fungeranno da scrivania o da scaletta, sedie che sapranno trasformarsi in tavolinetti. Il tutto in un ciclo funzionale in cui intuizioni poliedriche coinvolgeranno anche il campo dell’illuminazione, con apparecchi cordless che si sposteranno con facilità e si potranno utilizzare indifferentemente come centrotavola, come lampade da lettura o da comodino. Perché la famiglia cambia, perché la società cambia, perché tutta la casa cambia e dentro essa dovrà necessariamente cambiare anche il soggiorno, il locale che si vive di più.
Ma domani: staremo ancora spaparanzati sul divano a guardarci la tv? Forse no. Ma gli imbottiti ci saranno sempre e, anzi, con allure quasi distratta, essi sapranno facilmente passare da pouf a poltrona, da divano a chaise-longue, da letto, a isola dì lavoro in un susseguirsi di conformazioni che non avrà mai più fine. Altro che le “ottomane” di un tempo.
La Cucina “Minimale”
E’ certamente una delle versioni più popolari di cucina componibile ed il motivo di questa ampia diffusione è facile da individuare. Questa è infatti la tipologia di cucina più universale, quella più versatile e che meglio si adatta dunque ad ogni stanza e al gusto di ogni padrona di casa.
La cucina Minimal è caratterizzata, come dice il suo stesso nome, da linee pulite e dalla sobrietà del proprio stile. I colori sono quasi sempre molto tenui e i materiali scelti non lasciano quasi mai spazio all’estrosità o all’ostentazione del lusso.
In questa tipologia di cucina è infatti soprattutto la praticità a farla da padrona e i criteri di progettazione sono quelli che tendono a prediligere questa specifica qualità.
Acciaio, laminato, legno laccato, ante prive di maniglie, assoluta mancanza di orpelli ed accurata cura nell’evitare ogni possibile caratterizzazione spinta, sono tutte quelle cose assolutamente da preferire quando si vuole ottenere questo tipo di estetica. Già… ma è proprio opportuno parlare di “estetica” quando si parla di minimale? Certamente sì. Come sostenevano moltissimi degli architetti, che nel ‘900 hanno dato un senso alla parola “design”, il vero esercizio di stile deve essere perseguito col “togliere” e non con l’aggiungere un qualcosa di proprio, nei progetti che si portano a compimento. Questo ragionamento, nell’arredamento di una cucina, può trovare la sua massima espressione. Del resto ciò che serve davvero nell’arredare una cucina, è soprattutto pensare alle funzioni che quest’ultima deve avere ed a come si potrà abitare l’ambiente una volta allestito. Sotto questo punto di vista un ruolo insostituibile lo giocano i materiali. Le moderne cucine di gusto minimalista prediligono i materiali più resistenti, come ad esempio il “laminato”, che nelle tante versioni in cui si trova in commercio rimane una delle finiture più diffuse, sia per suo ottimo rapporto fra qualità e prezzo, che per la sua facilità di uso e di manutenzione. La dicitura “HPL”, indica ad esempio un tipo di laminato ad altissima resistenza che essendo caratterizzato da un unico spessore compatto, monomateriale, è considerato uno dei materiali migliori in assoluto per la costruzione della cucina dal gusto minimalista. Chi vuole però essere piuttosto minimalista anche per quanto riguarda il costo della cucina stessa, può sempre optare per le versioni in Melaminico e quelle laminate in PVC o Pet. In questo caso, ad un supporto in pannello truciolare, viene applicato un sottile strato di materiale plastico, capace di rendere la superficie impermeabile e molto resistente.
Voler essere minimalista però, non significa per forza dover rinunciare ai materiali più belli ed eleganti. Una tecnica di finitura che si può applicare su pannelli legnosi come truciolare o Mdf è infatti anche la “laccatura”. Si tratta in questo caso di un procedimento di verniciatura che si effettua con prodotti poliesteri o poliuretanici che sono particolarmente adatti per le superfici delle ante delle cucine minimali perchè, possono possedere sia un effetto lucido che opaco. La cucina Minimalista della foto, utilizza ad esempio una finitura “ultra-opaca” che è particolarmente adatta a questo scopo che può essere applicata indistintamente sia sui frontali che sui fianchi.
Se c’è un dettaglio che caratterizza in particolar modo la cucina minimalista questo è senza dubbio l’assenza di maniglie. Questa assenza del resto rispecchia perfettamente la filosofia che sta dietro a questa tipologia di stile il quale, nella continua ricerca di semplificazione, ha portato i designer a escogitare i più funzionali metodi di apertura, che potessero rendersi funzionali senza apporre alle ante ulteriori orpelli, quali spesso possono apparire le maniglie. Per ottenere questo scopo si utilizzano, come nel caso della cucina in foto, delle comodissime “gole” incassate nelle scocche dei mobili, le quali consentono di poter afferrare posteriormente le ante in modo da aprirle. Le gole sono un particolare quasi imprescindibile della cucina minimalista e per questo ne esistono di tantissimi tipi: ne esistono in acciaio o in metallo laccato, ne esistono di forma piatta e di forma concava, ve ne sono di quelle applicate alle scocche dei mobili e di quelle invece inserite nello stesso spessore delle ante. Tante versioni insomma che si accomunano in un solo e unico scopo: quello di “pulire” le linee dei mobili da cucina, in modo da purificarne lo stile e facilitarne la pulizia.
La Cucina “Officina”
Quando si acquista una nuova cucina è sempre consigliabile valutare, oltre ovviamente all’entità di spesa e allo spazio di cui si dispone, anche altri importanti fattori, come il proprio stile di vita o il gusto con cui è stata costruita la casa destinata ad ospitare quegli arredi. Chi pensa infatti giustamente che sia troppo rischioso decidere una cucina componibile basandosi soltanto su dei criteri prettamente estetici, dovrebbe anche pensare che se dovessimo tutti arredare le nostre cucine tenendo solo presenti gli aspetti razionali e funzionali della questione, le nostre case sarebbero probabilmente tutte uguali.
Proprio nell’ambito di questo ragionamento ha preso recentemente piede una tendenza che prende in considerazione alcune correnti derivanti dal mondo della moda che prendono spunto addirittura nell’ambito della metalmeccanica.
Una delle tendenze più in voga adesso è infatti quella del “vintage”, una moda che attraverso delle accurate rivisitazioni stilistiche cerca di nobilitare il gusto per il “recupero” che sempre più campo sta prendendo in diversi settori della società civile.
La cucina “officina” sintetizza bene questo tipo di tendenza. Già da qualche anno si erano visti infatti arredi in “stile industriale” messi insieme soprattutto grazie alla raccolta di numerosi oggetti di modernariato provenienti dagli uffici o direttamente dal mondo produttivo. Lo stile “officina” non è altro che una precisa branca di questa corrente che caratterizza alcune tipologie di cucine moderne.
I caratteri principali di questa categoria di cucine sono piuttosto riconoscibili anche all’occhio meno esperto; i materiali che si utilizzano sono quasi sempre gli stessi ed anche le sue modanature sono evidentemente riconducibili ad un preciso mondo produttivo, quello appunto della meccanica.
Chi ha in mente come erano e come sono ancora le officine di qualche meccanico, potrà senz’altro ritrovare nello stile della cucina “officina” i colori scuri del ferro (declinato sia nella sua versione antracite naturale, sia in quella ruggine), contrastati dai colori chiari del legno (di solito i legni “duri” come il faggio ed il rovere), tenuti insieme dall’ordinato disordine dei mobili accostati senza apparente legame stilistico, nonchè dalle generose scaffalature e dalle evidenti maniglie, poste a servizio dei comodi e capienti cassetti. Tutto proprio come se ci si trovasse in un’officina.
Questo mondo, una volta raccolto in un unico ambito stilistico, riesce a coniugarsi perfettamente con alcune tipologie di ambiente urbano ed extra urbano che è facile incontrare in alcune ristrutturazioni particolari (come nel caso dei tanti loft sorti in tutte le città grazie ai cambi di destinazione degli edifici produttivi), come in qualche nuova costruzione edificata con i più innovativi concetti ecocompatibili. E’ facile immaginare infatti quanto bene si accosterebbe una cucina “Officina”, magari dotata di un bel set di elettrodomestici color nero antracite, con un’ampia abitazione dotata di una moderna ed ecologica struttura in ferro e legno, dal gusto un po’ retrò.
La cucina “Colonne con penisola”
Questa tipologia di arredo, nasce con lo scopo di unire e rendere perfettamente ergonomiche due parti solitamente contrastanti delle moderne cucine componibili, quella destinata al contenimento degli alimenti e delle stoviglie e quella destinata alla vera e propria preparazione dei cibi.
Questo sistema di allestimento è senza dubbio uno dei più desiderati da chi sta immaginando come arredare la propria cucina, ma non sempre è facile da inserire nelle case moderne.
Le cucine con elementi a Isola o penisola infatti richiedono spazi abbastanza ampi e nella maggior parte dei casi obbligano a rinunciare al tavolo da pranzo.
La difficoltà progettuale più importante riguarda infatti le misure degli ingombri e degli spazi che è necessario lasciare tra un volume e l’altro. Generalmente, ad esempio, lo spazio minimo che è necessario lasciare fra un bancone a isola e i mobili a parete corrispondenti è di 90 cm. Quando però lo spazio per lavorare va dai 100 ai 120 cm si ottiene il massimo in fatto di ergonomia e confort durante l’uso.
Un altro fattore da tenere nella massima considerazione è la presenza di un ottimale bilanciamento fra i piani d’appoggio adibiti a lavoro e quelli adibiti alla consumazione dei pasti. Quasi sempre infatti i due spazi tendono a essere troppo vicini, causando nei peggiori dei casi addirittura una sovrapposizione fra la zona cottura o lavaggio e la zona “pranzo”. Tali situazioni sono assolutamente da evitare soprattutto in termini di sicurezza: la vicinanza del piano cottura ad un bancone snack, ad esempio, potrebbe causare dei gravi problemi in chi intende utilizzare la cucina per pranzare con dei bambini, mentre si sta loro cucinando i pasti.
La versione qui fotografata, può essere tranquillamente considerata una soluzione valida a risolvere diverse delle problematiche che deve affrontare chi vuole allestire un bancone penisola bello e funzionale. La composizione parte dall’unica parete che viene sfruttata, utilizzando la stessa per posarvi quattro ampie colonne dove trovano posto il frigo ed il forno da incasso, una dispensa a cestoni ampia e facilmente sfruttabile ed un doppio vano a giorno da usare per riporvi i piccoli elettrodomestici di uso più frequente. Sempre sulla stessa parete, alloggiano anche due comodi pensili pensati per riporvi gli alimentari e le stoviglie più leggere. Sotto a questi, una piccola libreria a giorno servirà per appoggiarvi i più usati libri di ricette e le suppellettili dotate del design più bello e accattivante. Sotto a questi pensili, è stata attaccata alla stessa parete la robusta asse in legno che avrà la funzione di bancone. Essa appoggerà dunque da un lato alla parete stessa mentre dall’altro verrà fissata sul piano dell’isola adibita a piano di lavoro. L’altezza di questa sorta di mensola, diviene in questo modo tale da consentire un suo utilizzo come “piano colazione” o bancone snack. In questo caso infatti il piano in questione raggiunge circa i 90 cm da terra e ciò permette di pranzarvi comodamente o di farvi colazione con degli sgabelli alti dai 60 ai 70 cm.
La parte di piano di lavoro è stata progettata usando due differenti tipologie di mobile contenitore. Per la zona di lavoro vera e propria si è optato infatti per due ampie basi a cestoni dotate (le loro misure possono variare dai 90 ai 120 cm di larghezza), rispettivamente corredate di lavello e di piano cottura. Di fronte a questi mobili è stato invece allestito un contenitore a due ante alto 80 cm circa, su cui poggia una mensola che funge da ulteriore zona pranzo con l’altezza però, stavolta, di un tavolo che consente quindi il suo uso con delle normali sedie.
La Cucina “Living”
Esatto ma molto versatile, il connubio fra cucina e soggiorno ha raggiunto al giorno d’oggi la sua massima diffusione. Le case più nuove, del resto, si prestano perfettamente a questo tipo di filosofia abitativa: quando la cucina si affaccia su un’altra stanza, la sua progettazione deve infatti rispondere a esigenze ben diverse da quelle che dettavano il rigore dei “cucinotti” o degli ambienti cucina “unici” di un tempo.
La composizione di una cucina di questo tipo richiede un progetto dettagliato che consenta di valutare l’ambiente nella sua duplice veste: quella di luogo dove si preparano e consumano i cibi e quello di luogo della “convivialità”, dove la famiglia si riunisce e vive la maggior parte della sua giornata. Uno degli aspetti più salienti di questo tipo di progetto sta proprio nel saper coniugare in maniera ottimale, momenti di vita e di utilizzo degli spazi vitali, molto diversi fra di loro.
La cucina “living” si sviluppa quasi sempre in uno spazio unico, privo di qualsiasi separazione, oppure aperto solo quel tanto che basta per rendere l’ambiente assolutamente libero da impacci visivi.
La posizione degli impianti, cioè tutti quegli attacchi necessari agli allacciamenti della cucina componibile, vengono solitamente raccolti in uno spazio delimitato e ben preciso della stanza dove troveranno posto gli elettrodomestici e tutti gli altri oggetti utili alla preparazione dei cibi. Tutto il resto, sia ciò che riguarda il consumo dei cibi che le altre attività giornaliere, viene di solito disposto di conseguenza al posizionamento della cucina.
La cucina living è essenzialmente lo spazio ideale per la vita in comune, vita in cui, il moderno focolare domestico è diventato spesso il televisore, fulcro essenziale della stanza, dal quale spesso dipendono le posizioni di tavolo, sedie e salotto. Quello del posizionamento del televisore è infatti uno degli aspetti da tenere nella più grande considerazione quando si progetta una cucina-living. La tv non è più al giorno d’oggi un semplice elettrodomestico, ma comprende tante funzioni che si devono perfettamente integrare con il resto dell’ambiente.
Per progettare una cucina living si devono dunque essenzialmente tenere presenti gli spazi a nostra disposizione ed iniziare a suddividerli idealmente in tanti ipotetici ambienti, quanti sono gli usi che si prevede di fare della stanza in questione. Se ad esempio si pensa di aver bisogno di un grande piano d’appoggio necessario per cucinare in più di una persona, sarà necessario immaginare subito il posizionamento di un’isola o di una penisola che possa essere utilizzata comodamente a questo scopo. Se invece, al contrario, sarà per noi più importante possedere un tavolo da pranzo molto grande e capiente dove poter ospitare numerosi commensali, ecco che sarà necessario dimensionare la cucina componibile riducendola magari in tutti quegli spazi che ci risultano meno utili.
Ciò che non è mai da dimenticare è la concomitanza degli spazi e la simultaneità degli usi. Una cucina living per poter essere davvero utilizzabile infatti non può non prendere in considerazione gli svantaggi che questo tipo di progetto porta in sé. Che cosa succederebbe ad esempio se si pensasse di realizzare una cucina di questo tipo senza dotarla di un’ottima cappa aspirante? E che cosa accadrebbe invece se si pretendesse di far convivere nella stessa stanza il bisogno di concentrazione di un giovane intento ai propri studi, con la necessità della sua mamma di preparare il pranzo per la famiglia?
Per fortuna ad ogni problema esiste spesso una soluzione e se si riescono a coniugare quei solidi principi che regolano la convivenza in famiglia con alcuni facili accorgimenti pratico/progettuali, ci si accorgerà che la convivialità familiare è uno dei più importanti sistemi di protezione sociale.
Ecco dunque un altro motivo del successo della cucina living: essa è preferita da tanti perché è il luogo dell’uso molteplice e simultaneo; il posto in cui si può cucinare in compagnia degli amici senza abbandonarli da soli nella sala da pranzo, l’ambiente in cui si può cucinare e mangiare contemporaneamente, ma è anche il luogo in cui i genitori, possono continuare a parlare con i figli, anche mentre quest’ultimi stanno magari giocando con qualche videogioco o facendo i compiti sul tavolo da pranzo.
La Cucina “Iconica”
In questa categoria di cucina è il “segno” a farla da padrone, anche se più di “segno” sarebbe opportuno parlare di “disegno”. Il motivo che anima chi, nello scegliere la propria cucina, decide di esulare dalla sobrietà del minimalismo per percorrere la strada dell’originalità, non lo fa quasi mai per ostentazione o per anticonformismo, bensì per un compiacimento personale che, attraverso la scelta del dettaglio, trova l’affermazione del proprio più intimo ego. All’interno di questo percorso il disegno, o progetto, trova la sua più concreta espressione.
Ebbene sì, pure se può apparire a qualcuno abbastanza strano, anche la “cucina” può essere o rappresentare a volte un’icona, uno stendardo, una bandiera del proprio stile, per chi ama davvero la casa in cui vive. La cucina può essere “iconica” in diversi modi e tramite differenti caratteristiche. Ci sono cucine dotate di cappe o elettrodomestici talmente particolari da diventare loro stessi la chiave del progetto a cui appartengono. Ci sono cucine che diventano iconiche anche solo per la loro disposizione all’interno dello spazio in cui sono alloggiate e per come consentono di sfruttare l’ambiente circostante. Il caso fotografato della versione del bancone centrale ad isola, può essere già abbastanza significativo di questa tipologia di personalizzazione.
Vi sono poi nel mondo della produzione d’arredamento, materiali talmente particolari o evocativi da essere essi stessi il motivo per cui una cucina, se pur semplice, diventi iconica in quanto rappresentativa di un’idea originale e inusuale. Proviamo ad immaginare ad esempio l’utilizzo dei grossi elementi in marmo scuro o legno vecchio, che spesso si vedono adesso nelle cucine più di tendenza. Essi sono la prova inconfutabile che, anche solo con dei piccoli “segni” inaspettati, diversi dal solito e comunque dotati di un loro motivo di essere, ogni cucina può assumere una propria personalità ed una indiscutibile autorevolezza in fatto di stile.
Ma rendere una cucina “iconica”, a volte, può essere addirittura più facile. Chi lavora sui temi che girano intorno al mondo dell’arredo e del design, sa benissimo, ad esempio, che il “colore” può essere già in sé considerato un elemento capace di grande particolarizzazione. Ne è un esempio abbastanza eclatante la cucina qui fotografata, la quale con pochissimi tratti grafici verticali, è stata resa iconica e originale grazie soprattutto al particolare utilizzo del colore.
Le linee verticali che si vedono applicate sulle ante delle colonne, sono in realtà delle gole scavate sullo spessore dell’anta, che fungono da maniglie. Esse infatti sono costruite utilizzando un robusto profilo metallico nel quale è possibile inserire le dita per fare in modo che, tirandole, le ante si aprano. Il trucco escogitato dai nostri progettisti per rendere originale e particolare questa cucina è stato semplicemente quello di colorare con cinque differenti tonalità di colore queste utilissime gole metalliche. L’effetto ottenuto è eclatante, pur nella sua semplicità. Si è trattato di uno dei classici casi in cui il design, diventa davvero tale nel momento in cui si dimostra capace di “sorprendere”, di rendere originale, di dare ad un oggetto di per sé molto semplice una dignità stilistica assolutamente inaspettata. Del resto la sobrietà delle colonne bianche, in abbinamento al semplicissimo bancone ad isola, potrebbe essere apparsa fin troppo “banale” a chi ricerca invece la particolarità del progetto capace di iconizzare un oggetto di per sé molto usuale e quotidiano come può essere spesso una cucina componibile. In questo caso viene dunque ampiamente dimostrato come, con pochi geniali “tocchi”, sia possibile rendere un elemento d’arredo (il mobile a colonne) che, da solo, poteva apparire anche un ingombro visivo molto importante, un’icona di stile capace di diventare il fulcro stilistico e progettuale dell’ambiente in cui si trova. Guardando la foto si capisce immediatamente qual é l’elemento “importante” e notevole dell’intero progetto. Quelle colonne attirano l’occhio e lo rapiscono nel loro elevarsi; potevano diventare un problema estetico, ed invece queste sottili linee verticali, snelliscono il grande volume che sono chiamate a decorare e, allo stesso tempo, definiscono la propria funzione pratica (quella di maniglia). Tutto ciò senza mai dimenticare il proprio compito prettamente estetico.
È da particolari come questi che sono composte le cucine “iconiche” e da questo momento ne incontreremo tante, diverse, e per questo dotate tutte di una loro grandissima personalità stilistica.
La Cucina “a Isola”
Ed eccoci ad una delle tipologie di cucine più desiderate dalla gente: la cucina ad isola. Chissà perché, ma l’idea di funzionalità, di purezza di stile e di eleganza che danno le cucine ad isola nella testa delle persone, ne fanno di per sé un vero e proprio mito d’arredo.
Di cucine ad isola ne esistono tantissime versioni, quelle formate da un solo elemento a centro stanza (la vera e propria isola), senza nessun altro mobile intorno, quelle in cui l’isola funge da centro di lavoro, quelle in cui invece funziona solo da piano d’appoggio, e quelle che comprendono in sé una serie di elementi aggiuntivi che possono avere differenti utilizzi.
Quella qui fotografata, ad esempio, è una versione di cucina ad isola fra le più popolari ed è caratterizzata dalla presenza contemporanea di più elementi funzionali d’arredo compresi nello stesso progetto: la cucina “Solida Kitchen” di “La Casa Moderna”. La cucina in questione è infatti composta da una serie di elementi componibili ricorrenti che la caratterizzano e la rendono molto originale. Alla parete della cucina Solida, sono solitamente appoggiate una serie di colonne che contengono il frigorifero da incasso ed un’ampia dispensa. Accanto a questa un grandissimo elemento a ribalta (in questo caso si tratta dell’elemento più caratterizzante e iconico della cucina Solida) che, oltre alla tradizionale funzione di “pensile”, può discretamente contenere un forno ad incasso di facilissimo e di pratico utilizzo. Di fronte a questa zona “a parete” trova posto l’isola multi-funzione che contiene in sé tutti gli utilizzi funzionali tipici della cucina componibile: cottura, lavaggio e piano di lavoro. E’ l’elemento “cubico”, quello qui fotografato in versione laccata grigio cemento, quello predisposto a questo scopo: esso contiene al lato destro un grandissimo lavello mono-vasca, montato su due cestoni. Al lato di questo trova posto la lavastoviglie, ovviamente in posizione ergonomica per il suo uso più comodo e per ultimo la zona cottura, appoggiata su di un altro capientissimo mobile a cestoni (con cassetto interno) che permette la creazione di due ampi piani di appoggio laterali alla zona cottura.
L’elemento però senza dubbio più particolare di questa composizione è senza dubbio il piano bancone predisposto per il pranzo. Esso è realizzato in vero legno massello di rovere in finitura anticata di forte spessore ed ha un’altezza tale da renderlo utilizzabile come tavolo da pranzo con delle normalissime sedie. Quello qui fotografato, fa parte della Collezione Ecowood di “La casa Moderna” (vedi catalogo scaricabile: ), sporge dalla isola funzionale di circa 140 cm, ma può essere realizzato esattamente su misura, adattandolo alle esigenze di ogni stanza e di ogni famiglia.
La composizione “Solida Day” qui fotografata occupa 300 cm sulla parete delle colonne, mentre l’isola misura circa 420 cm ed è profonda 90 cm.
La Cucina “Informale”
Chi ha della cucina componibile ancora l’idea dell’arredo minimale, fatto di lineari mobili chiusi e monocolore, troverà qualche difficoltà nel riconoscere l’estetica originale e scomposta delle nuove cucine “informali”. Sono le cucine dei Millennials, quella generazione di persone che oggi, vuoi a volte per la poca disponibilità economica, vuoi per il desiderio di “dissidenza”, tipico di ogni giovane generazione che si rispetti, preferiscono arredare la propria cucina nella maniera più “libera” possibile, senza mai cedere però al disordine o all’ineleganza.
Elettrodomestici da appoggio “a vista”, vani a giorno dove riporre in “ordinato disordine” ogni tipo di suppellettili, maniglie evidenti e funzionali, colori sobri o sgargianti a seconda del gusto e delle esigenze, sono le caratteristiche più peculiari di questo modo di arredare la propria cucina. Certo quando ci si trova a fare una ristrutturazione e ad arredare ad esempio un “loft” come quello fotografato, questo tipo di filosofia d’arredo può essere molto utile da seguire. In questo caso infatti non stiamo parlando di un unico e compatto progetto col quale arredare seguendo una visione complessiva ben definita; qui si tratta piuttosto di “comporre” con maestria un insieme di elementi d’arredo, quasi sempre acquistati in fasi successive, che devono creare un effetto d’insieme molto definito, anche se non precisissimo.
La cucina “informale” per questi motivi può sembrare la tipologia di cucina più facile da progettare, in realtà non è così, prima cosa perché non esistono ovviamente regole definite e secondariamente perché è molto facile sbagliare gli abbinamenti. Nella foto qui mostrata ad esempio, una delle caratteristiche che salta più agli occhi è la varietà di differenti materiali e colori presenti nello stesso progetto. Si va dal bianco delle sedie in stile ‘900 e delle gambe del tavolo, al legno di olmo in tinta scura delle ante della cucina. Si passa poi dall’acciaio delle maniglie e dello zoccolo, al color pietra naturale del top della cucina. Si nota il contrasto delle rudi lampade di tipo “industriale”, con l’eleganza e precisione delle linee del forno elettrico. Anche l’ambiente circostante è perfettamente integrato in questa filosofia; la foto è stata realizzata all’interno di un ambiente unico in cui il pavimento è in cemento levigato e le pareti sono tinteggiate con un rigorosissimo bianco assoluto. Questi elementi architettonici sono studiati per ottenere un risultato ottimale che riesca a comprendere tutte le peculiarità così originali degli arredi. Anche l’oggettistica, che pare posta in maniera puramente casuale, segue una sua filosofia. I quadri sono in parte poggiati in terra, pochi sono appesi, però hanno tutti lo stesso stile e gli stessi colori. Il tappeto è “consumato” in stile vintage, ma il suo colore si intona perfettamente a quello del pavimento e del tavolo. Persino gli infissi, il corrimano e la scala seguono la loro precisa filosofia inserendosi, con il loro colore ferro grezzo, egregiamente in questo complesso contesto.
E’ senza dubbio un eccellente esercizio di stile che se ben eseguito porta a risultati importanti e assolutamente inediti.
La Cucina “Angolare”
Nella moderna architettura, quando si ha la necessità di dedicare alla zona cucina uno spazio sufficientemente grande, si preferisce quasi sempre pensare ad arredare la cucina su due lati contigui. E’ per questo motivo che la cucina angolare è la più comune nelle case moderne. Ma c’è anche una ragione di carattere prettamente pratico: la cucina angolare è considerata fra le migliori a livello ergonomico. Si tratta infatti della composizione in cui si può ritrovare più facilmente il cosiddetto “triangolo ergonomico” della cucina. Si tratta di una disposizione di arredi funzionali che consente il miglior utilizzo della cucina componibile moderna. Per ben comprendere di che cosa si tratta basta immaginare un triangolo i cui angoli corrispondono ad ognuno degli elementi funzionali della composizione angolare: uno verso la zona cottura, uno verso la zona lavaggio ed uno verso la zona frigo/dispensa. Se si riesce ad immaginare questo triangolo è facile capire perché quella “ad angolo ” è una delle versioni di cucina preferite e più comuni da trovare. Nella cucina angolare tutto è più semplice, funzionale e esteticamente giustificato. C’è il lato dove si può lavorare e preparare i cibi, quello predisposto per la cottura, quello adibito al lavaggio delle stoviglie e quello dove conservare le stoviglie e le pietanze. Ultimamente la zona cottura si trova di frequente suddivisa in due parti, una dove ha spazio il piano cottura ed una per il forno. Questa sorta di sdoppiatura è dovuta al fatto che è sempre più comune mettere il forno, non in posizione bassa, sotto il piano cottura, bensì in alto, in una posizione più ergonomica che non renda necessario chinarsi. A questo scopo è quasi sempre utilizzata la cosiddetta “colonna forno” che è un tipo di mobile molto funzionale che permette di inserire il forno in posizione appunto “rialzata”, creando allo stesso tempo due ampi volumi sopra e sotto. Tali volumi, grazie alla loro profondità sono considerati molto utili per riporvi le stoviglie e tutto ciò che di più voluminoso è presente fra le suppellettili presenti in cucina.
Una caratteristica fra le più gradite della cucina angolare, infatti, è proprio l’ampio contenimento che essa consente. I contenitori possono essere bassi e alti, predisposti sotto forma di “basi” o di “pensili” ed in ogni tipo di colonna. Nella cucina qui sopra fotografata, ad esempio, lo spazio contenimento è stato addirittura ampliato attraverso un’isola centrale che, messa in mezzo al posto del tavolo permette di sfruttare addirittura anche questa parte di stanza con un mobile contenitore.
L’unico problema di “utilizzo dello spazio” fino a qualche anno fa, era paradossalmente proprio l’uso dei mobili posti in angolo. Per quanto riguarda i pensili, in realtà questo problema non esisteva, perchè grazie alla loro ridotta profondità (quasi sempre 33 cm circa) risultava abbastanza facile utilizzarli anche angolarmente. Per quanto riguarda le basi invece, questo uso rappresentava un vero e proprio problema a causa della ampia profondità (60 cm) che i mobili bassi da cucina hanno. Da qualche anno a questa parte invece, sono stati per fortuna inventati dei comodissimi cestelli estraibili che, grazie a dei meccanismi a volte anche molto sofisticati, permettono l’utilizzo delle basi angolo fino all’ultimo centimetro.
Un altro ottimo motivo, dunque, per preferire una cucina angolare capace di donare ad ogni ambiente cucina, una gradevole estetica ed una notevolissima funzionalità.
La Cucina “Sobria e funzionale”
Ci sono ambienti in cui l’arredamento delle stanze deve per forza seguire dei precisi criteri estetici. Questi canoni sono spesso dettati dalla struttura e dalla conformazione della casa stessa, anche se non è sempre esattamente così. Nell’immagine qui accanto ad esempio, è fotografato un appartamento cittadino “classico”, in cui sono presenti elementi architettonici di rilievo, come il camino e le travi in legno a vista, abbinati con rifiniture molto particolari come il pavimento in maiolica antica. Si tratta di un classico caso in cui sarebbe stato molto difficile arredare una cucina se non si fosse optato per un arredo molto sobrio dalle linee “classiche” ma rigorose. Come sarebbe stato possibile diversamente abbinarsi con un caminetto molto decorato e prezioso come quello presente, se non si fosse preferito, ridurre i toni spettacolari di quelle decorazioni, stemprandoli con un arredamento dal gusto molto moderato ed equilibrato? La scelta è stata dunque abbastanza obbligata: una cucina dotata di anta a telaio della Collezione “Pratica” de “La Casa Moderna”, abbinata ad un bellissimo tavolo moderno e minimale in legno massello di rovere antico della Collezione “Ecowood”, sempre de “La Casa Moderna”. Un ruolo predominante in questo “gioco di ruolo” in cui ogni elemento deve trovare la sua esatta collocazione, lo svolgono i colori che, nel caso della “Cucina Sobria”, sono veramente basilari. Sobrietà significa moderazione, serietà, severità, per questo è importante, quando si decide di arredare una cucina con questo stile, utilizzare dei colori adeguati come lo sono ad esempio i colori “della terra” come il marrone, il beige, il canapa, lo Juta. In questo caso specifico si è utilizzato un color tortora molto chiaro, leggermente tendente al “Panna”, che si intona perfettamente con le tonalità che il caminetto in marmo Calacatta dona all’ambiente. La scelta dei colori in una cucina deve seguire infatti dei criteri che tengano ben presenti numerosi fattori, e non solo prettamente estetici. Uno fra questi è sicuramente la luminosità della stanza e le tonalità delle sue rifiniture. Un pavimento molto scuro, andrebbe sempre abbinato, ad esempio, con degli arredi molto chiari; in una stanza molto luminosa questa regola può anche essere ignorata in modo da comporre un insieme più armonico. In questo ambito di ragionamento, rientra perfettamente quello riguardante l’opportunità o meno di utilizzare una cucina Sobria, anche collocandola in un’architettura molto ricca e lussuosa. La sobrietà può servire come abbiamo detto a stemperare, ma può rappresentare anche l’occasione per rendere più comodi e funzionali degli ambienti. La cucina sobria è infatti per sua stessa natura molto comoda e funzionale. Basta guardare la cucina qui sopra fotografata per rendersene conto: la zona contenimento è incassata nella stessa parete principale della stanza attraverso l’utilizzo di una nicchia esistente. In essa è riposta la colonna forno accoppiata ad una grande colonna con frigorifero ad incasso, in modo da ingombrare il meno possibile. Nella parete accanto alla finestra trova invece spazio il piano di lavoro funzionale, il quale contiene il piano di cottura, il lavello ed una capiente lavastoviglie. Tutto è considerato e ideato seguendo dei principi di sobrietà molto chiari ed evidenti, senza lasciare spazio ad orpelli o a decorazioni inutili. Perfino il piano di lavoro, realizzato nello stesso marmo del caminetto, rispecchia fedelmente questo tipo di filosofia, che del resto è presente anche nel progetto che sta dietro alla realizzazione dell’essenzialissimo tavolo in massello con gambe in ferro grezzo industriale.
La Cucina “Multicolore”
Quando si parla di design, il colore gioca di solito un ruolo fondamentale. Nell’arredamento della cucina però questo ruolo è solitamente tenuto più al margine rispetto ad altri aspetti, come la funzionalità o l’estetica delle forme. Il colore in cucina è quasi sempre considerato un aspetto di cui sarebbe anche possibile fare a meno, se non fosse che facendone davvero a meno, si rischierebbe di rendere ogni cucina molto simile alle altre. In questo ambito di discussione rientra anche tutto ciò che riguarda gli abbinamenti possibili che è possibile effettuare quando si arreda e progetta una cucina componibile. Sì perché trattandosi di un mobile molto grande e voluminoso, la cucina componibile è spesso pensata in due e più colori, in modo da alleggerire la monotonia che potrebbe in alcuni casi notarsi, nell’osservare una grande cucina monocolore. A questo scopo, uno dei metodi più utilizzati è quello di abbinare un’essenza di legno, come può essere il rovere naturale o il teak, ad un colore unito come il bianco ed il canapa. In questi casi però l’effetto che si ottiene è quello di spezzare senz’altro l’uniformità del progetto, ma la visione complessiva mantiene quasi sempre una logica di abbinamenti di colore molto attinente, senza lasciare spazio all’estro o alla fantasia.
La cucina Multicolore non segue questi rigidi schemi. Il suo principale scopo è infatti proprio quello di rendersi di per sé originale ed interessante per la sua particolarità. La cucina Multicolore abbina colori fra loro anche molto contrastanti e li mixa senza seguire una logica prestabilita. Almeno apparentemente.
La cucina Multicolore fotografata in questa immagine, ad esempio, può essere considerata a tutti gli effetti un esercizio di stile teso ad ottenere un effetto complessivo inedito e quasi disordinato, ma se la si va ad esaminare più approfonditamente ci si accorgerà che ogni particolare apparentemente “casuale”, è stato studiato seguendo un preciso e rigoroso schema progettuale. Innanzitutto si nota il numero di colori utilizzati che di solito nella cucina multicolore, varia da un minimo di tre ad un massimo di quattro. In secondo luogo, osservando la cucina in questione, è possibile facilmente individuare degli abbinamenti che non sono affatto casuali, ma che al contrario sono stati effettuati tenendo ben presente le tonalità e le attinenze che sono presenti fra alcuni colori. Per ultimo, si può effettivamente valutare come con un abile gioco, sia possibile abbinare i differenti colori ai volumi ed alle forme differenti, presenti nella composizione. E’ l’insieme di questi ingredienti che rendono una cucina multicolore effettivamente piacevole alla vista: un giusto bilanciamento che pur se fatto con lo scopo di stupire chi lo osserva, è sempre effettuato con un rigore stilistico tendente ad ottenere una grande eleganza.
La Cucina “Monocolore”
Quando si desidera progettare una cucina dal gusto minimalista, la cucina monocolore è sicuramente fra quelle da preferirsi. E’ la tipologia di cucina forse meno decorativa e più orientata verso una valorizzazione delle proprie linee sobrie ed è adatta per questo motivo proprio per chi ha la necessità di arredare un ambiente con arredi, in qualche modo, volutamente dissimulati da ciò che li circonda. E’ il caso della cucina qui a lato fotografata, la quale è caratterizzata da un ambiente circostante molto particolare, definito da una stanza dotata di cornici e di rifiniture molto classiche. Quello che hanno fatto gli architetti de “La Casa Moderna” in questo caso, la dice lunga sulla valenza della scelta dei prodotti, all’interno di un progetto d’arredo. L’ambientazione in cui i nostri architetti lavoravano infatti poteva lasciar spazio a diversi tipi di interpretazione; la strada scelta è stata però piuttosto decisa ed ha condotto a preferire una tipologia di arredi “monocolore” appunto, che consentisse di creare una netta separazione stilistica fra i mobili della cucina e le rifiniture presenti nella stanza.
Si può dire infatti senza dubbio che la cucina “monocolore” ha fra le sue caratteristiche spesso quella di riuscire perfettamente ad integrarsi in ogni ambiente la si collochi. Certamente questo è più vero quando si utilizzano i colori chiari, come il bianco ed il beige, ma è anche vero nel caso in cui si utilizzino colori più accesi ed evidenti, come possono essere certi marroni o il nero.
Un ruolo altrettanto fondamentale lo giocano, nel progetto della cucina monocolore, anche la finitura delle ante e la tipologia dei piani di lavoro. Per quanto riguarda la finitura, è evidente, che quando si utilizza un solo colore per i mobili della cucina, la tipologia di finitura superficiale che si utilizza per le ante e le superfici verticali, viene ad assumere un ruolo predominante. Sono molte infatti le possibili finiture che possono essere applicate ad una cucina: vi sono le ante in essenza di legno, quelle cioè in cui il legno appare applicato nella sua versione naturale. Vi sono le finiture laccate a poro aperto, in cui rimangono visibili le venature del legno anche dopo il procedimento di laccatura. Vi sono poi i laccati uniti, che possono essere opachi, semi-lucidi e lucidi, proprio come nella cucina oggetto della fotografia qui sopra mostrata. Nel caso specifico, è facile capire come l’intenzione dei nostri progettisti fosse quella di “donare” alle superfici verticali un motivo “decorativo” in più per farsi notare e per spezzare la monotonia del monocolore. La scelta del tipo di finitura infatti può dipendere da numerosi fattori, come lo stile degli arredi, la luminosità degli ambienti o la necessità o meno di rendere tali arredi evidenti agli occhi di chi li vede.
Un discorso a parte lo meritano i piani di lavoro. Una cucina monocolore viene infatti progettata e realizzata molto spesso in versioni che non mantengono lo stesso colore dei mobili anche sui piani di lavoro. Le ragioni di questa scelta possono essere molteplici; bisogna infatti considerare per prima cosa che i piani di lavoro non vengono quasi mai realizzati con lo stesso tipo di materiale, delle ante e delle scocche. Questo per un motivo molto semplice: i piani di lavoro devono avere una resistenza tale da poter essere utilizzati con tranquillità senza sciuparsi durante il loro uso quotidiano. Questo principio porta i progettisti di fronte ad un dilemma abbastanza importante che li obbliga a scegliere fra un piano di lavoro che sia simile come colore alle ante ed alle altre superficie verticali della cucina componibile, pur essendo di un altro materiale, oppure ad optare per un colore totalmente diverso, che permetta più libertà quindi di scelta a proposito dei tops. Nella cucina in questione ad esempio, il piano di lavoro è realizzato in un bellissimo e resistentissimo quarzo nero, il quale si pone in netto ma armonico contrasto con il lucido bianco delle ante. Le finiture del piano di cottura e del lavello, così come quelle del forno realizzate in acciaio spazzolato, hanno poi determinato la scelta di applicare un bellissimo zoccolo inox a rifinitura della basi, allo scopo di dare origine ad un insieme equilibrato e antitetico allo stesso tempo.
La Cucina “Monumentale”
Il suo nome potrebbe impressionare, ma in realtà si tratta di un tipo di cucina che non è così raro da trovare all’interno delle nostre case. Si può infatti definire “monumentale” quel tipo di progetto di arredo che in una cucina utilizzi dei linguaggi intenzionalmente “glamour” al fine di donare agli elementi un particolare stile.
E’ un tipo di cucina che è bene ovviamente prediligere quando ci si trova di fronte ad ambienti molto grandi, magari contraddistinti da una particolare necessità di essere, spesso proprio a causa delle proprie dimensioni, in qualche modo “Qualificati” e resi originali. La cucina monumentale ha un po’ questo scopo: stupire, rendersi eccezionale agli occhi di chi la vede per la prima volta, insomma essere capace di ostentare in qualche maniera il gusto e l’eleganza dei padroni di casa. E per ottenere questo scopo per la realizzazione di questo tipo di cucina si vanno proprio ad utilizzare dei linguaggi, che sono gli stessi utilizzati del mondo della moda e del “luxury”. Materiali preziosi, finiture ricercate, linee sobrie ma sempre molto originali, insomma si vanno a rendere “eccellenti” degli arredi che altrimenti potrebbero apparire scarsi e troppo omogenei.
La cucina fotografata qui sopra è un eloquente esempio di quello che significa progettare una cucina che abbia l’ardire di apparire sensazionale a chi la guarda. In questo caso è evidente come con l’uso di materiali particolari quale il marmo scuro, il legno impiallacciato delle boiserie ed il laccato lucido spazzolato della mobilia, sia possibile ottenere un effetto formidabile e molto originale. Quello che traspare da composizioni di questo tipo è soprattutto la sensazione di “lusso” che essa è capace di trasmettere. Lusso che però, è sempre bene ricordarlo, con gli arredi de “La Casa Moderna” può diventare assolutamente accessibile a tutte le tasche. L’esempio dell’effetto marmo utilizzato in questo caso e dei pannelli boiserie in legno che rivestono parte delle pareti è sufficiente a spiegare questo concetto. L’effetto marmo infatti, nei negozi de “La Casa Moderna” può essere realizzato utilizzando del marmo vero, oppure, del laminato stratificato, come anche dell’economicissimo laminato effetto marmo. La stessa cosa può dirsi sia per i pannelli che rivestono le pareti, che per le finiture delle ante. Anche per quest’ultime infatti sono disponibili degli splendidi laminati o dei bellissimi polimerici che possono essere inseriti in composizione al posto del laccato lucido, con lo scopo di abbassare il costo della composizione senza modificarne l’effetto complessivo. Tutte cose che sono possibili da fare solo per chi, come “La Casa Moderna” può contare di una produzione industriale esclusiva, capace di realizzare progetti anche molto personalizzati senza mai eccedere nei costi.
La Cucina “Contemporanea”
Una delle ultime tendenze in fatto di cucine componili, tiene presente il desiderio ultimamente riemerso di riappropriarsi di alcuni stili tipici del passato, reinterpretandoli però in chiave prettamente moderna. Questo mix fra passato e presente viene chiamato, nell’ambito dell’arredo con il termine di stile “contemporaneo”.
Questo è una tipologia di arredo che si adatta bene a numerosi ambienti e per questo motivo può essere tranquillamente utilizzato sia in ambito di abitazioni realizzate con gusto “classico”, come quella fotografata in questo esempio, oppure in case schiettamente moderne.
L’esempio qui mostrato è abbastanza significativo del concetto che sta dietro alla filosofia di questo stile. Esaminando con attenzione la nostra foto, ci si accorge infatti che per il progetto di questa cucina sono stati utilizzati dei criteri piuttosto inusuali, che hanno portato gli architetti de “La Casa Moderna” ad applicare delle ante riquadrate dallo stile piuttosto “classico” ad una struttura prettamente moderna, priva di maniglie, ma dotata di gola e di zoccolo inox. L’effetto complessivo è piacevole ed originale, ma mantiene un gusto molto sobrio ed elegante. Quelle contemporanee sono dunque cucine che si adattano molto bene ad ambienti di molteplice natura e si rivolgono ad un pubblico di utilizzatori molto ampio sia come fascia di età che come stato sociale. Del resto una delle caratteristiche più importanti de “La Casa Moderna” è quella di poter dare un’ampia gamma di prodotti e di prezzi, in modo da poter personalizzare i propri arredi “tailor made”, proprio come si trattasse di abiti realizzati su misura.
La Cucina “Monolite”
Avere a che fare con spazi molto grandi può davvero rendere molto felici i progettisti chiamati ad arredare delle cucine componibili, ma quando si ha a che fare con degli spazi non ben definiti le difficoltà da superare sono molteplici.
La cucina progettata per un “open space” infatti non può essere ideata a caso e deve saper tenere ben separate le diverse funzioni che essa deve avere. Nel caso della cucina “monolite”, un’isola operativa si affaccia sulla zona pranzo, mentre un mobile dispensa-contenitore occupa la parete di fondo con un’ampia armadiatura contenente frigo e forni.
Finiture e materiali sono di solito pensate all’insegna della praticità e della solidità ed è in special modo nell’isola che questo concetto vi estrinseca completamente. La struttura in laminato che viene mostrata in questa foto ad esempio, compone un mobile ad isola che forma un perfetto parallelepipedo interrotto solo dall’incavo creato per aprire le ante. La caratteristica principale di questo Parallelepipedo funzionale è proprio quella di possedere lo stesso tipo di materiale e di finiture, sia per le superfici verticali che per quella orizzontale. I materiali, anche in questo caso, possono essere molteplici ed intercambiabili. Si va dal laminato finitura cemento che è mostrato in questa foto, fino ad arrivare a rifiniture molto preziose ed originali come possono essere il marmo e la Kerlite. L’importante è che si venga a creare un effetto di perfetta contiguità di materiale fra piano ed anta in modo da ricalcare le forme tipiche del blocco in marmo o pietra.
Ci sono però anche altre tipologie di cucine ad isola che possono essere definite “monolite” o a “blocco unico”. Sono quelle che si pongono di solito a centro stanza e che si organizzano su entrambi i lati opposti. Nel caso della fotografia infatti il lavello ed il piano cottura sono posizionati da un solo lato, mentre dall’altro si colloca lo spazio dove è possibile fare colazione o pranzare velocemente. La doppia profondità consente anche invece di disporre da una parte la zona cottura con i fuochi posti al centro e dall’altra il lavello e la lavastoviglie. In questo caso, come nell’altro, le basi sono composte di solito con delle ante o dei cestoni chiusi, in maniera da creare l’effetto “blocco”. Un’altra caratteristica predominante è in queste tipologie di cucine la cappa, che rende grazie ai numerosi tipi di design con cui si trova in commercio, può permettere addirittura di eliminare le tubature e di creare un effetto molto pulito e minimale, che si intona ovviamente in maniera perfetta con la forma rigorosa dell’isola sottostante.
La Cucina “A elementi separati”
Un tempo questa era la cucina esclusivamente destinata ad un ambiente giovane, una casa per le vacanze o in affitto. Adesso questo modo di arredare è stato completamente sdoganato e non è raro da trovare anche nelle abitazioni più “borghesi” ed eleganti.
Tre zone distinte per lavare, cucinare e conservare i cibi. E’ questo il concetto che persegue chi progetta la propria cucina in maniera destrutturata. Aree di lavoro differenti per una cucina in continua evoluzione che consente facilmente di sostituire i singoli pezzi o di acquistarli addirittura in momenti diversi.
Sembra quasi che non ci siano regole per chi progetta questo tipo di cucine: bastano una o due pareti per organizzare una cucina completa composta da pezzi singoli, che poco paiono avere a che fare fra di loro ma che in realtà necessitano di una grande attenzione compositiva per poter essere abbinati. Il locale può essere anche molto piccolo, come un cucinotto che può contenere solo pochi elementi essenziali, ed aperto magari sul soggiorno… Ma anche molto grande, come può essere una cucina di campagna, dove si possono sfruttare bene gli spazi con diversi mobili indipendenti, quali sono le credenze e le cassettiere. A cavallo fra gli anni ottanta e novanta erano diventati di moda addirittura dei mobili da cucina appoggiati su delle ruote; il loro uso è andato però via via scemando a causa ovviamente degli attacchi tecnologici (acqua, elettricità e gas) che non consentivano comunque alcun tipo di spostamento.
Per progettare tali cucine di solito si parte proprio con l’inserimento degli elettrodomestici, i quali sono quasi sempre “da appoggio”, cioè da libera istallazione, anche se, come si vede dalla nostra foto, questa non è certo una regola fissa. Gli elettrodomestici da appoggio in fin dei conti hanno numerosi pregi: sono solitamente più economici di quelli da incasso, sono più facili da spostare e consentono per questo una pulizia più accurata degli ambienti cucina. Ove però si preferisca quelli incassati all’interno dei mobili, ciò è facilmente possibile, basta inserirli in mobili a sé stanti che possano permettere di dare l’idea dell’ordinato disordine che era presente nelle “cucine di una volta”. E’ il caso ad esempio dei frigoriferi incassati in elementi fatti con la forma delle vecchie ghiacciaie o delle zone cotture raccolte in mobili che ricordano molto le prime cucine economiche.
Non è affatto detto però che le cucine a elementi separati debbano assumere per forze le sembianze di una cucina classica, anzi, tutt’altro! Una delle tipologie più frequenti di cucina a blocchi è quella che simulando le cucine professionali dei ristoranti, assume grazie all’acciaio inox o ad altri materiali “tecnici” un aspetto al contrario molto Hi-tech. In quel caso i blocchi operativi possono essere anche differentemente disposti e non è raro trovare inserimenti anche nelle normali cucine componibili a struttura continua. Il caso più frequente è quello dei frigoriferi free-standing i quali hanno ormai preso un posto importante all’interno delle cucine componibili, anche in versioni molto originali come nel caso dei frigoriferi colorati e di quelli decorati.
Qualunque sia lo stile che si vuole dare alla propria cucina a blocchi, il pregio migliore che potremmo ottenere è comunque la grandissima versatilità di uso e progettazione che queste cucine hanno. Non ci sono vincoli, non ci sono difficoltà ambientali e soprattutto non ci sono obblighi relativi allo spazio disponibile: ogni elemento può essere inserito con ampia libertà a patto che sia abbinato con gli altri con molta attenzione. L’unica controindicazione rispetto alle cucine continue ad incasso, può essere quella relativa al fatto che con i mobili posti in posizione singola, non consentono quasi mai lo sfruttamento dell’angolo eventualmente presente fra due pareti, ma la loro versatilità consente sempre di recuperare tale spazio utilizzando qualche mobile in più.
La Cucina “Total White”
Quando si parla di cucine “Total White” vengono spesso in mente le cucine minimaliste che a volte caratterizzano gli ambienti delle case più moderne realizzate intorno alla fine del secondo millennio. In realtà una cucina “Total White” può essere anche molto diversa, con delle caratteristiche che possono essere anche in qualche modo molto più interessanti di quelle usuali. Un esempio è possibile trovarlo nella cucina qui a fianco che pur nella sua estrema semplicità è dotata di una spiccata personalità e di una originalità molto evidente. Il principio progettuale è facile da riconoscere: si tratta di un’anta a telaio “classica” che nella sua tinta bianca di gusto provenzale, è stata sapientemente abbinata dagli architetti de “La Casa Moderna” con un piano in quarzo assolutamente bianco e con degli accessori dello stesso colore. La composizione qui fotografata dunque spiega perfettamente che anche una cucina molto caratterizzata da elementi decorativi evidenti, come le ante di cui è dotata, possa essere declinata in una versione completamente bianca, capace di renderla molto leggera ed elegante.
La cucina in questione mostra anche molto adeguatamente le ambientazioni a cui questo tipo di progetto si adatta perfettamente. Possono notarsi infatti il colore delle pareti molto scuro, applicato per evidenziare maggiormente l’effetto “Total White”, il pavimento in legno chiaro, capace con il suo colore di smorzare la monotonia dell’ambiente e per ultimo l’effetto decorativo della carta da parati, la quale con i suoi toni, permette di abbellire una parete vuota che altrimenti sarebbe rimasta tragicamente bianca. E’ chiaro quindi che anche per il progetto “Total White” occorre adottare delle precise accortezze che solo dei veri professionisti sono capaci di apportare. Per questo gli architetti de “La Casa Moderna” sono a disposizione di chi lo desidera per fare in modo che ogni progetto d’arredo, compresi i più difficili, possa essere portato a termine con professionalità, maestria e garanzia di risultato.
La Cucina “Dritta a parete”
Ed eccoci ad un’altra delle comparazioni di cucina più comune da trovare nelle case.
Nella cucina “in linea” gli apparecchi e la mobilia sono disposti su di un’unica parete, questo solitamente perché la forma del locale è di forma pressoché rettangolare, allungata e stretta, con la finestra e la porta posizionate sui lati corti, una di fronte all’altra.
Questo tipo di arredo, presenta il vantaggio di evitare gli angoli poco utilizzabili e difficilmente attrezzabili con elettrodomestici o altri apparecchi funzionali che non siano semplicemente di contenimento. Inoltre il passaggio di chi entra nella stanza provenendo dal disimpegno o dal soggiorno, oppure di chi esce attraverso la porta-finestra su di un eventuale balcone (come nel caso fotografato), non disturba chi sta cucinando. Lo svantaggio di questo tipo di stanza sta di solito però nel fatto che, essendo stretta e lunga, risulta spesso poco illuminata ed areata nella zona più lontana dalla porta finestra o dalla finestra. Oltre a questo vi è il problema che la disposizione dei mobili in linea obbligherà chi cucina a percorsi e spostamenti più lunghi durante l’intera operazione di cucina. Tutto ciò è ovviamente causato dalla disposizione possibile degli accessori quali lavello, forno, piano di cottura e frigo, che, essendo disposti tutti su di una sola parete, se si trovano in posizione ravvicinata, creano una mancanza disagevole di “piano di lavoro” e se invece sono troppo distanti fra di loro, costringono a movimenti che alla lunga possono risultare stancanti. Quello dello spazio su cui lavorare è infatti uno dei problemi più sentiti da chi possiede una cucina dritta. Diciamo che se una cucina dritta è lunga almeno 360 cm può contenere un sufficiente piano d’appoggio se non è arredata di una colonna forno, ma se questo tipo di accessorio è preferito per la sua comodità, è necessario avere una lunghezza disponibile di almeno 390 o 400 cm per avere garantito un piano di lavoro sufficiente all’utilizzo quotidiano.
La cucina fotografata e progettata dagli architetti de “La Casa Moderna”, va perfettamente a risolvere tutti i problemi che può presentare una composizione lineare: Innanzitutto il suo colore è bianco, in modo da poter sopperire all’eventuale mancanza di luce specie nelle ultime ore del pomeriggio, secondariamente possiede un comodissimo bancone a penisola che serve a sopperire alla carenza di piano di appoggio che questa composizione potrebbe avere. In questo caso però, non è stato previsto l’inserimento di un accessorio importante come il forno (che è stato previsto piccolo da appoggiare sul piano di lavoro), ma sono presenti sia il frigorifero che la lavastoviglie che si trovano nascosti dietro i due ampi sportelli da 60 cm. Questo indica abbastanza chiaramente quanto sia possibile, anche in una cucina di piccole dimensioni, progettare degli spazi arredati comodi e funzionali ma anche capaci di rendere l’ambiente luminoso ed elegante.
La Cucina “a Ferro di cavallo”
Parliamo adesso di Ergonomia, una scienza che sarebbe sempre da tener ben presente quando si progetta di acquistare una cucina.
Piccola, grande o media che sia, bisogna che in cucina tutto funzioni e sia organizzato in modo da risparmiare tempo e fatica: talvolta bastano semplici accorgimenti per risolvere problemi anche di una certa importanza. La posizione della cucina nella casa è in questo senso fondamentale: sarebbe bene che avesse strette relazioni con la zona pranzo, per abbreviare i percorsi tra tavolo e fornelli. Se poi viene usata anche come locale dispensa, dovrebbe collegarsi facilmente con la parte del frigorifero. A volte basta poco.
Su questo problema dei “percorsi” in cucina, sono stati condotti interessanti esperimenti. In una stessa stanza, infatti, ben diverse sono le linee dei movimenti secondo la posizione reciproca dei mobili e degli elettrodomestici: non sempre, purtroppo, è possibile realizzare tutto ciò che si vorrebbe. Ma, in una stessa cucina, a volte, basterebbe sopprimere qualche elemento, aggiungerne altri, spostare qualche mobile o piano di lavoro (il tutto naturalmente secondo un programma ben preordinato e avendo idee chiare sull’organizzazione del lavoro domestico) per ottenere subito risultati vantaggiosi e spesso insospettati. Come sarebbe comodo, ad esempio, se la posizione della cucina consentisse alla mamma di non perdere d’occhio i bambini quando giocano in soggiorno, in terrazza o in giardino (se si ha la fortuna di possederne uno!) e contemporaneamente cucinare, stirare ecc. Fare i conti con tutto insomma!
In verità non è cosi facile capire subito come debba funzionare una cucina, e magari, quando abbiamo finalmente visto la “cucina ideale” per noi, basta la sporgenza di un pilastro, proprio dove un certo mobile ci farebbe comodo, o la posizione della finestra, o la porta che si apre nella parete che vorremmo utilizzare, per far entrare in crisi tutta la nostra organizzazione. E, in quel momento, ci sembra di non poter trovare altre soluzioni. Ma quasi sempre queste difficoltà non sono insormontabili e basta un po’ di disponibilità, di fantasia e qualche ragionamento sensato per risolvere qualsiasi problema, anche il più difficile.
Per riuscire a organizzare adeguatamente la cucina della foto ad esempio, i progettisti de “La Casa Moderna” hanno seguito un percorso obbligato verso un preciso obiettivo: ottenere una cucina “a U” o ” a ferro di cavallo”, che dir si voglia. Per far questo sono partiti da un concetto ergonomico molto semplice, quello del “triangolo delle funzioni”. Quello che mancava nel caso specifico era però la cosiddetta “terza parete” quella cioè dove sarebbe stato possibile allocare il terzo piano di lavoro dove alloggiare il lavello o la zona cottura. Ebbene, è bastato considerare la stanza nel suo insieme e fare attenzione alle esigenze della famiglia per risolvere egregiamente il problema! I committenti in questione avevano infatti una necessità molto sentita, quella di poter mangiare velocemente in cucina, la mattina a colazione ed il giorno a pranzo, quando in casa si alternano le persone a causa dei rispettivi impegni lavorativi. Da questa esigenza, è scaturita magicamente la soluzione: una piccola penisola “girata” rispetto all’angolo della dispensa, che contiene al suo interno sia la zona lavaggio (con lavastoviglie incorporata) che la zona “pranzo”, corredata da una mensola sporgente molto decorativa e da due comodi sgabelli. Una soluzione bella ed originale che ha risolto egregiamente un problema funzionale tenendo ben presenti gli effetti estetici delle scelte progettuali fatte.
La Cucina “in legno”
Praticamente da sempre il legno, in cucina è davvero un versatile alleato.
Materiale ottimo, spesso insostituibile (e lo comprendiamo bene quando ci troviamo ad usarlo come tagliere), lo apprezzeremo molto anche come piano di lavoro (meglio se lavorato a masselli, a vena incrociata e tra loro “maschiati” con incastro continuo), se non fosse un po’ troppo facile da sciupare durante il suo normale uso in cucina. Nella collezione di cucine de “La Casa Moderna” troviamo comunque spesso tavole in massello o piani impiallacciati dallo stupendo effetto estetico oltre al rivestimento delle ante e dei fianchi dei mobili contenitori.
In questo caso la versione più diffusa attualmente è quella che prevede l’uso di “Laminato o polimerico” di adeguati spessori, una “imitazione” del legno realizzata con colle fenoliche e lamine plastiche, che si rende realmente indeformabile dall’uso, inattaccabile ai graffi e anche molto resistente al calore. Per tali materiali la parola “imitazione” assume però talvolta una valenza negativa su cui è bene fare immediatamente chiarezza. Il laminato plastico, fin a partire dagli anni sessanta è stato riconosciuto ed apprezzato come ottimo materiale di rivestimento da cucina, per le sue innate doti. Il fatto che si utilizzi tale materiale in sostituzione del legno quale suo “surrogato” più economico, non corrisponde assolutamente a verità. E’ vero invece casomai il contrario e cioè che chi produce cucine, dovendo dare un aspetto piacevole ad una materiale molto resistente e per numerosi usi molto più adatto del vero legno in cucina, ha preferito fornire tali superfici con degli effetti decorativi che simulano il legno in modo da renderlo più piacevole alla vista, oltre che funzionale agli scopi per il quale viene utilizzato.
Detto questo però è bene ricordare che esistono numerose produzioni che prevedono il vero legno come materiale di rivestimento delle cucine componibili. Per queste produzioni si utilizzano solitamente le essenze resinose, quelle europee (come il rovere, il ciliegio e il noce), ma anche quelle esotiche pesanti (come il teack o il wenge ecc.). Questi sono tutti legni molto compatti, duri ed impermeabili all’acqua; anche se richiedono le nostre assidue cure perché, ad esempio, i frequenti lavaggi, magari effettuati con acqua calda e detersivo, le rendono secche ed il loro normale uso lascia talvolta visibili tracce, come graffi e consumature. Tutte cose che, del resto, potremmo attenuare con un panno imbevuto di alcuni prodotti specifici consigliati dal fabbricante. Con queste attenzioni, il nostro legno sembrerà sempre nuovo, meglio ancora se ogni tanto lo tratteremo con una sottilissima paglietta di filo di acciaio, per togliere le macchie più resistenti, le ammaccature dovute a colpi diversi, oppure le tracce fitte dei nostri affilati coltelli. Una volta effettuata tale pulizia potrebbe bastare un trattamento effettuato con cera o con altri prodotti appositi per la manutenzione del vero legno per far sì che la nostra cucina mantenga inalterate le sue preziose caratteristiche.
La Cucina “Per Due”.
Ormai lo si sa. Le case sono sempre più piccole e questo è principalmente dovuto, specie nel nostro paese da un fenomeno demografico che porta a ridurre sempre maggiormente il numero medio di componenti di una famiglia. Ed ecco perché sono state inventate le cucine per due: un mondo a parte, funzionale ma romantico che segue le sue regole e le sue precise dinamiche.
Lei e lui in cucina: ansia, stanchezza, gioia, esibizionismo. Anche questo c’è davanti ai fornelli della casa dove abita una coppia.
Partiamo da un concetto: vi è un ruolo che, volenti o nolenti, accomuna tutti: il ruolo di “casalinghi”. Potrà variare magari come intensità, come ritmo, come qualità, secondo il livello socio-economico, secondo la sua composizione famigliare e secondo il tipo di lavoro svolto fuori casa. Sì, certo, oggi la fatica fisica è alquanto diminuita: gli innumerevoli elettrodomestici, i detersivi sempre più perfezionati (e corrosivi), l’arredamento più semplice e funzionale, I tessuti che non si stirano e i pannolini che si gettano hanno portato un grosso sollievo. Ma se il lavoro casalingo è davvero diminuito come fatica, per altri versi è accresciuto a causa del poco tempo disponibile.
Al contrarlo, far da mangiare e preparare dolci sono di gran lunga le attività preferite dagli italiani. Non a caso cucinare è, tra i lavori quotidiani, l’unico che pur nella sua ripetitività non è sempre uguale a sé stesso. L’unico compito che consenta un vero apporto personale di fantasia, creatività e di possibilità di scelta. L’unico il cui risultato, assai tangibile, è immediatamente riconosciuto dagli altri. Ma non è solo questo. Attraverso il cibo è come se continuassimo a trasmettere qualcosa di noi stessi agli altri, ai nostri cari. Il cibo può dunque diventare il mezzo per dimostrare il proprio amore o disamore per l’altro.
Ecco tutti gli aspetti che tengono ben presenti i progettisti de “La Casa Moderna” quando devono allestire una cucina per una coppia. Lo spazio per cucinare, quello per lavorare, quello per conservare e soprattutto… quello per condividere…
La cucina “decorativa”
Quando qualcuno pensa il contrario di “minimale”, ecco che viene in mente la cucina “decorativa”.
In verità “decorazione” può voler dire tante cose. Si può parlare di “decorativo” quando si ha di fronte una cucina in legno molto lavorata, oppure quando si sta guardando una cucina liscia, ma con delle applicazioni artistiche particolari che la rendono molto originale. Allo stesso modo si può definire una cucina “decorativa”, quando essa è realizzata in stile moderno, ma vi sono stati inseriti elementi d’arredo particolari, come possono essere un bel piano in marmo di Carrara o un elemento ricoperto in foglia d’argento.
Il desiderio di “decorazione” è tornato frequente da qualche tempo, come ribellione al conformismo dello stile minimale. Tantissimi sono stati infatti negli ultimi due o tre anni i progettisti che allo scopo di rendere più originale un loro progetto, hanno preferito deviare dalle rigide regole del “razionalismo” novencentesco, per addentrarsi in un mondo capace di liberarsi dal conformismo dilagante.
Vuoi per l’uniformità dei prodotti d’arredo in commercio, portata dalla grande distribuzione organizzata, vuoi per il desiderio di molti clienti di seguire passivamente le tendenze del momento, infatti, ormai da qualche decennio si assisteva ad un lento ed inesorabile declino del gusto che, se non curato, avrebbe portato la gente ad avere tutti, cucine ed arredi, pressoché uguali. Per questo motivo un’ampia schiera di architetti ha preferito “mettere del proprio” nei progetti di arredo, in modo da consegnare ai committenti degli arredi che fossero davvero unici e personalizzati. Questa fotografata, ad esempio, è una cucina realizzata dagli architetti de “La cCsa Moderna” che è stata resa molto particolare grazie al rivestimento che è stato usato per decorare la parete posta sul retro della cucina componibile ed il relativo pavimento. Si tratta, in questo caso specifico, di una carta da parati impermeabile da cucina che, riproducendo gli stilemi di alcune antiche maioliche, riesce a dare alla stanza un effetto colorato ed originale. Gli arredi del resto sono stati progettati al contrario in uno stile molto semplice e sobrio in modo da non appesantire ulteriormente un ambiente che altrimenti sarebbe diventato davvero oppressivo. Si tratta di una metodologia di lavoro molto frequente in chi preferisce “decorare” in qualche modo la propria cucina: non si toccano gli arredi, non si appesantiscono le linee, ma allo stesso tempo si dà un grande valore estetico alle finiture edili rendendole parte integrante di un progetto di decorazione bello ed originale. C’è chi fa operazioni del genere agendo sugli infissi, chi le fa pitturando le pareti con colori estremi, chi utilizza le tende e chi invece preferisce decorare la propria cucina con dei particolarissimi utensili. Ogni sistema è lecito in questo caso, basta che alla fine, l’effetto complessivo possa essere piacevole alle vista.
La Cucina “Da single”
La potremmo anche definire la cucina “Tutto in Uno” perché racchiude in sé tutti gli aspetti funzionali della zona giorno di una casa abitata da una sola persona.
L’idea di cucina come spazio domestico dotato di un aspetto formale definito avrebbe sicuramente divertito i nostri avi, per i quali questa stanza non era altro che una sorta di “sala macchine”, confinata in una zona secondaria della casa. Finché le cucine sono rimaste nelle case dei poveri di città o di campagna, oppure il regno della servitù nelle case dei ricchi, non ci si poneva il problema di attrezzarle, arredarle o decorarle per fini diversi da quelli pratici. Naturalmente, il carattere essenziale di quelle vecchie cucine, in cui si conservavano vasellame e stoviglie e si cucinavano vivande, carne e prodotti caseari esercitava un certo fascino, ma la cucina era di solito un luogo non confortevole, male illuminato, scarsamente arieggiato e decorato con sobrietà per nascondere le zone sporche dalle stufe a carbone e dalle lampade a gas. Dopo i vari mutamenti sociali conseguenti i due conflitti mondiali, si iniziò a dare particolare enfasi all’efficienza e all’ergonomia. Ispirate alle nuove cucine modulari create negli Stati Uniti attorno agli anni ’20 ed equipaggiate con gli elettrodomestici più all’avanguardia, molte cucine del dopoguerra sembravano una versione domestica delle linee produttive di tipo industriale: rivestimenti in nuovi laminati facili da pulire, luci al neon e il pavimento in linoleum o vinile. La reazione alla freddezza di questi ambienti e lo stile di vita sempre più informale che si affermò a partire dagli anni ’60, portarono all’emergere di un’infinita varietà di stili: le abitazioni di provincia avevano le loro cucine “country” in cui gli elettrodomestici di ultima generazione erano nascosti dietro pannelli con motivi ornamentali in stile “Edoardiano”, mentre il massiccio ricorso all’acciaio inossidabile, in città, elevava i cuochi di casa a esperti in tecnologia dell’alimentazione.
La cucina diventava proprio in quel periodo “la cucina componibile”, grazie alle industrie del mobile che pian piano si affacciavano a questo mondo progettuale. Ma la cucina in qualche modo restava relegata in una stanza (di solito anche piuttosto piccola) della casa e spesso non aveva nemmeno la velleità di mostrarsi al “pubblico” dei possibili ospiti della zona giorno.
A cavallo fra gli anni ottanta e novanta però è iniziata una grande rivoluzione demografica. Nel giro di vent’anni, come spiega l’Istituto di statistica Nazionale, il numero medio di componenti di una famiglia è sceso da 2,7 (media 1995-1996) a 2,4 (media 2015-2016). Ma il fatto più sensazionale è che ormai quasi una famiglia su tre risulti in Italia, composta da una sola persona.
Tutto ciò non poteva che portare ad un’ampia riflessione sul modo di progettare ed arredare le case degli italiani.
Questa fotografata, ad esempio, è una cucina realizzata dai progettisti de “La Casa Moderna” per una persona che vive da sola in un bellissimo loft cittadino. La tipologia del committente è facile da intuire da alcuni particolari progettuali, come la mancanza del tradizionale forno grande (sostituito da uno piccolo multifunzione appoggiato sul piano) e del grande frigorifero a colonna. Tutti gli elementi di questa cucina sono razionalmente pensati per essere utilizzati da una persona soltanto. Il lavello è ampio ma dotato di una sola vasca, il piano cottura è ad induzione per facilitare la pulizia e le finiture superficiali di piani e mobili sono realizzate in materiali robusti e pratici da mantenere.
Ovviamente chi è solo, deve molto spesso pensare ad ospitare la famiglia o gli amici che di volta in volta verranno di certo a trovarlo. Ecco che a questo scopo, al tavolo da pranzo posto in mezzo alla cucina “living”, è stato aggiunto alla cucina una ampio e comodissimo piano penisola dotato di sgabelli, certamente capace di rendere ogni serata divertente ed informale.
Un altro progetto de “La Casa Moderna” che fa capire quanto sia possibile personalizzare al massimo ogni locale della casa seguendo esattamente ogni esigenza del cliente.
La Cucina “Su misura”
In cucina, più che i grandi spazi, conta il giusto rapporto fra le varie attrezzature. Quando fantastichiamo sulla nostra cucina nuova o sui miglioramenti della vecchia, dovremmo ricordare sempre che alcune dimensioni minime vanno pur rispettate! Più che la grandezza del nostro locale cucina (che, quasi sempre, ci dobbiamo tenere cosi com’è, con le dimensioni scelte dal progettista del fabbricato), a noi devono interessare le misure minime indispensabili per sistemare i mobili così da muoversi con facilità; senza sbattere negli spigoli, senza battere la schiena quando dobbiamo aprire un cassetto o chinarci davanti a un’anta, senza dover fare troppi passi per passare da un mobile al fornello, o dal frigorifero al piano di lavoro, senza incrociare un movimento con l’altro e senza trovare già ingombro da altre stoviglie, l’appoggio che ci serve proprio in quel momento. Se i nostri mobili sono sistemati uno di fronte all’altro, in una cucina lunga e stretta, lo spazio centrale dovrà essere di almeno 1 metro e 20 cm (come nella cucina in foto): così potremo chinarci comodamente a prendere i piatti dai vari contenitori, senza doverci rialzare quando un’altra persona passa dietro di noi. Se questa misura si riduce fino a un metro (ma mai al di sotto!), allora è meglio scegliere mobili-base con antine non più larghe di 45-50 cm, per non doverci spostare quando li apriamo e per poterci muovere, anche se di costa, ad antine aperte e comunque rassegnandoci ad alzarci e scostarci al passaggio di chi ci sta aiutando in quel momento. Meglio ancora se lo spazio libero può essere creato di fronte al piano di lavoro, perché in quel caso potremo permetterci di inserire, subito sotto il piano del mobile-base, un tavolo bancone che ci consentirà di lavorare seduti, giacché una persona seduta davanti a un tavolo occupa uno spazio di circa 55-60 cm dal bordo del tavolo stesso. Cerchiamo di evitare anche che la sistemazione del lavello o del piano di cottura sia troppo nell’angolo: rischieremmo ogni volta di sbattere i gomiti nel muro. Non interrompiamo la continuità del piano di lavoro, così utile, inserendo ad un certo punto un blocco alto (a “colonna”, come dicono i progettisti); se proprio vogliamo un elemento di questo tipo, disponiamolo sempre in fondo alla parete, come elemento terminale o d’angolo. Oppure utilizziamo questi armadi per creare dei mobili multifunzione esattamente come quello qui fotografato.
Consideriamo ora in dettaglio i mobili di una cucina: le loro misure in altezza sono molto importanti e devono essere rapportate all’altezza di una persona di media statura. C’è un’altezza per la mano che afferra un oggetto in alto a braccio teso, o che apre un cassetto o un’anta, o che posa un recipiente su un piano; c’è un’altezza per l’occhio che vede all’interno di uno scaffale o di un cassetto, eccetera, eccetera. Piani di lavoro, armadietti pensili, mobili a tutta altezza, cassetti, ante, devono essere dunque disegnati e proporzionati in modo da ridurre al minimo lo sforzo e la fatica di chi li usa: chinarsi sotto il piano di un mobile-base è più faticoso che tendersi in alto verso un mobile pensile e, oltretutto, richiede più spazio libero intorno. L’altezza più comoda da raggiungere con la mano e con l’occhio è tra gli 80 e i 150 cm; se ci troviamo di fronte a un piano di lavoro sporgente, ci possiamo allungare in avanti senza fatica fino a una profondità di 170 cm; non impediti da questa maggiore sporgenza, possiamo arrivare comodamente anche fino a una profondità di 195 cm.
Insomma sono tante le cose da tener presenti quando si progetta per un ambiente che richiede una cucina realizzata davvero “su misura”, come quella di questa foto. I progettisti de “La Casa Moderna” fanno questo tipo di lavoro da sempre.
Interpellarli per un consiglio farà comprendere la loro competenza e la loro grandissima professionalità.
La Cucina “In Vetro”
La cucina, ormai si sa, è uno delle tipologie di arredo che più è suscettibile alle tendenze e alle innovazioni che interessano il mondo del design. Fra queste, da qualche anno, sta prendendo sempre più piede l’uso di un materiale di rivestimento molto particolare che parrebbe poco adatto a questo tipo di utilizzo: il vetro. La cucina de “La Casa Moderna” qui a lato fotografata è un esempio di come questo materiale possa essere egregiamente utilizzato in versione “lucida” laccata, per la realizzazione di ante e di fianchi di rifinitura dei mobili.
In commercio esistono in generale due tipologie di cucine con le ante in vetro. Quella più semplice, viene realizzata applicando direttamente una lastra di vetro, precedentemente laccata, su di un pannello in nobilitato predisposta all’uopo. La versione più complessa e pregiata è invece quella che prevede l’inserimento di una lastra in vetro infrangibile (solitamente anche questa laccata), all’interno di un robusto telaio di alluminio fatto apposta per contenerlo. La finitura in vetro può sembrare a prima vista delicata e poco adatta all’uso in cucina, in realtà essa possiede delle caratteristiche di resistenza ai graffi notevoli e, specie nella versione lucida, anche di facilissima pulizia. Quello di cui deve fare attenzione chi opta per questo tipo di cucine sono gli urti. Sia nella versione “pannellata” sia in quella “intelaiata” infatti, il vetro rimane esposto e per questo motivo deve essere utilizzato facendo attenzione a non urtarvi addosso con corpi contundenti, specie se in metallo.
Una delle caratteristiche principali per la quale si può preferire la cucina in vetro è senza dubbio lo stupefacente effetto estetico che sono capaci di offrire. Tale effetto è dovuto essenzialmente alla lucentezza del materiale ed alla particolare rifrazione alla luce che esso offre, a seconda se esso è prodotto in versione lucida o satinata. La versione satinata è attualmente la più in voga. Si tratta di una lastra che una volta sabbiata con degli appositi procedimenti industriali, viene laccata all’interno in tutti i colori possibili. Ciò che si può considerare un’accezione negativa di questo tipo di cucina è ovviamente il suo costo. Sia nella versione pannellata (più economica), che in quella intelaiata (più costosa) l’anta in vetro ha generalmente un costo più alto del normale. Ciò può essere un problema per chi desidera una cucina che abbia un costo molto accessibile, ma per chi preferisce investire qualche soldo in più nell’arredo-casa, può senz’altro trovare la maniera per arredare la propria stanza cucina con un prodotto esclusivo, dotato di caratteristiche davvero notevoli.
La Cucina “Ad altezze diverse”
Quando si progetta una cucina componibile si dovrebbe sempre tener conto di quelle che sono le diverse altezze che risultano “comode” per una persona, a seconda del lavoro e della posizione che essa sceglie per lavorare. Se non si tenesse conto di certe indicazioni di massima risulterebbe difficile, per non dire impossibile, vedere ad esempio cosa c’è in uno scaffale più alto di 190 cm o in un cassetto più alto di 160 cm. Attualmente quasi tutte le cucine in produzione prevedono armadi pensili e a colonna che, a seconda della scelta, possono raggiungere l’altezza normale di 2 metri e 10 cm circa dal pavimento, oppure anche altezze superiori, fino ad arrivare addirittura a 2 metri e 70 cm; quest’ultima soluzione può essere preferita quando non abbiamo sufficiente spazio per riporre servizi, stoviglie, recipienti o altri oggetti che vengono usati solo raramente, ma in tutti gli altri casi potrebbe obbligarci all’uso quotidiano di una scaletta che appesantirebbe, intralcerebbe e rallenterebbe troppo il nostro lavoro. Per questo nella cucina della foto si è optato per utilizzare pensili alti soltanto 36 cm, perché con tale altezza, tutto potrà essere contenuto a portata di mano.
Ormai, nelle cucine di serie, i comodi ed ampi piani di lavoro posti al di sopra dei mobili base, o quelli a colonna bassa (come quelli che si vedono in questa foto) sostituiscono sempre più spesso i tavoli da cucina, anche perché permettono di avere piani laterali al lavello o ai fornelli, riducendo inutili spostamenti; per questo la profondità dei piani, fino a poco tempo fa non superiore ai 50 cm (o addirittura ai 45 cm per il lavello) è stata aumentata fino a 60 cm, misura ormai standardizzata perché si è rivelata la più idonea non solo per tante diverse esigenze di componibilità, ma anche di utilizzo. Sull’altezza dei piani, invece, l’accordo è meno facile: l’altezza media dell’uomo è superiore a quella della donna, mentre scende notevolmente per i bambini. Sappiamo anche troppo bene, poi, che gran parte di tutto il lavoro in cucina si svolge in piedi; dal momento che in cucina ci si trova spesso a fare operazioni in cui bisogna vedere bene cosa si stia facendo, un’altezza che può variare dai 110 ai 140 cm può risultare più comoda per chi intende manovrare senza stare troppo tempo chinati sul piano.
La Cucina “Con maniglia incassata”
Nel design delle cucine componibili si cerca ultimamente sempre di ottenere un effetto tendente a minimizzare quegli orpelli, quali possono essere le maniglie, tendenti a disturbare la linearità dello stile.
Le maniglie infatti, oltre ad avere una funzione operativa (quella di poter consentire l’apertura di ante e cassetti), diventano quasi sempre anche un elemento decorativo, specie quando si sviluppano su tutta la lunghezza delle ante. Per risolvere questo tipo di problema, fin dagli inizi degli anni ’70, si è pensato di costruire per i mobili da cucina, delle strutture fornite di “gola” che permettessero di fare a meno delle maniglie. Vi sono però numerose produzioni, (come la cucina Sandy de “La Casa Moderna” che si vede in questa foto) che possiedono delle ante, che attraverso delle speciali “scanalature” permettono di inserire le punte delle dita in questi canali per poter aprire ante e cassetti.
Per poter optare per questa soluzione però bisogna fare molta attenzione al materiale con cui sono costruite le ante. Questo perché solo alcuni materiali perfettamente impermeabili, come il polimerico o il metallo, consentono un uso tale da permettere, ad esempio, di aprire le ante con le mani bagnate, senza rischiare di sciupare la superficie delle ante stesse.
La Cucina “Boiserie”
I materiali con cui si rivestono le pareti, in cucina come nel bagno, assumono spesso un’importanza estetica pari a quella che potrebbero avere gli stessi mobili che ne compongono l’arredamento.
Design e tecnologia nel settore dell’arredamento hanno permesso, di proporre per lo spazio “Cucina” soluzioni che un tempo potevano essere considerate praticamente impossibili.
E’ il caso di quanto è acceduto con i rivestimenti in pannelli che si vedono ultimamente in numerose cucine come quella che si vede in questa foto. Belle, pratiche e molto efficienti, queste cucine presuppongono una scelta di materiali ben studiata che consenta di porre dei rivestimenti a parete che non siano danneggiabili durante il loro normale uso.
E’ il caso dei pannelli in “legno” che si vedono in questa foto. Essi in realtà sono realizzati in un robustissimo “Laminato Hpl” inattaccabile dall’umidità e molto resistente al calore dei fornelli. Si tratta di un materiale innovativo, che esiste in molteplici finiture e che fino a qualche anno fa era utilizzabile soltanto per la costruzione dei piani di lavoro delle cucine. Adesso, grazie anche al suo spessore ridotto (solo 1,2 cm) esso può essere applicato a parete al posto delle piastrelle o di qualsiasi altro rivestimento con eccellenti risultati sia estetici che funzionali. Per la zona lavello, esso risulta perfetto grazie alla sua impermeabilità totale. Così come avviene per la zona sotto la cappa in cui rende facile la pulizia e risulta essere inattaccabile al vapore ed agli unti. Per la zona dietro al piano cottura, esso potrebbe danneggiarsi solo se si trovasse per lungo tempo a contatto con la fiamma e per questo motivo esso viene completato in quella zona con un sottile lamina in acciaio di protezione.
La Cucina “Focolare”
Talvolta è tale nelle persone il desiderio di abitare in ambienti la cui atmosfera sia davvero piacevole da vivere, che per ottenere questo risultato si diviene disponibili anche a numerosi compromessi.
La cucina fotografata qui a lato, ad esempio, presenta una caratteristica predominante molto originale data dalla sua enorme cappa. In fin dei conti non si tratta che della soddisfazione di una ricerca intima che rende estremamente conviviale un ambiente che potrebbe essere al contrario molto freddo e poco personale.
La componibilità dei moduli in cucina, si traduce in soluzioni praticamente su misura. Da un modello base però, brand come “La Casa Moderna”, sono anche capaci di fornire versioni differenti che possono essere per questo personalizzate al massimo. Il caso della cappa mostrata in questa foto risulta particolarmente esplicativo di questa ampia possibilità di differenziazione. Nello specifico si tratta di una realizzazione artigianale che è stata inserita all’interno di una composizione lineare, al posto delle classiche “cappe” in acciaio o legno che di solito corredano tali ambienti. L’effetto ottenuto è quello di una cucina “Focolare” attraverso la quale tutto l’ambiente viene ad assumere un sapore particolarmente caldo e conviviale. La cappa, con le sue dimensioni generose, diviene quasi il centro vitale di tutta la casa. Un centro che, ovviamente, necessita di essere valorizzato da un arredo all’altezza della situazione. In questo caso specifico ad esempio si è optato per delle splendide ante a telaio in vero legno di rovere in finitura “vintage”, abbinate a delle essenziali ante bianche.
Ovviamente realizzazioni di questo tipo sono realizzabili soltanto da brand che, come “La Casa Moderna”, sono abituatI ad offrire un servizio di progettazione e di personalizzazione estremamente efficienti e convenienti.
La Cucina “Falesia”
La Falesia è una costa rocciosa con pareti a picco, alte e continue, affacciata sul mare. E guardando sul fondo di questa foto si capisce perché è stato quel grande armadio contenitore posto in parete, a dare il nome a questo tipo di cucina.
In cucina, tutti lo sanno, l’importante è avere a portata di mano le cose al momento giusto, ma quando queste non servono, è bene che siano riposte in un luogo sufficientemente grande e accessibile. Generalmente gli elementi destinati a ospitare utensili e provviste sono, in cucina, i pensili fissati a parete ed i mobili bassi (le basi) sottostanti. Il loro volume però è spesso insufficiente a contenere tutto e per questo sono sempre più comuni le cucine dotate di ampie armadiature che ne caratterizzano lo stile e ne determinano la funzionalità.
In genere si tratta di cucine dotate di bancone ad isola (come quella fotografata) che, non utilizzando le pareti presenti per poggiarvi basi e pensili, lasciano liberi ampi spazi da poter riempire con dei mobili a colonna. Quello che possono contenere questa sorta di armadiature è abbastanza risaputo. Possono essere il posto più adatto dove alloggiarvi importanti elettrodomestici come il frigo, il forno ed a volte addirittura la lavastoviglie. Grazie alla loro profondità sono adattissime ad essere il contenitore ideale per le pentole, le padelle, le bottiglie, i piccoli elettrodomestici e tutto quanto di più voluminoso possa essere usato in cucina. Ma anche per gli oggetti piccoli la nostra “Falesia” casalinga può essere utilissima. Quella fotografata in questa immagine, ad esempio, è dotata di due comodissime colonne estraibili laterali da 30 cm ciascuno che, essendo dotate di due cestelli che escono completamente dalla profondità del mobile, sono utilissimi per contenere le bottiglie e lo scatolame. Hanno la stessa misura (30 cm) anche le due simpatiche colonne a giorno che hanno la funzione di smorzare l’ampio volume di questa grande armadiatura. Del resto una Vera falesia, può essere considerata bella proprio per la sua conformazione variegata.
La Cucina “effetto Pietra o Cemento”
In cucina, forse più che altrove, le superfici maggiormente “visibili” assumono un’importanza tale da caratterizzare spesso l’intero progetto.
Il valore intrinseco di una cucina dipende infatti da un’infinità di fattori, non ultimi la bellezza e la qualità dei materiali. E quando si parla di materiali in cucina vanno considerati soprattutto quelli che decorano le superfici esterne, quelle delle ante e quelle dei piani di lavoro.
Da sempre, il materiale “per eccellenza” con cui vengono costruiti mobili e cucine è il legno, ma ormai da molti anni, altri materiali si sono affacciati su questo mercato e hanno reso possibile la realizzazione di numerose novità. Si cominciò già negli anni ’90 col produrre le ante in vetro (anche se in verità già molto prima furono usati materiali tecnologici come la lamiera e l’alluminio) al posto del legno o del laminato. Intorno al 2000 fu iniziata da qualche azienda, la produzione di cucine rivestite in sottili lamine di materiali simili alla pietra (come ad esempio la Kerlite) che furono molto apprezzati per la loro bellezza, ma che avevano un costo abbastanza alto. Ci fu poi un periodo in cui le ante venivano spatolate con dei materiali decorativi capaci di rendere le superfici molto simili al cemento.
Da qualche anno sono stati messi in produzione del laminati Hpl e dei laminati su supporto legnoso che sono davvero del tutto simili alla pietra ed al cemento pur avendo dei costi di realizzazione ben più bassi.
Nel caso della cucina “Sistematica” de “La Casa Moderna ” qui fotografata, ad esempio, si è previsto l’uso su di un’ampia superficie (pensili, schienale e piani di lavoro) di un laminato effetto pietra ad alta resistenza che può essere considerato a tutti gli effetti una versione “materica” di cucina, pur mantenendo un prezzo molto accessibile. In questo caso specifico la superficie simula una pietra scura, molto venata e dall’effetto ruvido, ci sono però disponibili in collezione numerosi altri tipi di laminati che si possono utilizzare anche con superfici lisce e con colori molto chiari. Il loro uso dipende essenzialmente dall’inserimento voluto all’interno di un progetto; di solito li si usa “in piccole dosi” abbinati a colori uniti opachi, che siano capaci di valorizzarli, ma in cucine di grandi dimensioni è possibile inserirli anche in quantità più evidenti, magari intervallandoli con altri colori in abbinamento, come possono essere l’antracite (il colore delle maniglie qui sopra fotografate) o l’acciaio.
Abbiamo dunque terminato questa nostra ampia rassegna con le più importanti novità e conferme che hanno interessato ultimamente il mercato delle cucine componibili.
La cameretta, lo abbiamo detto tante volte, è probabilmente la stanza della casa più difficile da arredare dopo la cucina. I motivi della sua problematica sistemazione sono facili da individuare: stanze quasi sempre di dimensioni contenute, poli-funzionalità degli ambienti “cameretta”, che vengono utilizzati sia durante il giorno che durante la notte e soprattutto, una grande necessità di risolvere esigenze che variano con l’età e con il numero degli utilizzatori. Insomma una gran somma di difficoltà che però sono facilmente superabili, specie quando ci si rivolge a dei veri professionisti dell’arredo. Sì perché forse non tutti sanno che in Italia è possibile trovare grandi “eccellenze” in questo campo. E’ infatti nel nostro paese che si è sviluppata fin dagli anni ’70 una vera e propria cultura progettuale specifica per il mondo della “cameretta da ragazzi“, che non è presente in egual misura in nessun altro posto del mondo e che tutti, di conseguenza, ci invidiano.
Questa “specializzazione” del tutto italiana si è inizialmente dovuta allo sviluppo industriale di alcune gamme di prodotto d’arredo, a cui si è arrivati grazie a numerose aziende (prima brianzole, poi anche venete, romagnole e marchigiane) che, da sempre hanno puntato la loro produzione verso un’industrializzazione ottimale dei “mobili componibili da Cameretta”. Per merito di queste aziende e dei loro designer, si sono venuti a creare in Italia dei grandi indotti produttivi che ancora oggi, anche a distanza di tanti anni, riescono a primeggiare nel mondo dell’arredo proprio grazie alle loro continua innovazione ed alla loro capacità progettuali ed industriali. Sono queste aziende che consentono ai progettisti di tutto il mondo di ideare arredi, anche molto complessi, capaci di risolvere qualsiasi problema di allestimento, specie quando si tratta di camerette da ragazzi.
Il tutto nasce infatti quasi sempre, dalla necessità di risolvere esigenze specifiche di spazio e di uso che, anche nel caso delle camerette, vengono risolte grazie ad “intuizioni speciali” o a soluzioni innovative. Del resto, quando si parla di giovani, la parola “innovazione” non può che essere la più naturale da usare, ed è proprio questo caso del tipo di arredo che andremo in queste pagine ad illustrare ed approfondire.
A misura di “ragazzi”
Pensiamoci un attimo: la cameretta è l’unica stanza della casa fatta tutta per “loro”. E’ la stanza dove dormono, dove studiano, dove passano il tempo libero, dove giocano e quella in cui ripongono i loro più intimi e innocenti segreti. Per questo motivo le proposte d’arredo disponibili in questo campo sono così variegate e molteplici. Si tratta in pratica di sintetizzare in un’unica stanza progetti ed arredi capaci di accontentare il gusto dei più piccoli, abbinandoli però alle esigenze dei più grandi. Se infatti può essere opportuno lasciare ai ragazzi la scelta del modello e del colore preferito per la propria cameretta, è senz’altro altrettanto importante un giudizio ben ponderato di un adulto, quando si parla di volumi e di elementi d’arredo da inserire in stanza. La cameretta d’altronde è un acquisto importante per una famiglia e, visto che accompagnerà presumibilmente la vita dei suoi utilizzatori per molto tempo, è importante che essa sia studiata prendendo in considerazione tutte le variabili che possono influire nella scelta. Fra queste, senza dubbio, quelle preponderanti sono principalmente due: il gusto dei ragazzi che dovranno abitare la cameretta e le misure di cui dispone la stanza; è proprio per questi due motivi che da almeno una trentina d’anni le camerette dotate di letti a castello o a soppalco sono assolutamente fra le preferite.
Il perché è facile da intuire se si pensa alle dimensioni medie odierne delle stanze dei ragazzi in cui, molto spesso, la possibilità di “elevare” in qualche modo un posto letto, permette un utilizzo talvolta “raddoppiato” dello spazio sottostante. Oltre a questo, c’è da dire che esiste una naturale attrattiva dei ragazzi verso questo originale tipo di composizione, la quale, riesce a soddisfare pienamente anche quella dimensione in qualche modo “ludica” che i più giovani possiedono dentro sè, anche quando si tratta di scegliere la propria cameretta. D’altra parte come sarebbe possibile non vedere per loro il “magico castello” che può celarsi dietro un letto a soppalco o la fantastica “piattaforma di lancio” che è facile trovare sopra al materasso di un letto scorrevole rialzato? Partendo dunque da questi presupposti, cerchiamo di esaminare con attenzione tutte le composizioni che è possibile individuare a proposito di questo tipo di cameretta, facendo attenzione ad evidenziarne adeguatamente le peculiari caratteristiche e cercando di capire singolarmente a quali situazioni si adattano in maniera maggiore.
Il doppio letto a castello
Il letto a castello, come abbiamo appena visto, può suscitare un enorme fascino su bambini ed adolescenti, ma quando si ha a che fare con problemi di carenza di spazio e di affollamento di figli, esso può davvero rivelarsi un ausilio indispensabile per la famiglia. Quella fotografata, ad esempio, è una delle soluzioni più utilizzate per chi deve far dormire 4 bimbi in una sola cameretta. Si tratta in pratica di due letti “a castello” accoppiati e uniti da una piccola rampa di scale da cui è possibile accedere abbastanza comodamente ai due letti superiori. In questo caso specifico l’accesso avviene attraverso un’apposita apertura situata alla base delle due pediere, le quali, poste a fianco della scaletta, permettono un ingresso a letto piuttosto comodo. Questa soluzione in effetti può sembrare poco pratica ma se costruita con altezze adeguate, anche considerando attentamente il fattore “sicurezza”, essa può davvero rappresentare un’ancora di salvezza per le famiglie più numerose.
Il mobile qui mostrato infatti ha delle dimensioni di per sè abbastanza contenute (misura circa 450 cm in larghezza e solo 90 in profondità) e può per questo essere inserito in quasi tutte le camere che abbiamo una lunghezza sufficiente a contenerlo almeno in una parete. Questa composizione, ovviamente, necessita di essere completata con un comodo armadio guardaroba ed un’ampia scrivania ma uno sfruttamento dello spazio in verticale così accentuato potrà senz’altro consentire ulteriori inserimenti nella stessa stanza senza dover fare eccessivi sforzi progettuali. In questo specifico caso comunque, non è da sottovalutare la possibilità che i letti a castello offrono, ovvero di utilizzare diversamente lo spazio relativo ai letti inferiori, quelli poggiati a terra. Al posto di quest’ultimi infatti, possono essere posizionati in alternativa sia delle ampie scrivanie che dei capienti armadi; tale disposizione può andare certamente a incidere sul numero di posti letto disponibili ma può rappresentare un grande vantaggio per chi ha bisogno di ottenere dei volumi contenitivi o dei luoghi studio in stanze molto piccole o che non consentono altri tipi di sfruttamento.
Per un solo figlio
Quest’ultimo è proprio il caso appena descritto sopra. Si tratta infatti di un utilizzo “diverso” del letto a castello normale che rende particolarmente interessante questo tipo di soluzione anche a chi ha bisogno di un solo posto letto. In quest’esempio è possibile notare come, con un’adeguata progettazione, sia possibile inventare spazi anche dove non ci sono. Si tratta in pratica di “riempire” in maniera differente il vuoto inferiore lasciato libero dal secondo letto, quello a terra, che in questo caso non viene ovviamente inserito. In tale composizione si è ad esempio optato per una soluzione contenitiva che abbina a tre capientissime ante (coprono dei vani armadio che sono profondi ben 85 cm!) un’ampia libreria a giorno. Una cameretta che nella pratica non avrebbe bisogno di nient’altro che di una scrivania per essere già completa e che dunque può essere contenuta in stanze anche veramente minuscole. Il letto contenitore della foto misura soltanto 200 cm per 90 ed è alto circa 160 cm; con queste sue minute dimensioni può essere alloggiato in stanze inferiori ai 9 metri quadri anche grazie al fatto che, oltre alla tradizionale scaletta con gradini apribili contenitori, è possibile attrezzarla con una meno ingombrante ma più scomoda “scala a pioli”.
Questi mobili hanno spesso una finitura in laminato o melamina che offre il massimo della praticità e della resistenza, consentendo nel contempo un ottimo rapporto qualità/prezzo. Inoltre sono disponibili in una grande varietà di colori e di essenze che simulano perfettamente i legni naturali. Esistono anche in versione “laccata”, un tipo di finitura molto bella esteticamente che però, essendo ottenuta tramite vernici, risulta un po’ delicata e deve essere necessariamente realizzata con prodotti all’acqua. Per quanto riguarda la struttura, in genere, questa tipologia di cameretta, come in genere tutte le altre, viene costruita utilizzando pannelli di truciolare rivestito: la loro certificazione in “Classe E1” garantisce la minima emissione di formaldeide e rende i relativi prodotti perfettamente consoni ad essere utilizzati anche dai bambini.
In merito alla disposizione specifica di questo tipo di cameretta, qualcuno potrebbe “storcere il naso” nel pensare di dover per forza rinunciare alla comodità di “rifare” un letto a terra per inserirne uno in alto a cui, oltretutto, si accede solo tramite la scaletta laterale. Proprio per risolvere anche questo piccolo dilemma di praticità, sono stati inventati i cosiddetti “letti a castello con ribalta” che, proprio come si nota dalla foto, tramite un meccanismo estraibile e ribaltabile, consentono di rifare perfettamente il letto superiore direttamente stando a terra e non montandoci sopra. Si tratta di soluzioni innovative che, pur portando appena più in alto il prezzo del “castello”, migliorano effettivamente la vita di chi deve utilizzarlo o di chi si deve occupare dei piccoli utilizzatori. Il loro costo varia a seconda dei modelli dai 400 ai 700 euro e sono garantiti per supportare anche materassi di peso notevole, come quelli in lattice o in Waterfoam.
Il letto “rialzato”
Da un po’ di tempo a questa parte, esistono in commercio delle soluzioni con letti “rialzati” che ricordano in tutto e per tutto le linee dei più importanti letti a castello tradizionali ma possiedono un’altezza molto inferiore. Vengono principalmente utilizzati quando non vogliono far dormire i bimbi troppo in alto (è bene infatti ricordare a tal proposito che, prima dei 4/5 anni, sarebbe inopportuno far dormire un bimbo nel letto superiore di un “castello”), oppure quando si vuole usufruire di un secondo letto, (magari non da utilizzarsi tutti i giorni), ma che può risultare particolarmente utile quando si hanno da ospitare di frequente cuginetti o amici. Quello fotografato, è un esempio di come questo tipo così originale di letto possa risultare utile anche quando si desideri sfruttare lo spazio in altezza (in particolare quello sopra al letto, appunto) per potervi posizionare dei comodi contenitori ad armadio. La cameretta qui fotografata è infatti composta da due elementi laterali a due ante, larghi ciascuno 90 cm, e da un “ponte” centrale che proprio grazie alla ridotta altezza del letto a castello, può contenere 4 ante alte ben 90 cm! Insomma, un bel concentrato di spazio, sempre comodissimo (non richiede infatti scale) e sempre pronto all’uso con un semplice gesto.
Il trucco di questo tipo di letto sta infatti nelle ruote di cui sono dotati i posti letto e che si intravedono in basso nella foto. A differenza di un letto a castello tradizionale essi sono separati uno dall’altro e possiedono alla loro base dei piccoli scorrimenti unidirezionali che permettono di tirar fuori il letto inferiore (oppure quello superiore… è del tutto indifferente) in modo da potersi coricare in entrambi senza alcun problema. L’occupazione dello spazio in questo caso specifico quindi, varia a seconda che il letto rimanga in posizione aperta o chiusa. Quando l’insieme è “raggruppato”, la misura complessiva del mobile si aggira intorno a 400 cm di larghezza ed ai 90 cm di profondità; quando invece entrambi i letti sono in posizione d’uso, la profondità come minimo raddoppia (diventa dunque 180 cm) ma può diventare anche superiore ai 220 cm qualora si pretenda di lasciare un piccolo corridoio di spazio fra i due letti.
I modelli disponibili per i letti a castello ribassati sono molteplici e prevedono tutti delle particolarità stilistiche che li rendono unici. Ve ne sono ad esempio alcuni che integrano una fila di cassetti in basso (come quello della foto), mentre ve ne sono poi altri che prevedono degli ampi piani scrittoi estraibili, posti nello spazio che rimane in altezza fra i due letti sovrapposti. In ogni caso, per poter operare una scelta oculata, è opportuno considerare tutti i vari aspetti dimensionali che questo tipo di soluzione prevede, rapportando il tutto con la frequenza di utilizzo dei due letti in contemporanea e dello spazio che essi occupano durante la notte se vi dormono due persone. Sarebbe infatti piuttosto spiacevole che il letto inferiore, una volta estratto, occupasse tutto lo spazio disponibile impedendo alle persone di alzarsi comodamente, anche solo per recarsi al bagno. Si tratta di uno di quei casi in cui solo il consiglio di un esperto può aiutare a valutare i pro e i contro delle soluzioni prospettate e indirizzare meglio le scelte verso le composizioni di cameretta più adatte per ogni specifica stanza.
Se si è in tre
Quando la famiglia continua ad aumentare o nel caso i figli siano abituati ad ospitare spesso degli amici, capita di aver bisogno di soluzioni con tre posti letto. L’ampia disponibilità di moduli e attrezzature permette in una cameretta di privilegiare lo spazio per contenere, per studiare o per dormire, a seconda della forma e delle dimensioni disponibili. Anche quando si è in tre il letto a castello ribassato può infatti risultare di grande aiuto. La versione qui fotografata, mostra bene come lo spazio in basso sia servito per posizionarci addirittura un terzo letto, a differenza dell’esempio precedente in cui il medesimo spazio era stato sfruttato per cassetti. Sono di certo situazioni che possono risultare particolarmente utili in caso dell’arrivo di ospiti ma che in realtà consentono anche di poter contare su di un letto da utilizzare all’arrivo di un terzo figlio, magari inaspettato. Il funzionamento è esattamente lo stesso del letto che abbiamo descritto nel precedente paragrafo ma in questo caso la problematica relativa alla profondità necessaria per l’apertura è amplificata, in quanto per poter utilizzare tutti e tre i letti è necessario avere frontalmente ad essi uno spazio almeno profondo altri due metri.
La tipologia del letto in questione si adatta dunque particolarmente bene in quelle stanze di forma pressoché quadrata, in cui larghezza e la profondità quasi si eguagliano e si possono sfruttare senza avere problemi di ingombri. L’ideale in pratica, sarebbe poter contare su di una stanza che abbia le dimensioni pressappoco di una “matrimoniale” ed in cui ci siano a disposizione almeno due pareti libere piuttosto grandi. D’altronde più la camera è spaziosa meglio è, soprattutto se condivisa da più persone. Nelle nuove costruzioni e in caso di ristrutturazione, nella maggior parte dei casi è previsto che la camera “singola” sia almeno di 9 mq. Questa dimensione è comunque uno spazio adatto a due bambini mentre uno solo dovrebbe averne almeno a disposizione 6. Si tratta di misure di riferimento che consentono di godere di un ambiente accogliente per le attività quotidiane come giocare, studiare, vestirsi (oltre a dormire) e che nel caso delle famiglie con tre figli ci portano a considerare come “minima” la dimensione di 15 mq di superficie, necessaria per alloggiarvi tre ragazzi. Tale superficie però, qualora fosse perennemente occupata da tre letti della misura di 2 metri quadri ciascuno, sarebbe quasi per metà già impegnata per i soli letti ed è in casi come questi che le soluzioni particolari come i letti a castello ribassati, possono rendersi particolarmente utili.
I letti sovrapposti “scorrevoli”
Ed eccoci finalmente a parlare proprio di una di quelle tipologie di mobile che grazie alle loro caratteristiche di innovazione hanno reso l’Italia il paese leader mondiale nella produzione di mobili da cameretta.
Si tratta in pratica di una costruzione che prevede l’istallazione di due o tre solidi binari a muro, sui quali è possibile far scorrere agevolmente i letti (o, come si vede dalla foto, anche altri elementi d’arredo come le scrivanie) allo scopo di variare lo spazio che essi occupano. Il principio è abbastanza semplice: scorrendo i diversi complementi è possibile ad esempio tenerli raggruppati tutti insieme in un unico spazio di circa 200 cm per 90 quando non vengono utilizzati, oppure disporne uno o più di uno in maniera diversa in modo da renderne facile l’uso. Di per sè la progettazione di queste camerette non richiede particolare estro; del resto si tratta solo di considerare uno spazio sufficiente di parete dove applicare i binari, in modo che esso sia perfettamente rapportato allo spazio necessario per l’apertura e l’uso dei singoli elementi che scorrono. La cosa un po’ più complicata da considerare è la quantità di possibilità di sfruttamento dello spazio, che il risparmio di spazio a terra ottenibile con questa sorta di “raggruppamento” consente. Questo fotografato infatti, non è solo un piccolo esempio di tutto quanto è possibile fare: come si vede, la parete dove i letti e la scrivania vengono richiusi, in posizione di inutilizzo, permette di poter essere utilizzata per un grandissimo (enorme, sarebbe forse la parola più giusta) armadio a ponte. Mentre invece, la lunghezza della stanza permette l’inserimento addirittura anche di una piccola libreria a muro. Non è raro poi ideare composizioni a ponte “angolari” che prevedano lo sfruttamento “ad uso armadio” anche della parete, in questo caso vuota, posta sopra ai binari.
Il vantaggio più evidente di questa composizione è però senza dubbio un altro. I bimbi infatti, non dimentichiamolo mai, hanno bisogno di spazio: spazio per giocare, spazio per fare i compiti ecc. Specie quando sono molto piccoli, quello che amano più fare è mettersi a giocare a terra, magari sopra ad un robusto e pulito tappeto su cui sgambettare scalzi e felici. Questo spazio, ideale per loro, non sarebbe possibile da ottenere se, ad ingombrare una stanza già piccola di per sè, ci fossero anche due letti ed una scrivania. Ecco che quindi questo tipo di soluzione viene proprio in aiuto di quelle famiglie che, pur dotate di camerette non troppo grandi, vogliono permettere ai loro bimbi piccoli di poter scorrazzare in libertà sul tappetone della loro stanza. Quando saranno grandi e le esigenze cambieranno, magari i letti permarranno posizionati al centro stanza e la scrivania ricolma di libri, non potrà essere più contenuta nel mezzo ai due letti in posizione raggruppata. Ma questo poco importa, a quel punto la necessità di giocare a terra sarà cessata e saranno gli spazi più alti quelli più necessari da utilizzare. Dunque, una tipologia di arredi dunque altamente evoluta e capace di prevedere e soddisfare esigenze attuali e future… Senza dubbio, il meglio del meglio!
Il soppalco angolare
Le camerette, come del resto tutte le stanze, non sono mai una uguale ad un altra. Questo comporta il problema di dover opportunamente immaginare specifici arredi per determinate stanze. Ci sono poi le cosiddette varianti “funzionali”, quelle per intendersi che, indipendentemente dalle fattezze della stanza, sono determinate dalle necessità specifiche di coloro che abitano quegli ambienti. Quando ad esempio ci si trova in stanze in cui si hanno a disposizione due pareti contigue formanti un angolo, si presenta sempre il problema di individuare quale sia la più conveniente forma di sfruttamento dello spazio. Da qualche decennio a questa parte esiste una tipologia di mobile che permette un uso pressoché perfetto per quelle famiglie che, potendo disporre di un angolo, hanno il bisogno di farvi dormire due bimbi. E’ il caso proprio dei cosiddetti “soppalchi angolari” che, essendo nella pratica dei letti a castello posti non in posizione esattamente sovrapposta ma bensì sfalzata perpendicolarmente, riescono a creare degli spazi laterali che sarebbero difficilissimi da ottenere in modo diverso.
Tant’è vero che questo tipo specifico di cameretta è diventata in breve una delle preferite dalle famiglie e dai bimbi stessi. I grandi infatti, vedono in essi la soluzione a molti problemi di arredamento che si possono trovare in stanze di dimensioni contenute come sono appunto le camerette. I bimbi vi ritrovano invece una sorta di “luogo dei giochi” che fa loro immaginare spazi magici e divertenti. I letti a soppalco angolari hanno però soprattutto ben altri vantaggi. Essi sono molto comodi e quando è possibile dotarli di scalette laterali a gradini (come quello in foto) risolvono brillantemente il problema di come poter “rifare” il letto superiore. Essi sono poi estremamente versatili e permettono di essere progettati in almeno una decina di differenti comparizioni. Ve ne sono di quelli che prevedono l’inserimento di ante armadio lateralmente al letto superiore (come nella foto). Ve ne sono con la possibilità di posizionarvi sotto un letto che può essere messo sia parallelamente che perpendicolarmente al letto superiore. Ve ne sono della tipologia che possiede il fianco laterale aperto (come nella foto), chiuso, oppure dotato di una piccola finestrella. Ve ne sono poi di quelli che al posto del letto inferiore possono contenere una scrivania oppure un grandissimo armadio. Insomma, una infinità di possibili soluzioni che permettono a chiunque di poter contare su spazi inimmaginabili dotati, di tantissimi vantaggi pratici ed estetici.
Il soppalco lineare
Diretta emanazione del più classico “letto a castello”, il soppalco lineare possiede il numero più alto di vantaggi per chi necessità di avere al contempo sia spazio interno agli armadi, che un valido alloggio per due o addirittura tre letti. La sua costruzione prevede in pratica uno sfalsamento della posizione del letto superiore del castello classico che ha lo scopo di creare uno spazio laterale al letto, tale da posizionarci una armadio a una o due ante, diminuendo però anche enormemente l’ingombro visivo a cui è costretto necessariamente chi dorme nel letto inferiore di un letto a castello. Il letto a soppalco lineare è preferito infatti proprio per la sua caratteristica peculiare di luminosità e di basso impatto estetico. In questo tipo di composizione, gli ingombri si intersecano con regolarità creando dei piacevoli giochi di spazio in cui i vuoti ed i pieni si susseguono in modo ineccepibile. E’ difficile che una cameretta a soppalco non piaccia.
E’ amata dai piccoli per le sue caratteristiche ludico funzionali e piace ai grandi per gli indiscutibili vantaggi in termini di spazio interno ed esterno al mobile. Andiamo allora ad esaminarla e cerchiamo di comprenderne fino in fondo le caratteristiche più importanti. Innanzitutto le dimensioni: nato per sfruttare le pareti dritte, questo mobile ha infatti delle misure molto contenute che possono variare per la zona letti addirittura dai soli 250 cm fino ad un massimo di 350 cm, a seconda delle ante di armadio di cui è necessario corredarlo. Ad esempio, la composizione fotografata è composta accostando un elemento soppalco da 250 cm ad un armadio contenitore a due ante da 120 cm. Ciò porta ad una misura totale pari a circa 370 cm e permette dunque di essere tranquillamente inserito in una stanza di dimensioni pari o appena superiori ai 9 metri quadrati, in cui alla parete prospiciente potrà essere anche appoggiata un’ampia scrivania. Alla misura totale che si decide sfruttare con l’armadio completo di letto a soppalco, è poi necessario eventualmente aggiungere altri 50 cm qualora si preferisca utilizzare una scaletta a gradini (anziché quella a pioli, tipologia che non occupa spazio laterale). Il soppalco poi, essendo costruito bene o male seguendo le caratteristiche morfologiche tipiche di un letto a castello, è composto da una superficie piana (il soppalco appunto) che viene posto ad un’altezza di circa 130 e sulla quale viene poggiato il letto superiore.
Questo significa che un letto a soppalco dovrà dunque necessariamente avere un’altezza totale pari a circa 150/160 cm e ciò, lo renderà quindi perfetto per le stanze di altezza minima di 270 cm. Vista l’importanza, il gradimento e la diffusione di cui questo modello di cameretta gode, è opportuno spendere qualche parola in più circa le sue caratteristiche funzionali. Il mobile nasce infatti come ideale soluzione per chi, possedendo magari una cameretta stretta e lunga, voglia coordinare al meglio gli spazi interni ed esterni al suo arredamento. A questo proposito, il dubbio che più frequentemente attanaglia chi si approccia a questo modello, sta nella difficoltà di comprendere la maniera migliore per poter accedere al letto superiore e quindi per poterlo rifare agilmente. La questione non è banale e quindi è utile approfondirne i concetti. Per prima cosa consideriamo quelli che sono i possibili accessi. Fermo restando che per accedere al piano superiore del letto è necessario prevedere una scaletta, è importante sapere che, come abbiamo detto, questa può essere del tipo a pioli (che prende uno spazio molto limitato ma che può risultare alla lunga un po’ scomoda nell’uso) oppure del tipo a gradini (ben più comoda ma molto ingombrante). Nel caso ci si trovi a dover progettare un soppalco lineare è importante però soprattutto prevedere dove questa scaletta permetta l’accesso al letto.
Sì perchè per quanto riguarda l’accesso, un bimbo, sia esso piuttosto piccolo (dai 4 agli 8 anni ) oppure un po’ più grande (dai 9 ai 14), non avrà mai difficoltà a saltare prontamente sul letto superiore pur restando nei criteri della massima sicurezza a cui questo tipo di mobile deve per forza ottemperare; un discorso un po’ diverso è invece quello che riguarda chi deve occuparsi del rifacimento, della pulizia e della manutenzione quotidiana del letto. In effetti la preoccupazione circa questo aspetto è assolutamente giustificata, tant’è vero che esistono numerose soluzioni a questo problema. La più comune è quella di fornire la composizione di una scaletta a gradini posta ai piedi del letto. Attraverso di essa, tramite l’uso di una opportuna apertura posta nella pediera, sarà possibile accedere al letto superiore montandoci sopra, cosa che può risultare piuttosto scomoda quando si tratta di mettere o sistemare lenzuola o coperte. La più comoda delle soluzioni è invece quella che prevede la costruzione di un vero e proprio corridoio laterale al letto, al quale, una volta terminati i gradini, sarà possibile accedere senza problemi e che renderà particolarmente facile la sistemazione del letto superiore da parte di chiunque. Questo tipo di soluzione è però caratterizzata da un aumento notevole degli ingombri che portano il totale del mobile ad una profondità di circa 150 cm, la quale risulta spesso eccessiva sia a livello di ingombro che a livello di estetica. Un valido aiuto arriva dai letti a ribalta (di cui abbiamo parlato in un precedente capitolo) i quali, con la loro facile manovrabilità, riescono a rendersi particolarmente utili in ogni caso.
Il soppalco con armadio angolare
Diretta emanazione della tipologia precedente, questo modello di cameretta si caratterizza per un ampissimo uso dello spazio di contenimento. L’ottimizzazione in questo senso, avviene dove possibile grazie al proseguimento della parte “armadio” della cameretta sul lato immediatamente prospiciente a quello dove risiedono i letti a soppalco. Si tratta in realtà di una soluzione di per sè abbastanza semplice: in stanze in cui si ha a disposizione una parete abbastanza lunga (sono necessari almeno 4 metri lineari) che ne abbia vicino un’altra lunga almeno 150 cm, è possibile abbinare un vero e proprio armadio ad angolo alla versione del mobile con il letto a soppalco. Questo tipo di abbinamento è quindi particolarmente adatto per quelle camerette in cui è possibile sfruttare una coppia di pareti ad angolo abbastanza ampie ma permette di avere una serie di contenitori davvero molto capienti. Infatti si tratta di una composizione molto gradita per le stanze delle ragazze (che giustamente necessitano solitamente di una maggiore disponibilità di spazio interno agli armadi) ed in quei casi in cui non sia possibile utilizzare altre pareti per posizionarvi armadi.
Nella composizione fotografata, a proseguimento dell’armadio è stata addirittura inserita una grande scrivania che lascia immaginare un uso particolarmente originale della zona sotto la finestra. Non è che uno dei tantissimi esempi di composizione che è possibile ottenere con le nostre camerette che vengono sempre e comunque personalizzate e realizzate “su misura” per le stanze in cui devono trovare posto. Da notare il fatto che in una composizione del genere, essendo di solito progettata per stanze di forma semi quadrata, la posizione del letto sottostante possa variare, proponendosi sia in versione perpendicolare al letto superiore (come è nella foto in questione), sia in versione parallela ad esso. La prima variante è da preferirsi nel caso in cui i bimbi siano già sufficientemente grandi e non abbiano bisogno di molto pavimento libero per giocare e divertirsi, mentre la seconda risulta particolarmente azzeccate proprio in caso gli utilizzatori siano ancora abbastanza piccoli. Questo, come altri esempi, non fa che sottolineare quanto le camerette possano essere versatili e possano adattarsi e modificarsi col variare dell’età dei nostri bimbi. Solo le migliori camerette hanno però tali peculiari caratteristiche: le nostre sono camerette progettate, fatte ed istallate da professionisti del settore che sanno consigliare al meglio la composizione più adatta e che per questo motivo possono garantire una grande soddisfazione a chi le possiede, anche a distanza di molti anni.
Il soppalco angolare semplice
Il soppalco angolare in effetti, non è un tipo di cameretta da preferirsi solo nel caso si debba per forza inserire nello stesso spazio sia una coppia di letti che un ampio armadio. In quelle camerette in cui esiste la possibilità di alloggiare un grande armadio stagionale, infatti, non è impossibile che possa convenire destinare ad un altro angolo una composizione di letti a castello angolari. Questa possibilità infatti possiede una doppia valenza: da un lato, essa consente di raggruppare in uno spazio davvero minuto (circa due metri per due) una coppia di letti che possono godere entrambi di una discreta comodità di uso e di una grande luminosità.
La composizione risulta nel suo insieme particolarmente elegante e leggera e permette di essere abbinata senza grossi problemi sia ad una comodissima scala a gradini (come quella della foto, che fa capolino in colore rosso fra il letto ed il muro di destra) oppure una scrivania dalle forme più svariate. La sua scelta può apparire abbastanza banale: in fin dei conti non si tratta di nient’altro che di un letto a castello “un po’ particolare” ma in realtà il suo uso prevede una serie importante di varianti che sono tutte da considerare con attenzione.
Quella della foto, ad esempio, è una versione che prevede la costruzione di un fianco che, essendo formato da un solido scaffale, permette di essere utilizzato come libreria ed attrezzato attraverso una grande scrivania inserita al suo interno. Questa non è nient’altro che una delle tantissime possibilità esistenti. Le preferite sono quelle versioni che prevedono grandi aperture laterali e vani aperti che lasciano penetrare la luce anche al letto inferiore da ogni lato della struttura. Sono composizioni molto esili ed eleganti che si prestano ad ogni tipo di arredamento e ad ogni età di utilizzo. Dai più piccoli ai più grandi… senza nessun tipo di problema.
Il letto a castello a scorrimento frontale
In ogni situazione lo si intenda utilizzare, il letto a castello presenta comunque il problema di avere una certa difficoltà di accesso e di salita al letto superiore. In effetti si tratta di una caratteristica insita nel concetto stesso di “letto a castello” che in esso risiede e che per questo risulta difficile da risolvere. E’ infatti per trovare soluzione a questa problematica che son state inventate numerose tipologie di mobilia capaci di superare brillantemente ogni dubbio possa emergere a proposito. Fra queste, quella che attualmente risulta la più gradita dalla maggior parte degli utenti, è senza dubbio quella fotografata in questo esempio che, attraverso un semplice meccanismo a scorrimento in avanti, riesce a traslare il letto in maniera da crearvi lo spazio per un comodissimo corridoio retrostante. Da tale corridoio è possibile accedere facilmente al letto, è possibile rifarlo con grande comodità ed è altresì semplicissimo fare in modo che ogni movimento “notturno” risulti del tutto naturale ed agevole.
Il meccanismo in questione si compone solitamente di due elementi salienti. Il primo è composto dalle ruote che, poste in basso, permettono ai due letti (quello superiore e quello inferiore) di scorrere in avanti senza problemi. Il secondo è invisibile ed è una sorta di ingranaggio che posizionato internamente (dunque in posizione nascosta) al letto superiore, obbliga i due letti a scorrere in maniera perfettamente parallela.
Il suo uso riesce a divenire, grazie a questi accorgimenti, particolarmente banale e tale da poter essere addirittura effettuato senza grossi problemi anche da un bimbo. Vediamo di individuarne dunque le caratteristiche più importanti. Esso è principalmente un mobile molto compatto e poco invadente. Misura più o meno quanto un normale letto a castello (quindi intorno ai 210 x 90 cm) e anche quando viene abbinato alla sua naturale appendice costituita dalla scala a gradini a cui è solitamente abbinata, non misura mai più di 260 cm in lunghezza. Questa sua caratteristica gli dona quindi la possibilità di essere inserito praticamente in ogni stanza, a patto che sia disponibile frontalmente ad esso uno spazio di almeno di un metro e mezzo dato dalla somma dei 50 cm del corridoio retrostante e dagli eventuali 90 cm del letto inferiore che può essere ulteriormente facilmente estratto. La sicurezza di questi letti è massima ed è garantita dalla possibilità di corredare sia il letto inferiore che quello superiore di solide protezioni salva-persona.
Il letto a castello “tradizionale” con cabina
Serve una camera per due ragazzi in cui ci sia tanto armadio e moltissimo spazio studio? Nella stessa stanza di 400 x 450 cm, se si possiedono almeno tre pareti contigue abbastanza grandi da formare una “U” di dimensioni adeguate con un letto a castello ed una cabina armadio si può facilmente trovare la soluzione. Questa cameretta è infatti un vero concentrato di soluzioni geniali che non mancheranno di stimolare tante e tante idee a chi deve arredare una cameretta complessa. Innanzitutto parliamo del letto, il quale, nella sua forma sovrapposta classica detta “a castello”, consente una sfruttamento dello spazio a terra praticamente doppio. Questo della foto oltretutto è dotato di una comodissima scaletta laterale a gradini che, posta fra il letto stesso ed il muro, permette di accedere al letto superiore con la massima agilità. Il volume complessivo che si viene a creare (di circa 200 cm di lunghezza e 145 cm di profondità, poggia su di una grandissima cabina armadio (nella foto è il volume verde in fondo a destra) che, nelle sue dimensioni di 145 x 145 cm, consente la creazione di un contenitore apribile, sfruttabile e completamente accessibile pari addirittura ad una armadio a 4 ante!!! Sostituire il classico armadio con una cabina, significa infatti ottenere molto spazio per organizzare il vestiario e, soprattutto, per riporre gli innumerevoli accessori (zaini, attrezzi da palestra, borse, ecc.) che i ragazzi usano tutti i giorni e che per questo motivo necessitano di essere sempre a portata di mano.
In questa composizione, accanto alla cabina, vi è poi uno spazio di 200 cm circa di parete rimanente, da cui parte un grandissimo armadio a ponte angolare (misura 220 x 220 cm) che alloggia sotto un’ampia scrivania adatta perfino ad ospitare fino a 4 persone. L’ideale per chi debba studiare insieme a dei compagni o per chi abbia necessità di riempire la scrivania con il computer e tutta la serie di “ammennicoli” che di solito lo accompagnano nelle camerette dei nostri ragazzi. Una Cameretta dunque essenzialmente votata alla comodità e al contenimento. Contenimento che si concretizza in ogni più piccolo particolare, dai gradini sfruttabili della cameretta, ai cassetti, ai posti sotto al letto; dai comodi vani che si trovano sopra la scrivania, fino alla libreria (utilissima) che è alla fine della composizione al posto del fianco terminale.
Letto a castello “a scomparsa”
Se la stanza è piccola, come avviene purtroppo per la maggior parte delle camerette, occorre a volte inventarsi soluzioni attualmente inesistenti che ci consentano di risolvere problemi di spazio in maniera innovativa. Questo letto a castello ad esempio, attraverso un preciso e semplicissimo meccanismo a “rotazione”, permette di utilizzare nello stesso spazio sottostante un “castello”, sia una grande scrivania che un capientissimo letto. Il meccanismo infatti si ribalta e spostando la posizione del piano scrivania in basso, quasi a terra, riesce a localizzare un letto all’altezza più consona per poter essere usato. Un altro caso in cui la grande tecnologia italiana, abbinata al design, fa grande mostra di sè. In verità il suddetto “marchingegno”, funziona in maniera abbastanza “banale”, il suo vero valore sta però nella grandissima praticità di utilizzo. Il piano scrivania infatti, una volta ribaltato il letto per l’uso “notturno”, rimane perfettamente parallelo al pavimento ed al letto stesso ed esso è fatto in modo che, gli oggetti sono posizionati sul piano scrittoio (fino ad un’altezza pari a circa 30 cm), possano dunque rimanervi senza alcun problema. Insomma, il sogno di ogni ragazzo che in tal modo potrà evitare di dover per forza rimuovere i libri, il computer portatile e tutti gli altri oggetti che sono sulla scrivania, ogni volta che vorrà andare a dormire.
Tale “raggruppamento” polifunzionale che riesce a contenere in uno spazio di 200 x 90 cm due letti ed una scrivania permette un uso ottimale del resto della stanza. In questa composizione ad esempio si è optato per sfruttare lo spazio attraverso una cabina armadio ed una libreria. La cabina è infatti ideale per avere tutto in ordine e a portata di mano. Le attrezzature interne vanno scelte e posizionate in modo adatto perché i ragazzi hanno esigenze diverse dagli adulti. Le camicie e le giacche, ad esempio, sono capi di abbigliamento poco usati dai ragazzi che preferiscono magliette e felpe. Queste ultime vanno messe sui ripiani più bassi, ben distribuite ed in vista, in modo da facilitare la scelta garantendo nel contempo un certo ordine. Attenzione però: il vero vantaggio delle cabine armadio da cameretta è il vano libero che si trova in basso. Esso infatti, non presente negli armadi “normali”, nelle cabine armadio da ragazzi diventa il luogo ideale per poggiare velocemente tutti quegli accessori come borsoni e zaini, che tanto vengono usati dai nostri figli. La cassettiera della cabina armadio da cameretta dovrà avere dunque possibilmente delle ruote, in modo da poter essere posizionata dove meno produce fastidio per poggiare gli oggetti sul piano del pavimento. Essa in questo modo renderà oltretutto più agevole la pulizia e potrà contenere (ben separata dal resto) tutta la biancheria personale, come magliette, calze, calzini, slip, pigiami ecc. ecc..
In alto invece, si dovranno prevedere dei ripiani capaci di contenere delle scatole, i cuscini, le coperte, e finalmente una serie di pali appendiabiti che, inizialmente usati solo per giubbotti, giacche e cappotti, dovranno pian piano insegnare ai ragazzi ad appendere gli abiti migliori in modo da poterli conservare sempre stirati ed in buone condizioni.
Il letto a castello “da grandi”
Quando i ragazzi crescono, avere un sufficiente spazio a disposizione diventa essenziale. Lo sanno bene quei genitori che, avendo comprato una cameretta, magari anche bella, quando i bimbi erano piccoli, si ritrovano dopo “pochi” anni (in realtà sono tanti, ma sembrano pochi) a dover cambiare i letti per “sopravvenute necessità”. Del resto quando si cresce, ognuno deve poter disporre di un proprio adeguato spazio, sia quando studia che quando riposa. Per questo motivo sono stati inventati dei letti a castello che, avendo dimensioni tali da poter alloggiare materassi grandi addirittura fino a 140 cm possono egregiamente risolvere il “problema dimensionale”. E’ facile quindi capire il motivo per cui è stato necessario intentare questa morfologia di letto. I suoi criteri di costruzione sono però relativamente semplici, ma devono garantire una certa somma di qualità intrinseche indispensabili per questo tipo di letto. Innanzitutto la robustezza: è bene sottolineare che di letti a castello “da una piazza e mezza” ne esistono di tutti i prezzi e di tutti i costi. Questo significa che in verità chi ha bisogno di questi letti può contare su di un’ampia scelta. Quello che però occorre non dimenticare mai è che questi mobili, sia per il peso che devono sostenere che per la loro stessa morfologia, devono avere una robustezza assolutamente eccezionale.
E’ evidente infatti che, sommando il peso medio di una persona di 80/90 chilogrammi a quello di una materasso da 120 cm, si raggiungono e si superano anche i 150 kg. Un peso che, specie a lungo andare può creare qualche problema a strutture poco solide che in breve tempo cominceranno a “cigolare” fino quasi a crollare. Ebbene, per le nostre non è così… le nostre camerette sono costruite con criteri qualitativi tali da poter durare perfettamente integre per interi decenni. La struttura fotografata in questo caso, ad esempio, è realizzata sulla base di quattro solidissimi montanti in legno massello tenuti insieme da due robusti telai paralleli al pavimento che sono predisposti per contenere i due materassi. Questi materassi possono avere dimensioni variabili dai 90 ai 150 cm e possono dunque contenere, a seconda delle dimensioni del materasso, anche un piano di appoggio ad uso “comodino”. Ciò permette di avere due materassi differenti nei due letti sovrapposti che potranno misurare ad esempio 90 x 190 cm per il letto superiore e magari 150 x 190 cm (quasi un matrimoniale) nel letto inferiore.
Il soppalco lineare che sfrutta anche l’angolo
Un altro “castello delle meraviglie” che non mancherà di stimolare la fantasia dei più piccoli. Ai bimbi del resto piace condividere i propri spazi con qualcuno, sia esso un fratello, una sorella o degli amichetti. Nelle case moderne la soluzione ideale per dormire in due è scegliere, come abbiamo detto, un letto a castello o “a soppalco” in modo da creare nella stanza tanto spazio libero per muoversi e per poter giocare insieme. Fra le tante soluzioni presentate, questa su due piani è caratterizzata da un uso estremamente intelligente dell’angolo che consente in basso, di posizionare un letto tale da non rimane però troppo “affossato” nell’armadio tanto da ridurne la luminosità; in alto è fatta in modo da poter utilizzare un notevole armadio a ponte angolare.
I vantaggi di questo tipo di composizione sono quindi notevoli. Il bimbo che dorme in basso non si sentirà “chiuso” ed oppresso dai volumi dell’armadio perché nell’angolo viene posizionato un comodo “gavone” che, aprendosi a ribalta, diventa un ampio contenitore per giocattoli, zaini o borsoni. Chi dorme nel letto superiore potrà invece contare su di un comodo soppalco a cui accedere tramite le scalette laterali a gradini che sbarcano nei pressi di un’apposita apertura posta nella pediera del letto. A questo proposito è importante sottolineare quanto la sicurezza sia importante in queste situazioni. Non è infatti detto che i bimbi debbano per forza dormire ad un’altezza massima di 80 cm, l’importante è che essi abbiano un’età sufficiente a giudicare i pericoli dell’altezza e che il letto in alto sia protetto da adeguate barriere di sicurezza come è possibile notare in questa foto. Per ultimo, una considerazione generale sulla versatilità dei nostri prodotti: questa cameretta occupa un angolo che misura soltanto 400 cm per 230 cm.
In essa è inserito tutto il necessario: una coppia di letti, una cassettiera, un grande armadio a terra doppio, un capiente armadio a ponte addirittura angolare, senza dimenticare la scaletta contenitore, la grande libreria terminale che funge da fianco e la comodissima scrivania estraibile 90 x 90 cm. Un vero concentrato di argomenti che spiegano bene come, attraverso l’ingegno e la creatività, sia possibile inventare soluzioni davvero ad ogni tipo di problema.
Il soppalco scorrevole con scaletta nascosta e zona studio inferiore
…e sotto a studiare…
Col passare degli anni e con l’evolversi dei tempi, la scrivania diventa sempre più importante. In verità il suo uso è sempre in continua evoluzione e, se fino agli anni 80 era relegata al ruolo di “scrittoio” ovvero di “spazio per fare i compiti “, essa è diventata prima alloggio per i videogiochi e la TV e successivamente luogo dello studio sul computer. Adesso, a causa dell’ampia diffusione degli Smartphone, la scrivania sta cambiando ulteriormente “pelle”, diventando piano piano un luogo di “studio condiviso” o, al contrario, di concentrazione massima e di isolamento dalle distrazioni della casa e del mondo del Web e dei Social. Ecco che per questo motivo stanno nascendo delle nuove morfologie di cameretta che tengono ben presenti queste nuove esigenze. La scrivania può essere immaginata dunque in una nicchia, onde trovarvi il massimo del raccoglimento durante lo studio ma deve essere al contempo capace di aprirsi anche ad un uso condiviso, in cui sia possibile prospettare l’arrivo di studenti ospiti o di compagni di compiti.
In questo senso la cameretta qui fotografata rappresenta quasi un “must”: essa da un lato è dotata in basso di uno scrittoio ad angolo con cassettiera su ruote mentre dall’altro è corredata da un’ampia zona libreria che funge da scaletta/camminatoio per raggiungere il letto superiore. Quest’ultimo infatti, scorrendo lateralmente verso il centro della stanza, si trasla per una larghezza di circa 50 cm, in modo da lasciare scoperta questa serie di gradini che risultano molto comodi sia per accedere al materasso superiore, sia per rifare il letto in questione. Tutta la struttura viene poi completata da un armadio a ponte a due ante che poggia su di una piccola cabina armadio angolare (misura circa 100 x 100 cm e contiene il corrispondente di un armadio ad angolo normale). Ad esso è collegato una armadio a due ante che al posto del fianco, possiede un bello ed utile elemento terminale, in parte a giorno ed in parte chiuso. Una vera e propria “dichiarazione di indipendenza” che non mancherà di affascinare gli adolescenti più svegli ed evoluti.
Il soppalco “tre in uno”
Di giorno, per rilassarsi e per conversare, di notte per dormire e per sognare. Progettate per chi ha tre figli, le camerette come quella fotografata rappresentano una vera ancora di salvezza per famiglie numerose. Quando infatti la “dinastia” continua ad aumentare o nel caso ci si trovi con una coppia di fratelli abituata a ospitare amici, ci sono soluzioni che in pochissimo spazio possono contenere tre posti letto. La composizione della foto, misura 230 x 270 cm e viste le sue ridottissime dimensioni può dirsi a buon titolo “un’opera architettonica” a tutti gli effetti. L’ampia disponibilità di moduli che le nostre camerette hanno, permette infatti, a seconda dei casi, di privilegiare lo spazio per contenere senza dimenticare quello per dormire. Con due letti a terra si raggiunge lo scopo di dotare la cameretta di spazi adeguati alla conversazione ed al gioco mentre il letto superiore, graditissimo dai ragazzi di tutte le età, oltre a rappresentare un’ottima soluzione per alloggiare un terzo figlio o ospite, può diventare un ulteriore spazio gioco dalla valenza inaudita. In realtà tutto è giocato intorno all’irrinunciabile necessità di avere un locale che risulti confortevole al massimo. D’altronde, specie se è condivisa da più persone, una camera, più è spaziosa meglio è… Nelle nuove costruzioni e in caso di ristrutturazione però, è previsto che una cameretta abbia una dimensione minima di nove metri quadri e questa dimensione sarebbe riferita a stanze in cui dovrebbero alloggiare al massimo due persone.
Questo in teoria… in pratica avviene invece che, ovviamente, quando arriva un terzo figlio, non è che tutti possano permettersi di cambiare casa e ci si ritrovi spesso a dover fare di necessità virtù escogitando i migliori arredi possibili atti a risolvere il problema dimensionale che ci si presenta. In realtà in casi come questi sono molteplici gli aspetti da tenere in considerazione. Innanzitutto deve essere garantita comunque una sufficiente luminosità ed un adeguato rapporto di superficie finestrata. Poi è necessario tenere buon conto di quelli che sono i contenitori di cui tre persone hanno bisogno per poter riporre i propri abiti. Per ultimo è necessario che ogni ragazzo abbia una propria lampada, in modo da poter leggere anche quando gli altri vogliono dormire. Meglio per questo se le luci siano orientabili e regolabili, magari posizionabili a piacere a seconda dei casi e delle situazioni. Fino a qualche tempo fa esisteva anche un problema “televisivo” che angustiava le famiglie con tre figli in cui, per cause di forza maggiore, era possibile inserire un solo apparecchio Tv invece dei “tre” che sarebbero stati necessari per garantire la pace famigliare. Per fortuna però, l’avvento degli smartphone ha di recente egregiamente risolto il problema alla radice, tant’è vero che è sempre più raro dover cercare in cameretta l’alloggiamento per il televisore.
Il letto “misto”, a castello e a soppalco.
Questa composizione di cameretta di dimensioni ridotte, è costituita da armadio a ponte “semplice” con incastrato in qualche modo un letto a castello. In un solo blocco compatto, i singoli elementi sono progettati esattamente allo scopo di soddisfare una semplice esigenza di spazio: quella di coloro che devono arredare delle stanze molto piccole. Eppure, a guardar bene, nulla manca in questa composizione e nulla è stato lasciato al caso durante la sua ideazione. Vi è un comodo letto a castello, il cui spazio superiore è facilmente raggiungibile tramite una scaletta a gradini. Vi è un ampio spazio inferiore, in cui trova posto un letto corredato di comodino. Vi è poi una notevole zona armadio che, essendo completata da una grande libreria “terminale”, funge da cornice ad una comoda zona scrivania “a Penisola”. La cameretta in oggetto misura 200 cm dal lato destro e solo 290 cm da quello sinistro. E’ completa di tutte le dotazioni di sicurezza necessarie e, nonostante possieda delle misure davvero molto contenute è comunque realizzabile “su Misura”, consentendo un’ampia possibilità di personalizzazione. I letti sovrapposti al letto inferiore, ad esempio, sono solo una delle centinaia di modelli che sono inseribili nella posizione suddetta: si parte dai più semplici, come quello fotografato, per passare a quelli imbottiti dalle forme anche molto estrose, fino ad arrivare a dei veri e propri divani-letto, che non mancheranno di interessare coloro che vogliono utilizzare la cameretta, non solo per la notte ma anche per il relax diurno e lo studio. Del resto, lo sfruttamento ottimale dell’angolo consente di spaziare con progetti anche molto estrosi ed innovativi ma non è affatto detto che se si possiede una cameretta lineare sia impossibile dare sfogo alla propria fantasia progettuale. Anzi… tutt’altro!!!
Il letto a castello vuoto sotto
Fra le molteplici possibilità esistenti a proposito dei letti “rialzati”, ne è presente una molto semplice che si basa essenzialmente sul desiderio e l’ambizione che molti hanno di liberare il più possibile lo spazio “a terra” della propria cameretta. In linea di massima si può dire che, in questo senso, la soluzione del letto a castello “vuoto sotto”, rappresenti il massimo risultato ottenibile; anche perché, a pensarci bene, il letto rappresenta spesso il volume che più tende ad ingombrare la superficie pavimentata di una cameretta. La foto qui a lato è stata realizzata con lo scopo di far comprendere il valore di questa metodologia di arredamento. Si tratta in realtà di un sistema molto semplice che si presta a numerose interpretazioni. Quella realizzata in questo esempio non è altro che una “lettura” molto vicina a quella che potrebbe avere una bimba di meno di 10 anni circa la propria “cameretta dei sogni”. E’ presente il letto a castello, rappresentazione ideale di uno spazio elevato che attira soprattutto per la sua dimensione prettamente ludica ma ad attirare l’attenzione è soprattutto l’idea di dormire “sospesi”, potendo in qualche modo vivere lo spazio sottostante al letto come un rifugio del tutto personale. Quelle tendine possono contenere un mondo e possono rappresentare indipendentemente la “casina” in cui ospitare le amichette (magari dopo aver preso un te’, nel vicino salottino), oppure l’antro del “castello” (appunto) dove incontrare il proprio principe azzurro. Anche a livello pratico però una composizione del genere può presentare i suoi vantaggi.
A prima vista può sembrare inopportuno pensare infatti di arredare una zona così bassa di una cameretta allo scopo di fornirla di contenitori. In realtà non è proprio così perchè, come abbiamo avuto occasione di ripetere più volte in questo lungo “reportage ” sui nostri letti a castello e a soppalco, il fatto che i ragazzi possiedano numerosi “accessori” (come borsoni, attrezzi da palestra e zaini) di cui possono avere una necessità quotidiana, può far nascere l’esigenza di uno spazio (maglio se nascosto) in cui riporre con velocità tutte queste cose. Un vano dunque dotato addirittura di una doppia valenza, in cui i più piccoli possano trovare il loro luogo ideale per i giochi mentre i più grandicelli possano trovarvi uno “stipo” dalle grandissime dimensioni. In fin dei conti infatti, questo soppalco offre la possibilità di sfruttare uno spazio della profondità di ben oltre 90 cm (pari dunque a quella del materasso) che difficilmente potrebbe essere utilizzata in maniera differente. Non bisogna assolutamente dimenticare un fatto: in futuro se la famiglia dovesse aumentare, non ci sarebbe niente di più facile che togliere la tendina e attrezzare la parte inferiore del castello con un comodo secondo letto. Sarà bello vedere come la sorellina più grande sarà lieta di rinunciare ad un proprio spazio vitale così importante, pur di ospitare una sorellina o un fratellino con cui poter condividere quel bellissimo spazio giochi.
Il letto a castello ribassato
Chi desidera sfruttare lo spazio in altezza pur senza dover per forza realizzare un vero e proprio letto a castello può senza dubbio optare per questa nuova tipologia di letto.
Si tratta in pratica di un letto che ha un’altezza al piano materasso che può variare dagli 80 ai 100 cm e che quindi rappresenta una sorta di via di mezzo fra un vero e proprio letto a castello ed un letto rialzato. Come si può facilmente vedere dalla composizione fotografata, il letto in questione risulta perfettamente accessibile anche dal basso, può essere dotato di una piccola scala a gradini (quella fotografata, ad esempio possiede un’altezza pari a quattro gradini) e può essere fornita nella sua zona sottostante di numerosi contenitori apribili tramite ante o cassetti. La cameretta fotografata mostra come un’altezza “media” del letto come questa, permette addirittura di sfruttare il sopra del letto stesso tramite un capiente armadio a ponte dell’altezza di circa 60 cm. Un altro particolare interessante di questo arredo risiede nello sfruttamento dell’angolo. La parte sottostante del letto a sinistra, è occupata frontalmente da una scrivania che pare impedirne l’uso completo e agevole dell’angolo posto sotto al letto. In realtà non è così: il letto possiede infatti un tipo di meccanismo estraibile attraverso il quale è possibile utilizzare il vano sottostante come contenitore. La caeretta misura 250 cm sul lato destra e 350 cm su quello sinistro. L’altezza dell’armadio (260 cm circa) è tale da consentire l’abbinamento con il piccolo armadio a punte che sovrasta sia la zona scrivania che la zona terminale del letto.
L’isola personale
Che si tratti dell’acquisto di un’intera cameretta o di un semplice letto a castello, i nostri mobili da ragazzi consentono sempre di essere progettati in modo da potersi adattare, col tempo, a delle mutate esigenze. E’ il caso di questo semplicissimo letto a castello, di misure normali (200 x 90 cm circa) si presenta uno sfruttamento dello spazio sottostante realizzato attraverso un grande piano scrivania capace di alloggiare fino a due persone. Il letto in questione è costruito con quattro solidi montanti in massello (gli stessi usati addirittura per i letti a castello da una piazza e mezza) sui quali sono montati dei pannelli perimetrici in laminato bianco oppure colorato a seconda dei gusti. Sulla scheda prodotto, che per legge, accompagna ogni mobile è, possibile verificare queste informazioni anche con molta attenzione.
E’ opportuno più che altro controllare che le strutture siano realizzate in materiale sufficientemente solido per sostenere le sollecitazioni per cui è nato. Un altro aspetto necessario da controllare è che vengano usati pannelli in Classe E1, cioè a bassa emissione di formaldeide e che siano (se verniciati) rifiniti con vernici all’acqua: cosa indispensabile sia per questioni ambientali che per questioni di salubrità intrinseca. Nelle camerette moderne, al fine di recuperare lo spazio, sono sempre più diffuse le soluzioni su due livelli, con un letto alto ed una zona sottostante che, come in questo caso, può essere in un primo tempo utilizzata per alloggiare una scrivania, per poi successivamente alloggiarvi magari un secondo letto oppure un ulteriore armadio. Perché la scrivania sia sufficientemente comoda, il suo piano deve avere una lunghezza di almeno 100 cm e nella composizione qui fotografata ha un’ampiezza addirittura di 190 cm, quindi ben più grande del minimo necessario. Quando lo spazio è poco infatti, è opportuno decidere a priori se si preferisca utilizzarlo per alloggiare una scrivania piccola (nel tal caso però non sarà possibile ospitare nessuno) oppure se, come nell’esempio in oggetto, si preferisca optare per una scrivania di dimensioni più grandi, capace per questo di essere utilizzata contemporaneamente da due ragazzi.
Il soppalco ribassato angolare
Diretta emanazione dei soppalchi angolari “classici”, questa versione ribassata si dimostra una valida alternativa sia a livello di praticità che di estetica complessiva. Di questa cameretta, risultano infatti particolarmente interessanti le dimensioni che occupano uno spazio lineare di parete di poco più di tre metri (esattamente 320 cm) ed una profondità nel punto massimo di 290 cm complessivi. Proviamo a descriverne tutte le caratteristiche più peculiari, partendo dal lato destro dove è alloggiato un mobile terminale ad angolo, in cui è possibile sfruttare un’altissima zona libreria accompagnata da un’anta stretta e lunga, particolarmente adatta ad essere utilizzata come scarpiera. Questo mobile, funge da terminale ad una cabina armadio lineare di dimensioni molto contenute che pur misurando soltanto 120 cm per 60 di profondità, si candida a buon titolo a divenire il più importante contenitore dell’intera cameretta. Il mobile prosegue in alto con un armadio a ponte che nel lato destro ospita due ante larghe 60 cm ed alte 70, mentre quello sinistro è adibito ad ulteriore libreria con 4 vani appositamente progettati. Sotto all’armadio a ponte vi è poi il fulcro vitale dell’intera composizione che è formato da un letto a castello “ribassato” che contiene inferiormente una scrivania estraibile dal lato destro. Quello sinistro, che appare a prima vista chiuso, è in realtà un ulteriore contenitore a cui si accede tramite un gavone. Sul frontale di questo contenitore è appoggiato dunque il secondo letto, a sua volta dotato di due ampissimi cassetti sotto-letto. Da notare il fatto che questo letto a castello ribassato, non è dotato di una scaletta atta a raggiungere il letto superiore. Ciò è dovuto principalmente al fatto che essendo i due letti esattamente prospicienti, questa loro vicinanza permette di salire facilmente al secondo letto passando dalla sponda del primo. Il letto superiore può comunque essere fornito di scaletta ma la sua altezza veramente contenuta (circa 95 cm al piano letto), potrà essere raggiunta anche tramite una piccolissima scala a pioli.
Il letto a castello altissimo
Concludiamo questa lunga carrellata di letti a castello e a soppalco con quello che rappresenta una sorta di innovazione concettuale nell’ambito di questa tipologia di arredo. Si tratta di un modello di letto di derivazione scandinava che importa dal nord europa l’abitudine a non “rifare” quotidianamente il letto ma di usarlo bensì solo attraverso le coperture a “sacco” riempite di piuma d’oca o solo con i lenzuoli. Tale uso in effetti rende piuttosto comoda la posizione del materasso che viene sostenuto da una solida struttura addirittura ad un’altezza superiore ai 180 cm. Questo letto presenta dunque il vantaggio di offrire un riposo che avviene effettivamente “in quota” e che lascia uno spazio sottostante talmente alto, da permettere il suo uso a persone di altezza appena inferiore ai 160 cm. Nella foto è infatti mostrato come sia possibile utilizzare la parte inferiore al letto con una scrivania quasi “professionale” di dimensioni veramente generose. Per questo tipo di letto che misura 210 x 150 cm ed è alto complessivamente (con i pannelli di protezione laterale) ben 210 cm è necessario possedere una stanza alta almeno 290 cm.
Le camerette per tutti
Con questo articolo abbiamo voluto realizzare una rassegna di letti a castello e a soppalco capace di dare almeno un’idea delle vastissime possibilità che le Camerette La Casa Moderna sono capaci di offrire. Il nostro scopo era soprattutto quello di dimostrare quanto i nostri progettisti, grazie alla vasta produzione su cui possono contare, sono in grado di gestire e ideare anche in stanze molto piccole e particolari, come sono spesso le camerette. Questo è il loro lavoro. Lo fanno con passione, competenza ed una grande capacità progettuale. Chi vorrà metterli alla prova potrà trovare nei nostri negozi, consigli, idee e tutto quanto potrà essere necessario per realizzare una cameretta di qualità effettivamente capace di soddisfare tutte le più moderne esigenze.
Conclusioni
Speriamo che la nostra guida su come scegliere un letto imbottito ti abbia fornito le informazioni necessarie per prendere una decisione consapevole e soddisfacente. Presso Griva Arredamenti, siamo pronti ad aiutarti a realizzare arredamento su misura.
Ti invitiamo a visitare i nostri showroom di Pinerolo e Torino, dove potrai scoprire di persona la qualità e l’eleganza dei nostri mobili. Potrai toccare con mano i materiali, valutare le soluzioni di spazio e ottenere consigli personalizzati dai nostri esperti.
Se hai domande o desideri ulteriori informazioni, non esitare a contattarci. Saremo felici di fornirti tutte le risposte di cui hai bisogno dai nostri esperti interior designer.
Un look nuovo, che fa riferimento alla tecnologia e che rispecchia il modo di vivere attuale, attraverso il “riciclo” di ambientazioni passate.
In queste pagine ci occupiamo di uno stile di arredo moderno che imposta un nuovo metodo di raffrontarsi con la “tradizione” e il passato, concentrandosi interamente sulla ricerca di materiali e finiture propri del mondo industriale e tecnologico.
Esso affonda le sue radici nella tendenza “vintage” che ormai da qualche anno imperversa nel mondo della Moda, coniugando certe propensioni molto legate ad alcuni attualissimi comportamenti sociali (come il desiderio di “risparmio” e il fenomeno connesso alla tendenza ecologica del “riciclo”), con degli indirizzi stilistici prettamente derivanti dal mondo del lavoro. Non è però da confondersi con lo stile “professionale” che già dagli anni ’80 aveva preso piede fra gli orientamenti estetici del mondo dell’arredo. Nello stile industriale infatti, proprio a differenza di ciò che avveniva con il “professionale”, le forme e i materiali sono determinati più da considerazioni di carattere estetico che dalla loro reale ed effettiva funzione; quindi, alla parola d’ordine “praticità” che era considerata la linea di condotta del design specialistico (soprattutto nelle cucine) dello stile “professionale”, si è sostituito nel nostro caso il concetto di “recupero e revisione funzionale”.
L’effetto di insieme offerto dagli interni è comunque anche oggi nitido, ma non più luminoso sistemato, e pulito come era nello stile professionale, tanto che a volte si rischia addirittura di sconfinare nella disorganizzazione e nel disordine. Eppure anche in questo tipo di ambienti non c’è assolutamente spazio per gli orpelli o per i divani morbidi e confortevoli, ma le stanze possono stranamente apparire come colme di oggetti inutili. A questo punto è già chiaro che pur non trattandosi certo di uno stile adatto a chi si sente a proprio agio solo in mezzo a foto di famiglia incorniciate in argento, quadri antichi, mobili classici in tinta noce e credenze Luigi XVI, tanto meno esso si adatta a chi non può fare a meno dell’asetticità di un bel piano in acciaio inox, dell’ordine di una bella cucina “minimal” o del sobrio design di un bel soprammobile cromato. Quindi molto lontano all’high-tech (‘alta tecnologia’), ma molto vicino alla “archeologia industriale”, questo stile si serve di elementi originariamente progettati per un uso produttivo – quando sono dotati di un gusto particolarmente “crudo” ed in qualche modo anche un po’ “sporco” e usurato – proprio come avviene nel “Vintage” così di moda a proposito di abbigliamento.
Del resto non potrebbe essere altrimenti per ambienti dove il ferro nero o rugginoso, l’ottone sporco ed ossidato, la ceramica crepata, il legno massello consumato, grezzo e nodoso, i vetri anticati, e anche l’acciaio, ma solo in versione “Peltro”, trovano il loro più probo utilizzo. Per avere esatta concezione dello stile industriale, in pratica, bisogna insomma aver ben presente come erano le officine produttive di 100 e più anni fa. Ad esempio, si utilizzano tranquillamente parti di scaffalature che, tolte da qualche vecchio magazzino, vengono verniciate di nero “antracite” o di color ruggine per far bella mostra di sé in qualche cucina ed in qualche soggiorno. Le caratteristiche del look industriale lo rendono infatti particolarmente adatto per ambienti come la cucina e la zona giorno, dove sono consentiti richiami a vecchi materiali tecnologici di facile manutenzione.
I mobili tradizionali, come divani, poltrone, credenze e vetrine non sono esclusi dall’insieme, a patto però, anche questa volta, che essi siano di gusto attinente e di linea ben definita. Quelli più usati a questo scopo sono quelli che richiamano la mobilia anglosassone (sia però inglese che americana) di inizio ‘900, oppure alcune tipologie derivate direttamente dal design americano degli anni 40/50. I materiali più usati, come abbiamo detto, restano sempre quelli resistentissimi, di derivazione industriale, ma per quanto riguarda le tinte, lo schema di colore degli interni punta generalmente su toni neutri ma ombrosi, come il nero, il grigio, il Caffè e il metallizzato, accoppiati con i legni naturali e consumati, e ravvivati da alcuni rari accenti brillanti e vivaci, così come accadeva con le insegne presenti una volta nelle officine dei meccanici. Le pareti sono in tinta unita, beige e grigie, ma molto spesso vengono usate le carte da parati, che si limitano in genere a motivi geometrici e astratti, oppure simulano i muri in cemento o più di frequente quelli “scalcinati” con in mattoni a vista.
In teoria, nell’ambiente in cui si desidera riportare questo stile, le porte e le finestre dovrebbero essere molto grandi ed in ferro e i locali ampi e spaziosi, ma non sempre è così. Anzi.. Questo stile nasce dall’idea di “riutilizzo” che ha cominciato a prendere piede quando si è iniziato a “riconvertire” gli edifici produttivi Newyorkesi, trasformandoli in Loft già dalla fine degli anni ’70. In quegli ambienti si respirava davvero ancora l’originale aria di “factory” che si sentiva quando ancora erano delle vecchie officine o degli opifici dismessi. Quell’atmosfera era data dagli elementi architettonici degli ambienti stessi, dai loro pilastri in mattoni, dagli incroci in ferro e ghisa dei sottotetto, dai pavimenti in cemento e dai muri a cui, quasi sempre, non serviva certo la carta da parati per apparire sufficientemente Vintage. Per ottenere quel tipo di atmosfera anche in locali che niente hanno di industriale o di produttivo, si è allora pensato di trasportare anche nel “residenziale” degli elementi di arredo che ricordassero in maniera inequivocabile quel tipo di ambienti e lo si è fatto inserendo materie che spesso perdono la loro funzione originale trasformandosi in vero e propri contenuti “decor”.
Tante epoche per uno stile
Volendo fare un’esatta collocazione temporale del periodo da cui questo nuovo stile trae ispirazione, potremmo dire che “vi è dentro” tutto ciò che va dall’inizio dell’età industriale, fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Anche le plastiche degli anni ’50 e ’60 vanno bene, ma solo quando rappresentano chiari riferimenti al mondo della meccanica o dell’industria (come le insegne dei meccanici, quelle dei distributori di benzina, le targhe automobilistiche o le vecchie pubblicità dei prodotti industriali). Sono ammesse le strutture metalliche anche più recenti, però soltanto dopo un trattamento antichizzante che le riporti al colore naturale del ferro oppure le faccia sembrare uniformemente rugginose. Il legno, quando viene inserito tramite oggetti dal design anche più attuale, deve essere comunque grezzo, ruvido e in certi casi apparire addirittura consumato. L’acciaio, essendo un materiale high-teck non si intona con il nostro stile e allora deve essere rivisto e antichizzato fino a diventare molto simile al peltro. Insomma, Vintage, Old English, Newyorker Style ed almeno un’altra decina di stili si fondono per dar vita all’Industrial Style.
Arredamento, antichità, “meccanica” e disordine.
Gli elementi dello stile “industriale” del resto sono innanzitutto “ricordo, semplicità, robustezza e regolato disordine”. Sebbene sia richiesto l’impiego di complementi e arredi nuovi, magari di design, è dunque possibile (anzi plausibile) riciclare vecchi mobili di uso più corrente, senza però togliere loro la patina che li caratterizza. Ad esempio, nei grandi magazzini antiquari o nei negozi di arredamento specializzati, si possono trovare scrivanie e sedie adatte allo scopo, che pur non essendo d’epoca si adeguano egregiamente allo scopo. Anche alcuni pezzi “rustici” degli anni Sessanta si inseriscono perfettamente nello stile industriale; un vecchio “mettitutto” alle linee severe può essere perfettamente considerato “industrial”, perché poteva aver trovato posto negli anni ’70 all’interno dell’officina di un meccanico. Un’alternativa consiste nel ringiovanire vecchi oggetti laccati, sverniciandoli a grezzo e poi trattandoli con una mano molto leggera di vernice trasparente. Oppure nel riutilizzare vecchi carrelli da officina, invecchiandoli ulteriormente con un nuovo rivestimento che renda la loro superficie scura, opaca e consumata.
Lo stile industriale dunque, essendo prettamente uno stile “tecnologico” può essere in qualche modo “teorizzato”e condotto ad alcune linee essenziali: è “industrial” il banco del fabbro, ma anche il grosso “ceppo” del macellaio.
- Sono “industrial” gli impianti a vista, le tubature, gli evidenti elementi in metallo che finora tentavamo di nascondere “sotto traccia”.
- E’ “industrial” la scaffalatura presa direttamente in fabbrica, ma anche la vetrinetta “arte povera” realizzata però in rovere naturale anticato.
- Sono “industrial” le grosse lampade che una volta illuminavano l’interno dei capannoni, ma anche la ghiacciaia che una volta stava dietro al banco di un salumiere.
- E’ industrial la putrella, il traliccio ed il pilastro in ferro, tanto meglio se dotati di grossi rivetti a vista, ma anche le saldature sono ben intonate a questo stile.
- Sono “industrial” gli abbinamenti che prevedono inserimenti di materiali e di stili molto “diversi” all’interno dello stesso oggetto d’arredo, purché ricadano tutti sotto uno stesso comune denominatore. Proprio come avviene nel “vintage” della moda.
- E’ industrial la cucina a blocco di tipo “professionale” color ghisa, magari con finiture Peltro anziché cromo, così come è “industrial” la bassa vetrinetta ricavata da qualche mobiletto in ferro scovato in uno dei tanti mercatini che si trovano sparsi per l’Italia.
Il grigio metallizzato dei componibili e dei praticissimi banconi in massello di rovere, rappresentano quindi una scelta molto indovinata in una cucina che deve essere rappresentativa di questo stile, al pari delle piastrelle bianche lucide (anni ’50) per il rivestimento, della tenda “a veneziana” di colore nero e della moderna struttura color ruggine in cui potrebbe essere per esempio inserita la zona “lavaggio”.I tipi di pavimento consigliati sono resistenti e di facile manutenzione; i materiali più indicati sono perciò le piastrelle in graniglia, il legno in versione rustica, la gomma sintetica a bolli antisdrucciolo, il cemento in finitura naturale e le resine epossidiche in finitura cemento. La ceramica di tipo “moderno” può essere anche usata, però solo in tinte neutre che simulino i colori del cemento o le finiture del legno grezzo. In tema di piastrelle un inserimento molto indovinato lo si può ottenere infatti con le cosiddette “cemetine” le piastrelle in graniglia di forma quadrata o rettangolare che facevano bella mostra di sé nelle residenze degli anni ’20 o trenta del ‘900. Oppure con le piastrelle “azuleyos” che hanno adornato per un certo periodo anche alcune tradizionali cucine “shabby chic”. Anche in questo caso dunque un richiamo che nulla ha di industriale, ma che pure ricorda alcune situazioni in cui si poteva trovare chi aveva un tempo da frequentare gli uffici di qualche vecchia industria manifatturiera.
Nella definizione di uno stile però non bisogna mai trascurare la scelta del particolari. Per codificare ancora più precisamente questo nuovo stile vediamone quindi insieme un elenco abbastanza ampio ed esaustivo.
Le tende, a tutt’altezza sono in genere evitate e sostituite dai modelli a rullo, a pannello oppure a veneziana. L’importante sono il mantenimento dei colori scuri come il testa di moro, il grigio, l’antracite ed il nero.
Stessa cosa per gli infissi i quali saranno molto sottili e lineari, scuri e di disegno “rigoroso”. Proprio come quelli di uso industriale.
Le luci. Una lampada di inizi novecento in ghisa, sintetizza ad esempio in modo perfetto le peculiarità dello stile ‘industriale’, tutte mirate alla estrema praticità ed essenzialità. Il requisito fondamentale dell’illuminazione industriale infatti, a parte la funzione decorativa richiesta dal design, è senz’altro la funzionalità: questo stile esige infatti una luce decisa e brillante, che non crei sfumature o zone d’ombra in contrasto con i colori tendenzialmente scuri da cui è caratterizzato. La scelta degli apparecchi luminosi deve però cadere su lampade in metallo molto vistose, che assolvano bene al loro compito, attraendo anche l’attenzione per le loro abbondanti dimensioni oppure per l’originale design.
Contenitori.
Erano già essenziali per dare all’ambiente “industriale” un utilizzo ordinato ed efficiente e oggi rimangono comunque indispensabili per un uso abitativo.
Le possibilità di scelta sono tra optare per mobili nuovi realizzati artigianalmente in legno massiccio grezzo, come l’abete o il rovere, magari in stile rustico moderno, restaurare dei vecchi mobili industriali o comunque delle suppellettili di linea semplice ed essenziale oppure prediligere le moderne produzioni componibili che ultimamente hanno adottato alcune caratteristiche tipiche di questo stile. Tra queste l’uso del legno in finitura naturale nodata, le scocche in antracite e i piani in colore finta ruggine o peltro. Molto gradite le ruote, purché abbiano un design prettamente vintage ed un colore ferro o ruggine. Anche il tavolo e le sedie possono facilmente contribuire all’ottenimento di un ottimo risultato. Una serie di sedie pieghevoli in metallo con il sedile del tutto simile a quello delle macchine agricole, possono completare un piacevole insieme, quando accostate ad un tavolo, magari artigianale, dotato di un robusto telaio in ferro quadrato e rifinito con un piano in vero legno massello.
Le cucine.
Materiali grezzi, dal legno ai metalli ossidati, grandi scaffalature e linee essenziali danno l’imprinting industriale a questa tipologia di cucina. Non ha bisogno di grandi ambienti per esprimere tutte le sue potenzialità. Anzi, grazie a moduli compatti e superattrezzati è capace di adattarsi a qualsiasi esigenza di spazio.L’importante è crearvi all’interno dei veri e propri “mix d’effetto”. L’aspetto vissuto dei materiali, il legno delle ante, il metallo finitura peltro o ferro di alcuni contenitori e della cappa, i vetri retinati in finitura bronzo, danno al progetto una forte connotazione metropolitana. L’abile composizione di tutti questi elementi consente di ottenere diverse interpretazioni della cucina: industriale ma che punta all’eleganza della sua originalità. Attenzione nei dettagli: dal carattere decisamente industriale sono le nuove maniglie in metallo anticato che spesso adornano le ante troppo “minimal” e i contenitori a giorno, spesso in metallo o laccati in finitura peltro. Una risposta concreta ai problemi di spazio delle cucine “industrial” la offrono gli armadi “container” con zoccolo color peltro per la massima resa estetica: una stanza nella stanza che può nascondere la lavanderia, la dispensa e tutto quanto non si abbinerebbe troppo bene con questo stile così particolare.
E poi vi sono i cosiddetti “blocchi personalizzati”: vere postazioni di lavoro, attrezzate con le funzioni di cottura o lavaggio, che si trovano di frequente disponibili nelle produzioni di serie nelle dimensioni da 120, 150, 180 e 210 cm.. Sono questi gli inserimenti che consentono maggiormente di concedere un preciso gusto “industrial” ad una normalissima cucina componibile. Impreziosite da una cornice effetto peltro che conferisce un tocco quasi professionale alla zona operativa, oppure semplicemente caratterizzate da un evidente cambio nel colore delle ante, questi banchi di lavoro offrono spunti interessanti alla memoria e risultano particolarmente piacevoli a chi ama questi abbinamenti apparentemente così forzati ed invece molto gradevoli nell’insieme. Del resto all’interno di queste “isole” le ante possono essere personalizzate con tanti differenti tipi di texture : Il rovere nodato ed anticato in versione liscia , un altro tipo di legno, magari in variante “telaio”, il color “peltro” all’interno di una composizione tutta rovere, oppure un inserimento “Coffee”, di impronta decisamente vintage, che si abbina a tutte le tipologie di materiali “naturali”.
Accessori e complementi.
Come abbiamo detto non sono proprio ridotti all’essenziale e non hanno tutti una precisa funzione. I tradizionali vasi per le piante, ad esempio, possono essere sostituiti con dei veri e propri bidoni di metallo dalla linea pulita e rigorosa. Sopra alla cucina possono far bella vista di sé dei grandi “Orologi da stazione” o delle targhe americane logore e consumate. Anche le piante sono ammesse, perché aggiungono un tocco di vitalità all’ambiente, purché siano inserite in contenitori divertenti e significativi per lo stile in questione. Caloriferi e particolari architettonici dovrebbero anch’essi risultare in perfetta armonia con la linearità caratteristica dello stile. Termosifoni, scale a vista, tubature, prese elettriche, interruttori e fili saranno dunque evidenziati e di colore scuro, mentre i battiscopa, solitamente ‘discreti’, saranno volutamente messi in bella vista con colori adeguati e modanature rustiche.
Per concludere possiamo dire che il trucco per ottenere un effetto “industrial” davvero efficace sta nel saper comporre, quello che abbiamo chiamato “regolato disordine”. Fare questo, senza scadere nel banale o nel pacchiano non è molto facile, ma ci si può riuscire con alcune accortezze. Innanzitutto deve essere chiaro il criterio che permette l’abbinamento fra due o più “stili attigui” all’interno dello stesso mobile o ancora meglio della stessa cucina componibile. Poi bisogna immaginare l’effetto che tale abbinamento può causare all’interno del progetto che si sta per redigere e per ultimo abbinarci tutti quegli accessori, quei complementi e quelle finiture che possono contribuire alla definizione dell’ambiente secondo il canone “industrial”. Una regola precisa da suggerire in realtà non c’è, perché molto sta alla competenza ed alla fantasia, ma si può tranquillamente dire che questo articolo contiene tutto quanto può servire al “neofita” per ottenere il risultato voluto.
Conclusioni
Speriamo che la nostra guida su come scegliere un letto imbottito ti abbia fornito le informazioni necessarie per prendere una decisione consapevole e soddisfacente. Presso Griva Arredamenti, siamo pronti ad aiutarti a realizzare arredamento su misura.
Ti invitiamo a visitare i nostri showroom di Pinerolo e Torino, dove potrai scoprire di persona la qualità e l’eleganza dei nostri mobili. Potrai toccare con mano i materiali, valutare le soluzioni di spazio e ottenere consigli personalizzati dai nostri esperti.
Se hai domande o desideri ulteriori informazioni, non esitare a contattarci. Saremo felici di fornirti tutte le risposte di cui hai bisogno dai nostri esperti interior designer.
Per definire la qualità di un oggetto d’arredo spesso si parla di “forma e funzione”, intendendo quell’insieme di “bellezza e utilità” che ogni suppellettile che serve in casa dovrebbe possedere. Non sempre in passato è esistita una stretta connessione fra i due concetti, ma oggi, dopo la lezione dei “grandi” del razionalismo del ‘900 legato all’architettura, e soprattutto con l’avvento di un certo tipo di cultura del “bello” che predilige sempre e comunque prodotti dal design accurato, è sempre più difficile prescindere da questo binomio. Lo strano è, che questa concomitanza di principi, trova di frequente la sua massima espressione quando si parla di oggetti molto comuni, come possono essere appunto anche i “tavoli da cucina”. Eppure, a pensarci bene, è facile capire il motivo di ciò: il tavolo è infatti un arredo di per sè semplice, in qualche caso addirittura “banale”, che però proprio per questa sua estrema essenzialità, necessità di una straordinaria attenzione alla sua estetica ed al suo design.
Immaginiamo di prendere un pezzo di pavimento e di sollevarlo da terra: ecco, questo è il tavolo. Nel mondo e nella storia dell’uomo, questa semplice operazione funzionale è stata fatta in tanti modi diversi. Anche nell’antichità i tavoli erano piani d’appoggio, ma spesso non venivano utilizzati per pranzare, bensì per lavorare, per studiare o per appoggiarvi sopra le pietanze mentre ci si trovava seduti sul “Triclinio”, sorta di divano su cui si mangiava da coricati. In oriente, invece, i tavoli vengono da sempre costruiti bassi, quasi a terra, in modo da essere adoperati senza sedie, accovacciati a terra o in ginocchio. Quello moderno e “occidentale” rimane però probabilmente la forma di tavolo più comune da trovare adesso sul pianeta. Non a caso il tavolo “per antonomasia” è considerato da sempre il cosiddetto “fratino”, costantemente ridisegnato nei secoli fino ad arrivare al bellissimo tavolo di Michelucci, risalente alla prima metà del ‘900, esempio lampante di quanta importanza può assumere il design nella costruzione di un mobile.
Pur nella sua estrema semplicità il tavolo è dunque sempre da considerarsi un “progetto” piuttosto complesso, nonostante l’idea di base paia quasi banale; A maggior ragione quando si parla di tavoli da cucina, campo di interesse che, a dir poco, è stato capace di togliere il sonno a ben più di qualche famiglia.
Il tavolo da cucina: Caratteristiche generali.
Quando si parla di “tavoli da cucina” si intende con estrema precisione quel tipo di tavolo che nasce espressamente per essere utilizzato in cucina e non in un’altra specifica “zona Pranzo” della casa. Questa esatta distinzione nasce da problematiche prettamente funzionali. Un tavolo da cucina infatti, non è un tavolo qualsiasi: esso rappresenta quasi sempre un comodissimo piano di appoggio per chi si occupa della preparazione dei cibi, ma è anche il luogo “conviviale” intorno a cui la famiglia si riunisce (specialmente a cena) e che diventa per questo il “suggello” di un ambito molto intimo in cui ancora è possibile parlare, discutere e, soprattutto, consumare i propri pasti in santa pace. Un oggetto dunque che raccoglie i momenti più importanti della giornata, prolungandoli nei lievi fraseggi della sera. E’ evidente perciò che, per essere considerato tale, un tavolo da cucina debba possedere delle caratteristiche assai definite.
A parte quelli estetici, infatti, sono svariati i fattori da considerare per l’acquisto di un tavolo da cucina, a cominciare da quelli legati alle esigenze di spazio. Il primo elemento da valutare è l’ingombro, che deve essere rapportato alle caratteristiche dimensionali della stanza o della zona della cucina destinata al pranzo: un modello troppo piccolo o troppo grande, non solo risulta poco funzionale, ma può rompere l’equilibrio compositivo dell’intero ambiente. Partiamo dunque sempre innanzitutto dalle misure e facciamolo considerando per primo un concetto abbastanza semplice che può quasi apparire quasi disarmante nella sua ovvietà, ma che è di basilare importanza: se in una casa è necessario predisporre uno spazio in cucina da destinare alla consumazione dei cibi, vuol dire che, con tutta probabilità, non si possiede un’abitazione sufficientemente grande in cui sia possibile adibire una vera e propria sala da pranzo. In realtà questo non è sempre vero, soprattutto perché la “cucina” -nel senso di “arte culinaria”- è diventata recentemente una pratica che è molto di moda condividere con i propri commensali. Nella maggior parte delle case però questo non è molto facile da realizzarsi: le stanze adibite a cucina sono piccole, spesso combaciano con la “zona giorno” della casa e mal sopportano di essere occupate da numerose persone. Eppure si tratta di una necessità sentita dalla maggior parte delle famiglie che, non a caso, prediligono per la cucina dei tavoli che abbiano dimensioni piuttosto contenute. Le misure tipiche di una tavolo da cucina variano infatti solitamente (almeno in Italia), da un minimo di 110 x 70 cm ad un massimo di 160 x 90 cm. Esistono ovviamente anche tavoli più piccoli e più grandi, ma quelle che la moderna industria del mobile produce nella stragrande maggioranza dei casi, sono le misure che si trovano all’interno di questo intervallo. A tale proposito è bene ricordare che ciascun posto a tavola “apparecchiato”, considerando anche lo spazio necessario per sedersi e poter muovere le braccia, richiede almeno 60 cm, che possono essere ridotti, solo in casi davvero eccezionali (il classico pranzo coi parenti, insomma), fino ad un limite minimo di 50 cm. Vedremo in seguito come queste misure “vitali” influiscono sulle dimensioni dei tavoli da cucina. Circa le loro forme, è evidente a giudicare dalle loro misure più comuni che il tavolo “rettangolare” è di gran lunga il preferito in cucina; In verità, come vedremo, esistono anche tavoli tondi, quadrati ed ovali che nascono specificatamente per essere posizionati in questo luogo, ma la forma più comune da trovare per tali ambienti è senza dubbio quella rettangolare. Ciò è dovuto con tutta probabilità alle dimensioni delle stanze e agli spazi che è possibile ricavare al loro interno per alloggiarvi la zona “pranzo”. Tant’è vero che sono sempre più comuni quelle situazioni in cui, proprio per le dimensioni contenute delle stanze, si preferisce avvicinare il tavolo al mobilio della cucina fino a farne diventare parte integrante.
La difficoltà dimensionale che si trova di frequente nell’inserire nelle cucine il tavolo da pranzo ha portato i produttori a “rieditare”, quasi all’infinito un modello di tavolo che si era diffuso in Italia durante il diciannovesimo secolo: il cosiddetto “tavolo allungabile”. Se ne trovano modelli di quell’epoca delle più disparate fatture, quella però che ha inciso maggiormente nell’evolversi di una certa tipologia stilistica di tavolo da pranzo è quella che ha trovato la sua primissima origine nell’area rurale che si trova a cavallo fra Emilia Romagna e Toscana. E’ stato infatti in queste due regioni che si è andata sviluppando l’abitudine di fornire il tavolo familiare (che anche a quell’epoca era l’unico in casa, non per ragioni di spazio, bensì economiche) di due “allunghe” che, sottostando al piano principale, potevano essere estratte al bisogno, in modo da potervi ospitare anche i parenti o i colleghi che durante l’anno si avvicendavano presso il gruppo familiare durante le operazioni agricole più importanti come la “battitura” e la “vendemmia”. Tale sistema di estrazione ha poi portato, specie a partire dagli anni ’60 del Novecento, ad un vero e proprio “proliferare” di tavoli da pranzo allungabili che, specialmente in Italia, hanno consentito a migliaia di famiglie di poter contare su di un tavolo che, pur di dimensioni a volte anche molto contenute, permette di espandersi al fine di potervi ospitare parenti e amici. Al giorno d’oggi infatti, la versione “allungabile” è senza dubbio quella maggiormente preferita e diffusa per quanto riguarda i tavoli da cucina. I sistemi di apertura, addirittura, spaziano adesso fra centinaia di differenti tipologie di modelli che possono contare su altrettanti tipi di allunghe.
Vi sono tavoli che si allungano sfilando lateralmente le cosiddette “giunte”, altri che permettono l’allargamento delle gambe ed il conseguente aumento della superficie sfruttabile come piano, ed altri che grazie a volte a complicatissimi meccanismi permettono al tavolo di allungarsi in maniera davvero inimmaginabile. Tutti i modelli nascono con il preciso scopo di poter offrire una maggiore comodità ai commensali, quando vi pranzano, oppure a permettere un maggiore utilizzo del piano di appoggio a chi vi deve cucinare. Quello che è importante nello scegliere questo tipo di tavoli è essere consapevoli del fatto che si tratta di un mobile “complesso” che a causa delle sue caratteristiche deve per forza possedere delle qualità intrinseche che per un tavolo “fisso” non sono necessarie. Un tavolo allungabile deve essere difatti costruito in maniera che, anche una volta allungato, esso mantenga le proprie caratteristiche di solidità e robustezza; deve essere comodo anche una volta aperto, e deve essere facilmente allungabile senza che la “massaia”, o chi per essa, non debba esercitarsi in complesse discipline circensi ogni qual volta si trova a dover allungare il proprio tavolo. Tutti questi fattori, non sono facili da ottenere e a volte necessitano di un design meticoloso e di sistemi produttivi estremamente “avanzati” che portano il tavolo allungabile a costare spesso molto di più di un semplice tavolo fisso.
La forma dei tavoli da cucina (quindi il loro design), è dunque molto accurata e perfettamente delineata: quattro gambe -poste più o meno agli estremi perimetrici di un piano dalla forma e dalle dimensioni variabili- compongono un volume del tutto simile ad un animale quadrupede. Il perché di quella che qualcuno considera una monotona forma compositiva è riassumibile in una sola parola: funzionalità. In verità, anche in merito alla forma, esistono anche tante altre versioni che esulano dalla tradizionale conformazione a 4 gambe. In queste pagine le vedremo e capiremo per ognuno dei modelli descritti quali sono le peculiarità salienti per le quali sono preferibili gli uni agli altri. Quello che è importante capire in questi casi è che, a differenza di ciò che avviene per i tavoli da soggiorno o sala pranzo, quando si parla di tavoli da cucina, si parla di oggetti che devono avere nella praticità di uso la loro maggiore caratteristica. Anche perché sarebbe altamente sconveniente altrimenti posizionare in cucina un tavolo che non presenti tale attributo.
Anche a proposito del loro “colore” i tavoli da cucina presentano delle loro peculiarità del tutto particolari. In questo caso la problematica sta proprio nel fatto che il tipo di tavolo in questione, essendo per sua stessa natura solitamente accostato ai mobili di una cucina, deve per forza possedere dei richiami che in qualche modo, consentano ai colori di tutta la mobilia esistente nella stanza di coesistere senza creare distonia. Vi sono arredamenti in cui il richiamo è pressoché totale, e sono quelli in cui il tavolo viene completamente costruito addirittura con lo stesso materiale e lo stesso colore della cucina a cui esso è abbinato. Vi sono invece casi in cui questa sorta di abbinamento è completamente assente, e si opta dunque per coordinare in modo armonico materiali e colori completamente differenti, ma capaci di coesistere per “tono” o per gamma cromatica. Vi sono poi casi (e sono attualmente i più comuni) in cui si decide di coordinare i materiali della cucina e del tavolo fornendo quest’ultimo della stessa tipologia di piano di lavoro (top) con cui è ricoperta la cucina e si provvede a colorare le gambe con un tono attinente a quello delle ante della stessa mobilia.
Lo stesso identico discorso lo si può fare anche in merito a tutti gli altri materiali con cui è conveniente realizzare un tavolo da cucina. Oggi giorno, per fortuna, vi è un assortimento così ampio di prodotti, che è davvero difficile non trovare quello che ci aggrada o quello che è più conveniente utilizzare nella nostra cucina in quanto a colore e praticità. Un tempo non era così: il tavolo da cucina era essenzialmente in legno e quando era economicamente possibile, lo si forniva di un comodo ed igienico piano in marmo. Oggi invece si può spaziare dai laminati ai melaminici, dai quarzi alle ceramiche, dai vetri laccati a quelli trasparenti e così via, in un crescendo di scelta che talvolta addirittura imbarazza e disorienta. Per aiutarsi basta pensare all’utilizzo che andremo a fare del nostro tavolo in cucina e tutto ci sembrerà probabilmente più chiaro. Del resto, ognuno di noi, se anche non sa cucinare, sa bene cosa deve sopportare un tavolo che viene utilizzato a questo scopo, come sa altrettanto bene quali sollecitazioni potrebbe essere sottoposto lo stesso tavolo quando ci si trova a pranzarvi o cenarvi sopra.
Un ragionamento a parte, lo merita invece l’abbinamento delle sedie, le quali (specialmente in cucina) non devono essere necessariamente coordinate con il tavolo. E’ assolutamente opportuno verificare che, per forma ed altezza, le sedie siano compatibili con esso, in modo da essere comodamente inserite sotto al piano del tavolo quando ci si siede (25/30 cm sono necessari fra piano e seduta), ma per quanto riguarda colore e materiale, questo abbinamento può davvero essere l’occasione per sbizzarrirsi con la fantasia, specie quando stiamo parando di oggetti moderni, o comunque contemporanei. Il discorso è un po’ diverso quando si parla di mobili “classici” o comunque “in stile”. In quel caso, infatti, un minimo di coordinamento stilistico è necessario, soprattutto per evitare che di trovarsi di fronte ad abbinamenti di foggia o di colore capaci di creare distonie nella stanza ove sono posizionati.
Dunque forma, colore, materiale, design e dimensioni, tutto concorre nel mettere insieme un oggetto che deve essere di per se assolutamente bello (e ci mancherebbe che fosse il contrario!!) ma sopratutto utile. Lo scopo di questo articolo è quindi quello di chiarire il più possibile quelli che sono i giusti criteri di scelta di un tavolo da cucina, inserendoli in precisi parametri che possano risultare utili a tutti coloro che si apprestano a fare un acquisto di questo tipo.
Il tavolo da cucina moderno in legno
E’ stato per interi decenni uno dei veri e propri “best sellers” della categoria. Del resto, il materiale in cui esso è realizzato permetteva (e permette tutt’ora ) un abbinamento pressoché perfetto con quella che era una tipologia di cucine fra le maggiormente preferite: la cucina “classica in legno”; per questo il tavolo in legno era fino a poco tempo fa un modello fra i più diffusi in assoluto. Adesso che quel tipo di arredo è un po’ sceso nelle classifiche di vendita, permane però l’abitudine di fornire anche le cucine più moderne con uno splendido tavolo realizzato completamente in legno. Si potrebbe quasi dire che questo tipo di tavolo è come se fosse nel DNA stesso delle “italiche genti”; chi non è più molto giovane ricorderà infatti con piacere il vecchio tavolo in legno che era presente un tempo in ogni casa colonica e in ogni cucina degli appartamenti di città, fino all’avvento della “Formica” durante gli anni del boom economico.
E’ dunque forse questa forma di “nostalgia” che in taluni casi conduce ad acquistare tavoli di questo tipo, anche quando si è in presenza di arredi estremamente moderni. Le caratteristiche di questo tavolo, si prestano d’altronde perfettamente ad essere coniugate con l’uso che si può fare di un tavolo da cucina; e anche se alcune sue specifiche caratteristiche lo rendono un po’ meno “pratico” di alcuni tavoli realizzati con il piano di laminato o di vetro, rimane il fatto incontrovertibile che il tavolo da cucina in vero legno è uno dei più bei oggetti d’arredo di tipo “funzionale” che possa essere inserito in una casa. Sì, è vero, il suo uso deve essere per forza differente da quello che si fa di tutti gli altri tipi di tavoli, ma quando si decide di accostare la propria cucina con una di questi oggetti si è quasi sempre certissimi che il risultato finale sarà eclatante.
Di tavoli in legno ce ne sono centinaia di tipi. Ne esistono di ogni forma, essenza e colore. Soltanto nella collezione “La Casa Moderna ” ve ne sono oltre 40 modelli, moltiplicabili a loro volta per misura, per forma, per tipologia di legno e per colore.
Quello fotografato in queste foto, ad esempio, è un tavolo di produzione italiana “classica” il cui stile richiama infatti in parte, i tavoli di un tempo molto remoto, ed in parte si rifà alla tradizione stilistica del più importante periodo di espansione del grande design europeo del Novecento. La sua forma è rettangolare, le sue gambe, sottili e rastremate, conferiscono a questo tavolo una specie di sua “dinamica” intrinseca che gli consente di essere apprezzato sia da chi ama le linee pulite del post razionalismo, sia da chi stima le calde peculiarità del legno e le caratteristiche decorative legate al suo aspetto irripetibile e affascinante. Dal punto di vista tecnico si tratta di un oggetto che si basa sulla qualità di un solido telaio in alluminio (quello che si intravede in questa foto, in basso, a sostegno del piano) che serve sia da struttura, che da meccanismo di scorrimento e apertura. Oltre a questo vi è anche una funzione aggiuntiva (che ritroveremo in molti altri tavoli da cucina rappresentati in questo articolo) che è quella di “contenitore” per le giunte. Le cosiddette “giunte” (nome gergale con cui si indicano di solito le prolunghe dei tavoli), sono dei pezzi rettangolari di piano che servono per “allungare ” la superficie del tavolo quando si hanno ospiti o si necessita di un maggior piano di lavoro. In questo caso specifico, il tavolo in questione è disponibile nelle misure di 142×85, 157×85 e 167 x 85. A queste dimensioni, nelle versioni allungabili di questo modello, è possibile aggiungere una o due giunte di 40 cm ciascuna, giunte che, come dicevamo, possono però essere tranquillamente racchiuse all’interno del telaio di alluminio quando il tavolo è in conformazione “normalmente chiusa”. Stiamo parlando, per quanto riguarda questo modello, di un tavolo realizzato completamente in rovere, con il piano impiallacciato e le gambe in massello. Esso è disponibili in tre colori: la versione naturale, quella in tinta “carbone” e quella in rovere termotrattato, una particolare finitura che dona al legno un affascinante tono marrone scuro. La collezione La Casa Moderna è ricca di anche di questi oggetti così particolari e preziosi, che esulano normalmente da quegli che sono i soliti canoni riguardanti i tavoli da cucina, ma che sono ampiamente apprezzati da chi ama avere in casa anche oggetti unici e particolari.
Il tavolo da cucina con le gambe in metallo
Caramboliamo, saltando dall’estetica naturalezza del tavolo in legno per arrivare all’estrema funzionalità del tavolo da cucina con le gambe in metallo, quasi certamente il modello più venduto per questa tipologia di prodotto. Anche in questo caso si tratta di un oggetto che si può trovare nelle più svariate forme e nelle più diverse varianti di colore e di materiali. Sì, perché a differenza del tavolo in legno precedentemente descritto, quest’ultimo tipo di tavolo presenta una caratteristica unica e perfettamente definita: quella di essere composto da materiali diversi, per il piano e per le gambe. Solitamente di aspetto esile e leggero, questo modello è per lo più realizzato fissando delle specie di “u” rovesciate (le coppie di gambe) agli estremi di un telaio che ne costituisce la struttura e consente l’alloggiamento del piano soprastante. Anche questo modello, come molti altri adatti ad essere posizionati in cucina, esiste sia in versione fissa che allungabile e in quest’ultimo caso si può estendere allargando la gambe e aggiungendo al piano delle comode prolunghe opportunamente fissate al telaio di sostegno.
Si tratta essenzialmente di un prodotto pratico e funzionale che unisce però queste sue caratteristiche ad un design molto accurato e nel contempo semplice, il quale lo rende inseribile in pratica in ogni modello di cucina moderna. Del resto è facile immaginare di mettere un tavolo così elegante e lineare in una cucina moderna; le quattro gambe poste agli estremi (che spesso rimangono agli estremi anche in versione allungata) rendono infatti il tavolo facile da utilizzare e da spostare.
I commensali possono pranzarvi comodamente senza avere fastidiosi ingombri fra i piedi e la posizione del tavolo nella stanza può essere facilmente cambiata senza eccessivi sforzi. La leggerezza dell’oggetto in se e delle sue linee estetiche non deve però trarre in inganno: Quando un tavolo di questi è effettivamente di buona qualità, la sua robustezza e solidità è tale da poterlo rendere davvero un valido alleato anche nella fase di preparazione dei cibi. Le gambe in metallo, garantiscono infatti una tenacia innata ed una resistenza alle sollecitazioni che è possibile riscontrare in pochi altri materiali, almeno in ugual misura. Quando si parla di resistenza dei tavoli da cucina, siamo costretti però a parlare sopratutto di “piano” e più specificatamente del materiale con cui esso è realizzato. Sotto questo punto di vista il tavolo allungabile in metallo presenta delle caratteristiche ideali dovute per lo più alla sua estrema versatilità. Prendiamo ad esempio il modello qui fotografato. Si tratta di uno dei tantissimi modelli della collezione “La Casa Moderna” che permettono di abbinare ad un solido basamento in metallo, un altrettanto solido piano. Quest’ultimo però non è unico e fine a se stesso, ma può essere bensì scelto fra numerosissime tipologie di laminato, fra moltissime varianti di vero legno, fra altrettanti colori di vetro temperato e, da qualche tempo a questa parte anche da tanti colori di “vetro ceramica”.
Nella prima foto si vede infatti lo stesso tipo di basamento abbinato ad un sottilissimo piano in legno di rovere, mentre nella seconda, quello stesso basamento è accoppiato con un praticissimo piano in laminato color “Travertino” chiaro. L’uso del laminato come piano di lavoro per questi tavoli è senza dubbio uno dei più diffusi. D’altronde il laminato è un materiale resistente, perfettamente impermeabile, di facilissima pulizia e, dunque, di estrema praticità. La funzionalità del piano per un tavolo che deve essere utilizzato in cucina è un requisito fondamentale, e questo spiega il motivo del successo di questo popolare abbinamento fra materiali: il metallo per le gambe e il laminato per il piano. L’accostamento fra materiali così diversi permette infatti la produzione di tavoli che diventa semplice annoverare fra i veri e propri oggetti di design. Oggetti che però sono facilissimi da inserire in casa, soprattutto perché le loro linee sembrano quasi fatte apposta per essere abbinate con ogni tipologia di cucina moderna.
Basta porre in questo caso un minimo di attenzione agli accostamenti di colore. Una delle tendenze più in voga in questo momento è quella, ad esempio, che consiglia di abbinare il piano del tavolo con in “Top” della cucina, in modo da creare un coordinamento di colori e materiali. Non è affatto detto però che un abbinamento così preciso e rigoroso sia il migliore possibile: tant’è vero che sono altrettanto frequenti i casi in cui sono semplicemente i toni coordinati a determinare la miglior combinazione. Lo spessore sottile del piano e delle gambe determina infatti una situazione in cui è sufficiente spesso agire sulle differenti tonalità di colore che può presentare il tavolo per coordinarlo perfettamente con le componenti della cucina componibile (solitamente le ante ed il piano di lavoro), che vi si intende abbinare.
Il tavolo tondo allungabile
Croce e delizia di migliaia di famiglie, il tavolo tondo si conferma ancora oggi uno dei modelli di tavoli più desiderati ed ambiti, anche in cucina. La sua forma priva di angoli infatti, suggerisce un uso conviviale della superficie da pranzo che non è riscontrabile in nessun altro tavolo. Ciò è essenzialmente dovuto ad una certa sensazione di “intimità” che esso trasmette, la quale si basa, bene o male, sulla riduzione delle distanze fra i commensali. E’ come se la totale assenza di “spigoli” – di separazioni cioè “fisiche” fra un commensale ed un altro- consentisse un uso più rilassante e confacente a chi cerca nel tavolo da pranzo un luogo di familiarità e vicinanza. Il problema sta però nel suo posizionamento, il quale, nonostante ciò che pensa la maggior parte della gente, non è per nulla facile, specialmente quando si parla di cucina e quindi di spazi solitamente ristretti.
Del resto è facile immaginare un bel tavolo tondo al centro di un’ampia stanza, in cui non vi siano problemi di spazio o di passaggio, ma quello che avviene nelle cucine dei moderni appartamenti è di frequente molto diverso. Le stanze cucina sono infatti spesso rettangolari, di frequente sono strette e lunghe e necessitano il posizionamento del tavolo accostato al muro, nella parete priva di mobili che di solito sta di fronte alla zona cottura. Altre volte le stanze sono quadrate, ma anche in questo caso, pur avendo la possibilità di alloggiare il tavolo al centro stanza, risulta difficile che vi rimanga lo spazio per far si che un tavolo tondo possa esservi posizionato senza che chi vi si siede impedisca il passaggio degli altri commensali. Ciò è dovuto alla forma ovviamente stondata -e dunque “panciuta”- del piano del tavolo tondo, la quale fa naturalmente sporgere chi vi si siede rispetto alla posizione che lo stesso avrebbe sedendosi su di un tavolo quadrato o rettangolare. Il perimetro rotondo infatti, ha rispetto a quelli dritti dei tavoli quadri o rettangolari, questo tipo di problematica: riduce la superficie complessiva del piano, ma fa sporgere la persona che vi si siede, esattamente come se si trovasse seduto di fronte ad un tavolo quadro con il lato di misura corrispondente al suo diametro. Questa “nota dolente” risulta spesso difficile da far comprendere e digerire ai non addetti ai lavori, quindi è certamente importante fare un po’ di chiarezza in merito, anche per far sì che siano meglio comprese le dinamiche che devono precedere la giusta scelta di un tavolo da pranzo per cucina. Come abbiamo detto, per capire a pieno questo concetto è necessario pensare a come un tavolo tondo, con i commensali seduti, occupi più o meno lo stesso spazio che impegnerebbe un tavolo quadrato con i lati uguali al diametro stesso del corrispondente tavolo tondo. Un tavolo di 120 cm di diametro, occupa dunque lateralmente lo stesso identico spazio che prenderebbe un tavolo quadrato di 120 x 120 cm, e non (come qualcuno pensa) quello che impegnerebbe un tavolo quadrato la cui diagonale è 120 cm ! Questo semplice assioma geometrico è facilmente riscontrabile quando ci si trova a posizionare un tavolo tondo in luoghi stretti ed angusti. L’assenza degli angoli, infatti, anche se permette un più facile superamento degli ostacoli che sarebbero rappresentati dagli spigoli nel caso dei tavoli quadri o rettangolari, non consente però di superare altrettanto facilmente i commensali seduti allo stesso desco.
A meno che non si possieda una stanza molto grande, oppure dotata di pareti tonde o molto stondate, le ragioni per cui conviene scegliere un tavolo tondo, dunque, sono da trovarsi quasi esclusivamente nei motivi di “convivialità” indicati all’inizio, o in quelli prettamente estetici. Perché una cosa è certa: un tavolo tondo è quasi sempre esteticamente molto bello. La forma perfetta ed armonica del suo piano addolcisce qualsiasi architettura e, senza ombra di dubbio, contribuisce a rendere ogni ambiente più piacevole e confortevole. Per quanto riguarda la “praticità” poi, vi è da dire che ormai da qualche secolo, i tavoli tondi possiedono una serie di “escamotages” che ne consentono l’allungamento. In questo modo si risolve il problema atavico relativo ai posti a sedere intorno al tavolo tondo e, assolutamente da non sottovalutare, si rende in qualche modo “lineare” (e quindi più rettangolare) una ampia parte del suo piano. Quello fotografato in questa foto è, ad esempio, un tavolo della collezione “La Casa Moderna” caratterizzato dalla ampia disponibilità di finiture fra cui è possibile scegliere, sia il il tipo di piano in laminato che il colore delle gambe. Vi è poi un particolare sistema di apertura che permette (caso più unico che raro) di alloggiare all’interno del tavolo “esteso” ben due giunte, invece di quella singola che di solito è presente in questo tipo di tavolo (quando esso è in versione allungabile). Si tratta di un sistema che possiede una resistenza tale da sostenere il peso delle giunte e dell’apparecchiatura, senza il benché minimo cedimento. Un tipo di tavolo dunque che può far parte solo di quella categoria di prodotti altamente selezionati che entrano nelle nostre collezioni solo dopo dei severissimi test qualitativi. Perché per i negozi “la Casa Moderna” la qualità viene prima di tutto. Sempre…
Il tavolo rettangolare allungabile con doppie gambe centrali
Derivato addirittura dai tavoli fratini di antichissima fattura che ornavano i refettori dei conventi fin dal primo medio evo (da cui il nome “tavolo Fratino”), questo tipo di tavolo nasce come alternativa ideale a quelle che qualcuno ritiene le “monotone forme ” del classico tavolo da cucina “a 4 gambe”. I motivi per cui si sceglie questo tipo di tavolo sono quindi quasi sempre estetici e si individuano in quella metodologia di pensiero che predilige l’originalità rispetto alla conformità, anche e soprattutto nel design abitativo. La forma di questi tavoli, in effetti, differisce molto da quelli che siamo abituati a vedere in una cucina. Sì è vero, anche quest’ultimi sono dotati di piano e di gambe ed anch’essi, proprio come i normali tavoli da cucina, in versione allungabile vengono costruiti alloggiando addosso ad un telaio fornito di guide, un piano, delle giunte e delle gambe. La differenza sta però nella posizione di quest’ultime, le quali non vengono a trovarsi presso gli spigoli del tavolo stesso, ma sono bensì spostate verso il centro, in modo da lasciare il più possibile libero lo spazio direttamente sottostante il perimetro del piano. Un tempo questo “spazio” era quello necessario per far sì che i frati potessero accedere comodamente alle panche su cui si sedevano per pranzare, adesso invece viene lasciato in quanto la posizione centrale delle gambe, in questi modelli di tavoli, alleggerisce i loro volumi e li rende più originali e piacevoli alla vista.
Quello che molti non sanno è il fatto che questo tipo di tavoli possiede delle problematiche costruttive, a volte anche davvero molto complesse, le quali sono quasi sempre legate alla difficoltà di rendere stabile un piano che viene sostenuto dal proprio supporto sottostante solo nella zona centrale della sua superficie. Il problema di cui stiamo parlando è ovviamente quello del possibile “ribaltamento” che questo tipo di tavolo è soggetto ad avere qualora non sia costruito adeguatamente e con materiali di alta qualità. Il motivo è di per sé abbastanza lampante: se infatti un tavolo di questo genere non è solidamente fissato al suo supporto o seppure quest’ultimo non ha delle dimensioni adeguate a sostenere il peso del piano o del suo “sbalzo” una volta allungato, è ovviamente molto probabile che il tavolo sia soggetto a ribaltarsi, o ancora peggio a rompersi, durante il suo normale uso. Quelli delle collezioni “La Casa Moderna” sono invece tavoli di altissima qualità che sottostanno a dei severi test funzionali prima di essere posti in commercio. Tant’è vero che in moltissimi casi presentano la possibilità di essere forniti in versione allungabile. Quello della foto, ad esempio, possiede il piano e le giunte che è possibile scegliere fra numerose varianti di materiale e di misure. Nel primo caso si può vedere infatti in una elegante versione in legno, fornita di piani impiallacciati colore marrone scuro; mentre nella seconda immagine si può vedere lo stesso modello di tavolo (uno fra i tantissimi disponibili in Collezione) fornito con uno splendido piano in vetro-ceramica abbinato a delle giunte costruite con lo stesso materiale.
Per quanto riguarda le misure d questo tipo di modello è necessario un approfondimento. Si tratta in questo caso infatti di un “adeguamento dimensionale” che ha consentito di conformare alle misure attuali delle stanze, un modello di tavolo che era invece originariamente costruito per ambienti di gran lunga più grandi, in cui lo spazio disponibile non era quasi mai un problema. Oggi giorno invece ci si trova sempre più spesso a fare i conti con stanze (le cucine in particolar modo) che, proprio per le loro misure, sono da arredare con tavoli di dimensioni contenute. In questi casi vi è da tener presente il fatto che per i motivi suddetti questo modello di tavolo non può essere costruito in dimensioni troppo piccole perché, proprio a causa della sua forma particolare sarebbe soggetto a ribaltamento. Si potrebbe in teoria ovviare a questo problema ampliando le dimensioni del basamento, ma come ovvio, ciò comporterebbe un notevole impiccio per tutti quei commensali che si troverebbero a rischiare di sbattere i piedi o le proprie gambe, proprio contro quelle troppo prominenti del tavolo in questione. Per tutta questa serie di motivi il tavolo fotografato, come molti degli altri disponibili in collezione per questa categoria, è disponibile in misure che variano da un massimo di 210 x 90, fino ad un minimo di 140 x 90. Una buona scelta concernente questo modello di tavoli non può perciò prescindere da un’adeguata valutazione delle dimensioni del piano più adatta alla propria stanza, così come da un’altrettanto oculata scelta del basamento più adatto alla misura di piano che ci necessita.
Il tavolo da cucina raddoppiabile e triplicabile
Quando la tecnologia si unisce col design, ecco che nascono oggetti, belli da vedere, ma soprattutto capaci di cambiare la vita delle persone. E’ proprio il caso di questo eccezionale tavolo da cucina la cui più straordinaria caratteristica è senza dubbio quella di allungare la sua ampiezza, fino addirittura a triplicare la superficie del proprio piano.
Il suo design funzionale si basa in verità su di un concetto piuttosto banale e, fra l’altro, abbastanza comune quando si tratta di tavoli allungabili, cioè quello che unisce alla versatilità di un solido telaio di sostegno in metallo, la praticità di due ingegnosissime guide estensibili e telescopiche dette “a sfera”, perché agenti su dei cuscinetti. Il telaio formato dal perimetro sottostante il piano, contiene infatti nascosto dentro se una specie di “magico trucco” che permette ad entrambe le due coppie di gambe di “sdoppiarsi” e di allontanarsi dalla sua posizione originale, al fine di creare il supporto necessario per potervi appoggiare delle comode estensioni. Tali estensioni, o prolunghe, sono quelle che permettono di allungare il tavolo di 50, 100, 150, 200, 250 e 300 cm, fino dunque a triplicare la sua superficie complessiva. In un progetto così complesso è dunque abbastanza chiaro quanto possa contare il design complessivo dell’oggetto, affinché esso possa risultare in fondo, bello quanto pratico, senza mai tradire cioè la sua funzione estetica. L’escamotage adottato in questo caso dai progettisti è stato quello di proporre un tipo di gamba che, pur contenendo da tutti i lati del tavolo, un’altra gamba al suo interno, mantiene comunque un aspetto lineare e piacevole che non lascia assolutamente trapelare la valenza pratica del suo design.
Una volta chiuso in posizione normale infatti questo tavolo appare a tutti gli effetti come un semplicissimo tavolo da cucina, del quale è oltretutto possibile personalizzare sia il colore delle gambe che quello del piano. Quando però si presenta la necessità di allungarlo, ecco che il tavolo in questione riesce in pieno a esprimere le proprie estreme potenzialità, sia in termini funzionali che decorativi. Osservando queste foto è possibile infatti notare come il tavolo in questione sia capace di mutare la propria forma senza variare la propria valenza estetica. Vi sono poi proprietà pratiche che derivano comunque dalla qualità del design da cui dipendono. Fra queste vi è senza dubbio il fatto che le giunte che servono per estendere il piano, possono essere contenute nel cavedio che si trova in mezzo alle due guide telescopiche, quando il tavolo è in posizione chiusa. Quest’ultima, oltre ad essere una comodissima prerogativa, è senza dubbio anche un indice di grandissima qualità progettuale. E’ infatti altamente improbabile notare la presenza di questo vano se il tavolo è chiuso. La sua forma rimane snella, priva di orpelli, ed estremamente elegante: una “magia” che è possibile solo con prodotti di estrema qualità i cui materiali, brillano per resistenza e solidità. Tutta la parte sottostante il piano è realizzata in metallo verniciato con polveri epossidiche e disponibile in due colori: bianco e antracite. Il piano invece, così come le giunte, è costruito con pannelli bifacciali di laminato materico di alta qualità, per il quale è possibile scegliere fra ben 12 differenti tipologie di superficie e tonalità di colore.
Gli abbinamenti attualmente più in voga sono quelli che mettono insieme le tonalità della “terra” -come il marrone, il beige ed il grigio- al rassicurante aspetto del color antracite, ma nel caso si possegga una cucina componibile di colore bianco, è possibile abbinare anche al candido basamento disponibile per questo tavolo, uno dei tanti piani in assortimento al fine di ottenere il tavolo che meglio si accosta al resto dell’arredo. D’altronde l’importante è creare un effetto che si presenti nel suo insieme armonico e piacevole: a quel punto qualsiasi inserimento in casa, diventerà sicuramente facile. Il tavolo in questione è disponibile in due misure 140 x 85 e 180 x 100; moltiplicando queste due misure prima per le due tipologie di colore con cui è possibile avere le gambe e poi per le dodici varianti di laminati materici fra cui è possibile scegliere il piano, si arriva ad ottenere ben 48 differenti tavoli, tutti a sua volta capaci di allungarsi per 6 differenti misure. Un’infinita possibilità di personalizzazione che può apparire estremamente utile, specie in tutti quei casi in cui si ha la necessità di spostare il tavolo dalla cucina al soggiorno, durante i pranzi delle feste e in tutte le altre occasioni in cui capita di dover mettere tanta gente a tavola. Una funzione che non tutti i tavoli possiedono e che non mancherà di interessare soprattutto coloro che possiedono famiglie estremamente numerose, oppure tantissimi amici. Perché stare tutti insieme, specie in alcune occasioni “speciali”, è davvero la cosa più bella che c’è.
Questo particolarissimo modello di tavolo ci offre l’occasione giusta per parlare di un argomento molto sentito da chi si trova ad acquistare un modello da cucina: quello dei posti a sedere su cui è possibile contare. Per far questo, partiamo dal concetto che una persona seduta per muovere comodamente le braccia mentre pranza e avere la possibilità di alzarsi da tavola senza disturbare i commensali, necessita di circa 60 cm di spazio in larghezza, 60/70 cm circa di distanza dal tavolo e circa 45 cm di piano davanti a se. Questo significa che per un tavolo da 4 persone sarebbe necessario avere almeno una dimensione di piano di 120 x 80/90 cm. Il tavolo presentato in questa foto misura 140 x 85, ciò fa sì che ad un tavolo di queste dimensioni possano stare sedute fino a 6 persone, non al massimo della comodità, ma in maniera comunque abbastanza agevole. La persona seduta infatti può anche ridurre il proprio spazio occupato mentre pranza fino ad un minimo di 50 cm. Sommando dunque 100 cm per ognuno dei due lati lunghi (il corrispondente di due persone) ai quaranta cm che appena sono sufficienti per ospitare i cosiddetti “capotavola”, si raggiunge appunto la misura di 140 x 85. Ne consegue che la misura superiore (180 cm x 100) sia fatta apposta per ospitare tranquillamente otto commensali, cioè tre per ogni lato più i capotavola, e così via… Ognuna delle giunte che corredano il bellissimo oggetto d’arredo presentato in questo paragrafo, misura 50 cm in larghezza e ciò ovviamente suggerisce la possibilità di ospitare due ulteriori commensali per ognuna delle allunghe che si vuole aggiungere al tavolo, fino ad arrivare alla misura massima di 330 cm, pari ad un numero di 20 commensali.
Il tavolo tondo in vetro
Il costante riutilizzo di appigli stilistici provenienti dalla mitologia del design, recuperati e miscelati ad un nuovo prodotto, offrono sempre una lettura innovativa dell’oggetto in questione a cui riescono a dare quasi sempre un aggiornamento formale. Si tratta del “principio di variazione sul tema”, base naturale della logica del “progetto-oggetto”, evoluto in una serialità industriale matura che costruisce i propri mobili su premesse date e su racconti successivi che si rinnovano senza mai (nel migliore dei casi) negare il passato. E’ questo il caso del tavolo tondo in vetro, il quale, pur rifacendosi a canoni molto antichi, si eleva a innovativo prodotto di design, fin nel suo più piccolo particolare.
Si comincia dal piano, del quale perfino il suo nome (tavolo tondo in vetro) da subito denuncia un uso recentissimo di questo materiale -il vetro appunto- quale piano di appoggio e di lavoro. Questo materiale in effetti può essere utilizzato per questo scopo solo da tempi relativamente recenti, da quando cioè è stato inventato il procedimento detto “Tempratura”.
Il vetro temperato è un particolare tipo di vetro che viene industrialmente prodotto tramite un trattamento termico, detto “tempra”, nel quale una lastra di vetro, precedentemente tagliata alle dimensioni richieste e rifinita, è posta all’interno di un forno, che gli fa raggiungere la temperatura di 640 °C. Dopo di che essa viene raffreddata tramite dei potenti getti d’aria che abbassano rapidamente la temperatura dei suoi strati superficiali, che bilanciati dal calore che ancora contengono invece quelli interni, causa un indurimento repentino e permanente del materiale in questione. Il vetro temprato è infatti circa sei volte più duro e resistente del vetro normale, ma quando si spacca (magari proprio perché urtato da un corpo metallico pesante o da un altro vetro) la sua rottura causa la frantumazione della sua massa in molti piccoli frammenti. Per questo motivo, il vetro temperato è considerato “di sicurezza” e può essere tranquillamente usato come piano di lavoro: se si utilizzasse a questo scopo un vetro normale, esso infatti si romperebbe molto più facilmente e, fatto ancor più grave, in caso di rottura, anziché ridursi in piccoli frammenti potrebbe dividersi in grosse e pericolosissime schegge di vetro capaci di causare anche gravissimi ferimenti.
Come abbiamo detto, una volta temprato, un vetro non può subire ulteriori lavorazioni come tagli o ulteriori levigature perimetriche, però può essere verniciato oppure serigrafato. Il vetro verniciato (o laccato, come si dice in gergo) è un tipo di vetro in questo momento molto utilizzato nell’industria mobiliera specialmente per la produzione di tavoli.
I motivi di questa ampia diffusione stanno, prevalentemente, nella sua effettiva bellezza estetica e nel fatto, per niente trascurabile, di possedere i requisiti necessari per far si che sotto il suo spessore possano essere in qualche modo “nascosti” tutti quei supporti o meccanismi di scorrimento che, nel caso di un piano in vetro trasparente, rimarrebbero invece ovviamente “a vista”.
Il tavolo presentato in queste foto, ad esempio, ha il piano costituito da due semicerchi ognuno dei quali possiede un lato dritto lungo 120 cm. Una volta uniti i due pezzi formano dunque un unico piano rotondo del diametro di 120 cm, ma potendo scorrere su delle solide guide (proprio quelle nascoste sotto al piano), i due semicerchi posso allontanarsi fra di loro per far posto ad una piccola giunta piegata in due che, una volta aperta allunga il tavolo di ben 50 cm. Ciò significa molto semplicemente che i 120 cm di diametro che sono necessari per alloggiare dalle 4 alle 6 persone sedute intorno a un tavolo tondo, una volta forniti di una giunta lineare di 50 cm possono tranquillamente arrivare ad ospitare ben 8 persone. Questo è dovuto alla forma stessa del piano, il quale, essendo completamente privo di spigoli, permette di alloggiare più persone di quelle normalmente previste.
Anche in questo caso, come in altri che abbiamo visto anche all’interno di questo stesso articolo, l’alta qualità del prodotto è un requisito indispensabile per far si che un tavolo come questo possa davvero perfettamente funzionare, anche a distanza di tanti anni. Le guide metalliche sono realizzate in questo caso in ferro (ma ve ne sono anche in alluminio), per meglio supportare il peso del vetro e sono ancorate al basamento anch’esso in metallo, che serve da sostegno all’intera struttura, tramite delle robuste viti filettate. Interessantissimo, dal punto di vista estetico, è da considerarsi il design di questo tipo di tavolo, il quale presenta un unica gamba centrale formata da un reticolo creato da una numerosa schiera di tondini in ferro. Questi tondini, posti in posizione quasi casuale, donano alla struttura un’aspetto particolarmente leggero, ma allo stesso tempo anche solido ed elegante. Da notare anche l’abbinamento di colori che si è voluto inserire in questo progetto: un severo nero antracite che si sposa perfettamente con il candido bianco del piano del tavolo in vetro.
A proposito dei tavoli tondi in vetro è bene precisare che quando essi si presentano in versione allungabile, la giunta non è quasi mai realizzata in vetro, bensì in legno o laminato. Questo perché la giunta stessa, dovendo essere riposta nel vano che si crea fra le due guide scorrevoli, necessita di essere realizzata in un materiale che sia assolutamente leggero e maneggevole, come è appunto il legno.
Un ultimo ragionamento a proposito di questo modello di tavolo è obbligatorio farlo in merito alla sua possibile collocazione in casa. A differenza di molti altri modelli presentati in questo articolo infatti, si tratta in questo caso di un tavolo che grazie alla sua avvenenza ed alla sua prestanza, può essere indifferentemente inserito, sia in cucina che nel soggiorno. Si tratta insomma di uno di quei tavoli che può risultare particolarmente adatto a quelle cucine “open space” che hanno in comune il soggiorno e la cucina nella medesima stanza. Oppure per quei casi in cui il soggiorno e la cucina “comunicano” a distanza ravvicinata, magari tramite una finestra o un’apertura. Quello estetico è infatti un aspetto che diventa determinante quando si parla di soggiorno e di sala da pranzo. In una cucina, bene o male, l’estetica del tavolo che vi si inserisce ha la stessa valenza della sua funzionalità e della comodità d’uso. Nel soggiorno invece, l’estetica del tavolo assume un valore nettamente maggiore dovuto al fatto che quella stanza è quasi sempre il “locale di rappresentanza” quello cioè dove si ospitano gli amici o i parenti, che vengono a pranzo o a cena oppure che si accomodano sul divano per una semplice visita. Un altro caso per il quale è possibile osservare quanto il design, unito alla tecnologia, può creare oggetti belli, a volte unici nel suo genere, ma soprattutto utili.
Il tavolo da cucina rettangolare allungabile con il piano in laminato
Il tavolo da cucina deve essere scelto, come del resto tutti gli altri elementi che arredano questa stanza, secondo lo spazio che si ha a disposizione e la funzione che esso deve svolgere, e non, come capita invece spesso, perché si preferisce una forma piuttosto che un’altra. Per fortuna molte persone si rendono conto preventivamente di questo assioma ed è appunto questo il motivo per cui il tavolo rettangolare allungabile con il piano in laminato risulta sicuramente fra i primissimi posti in tutte le classifiche di vendita di questa categoria di prodotti.
Data però per assodata la grande comodità che presenta questa tipologia di piano in laminato (parleremo delle sue eccezionali caratteristiche più avanti in questo articolo), ci pare opportuno concentrarsi sul fattore dimensionale che è strettamente legato alla forma di questa specifica tipologia di suppellettile.
Una delle caratteristiche più gradite di questo oggetto sta senza dubbio nel fatto che il tavolo rettangolare può avere una forma più o meno allungata o allargata, a seconda delle necessità. La sua dimensione più comune risulta essere quella di 140×90 cm, una misura cioè leggermente più grande di quella necessaria per ospitare 4 persone (la quale sarebbe 120×80). Ciò è dovuto alla maggiore comodità che quei pochi centimetri in più in lunghezza e larghezza consentono. La diffusione e la popolarità di questo modello di tavolo ha però creato i presupposti per poterlo trovare in commercio più o meno in tutte le misure possibili ed immaginabili. Solo nei negozi La Casa Moderna è infatti possibile trovarne almeno di 30 misure differenti, oltre alla possibilità, presente in numerosi modelli, di essere addirittura realizzati su misura al centimetro. Molto spesso però la comodità, il comfort e la funzionalità, non dipendono solo dalle misure del tavolo, ma anche dalla corretta osservanza delle dimensioni “vitali”, che risultano indispensabili per muoversi in cucina senza dover effettuare contorsioni e per abitare senza disagio qualsiasi altro ambiente della casa. Uno dei casi più problematici che i clienti presentano ai nostri arredatori è, ad esempio, quello relativo alle misure minime che devono intercorrere fra il tavolo e il piano di lavoro della cucina, specie quando si trova nelle sue immediate vicinanze. Dato per assodato il fatto che i mobili da cucina sono solitamente profondi 60/65 cm, occorre calcolare uno spazio “di lavoro” che sia almeno di 60 cm davanti ad essi. Se in prossimità del piano di lavoro è da posizionare un tavolo, bisogna poi sommare a quei 60 cm almeno altri 60 cm, necessari per permettere ad una persona di star seduta al tavolo senza disturbare chi è intento a cucinare.
E se qualcuno deve passare fra le due persone, magari per recarsi al terrazzo o raggiungere il lavello che si trova in fondo alla stanza? Beh, in quel caso sono necessari almeno altri 50 cm vuoti, misura che porta ad una distanza minima di 170 cm, che deve necessariamente rimanere fra il bordo del tavolo e piano di lavoro della cucina . Vi sono però casi in cui queste distanze possono essere temporaneamente sovrapposte. Si tratta di quelle situazioni in cui, per esigenze di spazio, si decide di accostare il tavolo da pranzo alla parete di fronte alla cucina: se il tavolo è sufficientemente leggero e maneggevole esso potrà infatti essere spostato in avanti in occasione dei pasti.
In un ottica di ottimizzazione dello spazio, una delle caratteristiche più gradite dei tavoli rettangolari da cucina con il piano in laminato è senza dubbio la possibilità che moltissimi di questi tavoli hanno di poter essere allungati. Si tratta di un fattore non banale che determina spesso la riuscita, o meno dell’acquisto che ci si presta a fare, quando siamo alla ricerca di un tavolo da cucina.
La dinamica che porta a preferire questo tipo di tavolo è facile da immaginare: le case sono sempre più piccole, molto spesso cucina, soggiorno ed ingresso, coincidono nello stesso spazio aperto, sempre più difficilmente si possiede in casa lo spazio necessario per alloggiare due tavoli, uno da soggiorno ed uno da cucina. Vi è poi un fattore, relativamente recente che ha presupposti prettamente sociali. Un trend infatti molto diffuso da un po’ di tempo a questa parte è quello che porta i “padroni di casa” a far partecipare gli ospiti alle operazioni di preparazione dei cibi. Molte trasmissioni televisive infatti, stimolano questo tipo di convivialità ormai da diverso tempo e sdoganano la “cucina” (nel senso assoluto del termine) in casa, facendola uscire dai “cucinotti” o dalle vecchie stanze patriarcali in cui era stata delegata per qualche secolo. Pare dunque abbastanza chiaro il motivo per cui i tavoli rettangolari da cucina allungabili hanno così tanto successo. Siamo partiti qualche secolo fa con i tavoli dotati di prolunghe “a sfilare” che permettevano al piano di allungarsi dai due lati, lasciando in posizione normale le sue gambe ed il telaio a cui esse erano fissate, fino ad arrivare ad i moderni tavoli da cucina in cui (proprio come quello in queste foto), è il basamento stesso del tavolo ad allungarsi in modo da far posto alle giunte.
Questo sistema di allungamento possiede almeno due vantaggi. Il primo è relativo alla stabilità della struttura in quanto è ovvio che un tavolo risulti più stabile -specie se è lungo- quando le sue gambe sono posizionate agli spigoli estremi del suo piano. In secondo luogo poi, appare altrettanto chiaro come un tavolo che deve ospitare tante persone, risulti più comodo quando i commensali possono evitare di doversi trovare fra i piedi, le gambe stesse del tavolo. Senza contare la maggiore comodità che deriva dalla migliore possibilità di spostamento!! Si tratta, comunque, di meccanismi molto semplici che si rifanno però sempre al concetto di guida scorrevole che abbiamo già più volte citato, anche in relazione alla qualità dei materiali con cui esse debbono essere necessariamente realizzate per poter funzionare nel tempo con regolarità. Chi acquista questi modelli di tavoli non può dunque fare a meno di ricordare che maggiore sarà l’investimento che saremo disposti a fare nella qualità dell’oggetto che si sta acquistando, maggiore sarà la resa che da esso si potrà ottenere.
Il tavolo allungabile da cucina in laminato con basamento centrale
Può sembrare perfino paradossale, ma esistono anche delle vere e proprie leggende metropolitane a proposito di tavoli e sedie. Come ad esempio quella secondo cui un tavolo da cucina debba essere per forza brutto o comunque talmente scevro e banale da dover essere annoverato fra quella mobilia che non fa parte degli oggetti cosiddetti “di design”. Il tavolo da cucina invece è un importante prova di quanto a volte le leggende non abbiano alcun fondamento. Sì perché in questo caso stiamo parlando di un vero e proprio oggetto di design la cui ampia versatilità, consente anche configurazioni perfettamente adatte ad essere inserite in una cucina componibile.
Partiamo innanzitutto dalle misure disponibili: questo è un tavolo che parte dalla versione più grande, che misura 200 x 100, ed arriva alla misura più piccola la quale, guarda caso, corrisponde proprio a quella più comune per i tavoli da cucina cioè 140 x 90 cm. Il tavolo è disponibile oltretutto anche in versione allungabile, proprio come quello rappresentato in queste foto, ed è possibile averlo in numerose varianti di colore e materiale fra cui il laminato, uno dei rivestimenti più graditi e diffusi quando si tratta di tavoli da cucina.
Il laminato è a tutti gli effetti il materiale attualmente più in voga per qualunque mobile da cucina. Il motivo di questa diffusione sta principalmente nella sua indiscutibile resistenza e nella sua ottima resa estetica. Si tratta di un materiale che è prodotto applicando a dei pannelli di fibra di legno una lamina in resina melaminica di notevole spessore, capace di rendere la superficie del piano quasi inattaccabile.
Stiamo parlando infatti un materiale molto duro, resistente quindi ad urti e graffi, perfettamente impermeabile e che è possibile decorare fino a farlo assomigliare a qualsiasi materiale naturale, come il legno, la malta oppure la pietra. La sua grande versatilità permette inoltre un utilizzo pressoché illimitato in tutti quei casi in cui si necessiti di un materiale dotato di uno spessore non eccessivo, pur mantenendo invariata la propria indeformabilità. E’ senza dubbio dunque un ottimo prodotto con cui realizzare i propri piani da cucina. Figuriamoci quanto può essere risolutivo quando si tratta di rivestire il piano di un tavolo che potrebbe essere utilizzato anche per cucinare, oltre che per pranzare. Alcuni dei punti da verificare maggiormente quando si tratta di tavoli col piano in laminato sono la durezza del suo rivestimento e la qualità del bordo perimetrale. Circa il primo fattore è bene precisare che esistono in commercio diversi tipi di laminato.
Quelli chiamati in gergo “Melaminici” sono dei pannelli che vengono rivestiti con uno strato di resina un po’ più sottile e meno resistente, che per questo motivo hanno un costo inferiore. Quelli chiamati invece in gergo “Laminati” sono dei pannelli in fibra di legno rivestiti con una vera e propria lamina (dotata dunque di grande spessore) a cui è possibile donare addirittura un effetto “tridimensionale” come in quei piani che riproducono la venatura del legno o in quelli che riproducono le sembianze della pietra. Una volta tagliati a misura ognuna di queste tipologie di pannello necessita comunque di essere rifinita perimetralmente al fine di diventare un piano da cucina o da tavolo degno di questo nome. A tale scopo si usano delle fettuccie di resina che vengono applicate ai bordi del pannello tramite degli speciali procedimenti di incollatura. Anche in questo caso dalla qualità dei materiali utilizzati, dipende la maggior parte della riuscita o meno del progetto complessivo. Solitamente si riconosce un buon bordo per il laminato dal suo spessore: maggiore è lo spessore del bordo minore è la possibilità che esso si distacchi, o che si possano provocare rotture in prossimità di esso con l’andare del tempo.
Come abbiamo detto si tratta di uno dei numerosi modelli di tavolo da cucina presenti nella collezione “La Casa Moderna”, che si mettono in evidenza per il loro design, oltre che per la loro funzionalità. La versione allungabile presentata in queste foto, ad esempio, è una delle preferite dal grande pubblico perché caratterizzata dal fatto di possedere due comodissime giunte “a sfilare” che ne consentono un praticissimo utilizzo.
Tirando verso l’esterno queste due appendici sottostanti il piano infatti, si ottengono due robuste superfici aggiuntive di 50 cm di larghezza che permettono di ottenere un piano di appoggio di ben 240 cm per 90 cm. Si tratta di una misura da otto posti, che permette di ospitare fino a 10 persone a tavola contemporaneamente.
Questo sistema di apertura si confà perfettamente ai tavoli con il basamento centrale mentre, a volte, si rende poco adatto a quelli “a quattro gambe” per l’impiccio che le gambe del tavolo possono creare ai piedi dei commensali, quando il tavolo è completamente esteso. La comodità di uso è comunque dovuta principalmente alla qualità dei materiali con cui il tavolo è realizzato, i quali, nel caso specifico, permettono di ottenere un piano di così ampie dimensioni – oltretutto supportato da un unico basamento centrale- senza che sia assolutamente pregiudicata la sua stabilità e la sua resistenza.
Il fattore “solidità” è indispensabile da considerare quando si acquista un tavolo. D’altronde che senso avrebbe possedere un tavolo se non si fosse assolutamente tranquilli di poterlo adoprare in ogni occasione? Il rischio sarebbe di trovarsi, magari durante un bel pranzo di Natale in famiglia, a dover raccogliere tutte le stoviglie cadute rovinosamente a terra a causa proprio della rottura del tavolo, delle giunte o magari delle sue gambe.
Quello fotografato in questo paragrafo è un esempio di tavolo che è costruito intorno ad un possente basamento centrale realizzato in lamiera di ferro verniciato. Il suo peso è dunque direttamente proporzionato alle dimensioni dei piani che esso sarà chiamato a sostenere. Il problema di questo genere di mobile è infatti, talune volte, il suo possibile ribaltamento, per evitare il quale è assolutamente necessario che la base abbia un peso ed una stabilità sufficiente a sostenerne gli sbalzi anche quando il tavolo è completamente esteso. Si può verificare la stabilità e la solidità di un tavolo facendo pesare parte del proprio corpo su una delle estremità del piano. Non è però necessario che il piano supporti il peso di una intera persona, aggravato magari su di un solo suo lato, per essere giudicato stabile, è sufficiente che esso rimanga stabile ponendoci da un lato il massimo della propria forza verso il basso, controllando che esso non dia cenno di cedimento strutturale o di ribaltamento complessivo. Quando si acquista un tavolo allungabile è dunque sempre opportuno aprirlo e verificarne le caratteristiche di resistenza e solidità, senza dimenticare che, almeno nella stragrande maggioranza dei casi, il prezzo di un tavolo è direttamente proporzionale con la sua qualità costruttiva e dunque, con la sua durata e resistenza nel tempo.
Il tavolo da cucina col piano in vetro-ceramica
Nella continua ricerca di innovazione che accompagna da sempre il mondo dell’arredo, si è giunti con l’andare del tempo ad individuare dei materiali, via via più resistenti e performanti, adatti a costruire mobili fatti per durare nel tempo e sempre più utili all’uso che se ne intende fare. E’ questo il caso della vetro-ceramica, un materiale di recentissima concezione che è giunto sul mercato da qualche anno riscuotendo un immediato successo. I motivi della sua rapida diffusione sono essenzialmente legati a due fattori: quello estetico, grazie ai diversi aspetti che tale materiale può assumere a seconda della propria decorazione, e quello funzionale, legato alla grandissime doti di resistenza che tale sostanza possiede.
Stiamo parlando di un prodotto “composito” che nasce dall’unione di due materiali diversi che però hanno in comune numerose caratteristiche tecniche, ovvero il vetro (nella sua versione temperata) e la ceramica. Si tratta in particolare di un tipo di piano che viene prodotto in pezzi di basso spessore e che superficialmente può assumere diverse sembianze grazie all’unione fra due lastre (una di vetro temperato e una di ceramica). Quelli attualmente più in voga sono i piani che simulano l’effetto del Marmo,nelle sue più svariate sfumature di tono e di colore. Soltanto per quelli disponibili nelle collezioni di tavoli “La Casa Moderna” stiamo parlando di più di 20 differenti varianti che vanno dal Bianco del Calacatta Oro al Nero del Marmo Portoro. Tutte queste versioni seguono quello che è un trend, ultimamente molto in voga nel mondo dell’arredo, che ha visto un imponente ritorno delle pietre naturali e dei marmi quali materiali di rivestimento. Le differenze sostanziali fra un piano in marmo “vero” e uno in vetro ceramica, pur se molto simili esteticamente, sono squisitamente tecniche. Innanzitutto lo spessore, che nel caso della vetro-ceramica, è notevolmente ridotto e variabile dai 10 ai 15 millimetri. Tale spessore, particolarmente adatto ai piani dei tavoli, sarebbe impossibile da ottenere con una pietra naturale senza indebolire la materia stessa. L’accoppiamento invece che si ottiene unendo tenacemente insieme due strati, quello sottostante in vetro temperato e quello superficiale in Ceramica (o Gres porcellanato), fa si di ottenere una lastra molto compatta, che all’elasticità del vetro unisce la durezza e resistenza superficiale della ceramica. L’invenzione di questo materiale si è resa possibile da quando è iniziata la messa in commercio di uno speciale tipo di ceramica talmente duro e resistente agli urti e alla compressione da poter essere prodotto addirittura in spessori di pochissimi millimetri. La vetro-ceramica infatti, unisce solitamente ad uno spessore sottostante di vetro temperato alto 6 o 8 millimetri, uno superiore in ceramica spesso soltanto 3 o 4 millimetri. Tale spessore è sufficiente a far si che il materiale creato risulti resistente almeno quel tanto che basta da poter essere (incredibile ma vero) usato quale “tagliere”.
E’ proprio così: la Ceramica di ultima generazione che è stata creata appositamente per rivestire i piani di lavoro di tavoli e cucine, può addirittura resistere ai tagli delle affilate lame dei coltelli in metallo. L’unica cosa che può danneggiare infatti questo tipo di piano sono gli urti fortissimi, specie quelli causati da corpi metallici molto pesanti, come ad esempio i pentoloni da cucina col fondo molto spesso, oppure i coltelli in ceramica.sempre da cucina.
Il tavolo fotografato in questo paragrafo, è solo un esempio fra i tanti che sono disponibili in collezione. Esso presenta un basamento in metallo che può essere abbinato a diversi tipi di gambe e può essere verniciato in numerosi colori. Tramite questo “telaio di sostegno” il tavolo diviene allungabile quando si estendono le sue gambe attraverso delle guide metalliche. Ciò significa che con l’allargarsi delle gambe si crea lo spazio per inserire in aggiunta al piano una o più tavole da usare come “allunghe” (solitamente in melaminico) al fine di aumentare i posti a sedere disponibili per le “grandi occasioni”. Per quanto riguarda il piano di lavoro invece, nel caso si decida di acquistarlo in vetro-ceramica, esso è disponibile in 5 versioni differenti di tono e colore e con misure che partono dai 130 cm di lunghezza fino ad arrivare ai 160 cm. Dal punto di vista della finitura superficiale, la vetroceramica può presentarsi sia in variante lucida che opaca. La finitura lucida è molto elegante, ma si presta maggiormente per i soggiorni e per le sale da pranzo, quella opaca invece è un tipo di superficie più universale, che risulta perfettamente inseribile anche all’interno delle cucine. Quello che è sicuro in ogni caso è il fatto, incontrovertibile, che i tavoli in vetroceramica, pur avendo certamente un costo più alto di altre tipologie di tavolo, sono effettivamente molto belli ed eleganti. Un innovazione funzionale che ha finito per assumere una grande valenza estetica.
Il tavolo allungabile a capretta
Quando si parla di mobili moderni, salvo rari casi, è difficile parlare di “stile”. Sì perché indiscutibilmente il “Minimalismo formale”, con cui l’architettura “Razionalista” ha col tempo contaminato anche il design, ha definito un concetto così esatto di “stile moderno” da far apparire perfino superfluo qualsiasi altra classificazione di tipo estetico sulle forme che un oggetto contemporaneo possiede. Eppure vi sono dei canoni a cui qualsiasi designer, pur nel suo indispensabile lavoro di innovazione, è costretto a rifarsi. E’ questo il caso di questo tavolo, il quale ha delle linee che hanno richiami, sia in quello che è un remotissimo passato risalente addirittura al medioevo, sia ad un passato molto più recente che ha visto il lavoro di esimi designers quali, ad esempio, Arne Jacobsen o il nostro Giovanni Michelucci. Del resto, qualunque occhio esperto ed allenato nel campo dell’arredamento saprebbe riconoscere che non stiamo parlando che di un’evoluzione modernissima e quindi resa attuale, di un modello di tavolo che si poteva già ritrovare addirittura nei refettori di molti dei conventi che erano sparsi per l’intera Europa a partire dal ‘200. L’attualizzazione non è stata però solo stilistica (da notare a questo proposito il perfetto abbinamento fra le gambe “Industrial”, “rivisitate” in quanto realizzate in metallo nero stondato, ed il colore naturale del piano), ma soprattutto funzionale.
Del resto ormai tutti sono consapevoli del fatto che l’architettura moderna degli appartamenti rende spesso difficile l’inserimento in casa, non solo di una vera “sala da pranzo”, ma anche addirittura del solo tavolo da pranzo all’interno del soggiorno. Chi ha spazio sufficiente in cucina e viceversa non ne ha magari in salotto, si ritrova molto spesso dunque a “trasferire” il tavolo di cucina in soggiorno, in modo da poter ospitare amici e parenti durante le occasioni conviviali più importanti. E’ un uso informale, ma quanto mai pratico, che ormai si fa di molti degli arredi che decorano una casa, i quali sono chiamati sempre di più a svolgere funzioni diverse a seconda del momento della giornata, delle specifiche occasioni e delle necessità contingenti.
Il tavolo in questione è quindi espressamente destinato a chi, non avendo spazio in salotto, desidera possedere in cucina un tavolo (magari abbastanza piccolo, visto le misure delle odierne stanze), che si possa però comodamente spostare in soggiorno e allungare, fino a poter ospitare un grande numero di commensali. Per ottenere questo si è optato per l’uso di un meccanismo su guide metalliche scorrevoli di semplice funzionamento, ma dalle qualità tecniche eccezionali. Tale meccanismo si trova all’interno del piano, il quale è realizzato tramite una sorta di “scatola” in laminato -dotata di un notevole spessore- che dividendosi al centro permette di allargare lo spazio presente fra le gambe, creando nel contempo, l’appoggio necessario a potervi inserire delle giunte. Un meccanismo, dunque, se si vuole anche abbastanza “banale” nel suo funzionamento, ma che rende sufficientemente l’idea di quanto sia necessario investire in “qualità” quando si tratta di produrre, commercializzare o semplicemente acquistare un prodotto con queste caratteristiche.
Il perché è abbastanza evidente: proviamo ad immaginare cosa succederebbe se un tavolo con queste fattezze non fosse realizzato con una qualità sufficiente a sopportare lo sforzo che è chiamato a sostenere specie quando è completamente allungato. Una rovina, che certamente non varrebbe neanche un euro dei soldi eventualmente risparmiati in un equivalente prodotto di scarsa qualità. Questo discorso ci porta direttamente a parlare delle caratteristiche tecniche del tavolo e delle sue prerogative in termini pratici. Si tratta, nello specifico, di un tavolo che è disponibile in due misure: 160×90 e 190×100. Dato per assoldato il fatto che la misura più adatta per essere alloggiata in una cucina è senz’altro la più piccola, si può considerare che con queste dimensioni sia possibile ospitare comodamente intorno al tavolo (quando è chiuso) fino a 6 commensali.
Nel caso si necessiti però di ospitare più persone, l’allargamento delle gambe del tavolo permette di alloggiarvi fino a ben 4 prolunghe. Ogni singola prolunga misura 40 cm, ciò significa che avremo dunque la possibilità di disporre a seconda delle necessità, di un tavolo di 200×90 (sufficiente per ospitare fino a 10 commensali), oppure di un tavolo di 240 x 90 cm (che può ospitarne fino a 12, stretti), di uno di 280 cm da 14 persone e di uno da ben 320 cm che consente di ospitare 14 persone, ma che in casi eccezionali può alloggiarne anche 16. E’ facile a questo punto capire anche il perché, un tavolo da cucina con queste caratteristiche, è più semplice da utilizzarsi in uno spazio più grande e aperto, quale di solito è il soggiorno, piuttosto che in uno normalmente più ristretto come una cucina. D’altronde vi è da dire che si tratta di un oggetto che nasce appositamente a questo scopo, anche in relazione ai colori ed alle finiture con cui esso può essere realizzato. Le sue gambe, ad esempio, sono disponibili in due colori, il bianco e nero, ma sono verniciabili eventualmente a piacere con un piccolo sovrapprezzo.
Il suo piano che, come abbiamo detto, viene realizzato in laminato, è invece disponibile in ben sette tonalità di color legno (dal “naturale” al “rovere Carbone”), 4 tipi di laminati effetto-malta, pietra o cemento e infine 3 fra i toni di colore “unito” più attualmente in voga: il bianco, il canapa (o madreperla) e l’antracite. E’ chiaro che tale assortimento di varianti è stato reso disponibile proprio per rendere ovviamente più facile ogni abbinamento si intenda fare con i propri mobili della cucina; a questo proposito è sempre però bene non dimenticare, che l’accostamento ideale che si può fare fra un tavolo da cucina e la relativa mobilia, non passa necessariamente dalla “ricopiatura” esatta e rigorosa dei materiali presenti nella cucina componibile, quanto piuttosto da un “coordinamento”, stilistico e concettuale, che punti più ad una giusta connessione fra materiali differenti anziché ad un blando e banale tentativo di plagio.
Sono proprio questi i casi in cui dei professionisti dell’arredo come quelli presenti nei negozi “La Casa Moderna” possono fare davvero la differenza, perché sapranno consigliare sempre al meglio gli accostamenti più giusti a seconda degli arredi esistenti, dei colori e dei materiali presenti in stanza e dello spazio che si possiede, a tutti coloro che si apprestano ad effettuare uno degli acquisti più intimi e personali di ogni famiglia, ovvero il proprio tavolo da pranzo.
Il tavolo da cucina in vetro trasparente
E’ lecito pensare che non vi sia un oggetto più capace di creare la pace e la perfetta condivisione familiare di quanto lo è il tavolo da cucina.
Sì perché il tavolo da cucina, a differenza di quello posizionato in soggiorno e, forse ancora di più, di quello che si trova nella vera e propria “sala da pranzo” (per chi ha la fortuna di averla) rappresenta l’assoluto luogo simbolo dell’intimità familiare. E’ infatti la cucina il luogo ideale dove solitamente la famiglia si riunisce per pranzare ed è lì che si accolgono gli altri eventuali ospiti, ma solo se sono degli amici molto intimi o dei parenti stretti. Questo tipo di ragionamento è quello che ha portato molto spesso a pensare che il tavolo da cucina dovesse essere sopratutto un oggetto di uso quotidiano, pensato innanzitutto per essere pratico e comodo, senza lasciare troppo spazio ai criteri estetici o alle “sirene” del design, italiano o internazionale. Per fortuna, da un po’ di tempo a questa parte, vi è invece una scuola di pensiero che predilige il design e la bellezza anche per oggetti di uso comune quale è, appunto, il tavolo da cucina. E’ per questo motivo che si è finalmente iniziato a pensare che un tavolo da cucina potesse possedere tutti i requisiti pratici necessari per essere posizionato in quella stanza della casa così speciale, pur strizzando l’occhio all’estetica delle linee ed al suo design complessivo. All’interno di questa nuova tendenza si colloca a pieno diritto il tavolo presentato in questo paragrafo, il quale, pur possedendo delle caratteristiche estetiche tali da poter essere inserito tranquillamente anche in un soggiorno fra i più eleganti e raffinati, è stato ideato per poter essere usato anche in qualsiasi cucina. La sua gamma infatti comprende sia le misure grandi da soggiorno, come il 200×100 cm, che quelle piccole da cucina come il 140×90.
Tutti i tavoli compresi in questo tipo di modello possono essere poi allungabili. Come ad esempio quello della foto, che è dotato di due prolunghe “a sfilare” di 40 cm ciascuna. Questa variante consente quindi ad un tavolo da cucina predisposto per 4 persone, di poterne ospitare fino a 10 con entrambe le giunte aperte.
Ma parliamo adesso della parte probabilmente più interessante dell’intero tavolo quella cioè del piano. Realizzato in un elegantissimo vetro trasparente temperato infatti, questo tavolo può essere tranquillamente annoverato fra i più belli e raffinati attualmente in commercio per le cucine. Un vero e proprio “Must” di eleganza che per qualcuno può apparire addirittura troppo esagerata per una cucina, ma che invece trova una perfetta collocazione in un oggetto che, come questo, possiede delle caratteristiche tecniche e funzionali tali da poterlo tranquillamente utilizzare anche per quello specifico locale della casa.
La domanda che emerge spontanea in questi casi da parte dei consumatori è sempre la stessa: “Sarà adatto un tavolo con il piano in vetro trasparente per l’uso intensivo che se ne fa in cucina? La risposta è senza dubbio “Sì”. Il cristallo infatti, almeno nella sua versione temperata, ha delle caratteristiche di resistenza meccanica davvero invidiabili e può essere certamente classificato fra le materie più dure e resistenti che vi siano in commercio. Il problema è solo l’uso che se ne fa; Sì perché un piano in cristallo, seppur temperato, necessita di alcune piccole accortezze dovute soprattutto (se non esclusivamente) ai piccoli graffi che un uso intensivo può produrre sulla sua superficie. Questo è un problema che interessa per la maggior parte i vetri trasparenti, non perché quest’ultimi siano meno resistenti di altri, bensì semplicemente perché su questi è più facile individuare visivamente le più piccole imperfezioni. Un discorso a parte riguarda gli urti. Un piano in cristallo temperato è infatti resistentissimo anche ai colpi più potenti, però se si urta un vetro di questo tipo con il fondo di una bottiglia in vetro piena o una pesante pentola dal fondo spesso, il vetro andrà certamente in frantumi. Onde fugare ogni dubbio a proposito, è bene chiarire un punto incontrovertibile: il vetro è senza dubbio più duro del legno, del laminato e di qualsiasi altro materiale si trovi sul mercato che non sia la vetro-ceramica. Tant’è vero che il cristallo viene spesso utilizzato negli uffici per coprire i piani dei tavoli e delle scrivanie in legno in modo da evitare a quest’ultime di graffiarsi con facilità.
Quindi qualunque preoccupazione circa la resistenza di un tavolo col piano in vetro è assolutamente priva di fondamento. Certo, se se ne vuole salvaguardare perfettamente integro l’aspetto, bisogna usare un po’ di attenzione. Come quella ad esempio di fornirlo di un piccolo centrino da inserire sotto un eventuale “centrotavola” in ceramica. O come quella di pranzare con una tovaglia grande(magari fornita di un leggero “mollettone” sottostante, in maniera da conservare gli spazi centrali del tavolo, ove verranno appoggiate le pentole, le pietanze o le (pericolosissime, in questo senso) bottiglie di vetro. Se si utilizzano queste piccole accortezze, potremo certamente mantenere in maniera perfetta il nostro tavolo col piano trasparente molto a lungo e se anche dovesse accadere la remota possibilità che vengano a crearsi dei piccolissimi graffi superficiali, bisogna comunque essere consapevoli che essi non pregiudicheranno comunque la bellezza complessiva dell’oggetto in se e la sua straordinaria funzionalità.
Il tavolo in stile “Rustico Moderno”
E’ sempre interessante quando si incontrano delle “fughe” dal rigore stilistico del design contemporaneo. Anche in questo caso siamo di fronte ad una sorta di “deviazione” dai canoni attualmente in vigore in fatto di stile, che ci porta di nuovo ad una sorta di “Reissue” (o riedizione, in italiano) di alcuni precetti formali provenienti senza dubbio da un remoto passato.
D’altronde, quando si parla di legno, ovvero della materia con cui da migliaia di anni si costruiscono mobili e suppellettili per la casa, è abbastanza facile ritrovarsi a ripetere linguaggi che qualcun’altro nel tempo ha già utilizzato. Il tavolo di cui parleremo in questo paragrafo fa parte infatti di quella categoria di prodotti che, senza tema di smentita, ha lo scopo di richiamare alla memoria dei criteri che si rifanno ad una tradizione produttiva specifica, che ha le sue radici sia nel informalismo artigianale della falegnameria “agricola” le cui opere ornavano le case coloniche italiane fino al secondo dopoguerra, sia ad una certa tipologia di arredo di provenienza scandinava (o comunque nord-europea) che è andata diffondendosi per tutto il continente specialmente ad opera di alcuni designers svedesi e danesi.
Innanzitutto parliamo del legno che è in questo specifico esempio di Rovere e non a caso, in quanto questo tipo di essenza è quella tipica di alcune ampie regioni del centro-nord europa in cui la pianta della Quercia, nasce ad un’altitudine tale da rendere il proprio legname molto chiaro ed uniforme sia nel colore che nelle venature. Dalla resistenza davvero notevole (superata solo da quella di poche altre essenze, come ad esempio il faggio), questo legname ha avuto un grande diffusione proprio in quanto si presta per il suo colore e la bellezza della sua venatura ad un ampio utilizzo nell’arredo. In questo tavolo il rovere è usato nella versione massiccia per la realizzazione dell’intero basamento e nella versione “lastronata” per la realizzazione del piano e delle giunte.
La lastronatura è un procedimento tecnologico simile all’impiallacciatura, grazie al quale è possibile ottenere dei pannelli di spessore ridotto che non subiscono le deformazioni tipiche del legno massello quando è ridotto in assi troppo sottili. Attraverso questo procedimento si producono delle “fette” di legname dello spessore di alcuni millimetri (di solito 2 o 3) le quali vengono poi applicate a dei pannelli in multistrato (materiale di per se già controbilanciato) in modo da ottenere una superficie dotata dell’estetica tipica del legno massello, perfettamente dritta e indeformabile, ma con uno spessore tale da poter essere utilizzata anche in casi come questi. Il tavolo in questione ha difatti il piano che nella versione da cucina può misurare dai 140 x 90 cm fino ai 160 x 90 cm, ed ha uno spessore di 2,5/3 cm circa. Le gambe, realizzate come abbiamo detto in massello, come tutto il resto del basamento, sono formate da dei possenti parallelepipedi in legno, fissati a loro volta ad un telaio perimetrico diviso in due parti, le quali possono scorrere l’una sull’altra. Questo sistema di scorrimento permette dunque alle gambe di allontanarsi fra loro, creando lo spazio per poter appoggiare, accostandole al piano, una o due comode prolunghe. In posizione di “riposo” queste allunghe (o giunte) possono essere riposte all’interno di un vano “segreto” ricavato sotto al piano, ma una volta inserite in posizione di lavoro consentono di poter aggiungere al tavolo fino a 4 ulteriori commensali. L’accostamento avviene incastrando le giunte (una o due a seconda del numero di commensali che abbiamo da aggiungere) fra il piano e la sporgenza creata dalle gambe in modo da stare perfettamente allineate col piano stesso. Le giunte sono infatti perfettamente sagomate in modo da combaciare con la forma del piano e la sporgenza delle gambe.
La finitura è un’altra delle caratteristiche tipiche di questo tavolo di cui è necessario parlare. I prodotti realizzati in stile “rustico moderno” non possono infatti prescindere da alcune specifiche peculiarità fra cui la finitura delle superfici, che deve obbligatoriamente presentare proprio quelle difformità che erano un tempo tipiche dei mobili rustici. A questo scopo, i mobili realizzati in questo stile, vengono sottoposti ad un processo di “invecchiatura” che prevedere un passaggio attraverso delle spazzole metalliche in grado di mettere in evidenza le venature del legno. In alcuni casi questa fase di “spazzolatura” viene addirittura preceduta da un altra, ben più laboriosa che viene detta “piallettatura”. Con questa procedura, quasi sempre realizzata a mano, il mobile viene lavorato con una pialla tradizionale allo scopo di riprodurre fedelmente le superfici che erano presenti nei mobili antichi, per realizzare i quali, ovviamente non veniva utilizzato alcun tipo di macchinario.
I tavoli in legno realizzati con questo sistema assumono una autorevolezza stilistica irripetibile, molto spesso resa ancor più evidente dal naturale contrasto che si crea in un mobile realizzato con design e criteri costruttivi prettamente moderni, ma costruito con materiali e finiture di antica memoria. A questo proposito è bene indicare tutti quelli che sono gli ambiti di possibile inserimento di questa tipologia di tavolo all’interno degli arredi di una normale cucina componibile. Si tratta infatti di un tipo di mobilia la cui spiccata personalità potrebbe spaventare chi si trova a dover fare delle scelte in tal senso. La prima cosa da fare in questi casi è sempre partire da ciò che si possiede (o che si ha intenzione di acquistare) a proposito di mobilia, per poi, in un secondo tempo decidere meglio l’inserimento del tavolo più adatto.
In questo momento, ad esempio, è molto in voga l’inserimento di alcuni richiami e inserti in legno, all’interno di cucine componibili prettamente moderne. Ecco, questo è il caso più tipico in cui l’abbinamento con un tavolo di questo tipo può essere particolarmente azzeccato. L’importante è essere perfettamente a conoscenza delle caratteristiche che questi inserti esistenti nei mobili da cucina hanno (quindi, tono, essenza, colore, finitura ecc.) e poi declinare queste informazioni nella più giusta scelta del tavolo da abbinarvi. E’ sicuramente questo il motivo per cui il tavolo qui mostrato, all’interno della collezione presente nei negozi La Casa Moderna, presenta così tante varianti di colore e finiture. Ognuna di queste si renderà infatti particolarmente utile in quei casi in cui sia necessario abbinare con sufficiente esattezza il colore e la finitura del tavolo, con quella esistente negli inserti presenti nei mobili da cucina. Attualmente, è molto richiesto e gradito il Rovere nel suo colore naturale, ma siccome questo legno piace molto sia nelle sue finiture più scure, sia in quelle laccate, ecco che vengono spesso a crearsi le occasioni per vedere realizzate delle vere e proprie opere d’arte uniche nel loro genere. Non può infatti chiamarsi diversamente, ad esempio, un tavolo di questo tipo, laccato, magari in un caldo color Canapa a poro aperto. Quello che è importante, in questi casi, è sapere mantenere le caratteristiche “rustiche” del legno, anche quando si utilizza una lacca per rifinirlo. La laccatura, infatti, è un procedimento che rende i manufatti molto pregiati e preziosi, ma in cui vengono ovviamente utilizzate delle vernici coprenti (dette appunto Lacche). Se questo tipo di verniciatura fosse realizzata senza il rispetto assoluto della materia naturale che si sta trattando, otterremmo un risultato quanto mai banale e certamente dozzinale. Per questo motivo, anche nel caso si proceda con una laccatura, il tavolo viene comunque precedentemente spazzolato, piallettato e levigato al fine di rendere le sue superfici adatte allo stile che si desidera ottenere.
Sono lavorazioni complesse e articolate che rendono i manufatti unici e preziosi: un vero sinonimo di Qualità Artigianale Italiana che La Casa Moderna porta avanti con rispetto della tradizione e rigorosa attenzione ai particolari. Tutte cose che alla fine. Fanno davvero la differenza…
Il tavolo in stile industriale
Già da un po’ di tempo a questa parte si è affermato nel panorama dell’arredo moderno una tipologia di stile molto definita, chiamata appunto “stile industriale”. Questa tendenza si fonda sul recupero di alcuni canoni concettuali che si rifanno in parte all’architettura ed al design di derivazione industriale (da qui il suo nome) ed in parte ad alcune tipiche declinazioni stilistiche derivanti dal mondo dell’auto o comunque della meccanica. E’ come se i designers avessero desiderato inserire degli attuali arredi moderni un sorta di richiamo, forte e spesso anche molto evidente, all’Officina, quale luogo di lavoro ove erano e sono presenti oggetti e suppellettili dallo stile molto definito. Questa contaminazione del mondo professionale e produttivo nel design, non deve trarre in inganno, in questo senso infatti nulla è visto dal punto di vista “professionale” (come ad esempio avviene per l’acciaio inox nelle cucine in stile professionale), bensì dal punto di vista prettamente decorativo. Lo stile industriale si rifà infatti principalmente ad un uso originale di alcuni materiali, come il legno ed il ferro, declinandoli però attraverso inserimenti che sarebbero più tipi ci ad un ambiente di lavoro (come è l‘officina appunto) piuttosto che in un ambiente domestico.
Nello stile industriale il legno ed il ferro (molto spesso nelle loro versioni grezze e naturali, cioè prive di qualsiasi verniciatura), la fanno da padrone e si ritrovano in tutti quegli oggetti che possono in qualche modo essere costruiti con essi. Uno fra i mobili che più si presta a questo tipo di contaminazione è per l’appunto il tavolo, il quale, essendo di per se un arredo dalla forma piuttosto semplice, in quanto ordinario e lineare, viene spesso adattato a questo stile e a tutte le sue successive evoluzioni con relativa facilità. Ne è un chiaro esempio il tavolo di queste foto il quale contiene in se tutti i canoni stilistici tipici dell’Industrial Style.
Innanzitutto i colori, che sono guarda caso quelli tipici del legno naturale per il piano e quelli tipici del ferro grezzo per le gambe.
Poi il design, semplicissimo e squadrato, che non lascia alcuno spazio alla decorazione, se non per la forma delle gambe che si lascia andare in un leggero e vezzoso motivo leggermente tronco-piramidale, tipicamente “Industrial”. I materiali e le misure disponibili in assortimento permettono di inserire questo tavolo in qualsiasi cucina, in quanto il piano è realizzato in laminato, in ben 14 diverse finiture che vanno dal legno alle malte, come dai colori uniti a quelli venati; mentre le gambe, che nella foto sembrano di ferro, sono in realtà di legno impiallacciato, e per questo possono venir fornite in tre colori, fra cui ovviamente il nero “Carbon”, particolarmente adatto a questo stile.
La parte però più interessante di questo tavolo da cucina è forse quella relativa al suo sistema di estensione; esso presenta il piano (che misura 160 x 90 oppure 190 x 100 cm) suddiviso infatti in due parti perfettamente uguali che si uniscono al centro della struttura tramite delle guide scorrevoli. Quando si ha la necessità di aumentare i posti a sedere è dunque sufficiente allargare il tavolo dividendo e allontanando fra di esse le due parti di cui è composto, in modo da poter alloggiare sulle guide scorrevoli fino a 4 giunte di ben 40 cm ciascuna. La cosa più interessante di questo tipo di apertura sta quindi nella possibilità che ha, chi acquista tale tipo di tavolo, di poter scegliere fra diverse misure di tavolo allungato, a seconda del numero di “giunte” che andremo ad utilizzare.
Questo permette addirittura di raddoppiare un tavolo di 160 x 90 (la misura disponibile più adatta alle cucine) fino a raggiungere i 320 x 90 cm, pari a 160 cm di tavolo chiuso più 4 giunte da 40 cm. Si tratta di una dimensione che permette di ospitare 12 commensali, ma che può arrivare a contenere fino a 14 persone, a seconda del tipo di sedia che si utilizza. In questa foto ad esempio, sono state utilizzate delle comodissime sedie “a pozzetto” che hanno una larghezza di 54 cm ciascuna. Qualora sia però necessario predisporre per più posti a sedere è possibile optare per delle sedie più strette (ne esistono anche di 45 cm) in modo che vi sia meno spazio fra le persone. Questo ovviamente pregiudica la comodità dei commensali durante i pranzi o le cene più affollate, ma se si tratta di occasioni rare e davvero particolari, può anche valer la pena stare un tantino più stretti, pur di poter essere seduti tutti allo stesso desco.
Tavolo allungabile con top in abbinamento alla cucina
Come abbiamo detto più volte, i tavoli da cucina hanno il preponderante problema di dover essere sempre in qualche modo “coordinati” con quello che è il resto dell’arredo presente in questa stanza della casa così particolare ed unica. Molti non sanno però che esiste nella collezione di tavoli “La Casa Moderna” la possibilità di creare il proprio tavolo, abbinandolo perfettamente alle finiture presenti nella cucina componibile che stanno acquistando presso i nostri negozi. Stiamo parlando di una produzione apposita che, per la costruzione dei tavoli utilizza gli stessi tipi di top presenti nella collezione di cucina componibili presente in assortimento.
Questa ampissima possibilità di caratterizzazione non sarebbe però possibile se non si stesse parlando di prodotti di altissima qualità (progettuale e strutturale) e di procedure di produzione che esulano dai soliti processi industriali, sfociando molto spesso nella vera e propria artigianalità.
Parliamo dunque per prima cosa dei materiali e del funzionamento su cui si basa questo interessante programma. Innanzitutto il basamento che è realizzato in metallo ed è formato da un telaio su cui vengono fissate due paia di gambe, che è possibile scegliere fra i tantissimi modelli in assortimento. Qualora il tavolo venga acquistato in versione fissa, il telaio funge da semplice supporto al piano di lavoro (in questo caso spesso solitamente dai 18 ai 21 mm), se invece si opta per la versione allungabile, il telaio diventa la sede di un meccanismo di scorrimento che, al bisogno, consente di allontanare le gambe fra di loro longitudinalmente, in modo da creare l’appoggio necessario per allungare il piano di lavoro con una o più giunte. Una volta usate per ampliare il tavolo e aggiungervi dunque dei commensali, le giunte (o prolunghe, che dir si voglia) possono essere riposte all’interno di un vano che si crea fra le guide scorrevoli (entrambe realizzate in solidissimo metallo), in modo che esse si possano estrarre con estrema comodità, al momento del bisogno.
Le misure disponibili per questa tipologia di tavolo da cucina sono molteplici e vanno dal piccolissimo 110 x 70 cm fino al grande 160 x 90. Come abbiamo detto però, sono previsti numerosi telai che sono realizzabili “su misura”; in quel caso le dimensioni possono andare dai 100 x 70 cm, fino addirittura ai 230 x 120 cm. Quando si ha a che fare con oggetti di questo tipo è facile comprendere anche l’organizzazione produttiva che deve star necessariamente dietro l’oggetto in se, la quale, non solo deve essere in grado di progettare oggetti di gusto indiscutibile (che siano però allo stesso tempo ampiamente personalizzabili) ma deve altresì prevedere tutti quei procedimenti che sono necessari per ottenere la massima qualità per quel prodotto, con un occhio però sempre attento ad i costi. E’ infatti nel miglior rapporto fra qualità e prezzo la caratteristica principale che ogni prodotto deve possedere per entrare nella selezionatissima collezione La Casa Moderna. Perché ogni nostro mobile è attentamente realizzato per far si che la massima qualità possibile resti comunque alla portata di tutti. Ad ogni costo….
Tavolo in vetro trasparente con basamento in acciaio inox
L’acciaio inox, materiale “asettico” per eccellenza, può essere una ottima soluzione per chi desidera avere un tavolo da cucina che esuli completamente da qualsiasi richiamo stilistico o concettuale con i mobili componibili, ma che mantenga comunque una certa idea di “professionalità” in cucina, ottenuta attraverso l’uso di un materiale comunque formalmente severo ed impersonale. In realtà quasi tutti gli accessori da cucina adesso sono in acciaio, quindi un certo tipo di “comunicazione” fra gli arredi spesso si ottiene anche in questo caso. La libertà di abbinamento che si ottiene comunque con tavoli di questa fatta, è difficile da ritrovare in altri modelli, perché la sobrietà delle linee tipiche dell’acciaio inox, insieme al fatto che questo materiale è caratterizzato a tutti gli effetti da una sorta di “non colore”, dovuto alla sua particolare superficie, esenta facilmente da qualsiasi complicatezza dovuta ai colori ed ai materiali che sono da accostare negli arredi. Non è infatti un caso se tavoli di questo tipo si trovano soprattutto dotati di vetro trasparente; quale altro materiale sarebbe altrettanto indistinto, all’interno di un progetto che deve rappresentare una sorta di franchigia da tutto il resto dei mobili da cucina ?
Eppure, anche in questa assoluta rigorosa morigeratezza di stile vi sono tantissimi dei caratteri tipici del Design più elegante ed avanzato. Per descriverne il progetto, partiamo dalle misure di questo tavolo, le quali sono quelle caratteristiche da cucina, nella versione però un po’ più ampia, quella cioè che porta la dimensione del piano a 160 x 90 cm. Tale dimensione non è scelta a caso ed è stata studiata per far si che la posizione delle gambe del tavolo consenta comodamente a due commensali di sedervici comodamente ai due lati, fino ad ospitare 6 persone in totale. Il piano, realizzato in cristallo temperato trasparente, è scelto appositamente per far si che il basamento in acciaio inossidabile dal sapore “tecnologico” possa far bella mostra di sé. E c’è di che esserne fiero. Le gambe, realizzate in un elegante tubolare inox di sezione rettangolare sono infatti ancorate ad un solido telaio la cui estrema sottigliezza diventa davvero motivo di vanto e bellezza. L’eleganza estrema dell’oggetto in se è di fatto dovuta principalmente a questo particolare telaio, il quale, pur consentendo sotto al piano l’alloggiamento delle due prolunghe “a sfilare”, riesce a mantenere un’armonia che è davvero rara in oggetti di uso quotidiano come questo. E’ assolutamente da notare, a questo proposito, come anche il fissaggio di piano e giunte in vetro con il resto della struttura metallica sia stato realizzato; Ogni singolo pezzo di vetro viene infatti dotato di quattro minuti supporti in acciaio inossidabile tornito, i quali vengono incollati ai cristalli tramite degli speciali procedimenti di incollaggio “ai raggi Ultravioletti” che li rendono un corpo unico con il vetro stesso. Tali supporti rotondi, sono poi dotati di una filettatura speciale su cui vengono fissate delle viti che li uniscono solidamente alla struttura, senza che essi creino alcun impaccio visivo.
Del resto, far bello un tavolo fisso col piano in cristallo è piuttosto facile, ma rendere altrettanto bello un tavolo allungabile è estremamente più difficile, specie quando si vuole completarlo superficialmente con un piano trasparente! Ma come si potrebbe far a meno, nella maggior parte delle cucine moderne, della comodità delle due giunte larghe ben 40 cm ciascuna che completano questo tavolo e gli permettono altresì di raggiungere la ragguardevole misura di 240 x 90 cm ? Su questo tavolo, una volta allungato, potranno quindi mangiare comodamente 10 persone e appena pranzato esso potrà essere “richiuso” tornando alla sua misura originale di 160 x 90. Il tutto con una semplicità e comodità di uso eccezionali. Un’ultima precisazione riguarda l’acciaio inox e la sua pulizia. Molti infatti pensano che questo materiale -con cui, è bene ricordarlo, vengono arredate anche le cucine professionali dei ristoranti- sia difficile da pulire. Niente di più sbagliato: l’acciaio inox è senza ombra di dubbio uno dei materiali che è più facile da pulire in quanto la sua superficie viene lucidata e trattata proprio al fine di renderne sempre facile la pulizia e bello l’aspetto. Quelle che qualcuno pensa siano delle impronte (alcune macchie cioè, leggermente più scure che rimangono sul materiale una volta pulito) non sono altro che l’effetto che alcune sostanze rilasciano sull’acciaio quando si utilizza. Chi non gradisce questo tipo di segno, può però tranquillamente trovare in commercio (se ne vedono in ogni supermercato ben rifornito) degli speciali prodotti da utilizzare, proprio al fine di lucidare la superficie dell’acciaio e renderla sempre pulita e brillante.
Tavolo allungabile con piano girevole e basamento centrale
Quando la tecnologia si unisce con il design, nascono oggetti molto originali che, oltre a appagare la vista, possono risultare davvero utili a chi li possiede. E’ il caso di questo semplicissimo tavolo da cucina di forma semi-ovale, che si caratterizza per uno speciale sistema di apertura davvero molto interessante. Girando il suo piano in senso orario infatti, come per magia vengono fuori dal suo basamento due comode prolunghe che si allineano contemporaneamente ed automaticamente al piano, fino a portare la sua misura dall’originale 120 x 90 a quella di 180 x 90 del piano completamente esteso. Tutto ciò è possibile tramite un complesso meccanismo su cuscinetti a sfera che, pur rimanendo nascosto all’interno della fascia di metallo che sostiene il piano, consente il suo funzionamento, occupando uno spazio davvero molto sottile. L’intero tavolo è sostenuto da un solido e pesante basamento in metallo formato da un tubo in ferro del diametro di circa 25 cm, che è a sua volta appoggiato ad una piastra di alto spessore, sempre in metallo, che lo stabilizza e ne impedisce qualsiasi ribaltamento. Il peso complessivo del basamento contribuisce infatti sostanzialmente alla stabilità del tavolo e permette ad esso di non rovesciarsi nemmeno quando esso è completamente aperto ed utilizzato in pieno. Al vantaggio di un’apertura così comoda (con una sola mano è possibile facilmente aprire entrambe le giunte) e stabile, si aggiunge anche quello dell’assenza di gambe perimetriche, fattore che, in alcune situazioni può diventare determinante. Le gambe poste sul perimetro del tavolo, pur mantenendone più stabile la struttura, impediscono ai commensali una completa libertà di movimento.
Il basamento centrale, al contrario diventa sinonimo di spazio, di comodità e di estrema bellezza, senza considerare quelli che sono gli aspetti legati alla pulizia del pavimento o al suo lavaggio, particolarmente facilitati dall’assenza delle gambe perimetrali che di solito obbligano chi si occupa di tali operazioni, a complicati slalom.
La versione qui fotografata non è altro che una delle numerose disponibili nella collezione La Casa Moderna ed è caratterizzata dal colore bianco opaco del suo basamento, in abbinamento al candido tono del suo piano in vetro ceramica effetto Marmo Carrara. Sia il piano che le giunte sono infatti costruite in questo splendido materiale che, nello spessore di ben 13 mm, garantisce una durata pressoché illimitata dell’oggetto, anche se se ne prevede un suo uso intenso. I colori attualmente in gamma per questo tavolo da cucina sono il bianco ed il grigio, ma per quanto riguarda il suo piano, esso può essere abbinato al colore grigio chiaro del suo basamento sia in una versione più chiara di piano in vetro ceramica, sia in una versione più scura e adatta ad alcune tipologie di cucina.
La caratteristica senza dubbio più saliente di questo tavolo sta però nelle sue dimensioni, che lo rendono particolarmente interessante per quegli ambienti cucina in cui lo spazio è insufficiente ad ospitare un tavolo grande. In questo caso però non è opportuno prevedere la possibilità di spostare il tavolo dalla cucina al soggiorno quando è allungato, come spesso succede per i tavoli da cucina, il suo peso renderebbe infatti disagevole il suo trasferimento; si tratta dunque di un tavolo che nasce espressamente per essere posizionato in cucina e rimanervi anche quando si mette in azione il suo originale meccanismo di apertura, ciò comporta il fatto che si debba preventivamente considerare lo spazio a disposizione anche in relazione alle dimensioni che assumerà il tavolo una volta esteso. Si tratta quindi di un tavolo che può essere di grande aiuto in tutte quelle cucine in cui anche pochi centimetri quadrati possono fare la differenza in termini di movimento e di spazio vitale. Innanzitutto per il risparmio di volume che un tavolo del genere permette quando è chiuso e, in secondo luogo anche per il minore ingombro visivo che esso crea in posizione di riposo.
Tavolo ovale con piano laccato
Ed eccoci arrivati alla versione forse più elegante e sicuramente più “delicata” fra i tavoli da cucina. Si tratta di un tavolo che è caratterizzato da un piano in MDF spessore 3 cm che esiste sia in versione tonda che ovale. Il suo piano è diviso in due parti uguali ed è sostenuto da 4 gambe in faggio tornito di gusto prettamente scandinavo. Il tavolo in questione esiste sia in una versione laccata in bianco, che in una laccata tortora e può essere allungato tirando verso l’esterno i due lati del piano. Esso funziona infatti tramite l’utilizzo di due solide guide metalliche che scorrono sotto al tavolo; in posizione di riposo esso misura 120 x 90 cm e una volta allargato vi si crea in mezzo lo spazio per riporre al centro del piano una o due giunte che gli consentono di raggiungere la misura totale di 200 x 90 cm. A differenza di ciò che avviene in altri tipi di tavoli, una volta utilizzate le prolunghe devono essere riposte in questo caso a parte (magari in un ripostiglio o nel garage), in quanto, per non modificare il design complessivo dell’oggetto (quindi la sua estrema leggerezza, non solo estetica , ma anche fisica), non è stato predisposto in questo caso sotto al piano un vano che possa contenerle.
A parte la sua forma amabilmente stondata, che si adatta in special modo ad alcuni tipi di cucine, la particolarità di questo tavolo sta nella superficie del suo piano. La laccatura è infatti un tipo di finitura un po’ inusuale per piano da tavolo per cucina, sicuramente perché essa crea un tipo di superficie più delicata rispetto a quella di un vetro o di un laminato. A tal proposito occorre però dire che il “laccato” possiede sicuramente altre doti. Prima fra tutti la sua bellezza, in quanto si tratta di un tipo di materiale che viene realizzato verniciando con numerosi strati di vernice, detti appunto “lacche”, dei manufatti precedentemente tagliati, lavorati e levigati. La superficie che si viene a creare con questa lavorazione così prettamente artigianale, possiede una “morbidezza” al tatto ed una uniformità complessiva (è un tipo di materiale privo di bordi riportati) davvero introvabili in qualsiasi altro materiale; Tant’è vero che il laccato è considerato universalmente il materiale più prezioso e pregiato con il quale è possibile costruire i mobili da cucina.
Ovviamente si tratta di un tipo di finitura che possiede delle controindicazioni, le quali sono da sottolineare principalmente per ciò che concerne la delicatezza e la poca resistenza che essa offre contro urti e graffi. Il motivo è evidente: la lavorazione che si svolge durante la laccatura prevede la stesura di numerosi strati di vernice (dette in gergo “mani”), sovrapposte una sull’altra ad avvenuta essiccazione di ognuna. Ogni singolo strato di vernice, applicato quasi sempre a spruzzo, possiede uno spessore pari a pochissimi micron e ciò comporta il fatto che, se anche sono previste per ogni pezzo sempre almeno 4 o 5 mani diverse di vernice, il manufatto viene protetto superficialmente solo quel tanto che basta a renderlo piacevole al tatto, uniforme, impermeabile e resistente all’uso quotidiano che se ne può fare in cucina, ma non ai grossi urti ed ai graffi profondi. Si tratta dunque di un prodotto che richiede un minimo di attenzione e che è sempre bene proteggere sia durante le fasi di preparazione dei cibi, sia durante i pranzi.
Quello che c’è di veramente interessante, in questo caso, è il fatto che, a differenza di tutti i materiali esistenti in commercio a proposito di tavoli, il “laccato” è l’unico materiale da piano di lavoro che consente di essere ripristinato con estrema facilità. Qualora si verificassero urti o graffi evidenti, sarà infatti sufficiente ri-levigare la superficie complessiva e restituire le mani di vernice necessarie per rendere il piano esattamente come nuovo. Un lavoro che qualsiasi verniciatore o falegname è solitamente in grado di fare presso il suo laboratorio e che è quindi un’automatica garanzia di longevità per ogni tavolo realizzato con questo processo.
Un discorso a parte lo merita il design di questo oggetto il quale, come abbiamo già accennato, possiede dei forti richiami a quella che è stata la “scuola scandinava” del ‘900, una corrente architettonica, figlia anche lei del razionalismo formale, che ha esportato in tutto il mondo un particolare uso di materiali naturali (come il legno), all’interno di concetti di design per l’epoca molto moderni ed innovativi. Tanto che, ancora oggi, lo stile scandinavo si ritrova in numerosissimi oggetti di uso comune che ospitiamo molto spesso nelle nostre case, pur non sapendolo. Anche in questo caso dunque, ci troviamo di fronte ad un oggetto semplice, ma caratterizzato dal grande design e dalla grande qualità dei materiali.
Tavolo allungabile in stile “classico-moderno” anche detto “contemporaneo”
Come è ovvio, non tutte le aree di gusto presenti nell’arredamento possono per forza essere ricondotte al minimalismo, anche quando esso è declinato nelle sue più numerose e note varianti. Vi sono infatti in commercio anche prodotti che rispondono ad una esigenza differente, la quale segue magari una tendenza più orientata alla “decorazione” o comunque ad uno stile meno severo e sobrio, rispetto a quello a cui siamo abituati di trovare nel design moderno.
Fa parte di questo tipo di concezione anche il tavolo fotografato in queste immagini il quale si colloca esattamente in mezzo fra quello che può essere considerato uno stile prettamente classico e tutto quel variegato mondo che comprende il design “moderno”, anche per ciò che riguarda la sue frange più estreme. Del resto i motivi per l’esistenza di prodotti di questo tipo ce ne sono eccome… Quanti sono infatti quegli ambienti in cui l’arredamento, le rifiniture edili, lo stile della casa e tante altre varianti portano necessariamente a considerare accessori importanti, come è appunto un tavolo, al di fuori da quelli che sono i soliti canoni stilistici delineati nel razionalismo formale, che ancora oggi dettano legge in ambito del design ? In realtà non stiamo parlando di nulla di particolarmente inusuale: un certo richiamo a quelle che sono le forme del passato c’è, ovviamente, in ogni progetto d’arredo, anche nel più innovativo e avveneristico. In questo caso si tratta però di una vera e propria re-interpretazione di uno stile, che una volta declinato con gli usi, le necessità e i linguaggi attuali, diventa esso stesso uno stile a se stante.
Osservando questo tavolo infatti, la prima cosa che salta all’occhio è senza dubbio la forma delle sue gambe, le quali, pur riproponendosi nelle sinuose forme delle gambe dette “a sciabola” tipiche di alcuni stili ottocenteschi, vengono in questo caso attualizzate e rese attinenti ad un oggetto dal design prettamente moderno, che evidentemente non disdegna di essere posizionato anche in ambienti più “classici”. Parlando di cucine sono chiari alcuni possibili abbinamenti di un tavolo di questo tipo con alcuni mobili, anch’essi fortemente connotati da una componente “classica” (pur nel loro design moderno), che fanno bella mostra di se nell’assortimento di ogni produttore. Nel caso della collezione di cucine La Casa Moderna, sono infatti numerosi i modelli che possono essere tranquillamente abbinati a questo tipo di tavolo e sono quelli in cui è evidente un leggero richiamo alle lavorazioni tipiche del legno, come ad esempio, l’anta “a telaio”, le cornici sovra-pensile o la cappa “a Caminetto”.
Anche le proporzioni dell’oggetto agevolano il suo inserimento, questo tavolo è infatti disponibile in tre misure differenti: 150 x 85, 165 x 85 e 185 x 85 cm, dimensioni che ne permettono l’innesto in ogni tipo di cucina, anche la più piccola e difficile da disporre a livello di spazi. Tant’è vero che la misura più piccola (150 x 90 cm), non è altro che il formato del tavolo più comune per le cucine (ovvero il 140 x 90), soltanto leggermente allungata in funzione delle gambe che sporgono dalla struttura per effetto della loro forma.
Ognuna delle misure esistenti è poi oltretutto disponibile anche in versione allungabile, possibilità questa che permette di disporre di ben due giunte realizzate in materico bianco liscio, da 40 cm ciascuna, le quali consentono di allungare il tavolo per ulteriori 80 cm. Una vera e propria benedizione per i pranzi familiari più importanti e le grandi occasioni, per le quali si potrà contare su di un tavolo che da 150 cm di lunghezza, arriva a misurare ben 230 cm e può quindi ospitare fino a 10 persone a sedere.
Costruttivamente, si tratta di un tavolo che viene realizzato con un piano in cristallo di colore bianco, il quale viene sostenuto, come molti degli altri tavoli finora presentati, da un telaio in alluminio che contiene le guide e le giunte, nel caso si tratti di una versione allungabile. Anche in questo caso, come negli altri in cui abbiamo trattato di tavoli col piano in vetro colorato, si tratta di un cristallo temperato ultra-trasparente che viene laccato con delle speciali vernici al fine di ottenere un “effetto laccato” perfettamente uniforme in superficie e utilizzabile in tutta tranquillità senza aver troppa paura di graffi o urti. Il resto del tavolo è laccato bianco lucido e si presta dunque per questo ad essere inserito in quelle cucina in cui esiste qualche richiamo di questo stesso colore, ma può essere tranquillamente utilizzato anche in tutti quei casi in cui ci si trova di fronte a degli arredi in cui il lampante tono del bianco lucido possa dimostrarsi utile a smorzare ambienti troppo scuri o rigorosi, oppure molto seri e monotoni.
Tavolo quadrato allungabile con gambe in vetro
Qualsiasi rassegna di questo tipo, non potrebbe certo fare a meno di considerare quella che è comunque ancora oggi una forma abbastanza diffusa di tavolo da cucina: il tavolo quadrato. In realtà non se ne trovano molti modelli in commercio, perché si tratta di una conformazione che è un po’ più difficile da collocare nelle cucine moderne, in quanto le stanze di questo tipo, quasi sempre di forma rettangolare, vengono solitamente utilizzate per i mobili componibili sul loro lato più esteso e questo lascia liberi naturalmente degli spazi da adibire alla zona pranzo che sono relativamente stretti e lunghi. Il tavolo quadrato ha invece bisogno di larghezza, deve cioè possedere lateralmente uno spazio sufficiente a poter ospitare il commensale che vi si siede, più l’eventuale spazio necessario per far si che le altre persone vi possano girare intorno muovendosi con comodità. Ciò ovviamente comporta che alla misura della larghezza del piano del tavolo debbano aggiungersi almeno altri 130-140 cm, ed è attualmente piuttosto difficile che si dispongano di spazi così abbondanti. Il tavolo quadrato viene destinato quindi principalmente a quelle stanze in cui lo spazio predisposto per il pranzo possiede una proporzione comunque quadrata, o quasi. In questo caso specifico, oltretutto, stiamo parlando di un tavolo che esiste in tre misure molto differenti fra loro, ovvero il 100 x 100, il 120 x 120 ed il 140 x 140. Per ognuna di queste misure vi è poi la possibilità di abbinarci una o due prolunghe da inserire a seconda dello spazio disponibile.
Per ottenere un’apertura che lasciasse intatto il design complessivo del tavolo si è optato per un metodo semplice quanto funzionale. Con questo sistema due staffe, che sono poste per ogni lato che si decide allungare, possono venire all’occorrenza estratte con un semplice movimento scorrevole. Delle solide allunghe possono a quel punto essere appoggiate e fermamente agganciate sopra le guide stesse e, nel momento in cui non sono più necessarie, possono essere tolte per essere custodite in uno spazio a piacere (quale può essere ad esempio il ripostiglio), pronte per essere riutilizzate al bisogno. Con questo metodo, in pochi e semplici step, il tavolo può aumentare di dimensione e modificare le proprie proporzioni senza che venga meno la bellezza del suo design.
Del resto sarebbe impossibile non dare la massima importanza possibile al design di un tavolo che, come questo, possiede delle caratteristiche davvero eccezionali. Come si potrebbe far a meno di notare, infatti, le splendide gambe in cristallo temperato che si innestano all’interno del piano come un fine intarsio decorativo? E che dire della lavorazione che permette di ottenere quello stesso piano di lavoro con uno spessore tale da sostenere solidamente l’intera struttura? In realtà in questo tavolo si concretizza un vero e proprio programma completo che comprende ben 3 piani di lavoro realizzati in diverse tonalità di legno di rovere, 7 tipi di laminati materici color legno, e altrettanti materici che vanno dall’effetto malta ai colori uniti. Un infinita gamma di possibilità che facilitano l’abbinamento di questo modello di tavolo con ogni tipo di cucina componibile e che si confanno perfettamente con la bellezza delle gambe in cristallo ultra trasparente che caratterizzano questo oggetto. Si tratta in particolare di quattro vere e proprie lastre in resistentissimo cristallo (chiamato “Extra-white” per la sua eccezionale trasparenza), le quali sono dotate di uno spessore di 19 mm e di una larghezza di ben 20 cm ciascuna.
Esse vengono inserite all’interno del piano attraverso una speciale fresatura che ne garantisce la solidità e la sicurezza nel tempo. La bellezza di questo oggetto, non sta infatti solo dell’estrema leggerezza delle sue linee, ma anche nella tecnologia che ha permesso di realizzare un tipo di abbinamento che fino a poco tempo fa sarebbe sembrato a dir poco “ardimentoso”.
In verità, quando si utilizzano materiali di alta qualità come questi è più semplice realizzare oggetti anche estremamente originali e sorprendenti; Ciò è particolarmente vero per ciò che concerne la tecnologia che sta dietro ad ogni produzione facente parte della gamma di mobili La Casa Moderna, i quali sono fatti sì per piacere a chi deve utilizzarli per arredare la propria casa, ma anche per permettere a tutti soluzioni arredative che sarebbero altrimenti impossibili da trovare altrove in commercio.
Il tavolo rettangolare da cucina col piano in HPL
Non si può certo dire che si tratti di una novità, l’utilizzo del cosiddetto “Laminato Stratificato” nella produzione di piani di lavoro, eppure l’ampia diffusione di questo materiale così interessante, usato sia come top da cucina che come piano per tavolo, può dirsi relativamente recente. In verità lo “Stratificato” o Hpl (acronimo di High Pressure Laminate) era già presente sul mercato, come materiale, da diverso tempo (la sua “invenzione risale addirittura al 1896), ma è stato più o meno nei primi anni del nuovo millennio che si è avuto un importante incremento della sua produzione industriale. Tale affermazione si è avuta principalmente grazie alle qualità intrinseche di questo prodotto, che hanno finito per interessare -e molto- le aziende costruttrici di cucine componibili.
L’HPL, come lascia intuire il suo nome, è un materiale che viene creato tramite la sovrapposizione di numerose “carte melaminiche” (o strati) che una volta impregnate con resine fenioliche, vengono sottoposte ad una straordinaria pressione, la quale crea i presupposti per la formazione di un “corpo unico” -più o meno sottile a seconda dei casi- ma dotato sempre di una eccezionale resistenza. L’HPL utilizzato in arredamento possiede inoltre una speciale “pelle” -che ne costituisce anche la superficie “decorativa” esterna- la quale ha delle qualità di resistenza al taglio ed agli urti davvero incredibili. Questo tipo di piano è infatti dotato di una elevata tenacia, è flessibile, possiede una ottima stabilità dimensionale, una lunghissima durata e una grande resistenza agli urti, all’usura e ai graffiti. Il suo colore è inoltre stabile alla luce, ha una buona resistenza chimica, resiste benissimo agli effetti dell’acqua, del vapore, del gelo e del calore (fino addirittura a 180 gradi, senza subire alcun danno), non prende fuoco, è facile da pulire, ed è pure antistatico, dote questa che gli consente di non attrarre la polvere.
La forma più comune con cui questo materiale si trova in commercio è il pannello con spessore 12 mm, con il quale si costruiscono dei sottilissimi ed eleganti piani di lavoro, dotati di un’ampissima gamma di finiture e colori differenti. Questo tipo di materiale si riconosce di solito dal colore della sua “anima interna” che viene lasciata quasi sempre “a vista” (come si può notare da queste foto) ed è caratterizzata da un tono molto scuro che a volte “stacca” piacevolmente dal colore della sua superficie esterna. Esistono però numerosi HPL che vengono prodotti tramite l’uso di resine fenoliche colorate al fine di dare all’anima del materiale, un colore più simile possibile alle sue superfici.
Una delle caratteristiche più peculiari di questo tipo di prodotto, sta nella sua flessibilità: il materiale con cui sono costruiti questi piani di lavoro, infatti, non è rigido come il vetro o la ceramica, bensì molto flessibile, ciò non ne compromette assolutamente la resistenza ma contribuisce anzi ad una durata maggiore del materiale che, proprio grazie a questa sua specifica caratteristica, si adatta meglio di altri a certi tipi di sollecitazioni.
Il costo di questa tipologia di materiale, a causa dei procedimenti necessari per produrlo, è abbastanza alto e di poco inferiore a quello della vetro ceramica, ma senza addentrarsi troppo sui suoi dati tecnici, possiamo comunque dire che si tratta di uno dei materiali più pratici e funzionali che possano essere utilizzati quali piani di lavoro per tavoli.
All’interno della collezione La Casa Moderna il piano in HPL può essere applicato a tutti quei tavoli la cui costruzione prevede l’uso degli stessi tipi di Tops che si utilizzano per le cucine componibili. Si tratta di una dozzina di modelli (fra cui anche alcuni che è possibile realizzare “su misura”) i quali sono disponibili in una vastissima gamma di forme e di colori. Tutto ciò, se sommato alle numerosissime varianti estetiche esistenti di HPL, porta alla creazione di un assortimento formato da diverse centinaia di modelli, tutti differenti per aspetto e per tonalità, fra i quali scegliere quello più adatto alla propria cucina. Quello presentato in queste foto, ad esempio, è uno splendido tavolo fornito di telaio in metallo lucido e disponibile con numerose misure di piano. Si parte con la lunghezza classica da cucina, il 140 cm, abbinata però con la profondità di 80 cm, che permette un uso comodo anche in spazi più ristretti. Il tavolo in questione è allungabile e consente dunque l’applicazione di due giunte da 40 cm, che possono essere riposte all’interno di un apposito vano una volta utilizzate. La misura superiore disponibile è il 160 x 90 cm, la quale può essere a sua volta scelta fra una versione che consente l’aggiunta di due prolunghe, ed una che può contenerne fino a tre. Un’altra variabile interessante a proposito di questo tavolo è quella che riguarda il colore della sua struttura che è disponibile, oltre che nella versione “effetto cromato” che si vede qui fotografata, anche nei colori bianco, tortora, cappuccino, antracite e “corten”, una nuova finitura color ruggine che si intona perfettamente a numerosi tipi di piano in HPL. Per il fissaggio di questo tipo di piani sui telai strutturali predisposti, si procede di solito con lo stesso procedimento che si adotta per i piani in vetro o quelli in Ceramica, si predispone cioè l’incollaggio di alcuni supporti metallici filettati nella parte inferiore del pannello e, una volta perfettamente ancorati tanto da formare un corpo unico col piano, si pensa a avvitarli solidamente alla struttura del tavolo.
Tavolo a quattro gambe con piano in Ecomalta
Concludiamo questa rassegna con un altro oggetto che non mancherà di suscitare interesse sia per la sua originalità che per il suo design. Si tratta di un tavolo realizzato applicando delle solide e sinuose gambe in metallo ad un robusto piano in legno dello spessore di 4,5 cm. Tale piano viene prodotto in numerose dimensioni e permette di avere tavoli rettangolari di questo modello che variano da una misura minima di 160 x 90 fino ad una massima di 100 x 200; misure piuttosto comuni quindi, come abbiamo visto, per un tavolo da cucina. Quello che è invece piuttosto inusuale per questo tipo di oggetto è la possibilità di avere numerose declinazioni differenti nella sua dimensione quadrata, per la quale sono previste addirittura 3 misure: 100×100, 120×120 e 140×140 cm. Ciò permette senza dubbio di considerare anche il tavolo quadrato per un uso ideale in cucina, tenendo ben presente il fatto che, la sua proporzione, appunto, poco presente nel panorama commerciale, lo rende di per se sinonimo di innovazione ed originalità. Per tutte le misure disponibili inoltre, è prevista la possibilità di dotare il tavolo di prolunghe applicabili attraverso l’uso di due piccole guide poste sotto al piano, le quali, una volta estratte permettono l’inserimento delle giunte che sono, in questo caso, da riporre a parte. Il piano è realizzato come detto in vero legno e l’uso di questo materiale rende il tavolo ( e di conseguenza, anche le sue prolunghe) molto leggero e maneggevole. Una dote che può rivelarsi estremamente utile quando ci si trova a dover trasferire il proprio tavolo ad esempio dalla cucina al soggiorno per le occasioni conviviali più importanti.
Ma vi è una particolarità che senza dubbio supera tutte quelle di cui è giù dotato questo tavolo, quella cioè di poter essere realizzato anche con il piano rivestito in “Ecomalta”. Si tratta di un tipo di finitura che si è affacciata già da qualche anno nel settore delle cucine componibili, grazie alla quale è possibile ottenere delle superfici estremamente interessanti ed evocative. Sono quelle superfici dette appunto “ad effetto malta o cemento” che tanto di moda sono diventate di recente, sia per la loro estrema bellezza, sia per il potere “evocativo” che esse possiedono. Si tratta di un rivestimento perfettamente Ecologico (da qui il suo nome “Ecomalta” che si ottiene applicando, completamente a mano, delle vernici all’acqua che si presentano come una sorta di pasta compatta e granulosa. L’applicazione avviene infatti tramite delle speciali spatole attraverso le quali l’artigiano applica sapientemente sui piani da trattare (solitamente realizzati in legno) diverse mani di finitura, contrapponendole una all’altra in modo da ottenere un bellissimo effetto morbido e setoso detto appunto “spatolato“. In realtà si tratta di un tipo di verniciatura che simula alcuni tipi di intonaco civile realizzati in ambito edile da millenni, come ad esempio il “Grassello di calce” o il “Marmorino”.
La novità dell’Ecomalta sta nell’essere realizzata con materiali totalmente innovativi con i quali è possibile creare delle superfici molto resistenti e soprattutto impermeabili. Ciò è possibile grazie a dei leganti chimici di nuova concezione che pur mantenendo una perfetta compatibilità ambientale, riescono a assumere, una volta essiccati, la forma di una sottile ma robustissima pellicola che rende i prodotti con essi trattati tranquillamente utilizzabili in cucina, sia sotto forma di ante, che di piani di lavoro da tavolo. Certamente non si tratta di superfici da poter utilizzare con la stessa libertà con cui si usano ad esempio i piani in Vetro-ceramica o quelli in HPL, però la loro bellezza li rende talmente affascinanti che chiunque si rende disponibile a fare quel minimo di attenzione che richiede il loro uso, pur di averli in casa. Del resto è l’aspetto estetico la carta davvero vincente di questo tipo di materiale. L’Ecomalta che è possibile utilizzare in questo specifico caso esiste in tre colori differenti, i quali vanno dal classico grigio “cemento” a due “modaioli” toni del marrone : uno molto chiaro (quasi beige) ed uno estremamente scuro. Questa disponibilità permette di abbinare facilmente questi modelli di tavoli con moltissime delle cucine componibili che ci sono in commercio; se a questo poi si aggiunge l’elegante e “universale” design con cui è realizzato questo oggetto ci si accorge dell’estrema agevolezza con la quale è possibile creare, anche tramite mobili semplici come può essere un tavolo, degli arredamenti affascinanti e molto originali.
Concludendo ….
Il tavolo da cucina è un po’ la nostra stessa storia. All’inizio del secolo scorso alla fantasia del Liberty avevamo, contrapposto la sobria funzionalità dei tavoli Patriarcali che disseminavano le nostre campagne. Dopo è arrivata la linearità delle scuole razionaliste che hanno ricompattato secoli di evoluzione stilistica in una sintesi estrema, seria, quasi sacrale. .. Ma sempre di tavoli da cucina si parlava… anche allora. Nel secondo dopoguerra c’è stata poi l’esplosione per la ricerca delle forme, l’affermazione del “Design” quale valore assoluto, il ritrovato gusto per la funzionalità e la prova di materiali nuovi, dagli effetti imprevisti e, a volte, quasi provocatori. Anche il tavolo da cucina, che nei secoli era rimasto ancorato al materiale più tradizionale, il legno, si è via via trasformato evolvendosi: si sono diffusi i piani in vetro, in marmo, in metallo; dopo sono arrivati i laminati, le resine. Oggi siamo all’HPL e alla vetro-ceramica, ma non smettono di piacerci quegli stessi materiali che ci hanno accompagnato per decenni. I supporti dei tavoli, del resto, sono sempre le gambe, ma esse si possono ritrovare adesso anche sotto forma di elementi geometrici di varia natura, talvolta anche asimmetrici, solo per il gusto di stupire con il loro equilibrio imprevedibile.
Tutto cambia, tutto si evolve… ma il tavolo da cucina resta alla fine sempre se stesso. Con questa nostra rassegna, abbiamo cercato di dare un idea il più possibile chiara di quelle che possono essere le novità presenti sul mercato in fatto di tavoli da cucina. I prodotti di questo tipo attualmente in commercio sono però migliaia e possiedono altrettanti varianti di forma e di colore, e per questo sarebbe dunque stato impossibile farne un resoconto esaustivo. Lo scopo di quest’articolo è quindi soprattutto quello di incuriosire gli utenti del nostro sito e invitarli a visitare i nostri negozi dove potranno farsi un idea più precisa di quanto necessitano e di quanto sia possibile per noi offrire loro il nostro aiuto in merito all’importante scelta che si trovano a fare.
Conclusioni
Speriamo che la nostra guida su come scegliere un letto imbottito ti abbia fornito le informazioni necessarie per prendere una decisione consapevole e soddisfacente. Presso Griva Arredamenti, siamo pronti ad aiutarti a realizzare arredamento su misura.
Ti invitiamo a visitare i nostri showroom di Pinerolo e Torino, dove potrai scoprire di persona la qualità e l’eleganza dei nostri mobili. Potrai toccare con mano i materiali, valutare le soluzioni di spazio e ottenere consigli personalizzati dai nostri esperti.
Se hai domande o desideri ulteriori informazioni, non esitare a contattarci. Saremo felici di fornirti tutte le risposte di cui hai bisogno dai nostri esperti interior designer.
Entriamo in soggiorno, la stanza in cui si legge meglio il carattere di tutta la casa: apriamo con un'immagine gradevole, divani morbidi, mobili eleganti e un'atmosfera tranquilla. Uno spazio ben diviso e ben attrezzato che fa immaginare più in là, nel resto della casa, altri spazi confortevoli e giusti. Sappiamo bene però che non sempre le cose vanno così lisce. Quando si mette su casa o ci si accinge a sistemare quella che si ha, le difficoltà sono moltissime. La nostra proposta allora è questa: camminiamo insieme attraverso il soggiorno suggerendo soluzioni possibili a quelli che sono un po' i problemi di tutti.
La stanza preferita della casa
Il modo più facile per immaginare un soggiorno ideale per noi potrebbe essere questo: stendiamo una specie di diario delle nostre giornate coprendo tutto l'arco delle ventiquattro ore. Naturalmente ognuna delle persone che vivono con noi compilerà il proprio piccolo diario, che alla fine confronterà con quello degli altri, cane o gatto compreso, visto il numero degli animaletti che oramai abitano nelle nostre case. Dal confronto di tutti i "diari" ricaveremo un elenco chiaro di tutto quanto finirà per gravitare intorno al locale di soggiorno, il quale dovrà adeguarsi con duttilità alle svariate esigenze. È probabile che facendo questa sorta di "ricerca", si scoprano attività contemporanee, magari non compatibili tra loro, di due o più persone; in tal caso si esaminerà la possibilità di smistarne qualcuno in altri locali, rivedendone quindi le caratteristiche. Un compito che richiede la massima concentrazione, come per esempio studiare o preparare la denuncia dei redditi, sarà vantaggiosamente attribuito a un piccolo spazio ricavato in un locale più appartato. In mancanza di meglio anche nella nostra stessa camera da letto a tale scopo, evitando così di bloccare agli altri la tranquilla utilizzazione del soggiorno.
Con il semplice sistema descritto avremo fatto già un primo passo per non cadere vittime di vecchi e nuovi luoghi comuni standardizzati su "modelli d'arredo" che magari non corrispondono appieno ai nostri bisogni. Ma non è neppure detto che a cadere in questo errore sia proprio chi crede necessario riprodurre più o meno bene il "salotto buono" del tardo Ottocento per darsi una patina di rispettabilità, poiché capita di vedere anche locali soggiorno altrettanto convenzionalmente "moderni", nei quali ci viene sì risparmiato il lampadario a gocce, ma esso è sostituito dalla nuova lampada alla moda, piazzata nel punto adatto unicamente a far bella mostra di sé. Il prezzo che paghiamo per queste vanità o trascuratezze è oggi tanto più alto quanto più gli spazi messi a nostra disposizione dall'edilizia corrente si riducono ai minimi termini con pesanti limitazioni al loro migliore uso.
Un ambiente tante funzioni
Lo spazio, oggi, è quello che è, cerchiamo di viverlo come più ci piace.
Conversare, leggere, pranzare, rilassarsi, magari godendosi il fuoco di un camino. In questa filosofia di vita sono evidenti le semplici regole di vita che l’hanno ispirata. Non importa se la scelta è obbligata dallo spazio a disposizione o dai soldi che si possiede, o se pure è completamente spontanea, lo spazio da destinare al nostro relax ed alla vita di relazione (il tran-tran di tutti i giorni, gli incontri con gli amici ecc.) dovrà essere più di ogni altro utilizzato in modo confortevole e libero, tenendo innanzitutto conto della necessità, qui più che mai imperiosa, di non lasciarci condizionare dalle soluzioni standardizzate, siano esse moderne o tradizionali.
Saremo certo più felici se riusciremo a non adeguarci a modelli diversi da quelli che realmente ci servono, come quelli proposti da certe immagini pubblicitarie che suppongono una disponibilità economica e di spazi più che ottimista. Per questo tendiamo sempre a ribadire quanto siano importanti e talune volte assolutamente indispensabili i professionisti dell'arredo. E' perché sono solo loro, con la loro professionalità, con il loro estro, magari anche con la loro inguaribile fantasia a poter veramente consigliare in modo appropriato come debba essere arredato ogni ambiente della casa.
Un esempio, esplicherà ulteriormente questo indiscutibile concetto: i grandi saloni non ci sono più. Se, come normalmente avviene, il nostro ambiente soggiorno comprende anche la funzione pranzo, non potremo certo ricreare locali che scimmiottino il grande salone della ricca borghesia tipica nell'epoca a cavallo fra ottocento e novecento, nè tanto meno ci converrà (o meglio, avremo la possibilità di...) sacrificare un altro locale della casa alla funzione canonica di "sala da pranzo", con buffet, contro-buffet eccetera. Dovremo dunque cercare di sfruttare al meglio le nuove, anche se limitate, possibilità di integrare le due funzioni, ripensando in modo fresco e originale gli spazi che costruiremo intorno al nostro vivere. Chiunque abbia vissuto qualche volta l'imbarazzo del vedere gli amici attardarsi intorno alla tavola su cui fanno brutta mostra di sé gli avanzi del pranzo, snobbando ostinatamente le poltrone predisposte per il "dopopranzo", può capire come talvolta la zona "conversazione", che ingenuamente identifichiamo in un divano e due poltrone, in realtà non sia sempre e comunque vincolata al meglio su queste ultime. Tentiamo quindi di fare in modo che i momenti della nostra vita di relazione, non siano costretti a spostamenti meccanici tra piccoli spazi che vengono destinati a precisi riti. Disponiamo perciò gli arredi nel modo più coerente possibile con quello che ci fa comodo, secondo i gusti personali e, ovviamente, i metri quadrati che abbiamo a nostra disposizione. Vedremo poi come proprio dai "luoghi funzionali" ben distribuiti nasce una razionale collocazione dei vari piani d'appoggio. Un gioco pericoloso, certo, ma che può risolvere numerosi problemi.
Se, ad esempio, ci piace avvicinare le due zone, pranzo e "Relax", in modo che chi sta seduto al tavolo possa conversare agevolmente con chi è già adagiato a conversare sul divano perché non farlo? Non ne risulterà solo una maggiore comodità ma avremo la conferma che val sempre la pena di non star troppo al gioco delle tante piccole "scatole" che ci vengono offerte nelle abitazioni del normale mercato edilizio. Senza illuderci che il tutto-aperto risolva troppi problemi (quante volte abbiamo bisogno in casa di qualcosa che ci isoli?!) possiamo ritrovare il gusto di spaziare con la vista per più di quattro metri anche in un alloggio piccolo. Può far sorridere immaginare idilliache serate in cui la famiglia si ritrovi nel soggiorno, con il "capo-famiglia" intento a leggere il giornale, la gentile consorte intenta invece a lavorare a maglia e i dolci figlioletti affaccendati con i giochi sul cellulare. E' sicuramente un quadretto rassicurante quello che illustra i vari componenti della famiglia chiusi in soggiorno e rispettivamente occupati in allegre e tranquille attività: basterebbero però due decenti, e contemporanei, programmi televisivi a mettere in crisi la nostra piacevole immagine. Per questo sarebbe bello poter tenere conto della necessità di qualche spazio individuale nel soggiorno della casa (decentrato, e di ciò parleremo altrove), senza comunque dimenticare che la zona "soggiorno" deve rispondere al ritmo delle nostre giornate e delle nostre serate, includendo tutti, amici compresi. Averli senza che la cosa ci crei troppi problemi, senza sentirsi impacciati (e affaticati) da un bel po' di lavoro in più "per far bella figura" sarebbe davvero splendido. La cosa sarà però davvero possibile soltanto se saremo riusciti a costruirci un'organizzazione di base gradevole e giusta.
E' ovvio che la scelta degli elementi che arredano il nostro soggiorno è condizionata dallo spazio disponibile. Una distribuzione attenta dei mobili (lo vediamo anche nelle numerose immagini di questa pagina) può aiutarci a sfruttare al meglio la superficie di un ambiente e a vivere meglio lo spazio come ci serve e ci piace. Per non sbagliare, si può incominciare con "l'indispensabile" e poi via via portare modifiche e aggiunte (una poltrona "diversa", un tavolo per scrivere ecc..): la casa cresce con noi divenendo forse anche più bella e più giusta di quella pensata tutta in una volta. Per far questo però partendo già bene, con il metro alla mano prendiamo bene le misure.
Qualche semplice schema di ingombri e disposizioni di poltrone e divani è sufficiente per una grossolana valutazione di quanto spazio si deve prevedere per le zona conversazione del soggiorno al momento di organizzare questo nostro locale "pubblico" (il problema può anche essere capovolto, e cioè a volte la valutazione dello spazio a disposizione avviene prima della scelta di divani e poltrone da fare sulla base delle loro misure). In particolare vediamo che i mobili componibili sono una soluzione comoda anche e soprattutto per spazi ridotti per questo sono così utilizzati per i soggiorni moderni. Teniamo comunque presente che in molti casi la volontà di avere a tutti i costi divani e poltrone "identici" (il famoso "giro" di divani e poltrone per la zona conversazione) può farci trascurare le differenti esigenze personali e le conseguenti preferenze. Pensiamoci quindi due volte prima di buttare la vecchia e comoda poltrona il cui acquisto si perde nel profondo della storia familiare: vediamo invece se è possibile, eventualmente restaurandola un po' e rinnovandone il rivestimento, trovare un angolo anche per lei.
Lo spazio per parlare.
In soggiorno, lo abbiamo già detto, occorre spesso concentrare in un unico spazio diverse funzioni, come nell'ambiente che presentiamo qui in foto. Nelle immagini presenti in questo articolo vengono appunto messi in evidenza i vari elementi d'arredo delle varie zone: il tavolo da pranzo con le sedie; il divano, il mobile con la televisione; la piccola scrivania. È dunque evidente che nel calcolare gli ingombri e poi nel disporre i mobili (ivi compreso, un eventuale tavolino) si dovranno tenere ben presenti le proprie "vere" esigenze. Per esempio, anche i divani molto grandi, che possono rappresentare una soluzione per spazi particolari, sono scomodi se si desidera creare un gruppo affiatato di conversazione. Meglio elementi con una certa mobilità (magari addirittura separabili fra di loro), facili da spostare dove più ci torna comodo. Anche la scelta e la collocazione delle lampade (la cui luce "scende" a evidenziare le diverse zone) aiutano a definire gli spazi in modo ben preciso. Visti nell'insieme, tutti gli elementi dell'arredo si fondono ordinatamente, grazie anche al garbato accostamento dei colori.
Tra le poltrone e i divani adesso in commercio e quelle tramandateci dal passato esistono differenze talora anche notevoli. Oggigiorno, se lo spazio è poco, dei moderni divani dalla linea "asciutta" possono essere facilmente inseriti in qualsiasi soggiorno senza prendere troppo posto. Attualmente però la soluzione in verità più utilizzata nelle case degli italiani è quella del cosiddetto "divano con penisola", perché offre la possibilità di sistemare un maggior numero di posti a sedere. Questa disposizione "ad elle" aperta sul resto dell'ambiente, permette una conversazione agevole e consente, quando sia necessario, di allargare il cerchio con altri sedili di emergenza. La disposizione ideale per parlarsi con tutta comodità infatti, quella faccia a faccia, per intendersi, sarebbe la più comoda e funzionale a questo scopo, ma i divani in questo caso, disposti fra di loro frontalmente, creano il problema di non poter utilizzare il salotto per l'utilizzo in assoluto più frequente che si fa di questo mobile: quello di appoggio rilassante per vedere la televisione.
Lo spazio per la televisione
Ed eccoci finalmente arrivati al vero cuore "pulsante" dei moderni soggiorni: l'angolo Tv. Il progetto di ogni soggiorno che si rispetti infatti parte ormai sempre dalla disposizione del televisore e si dipana verso il resto della stanza passando prima dal salotto, per arrivare in ultimo alla zona pranzo.
Il design dei mobili da soggiorno segue ormai da molto tempo l'evolversi di questa tendenza che porta le famiglie a destinare un grande spazio per la televisione all'interno del proprio soggiorno ed infatti, a tale scopo, vengono prodotti almeno tre o quatto tipologie specifiche di mobili predisposti con lo spazio porta tv. Il tipo più utilizzato è attualmente il "componibile" che in pratica è un mobile che viene creato mettendo insieme componibili di misure diverse, in modo da creare degli spazi, chiusi ed aperti, adatti ai vari usi a cui essi sono destinati. Spendendo generalmente un po' di più, è però possibile utilizzare, sempre allo scopo di alloggiare il televisore, anche dei capientissimi mobili libreria, i quali a quel punto saranno configurabili al meglio anche per mettervi ovviamente i libri e magari riporvi anche le stoviglie che non entrano in cucina.
Qualora si desideri invece qualcosa di molto leggero, è possibile optare per dei veri e propri mobili porta tv, in un certo senso fini a sé stessi, i quali, non sfruttano la parte di parete libera sopra al televisore, ma permettono comunque di poter essere costruiti con le numerose misure che si trovano in commercio.
Una volta deciso la tipologia di mobile che dovrà contenere la Tv, bisogna per forza considerare la posizione in cui si intende piazzarlo. Di solito a questo scopo si utilizzano gli angoli più bui della stanza, quelli in cui la luminosità delle finestre o delle luci artificiali, non tende a creare dei fastidiosi riflessi quando si guarda la televisione. Una volta posizionato il mobile nel miglior modo possibile basta trovare al salotto un posto che non sia né troppo lontano né troppo vicino alla Tv, in maniera che possa essere facilmente vista senza dare fastidio agli occhi e che renda possibile una posizione sufficientemente comoda per chi deve guardarla.
Lo spazio per pranzare
In moltissime abitazioni la cucina non possiede più ormai uno spazio sufficiente ove sia possibile posizionare un tavolo e delle sedie abbastanza grandi da poter ospitare dei commensali aggiunti. A questo scopo è abbastanza frequente allora adibire una zona abbastanza precisa del soggiorno in cui sia possibile posizionare un tavolo, sufficientemente grande da ospitare un numero adeguato di commensali. Lo spazio pranzo in soggiorno deve avere però delle caratteristiche ben precise. Per prima cosa, deve avere delle dimensioni tali da poter ospitare con comodità un tavolo adeguato. Non c'è nulla di più imbarazzante di dover invitare degli ospiti e doverli far cenare o pranzare in uno spazio angusto e poco piacevole. Tale spazio deve poi essere sufficientemente vicino alla cucina, in modo da rendere più immediate e comode le operazioni che devono svolgersi in comunicazione fra il soggiorno e la cucina stessa. Un altro aspetto da tener presente è la luminosità. A differenza della zona Tv infatti, il tavolo da pranzo deve essere illuminato molto bene sia di giorno che di notte, e deve esserlo attraverso un tipo di luce che deve essere il più possibile "diretta". Diciamo che se si amano i lampadari a sospensione, la zona pranzo di un soggiorno è senza dubbio il posto più adatto per posizionarne uno, specie quando ha le sue luci rivolte verso il basso. Se invece si ha una stanza dotata di una sola finestra, è probabilmente vicino a quest'ultima che andremo a posizionare il tavolo con le sedie.
L'ultima delle cose da considerare è senz'altro la proporzione della zona pranzo rispetto al resto del soggiorno. A meno che non si stia parlando infatti di una vera e propria "sala da Pranzo", in un soggiorno moderno gli spazi destinati alle differenti funzioni a cui quest'ultimo assolve devono essere fra di loro assolutamente bilanciati. Deleterio sarebbe, ad esempio, lasciare troppo spazio ad un grande tavolo da pranzo, in un soggiorno in cui il salotto è costretto a rimanere relegato in una zona troppo ristretta della stanza. Così come sarebbe altrettanto deleterio se avvenisse il contrario e cioè che gli altri mobili del soggiorno costringessero il tavolo in una posizione defilata ed in uno spazio troppo limitato. Proprio per evitare tale problema, da qualche anno, sono in commercio numerose consolle apribili ed allungabili che aprendosi all'occorrenza, consentono di trasformare un piccolo tavolino appoggiato a parete in un comodissimo tavolo da centro stanza.
Lo spazio per studiare o lavorare
C'è un oggetto che da qualche anno è entrato prepotentemente nelle nostre case, il computer. A dir la verità il suo uso sta già per essere in qualche modo sostituito dai moderni smartphone, ma per chi lavora o in qualche modo ha bisogno di interagire un po' più attivamente con una tastiera, il computer rimane un accessorio di cui è impossibile fare a meno.
Ebbene, un computer, anche se può essere portatile e per questo dotato di piccole dimensioni, non è certo uno smartphone e chi ha la necessità di posizionarselo in casa, sente spesso l'esigenza di creargli uno spazio apposito dove esso possa essere perfettamente integrato ed utilizzato. A questo scopo è possibile adottare in soggiorno numerose soluzioni. La più semplice è quella che prevede l'uso di una semplice scrivania, magari appoggiata a parete, che come succedeva una volta per gli scrittoi, sia possibile utilizzare per apporgiarvi il computer con i suoi accessori. Un'altra possibilità di inserimento è data invece dalla grande versatilità che possiedono i moderni mobili componibili da soggiorno, i quali, a differenza di ciò che succedeva un tempo, possono essere facilmente progettati prevedendo al loro interno un preciso spazio dove appoggiare un computer anche di grandi dimensioni. Un'altra possibilità è data dai cosiddetti complementi: la completa portatilità degli attuali computer, abbinata alle tecnologie WiFi, non rendono più obbligatorio l'allaccio fisico degli apparecchi alla rete elettrica o a quella Internet, questo permette di utilizzare i computer in ogni angolo della casa. Per questo motivo sono ormai numerosi i piccoli mobili che si possono trovare in commercio da utilizzarsi come appoggio per il computer mentre lo si usa a letto o, come nel caso del soggiorno, mentre lo si usa comodamente stesi sul divano.
Con questo articolo abbiamo cercato di spiegare come attraverso uno sfruttamento razionale dello spazio vitale di una casa sia possibile creare degli ambienti "giorno", comodi e funzionali. Del resto questo è il nostro lavoro.
Il frigorifero è senza dubbio l’elettrodomestico “bianco” più presente nelle nostre case, essendo il “secondo” in assoluto in termini di diffusione, dopo l’onnipresente televisore. Questo la dice lunga circa l’utilità di questo apparecchio, che la maggior parte degli italiani ha cominciato, fra l’altro, a conoscere in tempi relativamente brevi, avendolo potuto possedere solo dopo i primi anni ’60. Del resto come si potrebbe fare a meno di un frigorifero al giorno d’oggi? Un frigo ci permette di fare la spesa una volta a settimana invece che una volta al mese, ci permette di conservare i cibi molto più a lungo, senza doverli “trattare” come si faceva un tempo, ci consente di riutilizzare gli avanzi di cibo che altrimenti saremmo costretti ad usare. Insomma il frigorifero fa ormai parte integrante della nostra vita, tant’è vero che ne vengono prodotti un numero spropositato di modelli e di versioni.
Il grande assortimento presente in commercio a proposito di frigoriferi ci permette di scegliere l’apparecchio più adatto allo stile della cucina, alle nostre abitudini alimentari ed alle dimensioni della nostra famiglia. A parte i modelli da incasso, che si possono pannellare nelle più svariate maniere ed hanno molteplici misure in altezza, dal punto di vista estetico si spazia in genere dal classico frigorifero bianco smaltato, al laccato nero opaco e all’acciaio inox (in versione satinata e anti-inpronta) che ha in genere costi superiori agli altri. Oltre agli svariati colori che hanno disposizione alcune aziende che addirittura producono “a campione” i frigoriferi per i propri clienti, si trovano anche modelli con texture in rilievo: le finiture vengono realizzate con vernici epossidiche applicate su elementi adesivi in rilievo (un po’ tipo quelli usati per il “wrapping” delle auto) ed hanno effetti veramente particolari. Esistono anche collezioni vintage con forme bombate e rétro, stile anni ’50.
Per acquistare il proprio frigorifero o sostituirlo con un modello più efficiente, ì criteri dì scelta dovrebbero però basarsi, oltre che sull’estetica, innanzitutto sulle proprie necessità e sullo stile di vita che si conduce. L’ obbiettivo principale del resto è quello dì conservare al meglio il cibo evitando gli sprechi, anche dì energia elettrica.
Come valutare dunque quale è il frigorifero giusto ? Ecco qui raggruppati in ordine logico, tutti gli elementi da tenere in considerazione in un modello di frigorifero.
Le 15 domande a cui occorre rispondere per scegliere il miglior frigorifero
Da “incasso” o da “appoggio”? Quale tipologia di frigo fa più al caso nostro?
Tutti sanno ormai che, in pratica, i frigoriferi possono essere suddivisi in due grandi tipologie, a seconda del loro aspetto esterno e del loro utilizzo: i modelli detti “da incasso” e quelli chiamati da appoggio o “free-standing”.
La differenza fra queste due tipologie è abbastanza ovvia e conosciuta: nel primo caso, si tratta di elettrodomestici adatti ad essere inseriti in un “mobile” contenitore che ne modifica e abbellisce l’aspetto esterno, rendendolo uniforme con gli altri mobili da cucina; mentre nella tipologia “da appoggio” vengono classificati tutti quei frigoriferi che sono costruiti con delle caratteristiche estetiche tali da poter essere posizionati tranquillamente da soli, “nudi”, senza cioè alcun tipo di copertura.
In linea di massima i due tipi di macchina non differiscono molto, ma in quelli predisposti per l’incasso vi sono progettati alcuni indispensabili accorgimenti che consentono a questi frigoriferi di poter reperire l’aria necessaria al raffreddamento del proprio motore, prendendola soltanto dall’alto e dal basso, invece che sfruttare anche quella proveniente dai due lati, che i normali frigo da appoggio possono usare. Il motivo è piuttosto facile da capire: i frigoriferi da incasso sono concepiti per essere alloggiati fra due “fianchi” di legno che chiudono completamente il loro “retro”, dove sono posti le griglie di raffreddamento, i tubi di circolazione ed il cosiddetto “compressore” (in pratica il motore del frigo stesso). Questi elementi funzionali, durante il loro normale funzionamento, producono una grande quantità di calore dovuta, in parte alla mansione di “scambiatore di calore” che queste macchine hanno, ed in parte al loro stesso meccanismo elettrico basato su di un vero e proprio “motore” che produce il raffreddamento di un apposito gas. Proprio come avviene nella macchine da condizionamento.
I primi frigoriferi da incasso, quelli che in Italia si sono cominciati a vedere già a partire dagli anni ’70, soffrivano un po’ di questa loro condizione di “reclusi” all’interno di un contenitore ed erano per questo abbastanza facili a guastarsi. Quelli moderni, dopo tanti anni di esperienza accumulata e di evoluzione del settore, hanno raggiunto un notevole stadio tecnologico e possono dirsi tranquillamente immuni da problemi di areazione tali da inficiarne un loro tranquillo utilizzo; possono verificarsi però anche oggi problemi di questo tipo, soprattutto relativamente alla corretta istallazione di questa tipologia di frigo. Ogni macchina esce infatti dalla fabbrica dotata di una precisa ed indiscutibile scheda tecnica che ne indica le esatte metodologie di istallazione per la quale è stata pensata e progettata. Queste schede contengono in pratica le misure dei vani di areazione “minimi” che ogni frigorifero da incasso deve possedere per poter serenamente funzionare anche all’interno del mobile in cui sarà inserito. Tali dimensioni, sono più o meno le stesse per ogni marca di frigorifero si intenda acquistare, ma possono verificarsi delle eccezioni che a volte non vengono prese attentamente in considerazione dalle aziende produttrici di cucine componibili. Un altro caso abbastanza frequente di errore, lo si rileva nel caso delle cucine prodotte in maniera “artigianale”, cioè non prodotte dalle industrie, che con i loro sistemi di controllo qualità, evitano più facilmente gli eventuali problemi. Può succedere infatti a volte che l’artigiano -per ragioni quasi sempre di “produzione” o di “progetto” (piuttosto che a causa di “errori” veri e propri)- non si attenga esattamente alle prescrizioni e costruisca degli alloggiamenti non attinenti a quanto richiesto dai produttori di elettrodomestici. Un consiglio che è giusto dunque dare, nel caso si decida di far costruire la propria cucina ad un artigiano è quello di verificare sin dal momento stesso della progettazione dei mobili, il possibile corretto inserimento di tutti quanti gli equipaggiamenti “da incasso”.
Se si tiene quindi giusto conto di queste importanti indicazioni, si può tranquillamente affermare che la scelta fra frigorifero da incasso e quello da appoggio, dipende esclusivamente da fattori prettamente estetici.
In verità la cucina “moderna” consente attualmente in egual misura entrambi i tipi di impieghi senza grossi problemi di arredamento. Certo, ove si intende perseguire una certa attenzione ad alcune linee “minimali” che fanno da guida del design oramai da qualche decennio, la scelta dovrà per forza essere orientata verso un frigorifero da incasso, che consente certamente di uniformare e regolarizzare gli stilemi della propria cucina componibile con maggior facilità. Però non è affatto detto che in cucine molto moderne e dalle linee tecnologiche come quelle progettate secondo lo stile “professionale”, quello high-tech o quello industriale, non possa trovare egregiamente una collocazione un bel frigorifero da appoggio, magari in acciaio o nero antracite.
Vi è stata poi qualche tempo fa, anche una certa riscoperta dell’uso del frigorifero free-standing pure per le cucine di gusto classico o “contemporaneo”. In questi casi l’attenzione si sposta prevalentemente verso la scelta di un design molto “attinente”, che intoni perfettamentel’elettrodomestico in quello che dovrebbe essere il suo definitivo contesto. In questi casi si predilige quasi sempre infatti l’uso di frigoriferi del tipo detto “bombato”, che altro non sono che una riedizione in chiave moderna e tecnologica dei primi frigoriferi che nel dopo-guerra, specialmente negli anni del “boom economico”, cominciarono ad affacciarsi sul mercato italiano. Linee molto stondate, maniglie cromate, marca in rilievo, colori pastello, ve li ricordate vero? Un “Cult” dal sapore dannatamente piacevole, al quale è difficile non affezionarsi…
Che si decida comunque di optare per un frigorifero da appoggio dal design “tradizionale” o dal gusto ultramoderno, l’importante è dunque che l’elettrodomestico che si intende sistemare in posizione libera, cioè da “Appoggio”, sia comunque ben integrato nella cucina componibile destinata ad ospitarlo.
A questo proposito è necessario fare un po’ di chiarezza circa il più opportuno posizionamento di un frigorifero free-standing all’interno di una cucina componibile. A parte le misure, di cui parleremo dopo, tre sono gli aspetti da prendere in considerazione a proposito di questo.
Per prima cosa, lo spazio disponibile intorno al frigo, che deve rispettare sempre i criteri indicati nei libretti di uso e manutenzione, i quali indicano, sempre, quanto è necessario lasciare libero intorno al frigo per far si che esso “respiri” in maniera sufficiente e regolare. Troppo spesso infatti di vedono frigoriferi “incastrati” all’interno dei loro alloggi in maniera addirittura inammissibile. Bisogna ricordare sempre infatti che un frigorifero “free-standing”, proprio in quanto è stato progettato per essere istallato liberamente (viene infatti detto anche “da libera installazione”), necessita di avere uno spazio intorno di almeno 5 o 6 cm (ma spesso anche molti di più, a seconda del modello, della potenza del motore e delle sue dimensioni), che deve formare un sorta di cornice vuota, tale da liberare il calore in eccesso proveniente dal motore e dalle griglia di raffreddamento retrostante.
Un altro fattore di estrema importanza per il posizionamento di un frigorifero da libera istallazione all’interno di una cucina componibile è la sua distanza dal forno e dal piano cottura, la quale proprio per gli stessi motivi citati pocanzi, deve essere sufficiente a non far “soffrire” il frigorifero stesso.
Per ultimo bisogna fare attenzione all’apertura delle porte. Molti frigoriferi da appoggio infatti, proprio perché progettati per avere intorno a se un notevole spazio, necessitano di alcuni centimetri lateralmente per fare in modo che la loro porta si apra completamente. Questo piccolo spazio laterale, che quasi sempre si trova fra il muro e il frigo stesso può essere di 5, 10 o anche 15 cm nel caso si opti per un frigorifero, ad esempio, del tipo “bombato”. Bisogna considerare bene questo spazio, perché se la porta del frigo non si almeno di 90 gradi, potrebbero presentarsi difficoltà sia per il suo utilizzo e la sua pulizia, sia per l’impossibilità di aprire i cassetti interni o rimuovere e spostare i ripiani.
In conclusione si può tranquillamente dire che quando si ha a disposizione in larghezza uno spazio limitato da destinare al frigorifero, le strade possibili sono due: optare per un frigorifero da appoggio di larghezza ridotta (ce ne sono diversi modelli larghi anche meno di 60 cm, ma hanno un design solitamente abbastanza semplice ed usuale), oppure preferire l’installazione di un frigo da incasso il quale, in ogni caso, non avrà una larghezza superiore ai 60 cm e non avrà probabilmente bisogno di molto spazio per permettere la sua apertura.
Quanto grande ti serve, il tuo nuovo frigorifero?
Le misure del nostro frigo “ideale” possono dunque variare molto in base allo spazio disponibile, ma anche a seconda di altre varianti come la capacità dei vani che ci occorre. Questa risposta ti aiuta a scegliere il modello più adatto: combinato, a due porte o “side by side”.
Le prestazioni sono le stesse, cambiano però la disposizione, la misura e la capienza complessiva del frigo. Da questo punto di vista si possono distinguere diverse tipologie di apparecchi da scegliere in base alle abitudini nella spesa, al numero di componenti della famiglia e all’esigenze quotidiane.
Consumi in prevalenza cibi freschi?
Un frigorifero a due porte sovrapposte di tipo “tradizionale” (quello con il frigo grande in basso ed il congelatore piccolino in alto), offre molto più spazio nello scomparto frigo (circa 190/220 litri), rispetto al freezer (più piccolo, di circa 40/60 litri) ed è quindi molto adatto a chi non è abituato a conservare molti cibi congelati. Per conservare meglio e più a lungo gli alimenti delicati come carne e pesce, è utile che l’apparecchio disponga del cassetto O °C dove le temperature sono inferiori rispetto al resto del vano frigo. Il vantaggio maggiore di questa tipologia di elettrodomestico sta nei consumi che, date le sue contenute dimensioni, sono piuttosto bassi.
Fai grandi scorte e congeli anche molti cibi già cotti?
In questo caso può essere più indicato un frigocongelatore combinato “50/50” cioè uno di quei frigoriferi che hanno lo spazio suddiviso circa a metà fra frigo è congelatore, sia nella versione a incasso che in quella a libera istallazione. In questa tipologia di elettrodomestico il vano frigo, posizionato nella zona superiore e il congelatore installato sotto (con temperatura di almeno -18°C) perché “a cassetti”, hanno quasi la stessa capacità, anche se non proprio esattamente. Il congelatore contiene infatti circa 120 lt e 160 litri ne contiene invece il frigo. In questi modelli spesso ci sono motori separati per i due vani, perché vengono costruiti sotto forma di due “macchine” fisicamente distinte e quindi divisibili.
Hai un consumo piuttosto bilanciato di cibi freschi e congelati?
Allora ti conviene optare per il “litraggio” più comune ed usato, quello del frigorifero combinato anche detto “rovesciato”. Questo elettrodomestico ha in genere una capienza complessiva che può variare fra i 300 e i 330 litri nel caso dell’incasso e dai 350 ai 390 litri nel caso dei frigoriferi a libera istallazione. Le macchine con queste caratteristiche possiedono davvero numerosissime varianti disponibili in commercio, che vanno dai normali frigoriferi in “classe a” con caratteristiche tradizionali, ai più avveniristici elettrodomestici dotati delle più recenti tecnologie. In genere essi sono costruiti su di un unico “chassis” che contiene in alto un ampio vano frigorifero dotato di ripiani e cassetti, mentre in basso hanno un vano congelatore capiente circa 90/100 litri suddivisi fra cassetti e ribalte. Questo modello risulta di gran lunga il preferito dalle famiglie italiane perché combina abbastanza bene quelle che sono le caratteristiche più comunemente richieste ad un frigorifero moderno: Ampia capacità di frigo e congelatore, versatilità dei vani interni e soprattutto bassi consumi. La produzione in larga scala ha consentito infatti, per questi modelli, di ottenere delle performance davvero eccellenti con dei consumi che nulla hanno da invidiare alle macchine di dimensioni più contenute.
Hai una famiglia numerosa?
Allora potrebbe servirvi un modello “maxi”: ci sono i “side by side” anche detti frigoriferi “all’americana”, con larghezza quasi doppia rispetto a un combinato o a un due porte, in cui frigo e congelatore sono messi uno sull’altro. In questo caso si tratta quasi sempre di elettrodomestici da libera istallazione che possono essere dotati anche di erogatore per il ghiaccio nonché di dispenser per l’acqua. Una stessa capienza, o addirittura maggiore, si può ottenere però un mono-porta e un congelatore verticale da incasso, accostati tra loro. Sempre con questo sistema si possono ottenere infine dei “quattro porte” da incasso, con più combinazioni possibili: 4 ante oppure 2 ante superiori adibite a frigo + 2 o 4 cassettoni per il congelatore in basso.
Vivi da solo e sei spesso fuori casa?
Non è detto che per questo motivo si debba per forza scegliere un frigorifero “piccolo”, può andare benissimo un combinato o un due porte di dimensioni standard, perché, purtroppo, un frigorifero “mini” non ha spesso in proporzione consumi molto inferiori rispetto agli altri. Chi ha invece specifiche esigenze di spazio può invece scegliere un frigo sottotop da installare in una base della cucina. Ve ne sono addirittura larghi 45 cm!. In ogni caso, per raffreddare in tempi brevi gli alimenti appena introdotti nel frigo e nel freezer, quasi tutti gli apparecchi più piccoli dispongono comunque dei ridotti scomparti di raffreddamento e congelamento da utilizzare quando occorre.
Come capire quanto consuma?
Leggere la scheda tecnica dell’apparecchio o la sua etichetta energetica può diventare facile anche per i meno esperti: il trucco è capire quelle che sono le informazioni davvero interessanti per noi e rapportare tali informazioni con le nostre esigenze. Quello dei consumi, ad esempio, è un dato fondamentale di confronto tra i modelli perché i consumi de1 frigorifero, sempre in funzione 24 ore su 24, possono incidere molto sulla nostra bolletta. Per fare questo è stato inventato un metodo standard di valutazione che si basa su una classificazione ben precisa. Tale classificazione viene riportata nei nuovi elettrodomestici nella cosiddetta etichetta energetica, che non è altro che un sistema con cui vengono identificati gli elettrodomestici, ordinandoli a seconda dei propri consumi, e classificandoli con delle lettere dell’alfabeto che vanno dalla “classe” “G” per le macchine più vetuste (anche se in verità è adesso la “D” la classe più bassa che appare sulle nuove etichette), fino ad arrivare alla classe “A” per quelle più innovative e dai consumi più ridotti. Negli ultimi anni la classe A è stata però superata dai più efficienti modelli in classe A+, A++ e A+++. La classe di efficienza energetica A+ è dal 2012 quella minima richiesta per i nuovi frigoriferi e congelatori in vendita sul mercato comunitario (in base ad una specifica disposizione dell’Unione Europea). La classe energetica indica dunque chiaramente i consumi ed è riportata sull’energy label che per legge accompagna tutti gli apparecchi in commercio, ed è visibile sull’elettrodomestico, sul libretto di istruzioni e deve essere obbligatoriamente esposta e ben visibile su ogni macchina al momento dell’acquisto in negozio. L’etichetta energetica segnala però anche tante altre informazioni come ad esempio il volume del vano frigo e quello del congelatore e il livello di emissione sonora espressa in decibel (dB). Sempre sull’etichetta energetica viene riportato soprattutto l’assorbimento annuo d’energia espresso in chilowatt kWh. Questo dato non è assolutamente da sottovalutare al momento dell’acquisto perché può rendere bene l’idea di quanto l’elettrodomestico che stiamo valutando inciderà sul nostro bilancio familiare. E’ infatti a questo puntoopportuno precisare una cosa. I piccoli segni “+” (più) che accompagnano la classe energetica “A” da qualche anno, possono apparire a prima vista non troppo rilevanti per chi sceglie un frigorifero. In realtà sono molto importanti perché un frigorifero in classe A+++ può consumare addirittura fino al 50% in meno di un analogo modello in classe A++, mentre quest’ultimo può assorbire a sua volta il 25% in meno di un apparecchio in classe A+. Più che sulle classificazioni sarebbe dunque importante avere, al momento della scelta, un esatta cognizione sul consumo annuo espresso in chilowatt. In tal modo, sapendo il costo in bolletta di ogni kilowatt ci sarà più facile calcolare i consumi del nostro frigorifero. Attenzione però: I consumi indicati sull’etichetta energetica sono quelli misurati in laboratorio, e sono rilevati in condizioni di tipo “standard” che simulano in qualche modo il normale uso; l’assorbimento reale di energia può però essere diverso, perché può dipendere da dove l’apparecchio è installato e da come lo si usa. Aperture frequenti degli sportelli o vani troppo pieni, per esempio, aumentano tantissimo i consumi. Il tenere occupate le parti interne prospicienti agli elementi raffreddanti (pur lasciando liberi gli altri vani) può causare una riduzione altrettanto importante di efficienza; così come il non lasciare il necessario spazio esterno intorno al frigorifero, lo mette in condizione di far lavorare il proprio motore in una situazione di sofferenza. Le nuove tecnologie, come il superisolamento delle pareti, l’auto-sbrinamento e il funzionamento ottimizzato del compressore, hanno in realtà contribuito a ottimizzare l’uso di ogni macchina, ma per mantenere i consumi a livelli accettabili occorre comunque un uso accorto e consapevole. Per consumare meno energia, molti nuovi modelli sono dotati di un motore “inverter” che modula la potenza erogata in base alle effettive necessità, con risparmi anche del 20% rispetto a un compressore tradizionale, ma è ovvio che se il frigorifero viene lasciato spesso aperto, oppure non viene regolarmente sbrinato (stiamo parlando di quei pochi senza lo sbrinamento automatico), consumerà lo stesso moltissimo.
Quello dei consumi del frigorifero è un tema talmente importante, che viene preso in considerazione perfino a livello “fiscale”. Se si ristruttura casa, infatti, all’interno delle agevolazioni previste dal “bonus mobili”, si ha diritto da qualche tempo diritto a uno sconto Irpef del 50% sull’acquisto di un frigo (o altri grandi elettrodomestici in classe A+) o superiori.
Come si legge l’etichetta energetica ?
L’etichetta energetica dei frigoriferi e dei congelatori è solitamente suddivisa in 5 differenti sezioni, che riportano ognuna un diverso tipo di informazione.
Nella sezione n°1: Devono venire riportati il nome o il marchio del produttore e il nome del modello. Questa è la parte più importante a livello normativo, perché è il punto dove il legislatore europeo ha deciso di mettere in pratica tutte quei precetti, che consentono una prevenzione delle frodi, o un utilizzo scorretto delle varie “certificazioni” che devono essere in possesso di ogni produttore. Une delle truffe più frequenti sotto questo punto di vista è proprio quella di associare ad un elettrodomestico l’etichetta energetica (e dunque le relative certificazioni di legge) di un’altro, al fine di falsificarne le caratteristiche e le performance.
Nella sezione n°2: Viene invece indicata in questa sezione la classe di efficenza energetica. Ed è questo il settore che di solito più interessa chi deve acquistare un elettrodomestico. In questa parte infatti è riportato su di un significativo diagramma, una rappresentazione grafica delle varie classi di consumo. Ogni classe è contraddistinta da un colore e su uno degli istogrammi che compongono il disegno è segnalata la classe energetica di cui fa parte la macchina e la sua posizione nella speciale “classifica” dei consumi. Dal 1° luglio 2010 era già stata vietata la vendita di frigoriferi e congelatori inferiori alla classe A, secondo quanto stabilito e sancito dalla Direttiva Europea detta “Ecodesign”, tesa ad un contenimento dei consumi di energia elettrica, al fine della salvaguardia ecologica del pianeta. Come abbiamo già detto, al momento dell’acquisto di un frigorifero nuovo, a partire dal 2012 la scelta è però possibile solo tra i differenti tipi di classe “A+” e cioè A+, A++ e ultimamente A+++. Questa sempre maggiore attenzione dei governi (e di conseguenza dei produttori) a consumi via via sempre più bassi ha portato però ad un’effettiva “confusione” sulle classi energetiche, che si riconoscono dunque ora, su molti elettrodomestici, solo dal numero di segni “+” che appaiono sulle nuove etichette accanto alla “A”, invece che (più chiaramente) dalle lettere dell’alfabeto, come era prima. Tale evoluzione ha reso quindi necessaria una futura riforma delle classi che probabilmente rialzerà ulteriormente “l’asticella” dei consumi, rendendone altresì più chiara e comprensibile l’indicazione ai consumatori.
In questo settore è possibile trovare anche il simbolo “Ecolabel” (si tratta di una “margherita” con le stelle usate come petali e la “E” di Europa al centro) il quale indica quando un prodotto è più compatibile con l’ambiente. Il marchio europeo Ecolabel, istituito nel 1992 con il Regolamento CEE n. 880/92 e revisionato nel 2000, specifica quando un prodotto è effettivamente “ecologico” e figura soltanto su quei modelli di elettrodomestico che vengono valutati come “ad elevata efficienza energetica”. Perché l’eco-margherita appaia su un prodotto, infatti, esso dovrà prima aver superato rigorosi test, riguardanti alcuni precisi criteri ambientali che, oltre al consumo energetico, concernono addirittura, il consumo delle risorse nella produzione, il rumore, il ritiro e il riciclaggio a fine vita, la vita media calcolabile per la macchina e la disponibilità effettiva e temporale delle parti di ricambio.
Nella terza sezione, viene finalmente indicato il consumo reale di energia espresso in KWh/anno. Come abbiamo detto dunque, più che la classe energetica in se (la letterina A+, insomma), questo sul consumo esatto calcolato in laboratorio, sarebbe il parametro da tenere nella maggiore considerazione quando si sceglie un frigorifero in base ai consumi. Invece esso viene il più delle volte trascurato per la sua intrinseca difficoltà di “lettura”. Il consiglio indispensabile da dare a questo proposito è quello di, prima della scelta di un frigorifero, avere ben chiaro il costo per kilowatt/ora che stiamo pagando in bolletta alla nostra compagnia elettrica. Esso infatti può variare, a volte anche di molto, a seconda del tipo di contratto e a seconda della compagnia fornitrice che si è scelta. Una volta posseduto il dato sul singolo kilowatt sarà più facile ed esatta la decisione sul frigo da acquistare, perché altrimenti la comparazione sul dato relativo al Kwh/anno, può dare a volte l’impressione che vi sia una minima differenza sui consumi , mentre in realtà questa, rapportata su tutte le bollette di un intero anno, può dar luogo a discrepanze davvero importanti.
Nell’ultima parte infine, quella presente in basso, vengono riportati i dati sulla esatta capacità interna dell’elettrodomestico e in particolare vi troviamo:
Nel settore 4, il volume utile interno (espresso in litri) dello scomparto atto alla conservazione del cibo fresco, ovvero gli scomparti “senza stelle” in cui la temperatura è superiore a – 6° C, detto quindi in maniera più semplice “del vano frigo”.
Nella sezione 5 il volume utile interno (sempre espresso in litri) degli scomparti atti alla conservazione dei cibi surgelati o alla surgelazione, ovvero quelli con stelle la cui temperatura è uguale o inferiore a – 6°C, detto in maniera più semplice “del vano congelatore”.
Sempre in questo settore è possibile osservare anche la tipologia di scomparto a bassa temperatura che il frigorifero possiede, la quale viene indicata secondo il cosiddetto “codice a stelle”. Tale simbologia si basa su di un codice internazionale (in verità piuttosto vetusto) che suddivide i frigoriferi a seconda della temperatura che riescono a raggiungere. Esso però non indica precisamente tali temperature! Se si è dunque interessati a conoscere esattamente quanto “freddo” il nostro frigorifero sarà capace di fare, nei diversi vani (ed il consiglio qui è ovviamente quello di informarsi su questi dati riguardanti le temperature), sarà necessario farsi consegnare dal negoziante il libretto di istruzioni o la scheda tecnica, la quale, lo ricordiamo, deve essere per legge preventivamente disponibile per ogni acquirente. Tutto questo anche perché la stringente normativa sui consumi ha costretto alcuni produttori (forse quelli più “disinvolti” ?) a rivedere le performance dei propri elettrodomestici di tipo “economico”, onde rientrare “anpliamente” nelle più allettanti classificazioni A+ e A++.
Nella sesta sezione, viene segnalata la rumorosità dell’apparecchio, ma ciò avviene solo da pochissimo tempo purtroppo. Circa questa parte vi è stata infatti un po’ di trascuratezza da parte del legislatore, il quale non obbligava i produttori a segnalare la rumorosità degli elettrodomestici più silenziosi come sono appunto i frigoriferi. Questo paradosso permetteva quindi a volte ai produttori di tralasciare questo dato, anche in macchine capaci effettivamente di produrre un fastidiosissimo “ronzio” in fase di funzionamento. Ciò avviene soprattutto in alcuni prodotti free-standing, economici, a cui non sono stati applicati tutti i criteri di isolamento acustico. Quasi sempre si tratta di frigoriferi di misure ridotte, in cui c’era poco spazio per isolare il motore, ma vi è più di un caso in cui si è riscontrato questo problema anche in macchine di grandi dimensioni, a volte troppo “economiche” per poter essere costruite davvero in maniera impeccabile.
Quale è il sistema di raffreddamento (e di sbrinamento) migliore?.
Più tipi di freddo. Il sistema di raffreddamento, cioè la modalità con la quale il freddo si diffonde all’interno dei vani del frigorifero è un altro importantissimo elemento di valutazione: ne esistono principalmente tre tipologie: lo statico, il no-frost e il ventilato.
Funzionamento Statico.
Sono i frigoriferi tradizionali, quelli cioè in cui l’aria fredda si diffonde in modo naturale, tendendo a scendere dall’alto (dove risiede quasi sempre la celletta freezer) verso la parte bassa del vano. Con questo sistema la parte in basso (non a caso destinata alla carne) risulta quindi più fredda rispetto ai ripiani superiori, con differenze che possono essere anche di 3-4 gradi. In questi modelli è necessario quasi sempre lo sbrinamento manuale periodico per rimuovere la brina che si deposita sulle pareti, in quanto quest’ultima, quando è depositata in grossa quantità, impedisce il regolare funzionamento del frigorifero stesso. Oggi tali frigoriferi, sono molto meno diffusi che in passato, sostituiti in larga misura dai no-frost e dai ventilati (che fra l’altro garantiscono di solito dei consumi più bassi); permangono però nelle versioni più economiche ed in quelle dotate di “sbrinamento automatico”. Quest’ultimo è un sistema abbastanza semplice con il quale viene tenuto spento per un breve periodo di tempo il motore del frigo. Così facendo le pareti di ghiaccio formatesi per condensa, si sciolgono lentamente e le acque prodotte vengono raccolte all’interno di un piccolo foro (posto di solito in basso, dietro al cassetto della carne), che è collegato con un tubicino ad una vaschetta posta sul motore. Tale vaschetta, una volta riempita di acqua, fungerà quindi da ulteriore “raffreddamento” al motore stesso.
Certo un sistema piuttosto “basic”, ma che funziona abbastanza bene e che evita le fatiche e le scomodità dello sbrinamento manuale, per attuare il quale occorrono alcuni accorgimenti importanti. Innanzitutto, utilizzate sempre una spatola di plastica e mai un coltello per rimuovere il ghiaccio. Con quest’ultimo potreste correre il rischio di forare le pareti del frigorifero rendendo necessaria una sua completa sostituzione. Qualora il ghiaccio risulti troppo consistente per essere rimosso con la spatola, occorre per forza attendere che si sia sciolto maggiormente, provvedendo nel contempo a far si che l’acqua che si forma dal suo scioglimento non esca in maniera troppo copiosa dal frigo danneggiando magari i mobili o il pavimento. Una volta rimossa la maggior parte del ghiaccio occorre procedere ad una sua completa pulizia, perché i batteri che si possono formare a causa dell’alzamento della temperatura possono essere davvero molto pericolosi. La pulizia va effettuata con l’ausilio di detersivi appositi o di un normale sapone che però non rilasci sostanze che possono risultare nocive per gli alimenti. Non vi trattenete dall’usare a questo scopo anche del semplicissimo aceto bianco: è un ottimo disinfettante e se anche può sembrarvi lasciare un pessimo odore, esso sparirà dopo qualche giorno ed il risultato igienico sarà perfettamente garantito. Durante questa fase non dimenticate di pulire (in verità andrebbe fatto con cadenza regolare) anche la guarnizione in gomma intorno agli sportelli, soprattutto per evitare la formazione di grumi di sporco che oltre ad essere molto pericolosi per la salute, la possono lentamente consumare, facendo perdere al frigo la propria “tenuta”.
Quella del pulizia è un’abitudine che nel caso del frigo a sbrinamento manuale è ovviamente indispensabile, ma che è importantissima anche nei frigoriferi con gli altri tipi di funzionamento. Senza quest’ultima possono formarsi infatti batteri sui cibi che una volta tolti dal frigo corrono il rischio di decomporsi molto più rapidamente di quanto dovrebbero.
Funzionamento No-frost.
Proprio per evitare il più possibile questo tipo di problema, sono stati inventati i frigoriferi No-front. L’aria in questi elettrodomestici circola nel vano interno in modo forzato grazie a un sistema di canalizzazioni: la refrigerazione è più rapida e la temperatura uniforme a qualsiasi livello. In questo modo non si deposita che pochissima brina sulle pareti e non si forma comunque mai su di esse uno spesso strato di ghiaccio, come può avvenire sugli “statici”. Non è quindi più necessario intervenire per rimuoverlo manualmente, ma lo sbrinamento è completamente automatico e funziona perfettamente anche grazie alla poca quantità di materiale ghiacciato depositato. Nei moderni frigoriferi la tecnologia no-frost può essere applicata al solo vano congelatore, oppure sia al congelatore sia al frigorifero (vengono detti frigoriferi “total no-frost”). Il sistema no-frost ha dunque indubbi vantaggi pratici nella gestione. Attenzione però: la circolazione forzata dell’aria tende a ridurre il tasso di umidità e gli alimenti si disidratano più in fretta se non vengono confezionati in modo corretto. E il classico caso in cui risultano utilissimi gli accessori in plastica con chiusura ermetica e la pellicola trasparente. Con questi accorgimenti infatti gli alimenti vengono protetti dalla perdita della loro umidità naturale ed allo stesso tempo vengono conservati in temperature molto uniformi e controllate.
Funzionamento Ventilato
Questa tecnologia (indicata in modi diversi dai vari produttori) si applica solo al vano frigo ed è una via di mezzo tra il sistema statico e il no-frost. Una ventola posta di solito in alto, proprio vicino al punto da dove proviene il freddo, spinge l’aria gelata ovunque e dall’alto in basso, quindi la temperatura si mantiene omogenea nelle zone aperte, mentre rimane differente in quelle separate e chiuse, come nelle ribalte e nei cassetti. In questo modo il livello di umidità si mantiene più alto rispetto ai no-frost perché l’aria che viene fatta circolare all’interno dei vani frigo è sempre la stessa e non subisce modifiche di temperatura. Tant’è vero che se manca la corrente, il freddo interno dura più a lungo rispetto ai frigo statici o ai no-frost; e la capienza interna, a parità di dimensioni del frigorifero, è maggiore sia per la minore necessità di isolamento (ecco perché infatti spesso questi apparecchi consumano meno), sia per la mancanza di canalizzazioni interne alle pareti.
Sulla scheda tecnica è possibile quasi controllare anche le ore di “autonomia” senza corrente dell’apparecchio: quanto cioè a lungo si mantiene il freddo all’interno del frigo in caso di mancanza di corrente.
Che cosa è cambiato con l’elettronica?
I frigoriferi di ultima generazione sono in gran parte a funzionamento elettronico. Per la regolazione delle temperature, al posto del tradizionale termostato hanno sensori termici che controllano il microclima del frigorifero e del congelatore.
Quando subentra qualche variazione rispetto alla temperatura impostata questa viene subito rilevata dai sensori e il funzionamento del compressore si adegua di conseguenza per ripristinare le condizioni ottimali. In alcuni modelli da libera istallazione un’interfaccia digitale -in genere un display touch-screen sulla porta esterna – permette di monitorare le funzioni e i gradi interni, tutto senza aprire lo sportello.
Molti modelli di frigocongelatori hanno oggi capacità nette (cioè utili) molto elevate, anche superiori ai 500 litri. Sono quindi adatti a chi fa grandi scorte alimentari, con possibilità anche di risparmiare sul prezzo degli acquisti.
Attenzione però a evitare gli sprechi ! Come può aiutarci il frigorifero in questo ?
Il cibo troppo spesso viene sciupato, mentre per molti esseri umani sulla terra il problema è quello di non averlo: un paradosso contemporaneo che coinvolge soprattutto il mondo occidentale. Alla base ci sono quasi sempre acquisti sbagliati ed eccessivi, ma anche una cattiva conservazione degli alimenti dovuta a errori banali. Del tema “Nutrire il pianeta” si è occupata anche “Expo 2015”, la grande fiera mondiale tenuta a Milano-Rho fino alla fine di ottobre del 2015, in cui è stato dato tantissimo spazio all’argomento “spreco alimentare”.
Ogni anno infatti nel mondo si scartano 1,3 miliardi di tonnellate di cibo ancora commestibile, 90 miliardi solo in Europa: ciò significa una media di quasi 180 kg a persona. Questi sono gli impressionanti dati emersi dagli ultimi rapporti della Fao (www.fao.org), Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura. Gli sprechi alimentari in Italia e ne1 mondo hanno origine a diversi livelli: nel filiera produttiva stessa (55%), nella ristorazione e in ambito domestico (45%).
In fase dì produzione moltissimi degli alimenti vengono scartati per eccedenze non programmate, ma anche, molto spesso, solo per la loro non conformità agli standard (delle dimensioni, del colore o dell’estetica) o addirittura per un qualche difetto nel confezionamento o nella stampa dell’etichetta.
Nelle famiglie, invece, lo spreco deriva per lo più da acquisti, o preparazioni in cucina superiori alle effettive necessità di consumo. Finiscono gettati via soprattutto cibi freschi, in particolare frutta e verdura di cui si sprecano rispettivamente circa il 51,2% e il 41,2 % della produzione. E quello che più stupisce è il fatto che la maggior parte dei rifiuti provengono soprattutto dai frigoriferi!
In realtà però, a parte la conservazione, è la programmazione errata della spesa e dei pasti a far sì che si lascino scadere tanti alimenti, anche a lunga conservazione, prima di poterli consumare.
Una parte ancora troppo piccola delle eccedenze viene recuperata e riutilizzata. Dei 6 milioni di tonnellate di eccedenze alimentari scartate ogni anno in Italia (per un valore di 13 miliardi di euro), oltre un milione e mezzo è recuperabile, perfettamente integro e commestibile. È quanto emerge da una ricerca compiuta nel 2013 dal Politecnico di Milano (www.polimi.it) nella quale si indica chiaramente quanto anche sul piano pratico, molto si può fare a casa propria per contenere gli sprechi: dalla programmazione della spesa, come abbiamo detto, per evitare di acquistare quantità eccessive di alimenti, all’organizzazione della dispensa e del frigo in modo da stabilire ogni giorno il menu in base agli ingredienti disponibili.
Esistono anche specifiche “App” per la gestione intelligente delle scorte: scaricate sul cellulare o sul Tablet, permettono di monitorare le date di scadenza dei cibi e di regolare così le priorità di consumo. In molti casi, con qualche minimo accorgimento, è possibile adattare le ricette che si vogliono preparare alle quantità di ingredienti che si hanno nel frigo; o addirittura trovare molti piatti che si possono cucinare con gli avanzi. E’ in questo che si riconoscono davvero i migliori Chef!!
Nell’ambito di questo ragionamento sull’importanza di una corretta conservazione dei cibi, rientra anche tutto ciò che riguarda L’attrezzatura interna che deve essere adeguata alle esigenze personali, in base alla quantità e qualità di cibi e bevande che si conservano nel frigorifero.
Come ottenere una conservazione perfetta ?
Per avere ampia informazione su questo argomento, vi rimandiamo all’apposito articolo che troverete fra i nostri consigli.
Per adesso teniamo a darvi qualche notizia di massima, utile almeno per darvi un idea su questo argomento.
E’ importante sapere infatti che nei cibi freschi, come frutta, verdura e formaggi, la durata e il mantenimento delle caratteristiche organolettiche e dei sapori originali, non è soltanto una questione di freddo, ma anche di umidità. Un livello intermedio di quest’ultima, è fondamentale per evitare sia la formazione di muffe sia, al contrario, la disidratazione. Come ogni ambiente, il frigorifero e il congelatore hanno infatti un loro microclima interno, dato dalla combinazione di basse temperature e umidità. In una condizione di umidità ottimale (intorno al 45-60% nel frigo), la conservazione dei cibi freschi può prolungarsi in media di 7-15 giorni. In molti modelli di ultima generazione questi parametri sono regolati con sistemi elettronici che rilevano eventuali variazioni, ripristinando automaticamente il livello ideale. Queste tecnologie possono essere estese a tutto il vano o concentrarsi su specifici scomparti o cassetti “del fresco” con caratteristiche idonee, quindi, alla conservazione di frutta e verdura o di altri alimenti freschi senza che si disidratino o marciscano. A migliorare la conservazione contribuiscono anche specifici trattamenti antibatterici, spesso agli ioni, delle pareti di alcuni modelli di frigorifero.
In generale comunque, all’interno del frigorifero la temperatura viene solitamente impostata tra i 4 e i 7 °C; a seconda del sistema di raffreddamento dell’apparecchio, può essere costante su tutti i livelli, oppure differenziata, con i ripiani bassi più freddi e quelli alti con qualche grado in più.
Come organizzare al meglio l’attrezzatura interna del frigorifero ?
Parliamo adesso delle varie suddivisioni riscontrabile nella maggior parte dei frigoriferi, partendo proprio dal considerare il vano “frigo” vero e proprio, quello cioè in cui viene riposta di solito la maggior parte del cibo. Esso è solitamente suddiviso in scomparti tramite dei ripiani che possono essere in vetro oppure in griglia di metallo. Quelli in vetro, anche se più fragili, sono da preferirsi perché a lungo andare non arrugginiscono, anche se sono abbastanza più pesanti di quelli in metallo e per questo più difficoltosi a spostarsi. A questo proposito è abbastanza ovvio precisare che quando è possibile in fase di scelta, è sempre meglio preferire elettrodomestici in cui i ripiani abbiano in qualche modo la possibilità di essere regolati in altezza. In questo modo infatti si evitano situazioni di difficoltà che si verificano, ad esempio, quando si vuole riporre un anguria o quando desideriamo mettere in frigo un’intera pentola. All’interno di questo vano i vari scomparti avranno quindi, come abbiamo visto, una temperatura uniforme, se si tratta di macchine a controllo elettronico di tipo no-frost o ventilato, mentre saranno più freddi quelli in basso, quando useremo un frigorifero di tipo statico. Quasi tutti i frigoriferi possiedono comunque in basso due scomparti che possono essere separati dal resto, tramite dei cassetti oppure delle ribalte.Bisogna fare attenzione a questi vani è riporci ciò che è indicato nei libretti di istruzione: questi alloggiamenti speciali infatti sono abitualmente posizionati in basso perché è in quella zona che si raggiungono quasi sempre le temperature più basse e quindi più adatte a contenere alimenti “importanti”, ma molto reperibili come la carne.
La loro posizione è però la stessa, pure nel caso dei frigoriferi ventilati ed in quelli no-frost, anche perché vi sia più comodo per le massaie, riporvi gli alimenti più pesanti come appunto la carne.Vi sono altresì anche frigoriferi in cui i cassetti interni sono più di uno ( a volte sono addirittura tre o quattro) per permettere anche l’alloggiamento separato delle verdure e della frutta (che come abbiamo detto, non sopportano temperature troppo basse) o dei formaggi. Quando non si possiede un frigorifero con dei reparti dedicati a questo tipo di cibo è sempre buona abitudine l’utilizzo degli appositi contenitori in plastica che, isolando quegli alimenti dal resto del frigorifero, manterranno per loro un microclima simile a quello di una cantina. Oltre al vano centrale grande, sono disponibili in tutti i modelli di frigoriferi dei piccoli vani delle controporte, che sono destinati in alto a riporvi lo scatolame, i barattoli, i formaggi e le uova (non a caso tutti alimenti dalle piccole dimensioni), mentre quelli in basso vengono predisposti per le bottiglie ed i contenitori in tetra-pack. Un accorgimento consigliabile per quanto riguarda questi vani è quello di controllare sempre se sono in qualche modo spostabili in altezza e se la loro profondità consente l’inserimento delle bottiglie da due litri, che sono il formato più venduto per l’acqua minerale.
Il vano congelatore al contrario del frigo non permette tante possibili comparazioni o differenti utilizzi. Esso è disponibile di solito con due tipi di scomparto: a cassetti e a ribalta. L’aspetto “praticità” del congelatore si gioca infatti su queste due varietà di aperture in quanto, mentre il cassetto è da preferirsi in molti casi perché è più facile accedervi estraendolo, la ribalta risulta altresì più comoda perché capace di contenere ben più alimenti rispetto ad un cassetto. Di solito infatti, siccome nella parte bassa del frigorifero prende posto il motore, quando osserviamo un “rovesciato” o un combinato (quegli apparecchi cioè che hanno il congelatore in basso) si può notare che il vano più in basso è utilizzabile tramite una ribalta perché di profondità ridotta, mentre gli altri più in alto sono cassetti.
I frigoriferi di tipo “rovesciato” possiedono dunque di solito due cassetti ed una ribalta, ma ve ne sono anche a tre cassetti, di cui quello più in basso ha delle dimensioni molto minute. Nei combinati 50/50 invece questi vani sono quattro e sono suddivisi fra tre cassetti ed una ribalta. Nel caso dei frigoriferi con freezer (quelli cioè con un piccolo vano congelatore in alto), non troveremo ne cassetti ne ribalte all’interno della parte congelatore, perché essi non si aprirebbero in maniera sufficientemente agevole, ma vi troveremo quasi sempre un piccolo ripiano in modo da suddividere il vano in due. Vi sono poi le versioni “doppia-porta” quelli cioè che hanno il congelatore posto in verticale accanto al vano frigo. In questi modelli le disposizioni interne possibili sono due: la comparazione a cassetti e ribalte, riscontrabile nei modelli di altezza non superiore ai 150/170 cm e quella a ripiani (con qualche cassetto interno) riscontrabile in tutti gli altri modelli. A proposito di quest’ultimi è bene precisare che l’utilizzo dei ripiani interni ad un congelatore, va fatto con una maggiore attenzione rispetto a quella che deve avere chi possiede un congelatore a cassetti. Il motivo è abbastanza ovvio: pur avendo una capienza maggiore infatti, il congelatore a ripiani (come quello con i vani a ribalta, del resto) non consente una comoda estrazione degli elementi congelati, perciò risulta molto più necessario in questi casi l’uso dei contenitori in plastica al posto dei tradizionali “sacchetti”. I sacchetti infatti, specie quando contengono alimenti piuttosto liquidi, tendono ad adagiarsi alle pareti dove vengono riposti e questo può causare delle scomodissime “incollature”, specie quando quest’ultimi rimangono troppo a lungo conservati. Le apposite vaschette con coperchio, dunque, sono da preferirsi di gran lunga sia nei vani congelatore con ribalta sia in quelli con ripiani a vista, perché permettono un utilizzo più comodo del congelatore stesso, pur sacrificandone un po’ lo spazio interno.
Concludiamo qui questa serie di indicazioni che possono senz’altro risultare molto utili a chi si accinge ad acquistare il proprio frigorifero. Non dimentichiamo però che vi sono tanti negozianti preparati e competenti che sono in grado di consigliare al meglio ogni scelta.
Ante in Pvc o Polimerico
Con il termine "Anta in polimerico" si indica, nel settore del mobile, un tipo di frontale rivestito di PVC (cloruro di polivinile) usato per produrre mobili e cucine componibili. Per ottenere questo tipo di prodotto si sagoma di solito un pannello in MDF (in quanto più liscio ed uniforme del truciolare) dello spessore variabile dai 14 ai 24 mm, dandogli la forma di un rettangolo con gli spigoli perimetrici esterni un po' stondati. Tale pannello viene poi cosparso di collante (solitamente Poliuretanico o vinilico) e vi viene steso sopra un sottile foglio di polimerico in PVC. Tale materiale si diversifica dai laminati plastici solitamente usati a questo scopo per la sua capacità di deformarsi e stirarsi fino ad assumere perfettamente le sembianze del pannello a cui esso è applicato, più o meno come farebbe una vernice, ma con un tipo di resistenza maggiore. Per ottenere l'unione fra pannello e foglio polimerico, dopo l'incollaggio, l'anta viene infatti premuta contro il suo rivestimento attraverso una pressa che fa aderire perfettamente il foglio al pannello in MDF. Tutto questo avviene perchè la macchina "termoforma" il PVC, scaldando i due materiali uniti (PVC e Medium Density) e facendo espellere l'aria in eccesso, in modo da ottenere la loro perfetta adesione. La stondatura degli spigoli perimetrici del pannello serve ad applicare perfettamente il polimerico al Medium Density senza rischiare che dei suoi eventuali spigoli troppo acuti causino la rottura della pellicola stessa, durante la fase di piegatura e termo-formatura. Una volta raffreddato il pannello e controllata la qualità dell'applicazione, si procede a rifilare gli eccessi di plastica sporgenti dall'anta a causa della sua stessa lavorazione. Da notare il fatto che essendo il rivestimento polimerico applicato alle 5 facce "a vista dell'anta, è necessario che il retro, sia precedentemente rifinito o con un foglio melaminico o con una verniciatura di un colore simile al rivestimento frontale. Tale procedimento consente di realizzare ante che possono assumere l'aspetto di un'anta laccata (lucida o opaca), di un'anta che imita in maniera molto realistica uno sportello in vero legno, oppure una finitura metallica o effetto "malta", ma che si riconoscono da quest'ultime grazie al fatto che la giunzione fra il rivestimento in PVC e il rivestimento retrostante l'anta, formano uno spigolo "vivo", ovviamente evidente quando lo sportello è aperto. Tale giunzione può dirsi in verità l'unico punto debole di questo tipo di anta perchè essendo appunto il punto di congiungimento fra due materiali, essa può essere soggetta ai danni causati dall'umidità e dal vapore. Il fatto però che questa giuzione si trovi posteriormente e non frontalmente allo sportello, rappresenta già una importante garanzia per questo moderno e piacevole materiale di rivestimento.
Qualsiasi sia la finitura realizzata, al termine del processo il risultato sarà reso particolarmente piacevole, a livello estetico, dall'assoluta mancanza di bordi laterali o di giunzioni, le quali saranno presenti solo nella parte posteriore dell'anta, parte in cui il pannello è solitamente rivestito in melaminico bianco o in tinta con il frontale.
Esistono foglie polimeriche di vario tipo, prodotte con differenti tipi di resine plastiche, ma nonostante si sia iniziato da un po' di tempo ad utilizzare anche il PET per le sue proprietà ecologiche, il materiale più diffuso rimane attualmente comunque il PVC. Esso viene utilizzato solitamente in fogli dallo spessore variabile da 0.09 a 0.3 mm, a seconda della qualità e della forma del pannello che si intende rivestire. L'elasticità e la malleabilità del polimerico è infatti una caratteristica che risulta particolarmente importante quando si tratta di realizzare rivestimenti in 3D. Tant'è vero che, a differenza del laminato, il PVC grazie al suo basso spessore, consente di rivestire non solo pannelli completamente lisci ma anche pannelli sagomati, scorniciati o dotati di incavi ad uso maniglia. Questa sua proprietà comporta il fatto che il PVC abbia una resistenza al graffio certamente inferiore al laminato (questo è il motivo per cui non è usato per piani d'appoggio, bensì solo per le ante o le mensole) ma che, rispetto al "laccato" o al legno verniciato, abbia comunque una tenacia superficiale maggiore. Ciò è dovuto soprattutto alla sua migliore refrattarietà a danneggiarsi durante le fasi di pulizia ed alla sua maggiore resistenza ai micro-graffi. Tutto questo, unito al fatto che tale rivestimento offre costi molto accessibili ed una perfetta omogeneità di colori e materiali, lo fanno spesso preferire ad altri materiali. Il foglio polimerico permette inoltre di essere verniciato con le normali vernici da legno e ciò consente un suo sfruttamento per la produzione di altri tipi di ante "composte" e formate ad esempio da differenti pezzi di MDF rivestito in PVC, messi insieme a formare ante sagomate o scorniciate, come avviene ad esempio con l'Alkorcell di cui avremo modo di parlare adesso.
Ante da cucina in Alkorcell o Pvc "composto"
Con il termine commerciale ALKORCELL si denomina una pellicola decorativa a base di Polipropilene prodotta dall'azienda Renolit e utilizzata per il rivestimento di porte da interno e di ante da mobilia.
Questo tipo di ante è dunque particolarmente adatto alla riproduzione del legno, tant'è vero che le ante rivestite con questa metodologia sono disponibili in tante varianti con effetto naturale, colorato, con superfici accattivanti e molto verosimili.E' importante sottolineare che nel settore arredo, con il termine Alkorcell si intendono spesso per analogia, tutte quelle ante costruite con questo sistema, siano esse prodotte con pellicole polipropileniche (come l'Alkorcell, appunto) sia quelle più comuni rivestite in PVC (in questo caso anche detto Polimerico).Circa le caratteristiche qualitative del prodotto in questione, valgono più o meno le cose citate prima a proposito delle ante in Polimerico, cioè discreta resistenza ai micro-graffi, ottima duttilità e eccellente aspetto; vi sono però da segnalare due importanti fattori
distintivi che non riguardano le proprietà dei materiali da rivestimento, bensì le modalità di costruzione delle ante prodotte con questo
sistema. Il primo interessa la forma che viene data all'anta in questione la quale, come abbiamo già detto, viene ottenuta mettendo insieme dei singoli pezzi rivestiti in pellicola termo-formata. Tali pezzi sono tenuti insieme tramite incollaggio e incastro, ma il sistema produttivo con il quale sono singolarmente realizzati non consente, una volta uniti, di sigillarne le commettiture in moda da renderli perfettamente impermeabili così come avviene con un'anta perfettamente liscia. Fra i regoli perimetrici che formano il telaio di un'anta "classica" e la sua parte centrale liscia (in gergo detta bugna o bozza), vi sono difatti (come avviene nelle ante in vero legno) delle fessure orizzontali e verticali in cui è bene non entrino acqua o vapore. Ciò per evitare che con l'andare del tempo l'umidità ivi imprigionata, faccia ingrossare il MDF interno, fino a danneggiarlo irrimediabilmente. Questo è da tenere ben presente soprattutto in fase di pulizia e di utilizzo della zona lavaggio. Ciò non è assolutamente da considerarsi un difetto perché non inficia assolutamente la qualità intrinseca del materiale, è però un fattore da tener presente per evitare, ad esempio, di lavare le ante con troppa acqua o impedire al vapore della lavastoviglie di penetrare nei bordi laterali degli sportelli vicini. Quello dei "bordi riportati" è del resto la seconda delle importanti differenze che esistono fra un'anta detta "in Polimerico" ed una detta "in Alkorcell". La lavorazione con cui sono rivestiti i singoli pezzi da cui sono composte le ante di questa tipologia, obbliga infatti i produttori a "bordare" in
ABS la parte laterale dei regoli sagomata o delle cornici. Questi bordi, sono presenti solo in una limitatissima parte
del perimetro laterale delle ante e sono perfettamente sigillati così come avviene per i bordi delle ante in laminato, sono solo da tenere in considerazione perché, a differenza di ciò che avviene nelle ante in polimerico che presentano una superficie unica su ben 5 lati, le ante in Alkorcell presentano diversi punti di giunzione e commettitura. Il loro bell'aspetto, d'altronde, sarebbe però irriproducibile con un'anta in polimerico a foglio unico quindi ciò rende preferibile questo materiale in numerosi casi. Tant'è vero che fra i tanti vantaggi che questo tipo di anta possiede, vi è pure quello di poter essere "laccata" in superficie, proprio come è possibile fare con le ante in legno massello o impiallacciato, ottenendone in pratica delle caratteristiche estetiche del tutto similari. Tale possibilità viene attualmente molto sfruttata dalle aziende produttrici di cucine, le quali, possono in questo modo contare su un infinità di colori da poter aggiungere alle tantissime pellicole riproducenti il legno naturale esistenti in commercio. D'altronde anche la resistenza che può offrire un tipo di anta "laccata" come questa, è del tutto simile a quella ottenibile con un'anta il legno impiallacciato o massello, ma con un costo notevolmente più basso. Anzi in verità si può dire che un'anta in PVC o Alkorcell laccata, possiede una resistenza meccanica addirittura superiore ad un'anta laccata in vero legno grazie proprio allo spessore della pellicola sintetica che la riveste.
Ante da cucina in Laminato solido "Stratificato", SolidTop o HPL "Compact"
Terminiamo la descrizione delle ante da cucina dotate di una superficie "sintetica" con una tipologia di sportello che in verità ha davvero poco a che fare con le varianti finora esaminate. Quelle viste sin qui sono infatti tutte ante costruite rivestendo in materiale plastico dei pannelli di sostegno costruiti in truciolare o Mdf. Tant'è vero che nel paragrafo relativo alle ante in laminato abbiamo già preso in considerazione l'uso dell'HPL o Laminato Stratificato in quanto "materiale da rivestimento". Da molto tempo a questa parte esso viene però utilizzato, nelle sue versioni più spesse e massicce, anche come struttura autoportante per la realizzazione di piani di lavoro ed ante. Nella tipologia che andremo adesso a esaminare è infatti la "materia plastica" a divenire la parte sostanziale del prodotto finito. Stiamo parlando in pratica del prodotto nato dall'evoluzione dell'originale prodotto commerciale chiamato "Formica", di derivazione americana, per ottenere il quale si sovrappongono tanti strati successivi di fibra di cellulosa impregnati con resina fenolica o melaminica, abbinandoli, vicino alla superficie, con un foglio decorativo stampato e colorato che ne nasconde l'interno scuro della materia e gli dona un aspetto interessante e variegato. In quest'ultimo caso si parla di PRINT HPL (High-pressure decorative laminates).
Essenzialmente il 60% del laminato HPL è costituito da carta, mentre il restante 40% è costituito da resine termoindurenti (resina fenolica per gli strati interni e resina melaminica per gli strati superficiali). Alcuni laminati HPL possiedono perfino degli strati metallici intercalati nel cuore del pannello, mentre talune tipologie hanno al loro interno lamine di metallo (per renderli resistenti alla fiamma diretta), o impiallacciature in vero legno come superficie decorativa.
Il laminato PRINT HPL o laminato stratificato (un altro suo nome commerciale è SolidTop) si presenta dunque come un corpo unico, massiccio, di spessore variabile a seconda degli usi che se ne deve fare e dotato di una superficie molto dura e resistente, che lo rende uno dei materiali ideali da essere utilizzato per l'arredo delle cucine. L'HPL è solido, robusto ma allo stesso tempo elastico, relativamente leggero, ma soprattutto perfettamente impermeabile ed inattaccabile da umidità e vapori da ogni lato del suo rivestimento e del suo perimetro. La sua superficie può essere decorata in tantissime varianti e, essendo prodotta inserendo uno strato ornamentale sopra a tanti altri strati di resina melaminica ma sotto ad un robustissimo strato di resina melaminica trasparente,
essa possiede caratteristiche tecniche eccellenti come la resistenza agli oli ed a tantissime altre sostanze chimiche. Quello però che lo rende
Per quanto riguarda le ante delle cucine componibili, per l'impiego di questo ottimo materiale, si utilizzano di solito pannelli dello spessore variabile dai 4 ai 6 mm. Il materiale in questione viene in realtà prodotto in spessori che vanno dai 0,6 ai 30 mm, ma viene utilizzato al nostro scopo in spessori relativamente bassi per non aggravare le cerniere dei frontali delle cucine con pesi eccessivi. Una volta sezionato in pannelli di dimensioni adeguate, il materiale si presenta come una serie di lastre dalla superficie decorata e dai bordi lasciati "al vivo" (il laminato stratificato non necessita infatti di bordi riportati) che possono solitamente presentarsi nei colori nero (come avviene nella maggior parte dei casi) oppure bianco o addirittura in tinta con il decoro davvero differente da tutti gli altri materiali con cui si costruiscono le ante di una cucina è la sua perfetta resistenza a temperature addirittura fino a 180°. Tutte queste eccezionali caratteristiche sono principalmente dovute al fatto che il materiale in questione, pur essendo dotato di un decoro superficiale e di un corpo centrale portante di diverso colore, non è costituito da elementi separati di natura differente, ma è bensì costruito come un unico solido spessore, realizzato sovrapponendo strati di fibre di cellulosa impregnati con resine termoindurenti e sottoposti ad un processo ad alta pressione (da questo il suo nome) consistente nella applicazione simultanea di calore e pressione. Ciò determina la fusione e la policondensazione delle resine usate, da cui si ottiene un materiale omogeneo, resistentissimo, non poroso e con la possibilità di essere dotato di un infinita variante di decori e colori che vanno dalle tinte unite, ai disegni, dai finti legno alle finte pietre e così via. Le sue doti sono dunque tali da potervi costruire non solo ante ma anche piani di lavoro e addirittura lavelli!
superficiale. Una volta sezionate le lastre vengono controllate e levigate ai bordi, smussandone nel contempo anche gli spigoli. Una volta completata tale lavorazione si procede con l'applicazione di queste lastre su dei telai in alluminio, realizzata attraverso l'applicazione di viti e collanti. Tali telai - disponibili di solito sia nei colori scuri (come il brown), sia nelle versioni chiare come l'anotizzato ed il bianco - hanno una larghezza ed uno spessore tali da poter alloggiare e sostenere le cerniere che uniranno l'anta alla scocca del mobile. L'anta così ottenuta ha di solito uno spessore variabile dai 22 ai 28 mm e possiede, grazie alla sua conformazione, eccellenti caratteristiche di leggerezza, resistenza superficiale, assenza di bordi riportati, robustezza e lunga durata. Un altro aspetto da menzionare riguarda le particolari superfici , "venate" o “goffrate” che ultimamente caratterizzano spesso questi materiali. Questa caratteristica specifica merita attenzione in quanto l'HPL o Laminato stratificato, grazie ai suoi metodi di produzione, consente di ornare la propria superficie con effetti in 3D riproducenti perfettamente le rugosità naturalmente presenti, ad esempio, sul legno e sulla pietra. Uno dei motivi per cui questo materiale ha un notevolissimo successo anche in quanto materiale di rivestimento sta proprio nel fatto che esso, nella sua versione sottile, può essere applicato a pannelli in mdf o truciolare successivamente bordati, mentre, nella versione "Solid" o "Compact", esso si presenta esclusivamente con i bordi laterali a vista e ciò ne denuncia bene o male la reale sostanza.
Ante in legno impiallacciato
Torniamo adesso a parlare di quella tipologia di anta che prevede l'utilizzo di un supporto in particelle di legno (truciolare) o di MDF, descrivendo quella tipologia di anta che possiede le superfici esterne rivestite con una sottile foglia di vero legno. Lo faremo - visto che stiamo parlando di legno - proprio cominciando a delineare le caratteristiche dei materiali che possono costituire l'interno di questo tipo di anta, la sua parte cioè predominante e strutturale, i quali sono per l'appunto realizzati specificatamente utilizzando il legno.
Storicamente l'usanza di "nobilitare" con essenze pregiate dei legni di più scarso pregio, risale già a tantissimi secoli fa ed era dovuta principalmente al fatto che la rarità, il pregio ed il conseguente costo maggiore di alcune tipologie di legno, erano problemi divenuti ad un certo punto "ovviabili" grazie all'evoluzione tecnologica che aveva consentito (più industrialmente a partire dalla metà del diciassettesimo secolo), di ottenere dei fogli molto sottili di legno, da applicarsi al massello di altre essenze più povere e morbide come il pioppo, il cipresso e l'abete. Nel secondo dopoguerra si è iniziato ad applicare questi fogli di legno ad altri materiali più "tecnologici" e meno costosi - grazie ai processi di industrializzazione con sui essi vengono realizzati - come il compensato, il Truciolare e l'MDF appunto. Con questi materiali era del resto possibile realizzare grandi superfici uniche, che con il massello non potevano essere create; senza contare che tali materiali possedevano caratteristiche uniche (come la grande indeformabilità e l'inattaccabilità degli insetti che li rendevano particolarmente adatti alla costruzione di arredi e cucine).
La moderna industria del mobilio, per la costruzione di ante e pannelli, è andata via via indirizzandosi verso l'uso di Truciolare e MDF per le loro indubbie doti di economicità e resistenza.
Da un po' di tempo a questa parte oltre ai motivi prettamente economici e tecnologici, questi due nuovi materiali vengono scelti anche per l'azione positiva per l’ambiente che la scelta di questa tipologia di pannelli produce. Al giorno d'oggi è infatti sempre più frequente l’utilizzo di pannelli in fibre di legno, ricavate dagli scarti di lavorazione del legno stesso, che consentono di ottenere un prodotto dagli ottimi parametri qualitativi.
Nello specifico con la parola MDF (ovvero Medium Density Fibreboard), si indica proprio un pannello di fibre (di legno) a media densità (quest'ultima è calcolabile più o meno tra i 500 e gli 800 kg/mc), costituito da fibre di legno finissime legate tra loro da particolari collanti, che rendono il risultato finale estremamente solido e compatto. A differenza del truciolato o del compensato, il legno MDF si presta a essere lavorato come il legno massello, evitando le classiche sbriciolature degli altri materiali, e ciò rende questa tipologia di supporto particolarmente adatta a supportare rivestimenti che hanno necessità di essere applicati su superfici lisce e ben rifinite.
Il truciolare è invece un pannello di fibre di legno la cui singola consistenza non è sottile, come nel caso dell'Mdf, ma è più grossolana (da cui la parola Truciolare). Questa sua caratteristica permette un costo di produzione molto basso, una leggerezza maggiore del pannello ma non consente la lavorabilità che permette invece l'MDF. Nelle versioni di truciolare utilizzate per realizzare ante e pannelli da cucina, la migliore è senza dubbio quella idrofuga, dalla caratteristica colorazione verde, che grazie a delle colle speciali utilizzate per tenere insieme le fibre che lo compongono, riesce a resistere molto meglio agli attacchi dell'umidità.
Esistono ante da cucina che vengono impiallacciate utilizzando come supporti altri ottimi materiali, come il compensato ed il listellare di legno. Questi sono pannelli costruiti con fogli sovrapposti (nel caso dell'impiallacciato) o listelli in legno accostati parallelamente (nel caso del listellare) che una volta messi insieme e uniti attraverso speciali collanti, formano dei robusti e durevoli supporti indeformabili, molto adatti all'uso in cucina e resistenti all'umidità. Il loro alto costo produttivo ha impedito però una loro ampia diffusione industriale, e la concorrenza degli altri materiali, come appunto il truciolare o l'MDF, ha relegato l'uso di questi materiali alla produzione artigianale o semi-industriale.
Quello che si vuole descrivere in questo paragrafo è però soprattutto il rivestimento che possiedono le ante impiallacciate da cucina; per questo motivo è indispensabile descrivere le interessanti fasi di lavorazione necessarie, onde ottenerne la loro produzione.
Una volta deciso il tipo di supporto da utilizzare, i pannelli interi in truciolare o Medium Density vengono ricoperti con un foglio del legno pregiato con il quale si devono impiallacciare le ante. Questo foglio è in quel momento ancora di legno grezzo, privo cioè di qualsiasi trattamento o vernici ed è prodotto della stessa larghezza del pannello che deve ricoprire (o meglio, poco di più, per consentire la rifilatura). Ciò è reso possibile tramite una procedura detta "Cucitura", grazie alla quale tanti fogli di legno di larghezza limitata (più o meno la larghezza del tronco da cui sono tratti), vengono messi insieme fino a raggiungere la misura del pannello che devono rivestire. I fogli di "piallaccio" in questione possono avere uno spessore variabile dai 0,4 agli 0,8 mm (lo spessore maggiormente utilizzato è lo 0,6 mm) e possono essere fabbricati più o meno in tutte le essenze di legno esistenti. Quelle più utilizzate, sono ovviamente quelle che la moda del momento rende più richieste dal grande pubblico e risalendo indietro con gli anni, possiamo ricordare che negli anni settanta, furono ad esempio molto di moda il frassino ed il faggio, durante gli anni ottanta il noce, a cavallo fra gli ottanta e i novanta il ciliegio, per poi arrivare successivamente al wengè, al teak, al rovere, fino ad arrivare alle odierne tinte scure dei legni color "tabacco". A proposito dell'essenza utilizzata per il rivestimento però, è importante sottolineare che essa non incide molto sulle qualità tecniche dello sportello: il foglio che si utilizza per impiallacciare le ante è del resto troppo sottile perché ne possano essere apprezzate le qualità meccaniche. Quello che magari è più opportuno valutare è la sensibilità delle diverse essenze nei confronti della luce solare. A proposito di questo si può dire che le essenze più chiare, come il frassino ed il faggio, sono quelle solitamente più soggette a ingiallire e scurire a contatto con la luce del sole; mentre quelle molto scure, sono le più soggette a "sbiadire" con l'andare del tempo.
L'unione del foglio di legno con il pannello di supporto avviene attraverso un semplice processo di incollaggio e pressatura "a caldo" che può essere ottenuto anche artigianalmente grazie ad un comune macchinario detto appunto "pressa".
Le colle utilizzate per questa lavorazione sono ultimamente quasi sempre fabbricate a base di Resina Ureica, per la bassa emissione di formaldeide che consente la loro applicazione, ma possono essere anche semplicemente "Viniliche" se si opta per una pressatura "a freddo" dei pannelli.
Durante questa fase è possibile effettuare una scelta delle migliori "pelli" che si hanno a disposizione per rivestire le ante, scartando di conseguenza quelle difettate o non conformi all'esigenza estetica specificatamente richiesta per quelle ante. E' in questa fase che ancora oggi, alcuni processi industriali ripropongono la lavorazione detta "in bilia" che era propria degli ebanisti di un tempo.
Tale lavorazione prevede che la singola impiallacciatura che si pone sopra ad ogni pannello (detta appunto in gergo Bilia), segua fedelmente quella presente nelle ante o nei frontali che gli dovranno stare accanto, una volta montato il mobile o la cucina componibile a cui sono essi destinati. Ciò comporta una lavorazione quasi certosina, che parte a volte addirittura dalla scelta dei singoli tronchi da ridurre in fogli, per passare poi a soprassedere alla fase della "cucitura" delle singole Bilie, per fare in modo che unendo sapientemente insieme le venature dei tranci di impiallacciatura ai vari pannelli, si arrivi a ottenere dei decori complessivamente unici ed esteticamente perfetti.
Una procedura che è molto simile anche nel caso delle impiallacciature dette "tranchè" (di cui abbiamo accennato nel paragrafo dei laminati) che, al contrario del normale impiallacciato presentano una superficie più irregolare che intende simulare l'aspetto del legno quando è grezzo, cioè quando è stato appena tagliato dalla sega e non è ancora stato piallato e levigato.
Questo effetto dona alle ante impiallacciate con questo tipo di finitura, una fisionomia molto affascinante, data dal suo aspetto piuttosto "rustico" capace però di intonarsi perfettamente con il design Minimale che definisce ogni cucina moderna.
Una volta impiallacciati, i pannelli vengono sezionati nelle dimensioni che richiedono i mobili di cui si devono costruire gli sportelli. A quel punto le ante si presentano grezze e con i bordi laterali da cui si scorge il materiale di supporto. Per rifinirli si utilizza dunque un sistema di bordatura del tutto simile a quello che si impiega per bordare le ante in laminato, usando però solitamente delle sottili strisce di legno dallo spessore variabile di solito dagli 0,4 millimetri agli 1,5 millimetri. Anche in questo caso, lo spessore del bordo è direttamente proporzionale alla qualità dell'anta così come lo è lo spessore del rivestimento. Un spessore maggiore del bordo oltretutto corrisponde di solito ad una maggiore qualità estetica del prodotto finito in quanto un'anta bordata con uno spessore più importante, permette di lavorare il perimetro delle ante smussandone maggiormente gli spigoli al fine di ottenere un risultato esteticamente e qualitativamente ineccepibile.
D'altronde, uno sportello impiallacciato con un bordo tale da poterne ottenere una evidente "spigolatura", è migliore anche dal punto di vista meccanico: meno infatti lo spigolo dell'anta sarà "vivo" (quindi acuto) e meno sarà la possibilità di danneggiarlo con gli urti e gli attriti che comportano il suo normale uso.
Una volta bordata, rifilata e spigolata intorno l'anta viene levigata finemente per poi venir passata al settore "verniciatura".
Fino a pochi anni fa, le vernici utilizzate per la verniciatura di ante da cucina erano prodotte esclusivamente su base sintetica, cioè utilizzando solventi chimici. Ciò è dovuto al fatto che le ante di una cucina, a differenza del resto della mobilia di una casa, hanno di certo bisogno di una protezione maggiore dagli attacchi dell'umidità, dei grassi e delle sostanze applicate per la pulizia. Da un po' di tempo a questa parte sono però apparse sul mercato anche vernici completamente all'acqua che, essendo prive di solventi, rispondono meglio alle esigenze ecologiche di salvaguardia della salute e dell'atmosfera terreste. Queste vernici infatti, una volta essiccate, presentano resistenze del tutto paragonabili a quelle ottenibili con le vernici al solvente anche se, almeno attualmente, con dei costi relativamente superiori. al suo perimetro l'anta verrà a quel punto opportunamente "stuccata" e levigata per presentarsi perfettamente liscia e priva di fessure al processo di verniciatura. Questa avviene dapprima applicando sull'anta un liquido colorante (solitamente all'anilina) se lo sportello non deve conservare l'aspetto naturale del legno, dopodiché avviene la vera e propria verniciatura.
Tale procedimento prevede l'applicazione di successivi strati di vernice (colorata o trasparente a seconda dei casi), intervallati a loro volta da altrettante fasi di levigatura. Un'anta impiallacciata da cucina viene solitamente trattata con un numero di "mani" di vernice (così vengono chiamati in gergo gli strati che vi si applicano) che varia in numero dai 2 ai 6. Il primo strato è composto solitamente da una vernice più liquida e più adatta per questa sua caratteristica a chiudere maggiormente i pori (da cui il nome gergale "Turapori" che il legno naturalmente presenta). Nelle "mani" successive si applicano invece tanti stati di vernice quanto sono necessari per raggiungere la resistenza e l'effetto estetico che si vuole ottenere. Generalmente sono sufficienti 3 o 4 mani per le finiture opache (solo quelle però in cui i pori del legno vengono lasciati in evidenza), mentre sono generalmente necessarie altre 2 mani, per far sì che i pori rimangano perfettamente chiusi e quindi invisibili alla vista e percettibili al tatto. Un discorso a parte riguarda le finiture lucide: per ottenere infatti una finitura "Ultra Gloss " (il gloss è l'unità di misura della lucidità o dell'opacità di una superficie), è necessario applicare ad un'anta in legno grezzo anche fino a 10 strati di vernice perché si possa ottenere una superficie uniforme, quasi "vetrificata", ambita soprattutto nell'Europa dell'est. Questo - unito al fatto che ogni successivo strato di vernice, oltre ad una propria specifica levigatura, ha ovviamente bisogno anche del suo regolare tempo di essiccazione - fa ben intendere il motivo per cui, quando si parla di verniciatura o laccatura, una finitura lucida è di solito molto più costosa di quelle opache.
Ante da cucina in laccato opaco, Laccato lucido Diretto e laccato lucido Spazzolato
Passiamo adesso a descrivere quelle che, insieme alle ante impiallacciate "in bilia", sono spesso considerate le ante di maggior pregio di cui possa essere dotata una cucina componibile. Esse sono principalmente costruite utilizzando dei pannelli di MDF, opportunamente tagliati, levigati e spigolati, al fine di ottenere delle superfici più lisce ed uniformi possibile. A questi pannelli rifiniti vengono poi applicate generalmente 2 "mani" (o strati) di vernice di "fondo" o Turapori, le quali servono a sigillare il più possibile per minuscole porosità del pannello grezzo che, specie sul bordo dell'MDF sono presenti in grandissima misura. Questa fase è una di quelle che maggiormente determinano il risultato qualitativo di un'anta in laccato, perché è durante questi primi passaggi di verniciatura che si creano le basi per una finitura superficiale perfetta. E' bene a questo punto immaginare il pannello come un enorme terreno incolto da adibire a prato all'inglese: con la lavorazione del taglio e della spigolatura di un'anta da laccare è come se si operasse una prima pulizia del terreno dai sassi e dalla sporcizia. Con la successiva fase di applicazione delle mani di fondo, è come se si pareggiasse piano piano il terreno riempiendolo di terriccio fine, per fare in modo che esso appaia sempre più liscio in superficie e che quindi non siano più visibili né dossi né avvallamenti. La levigatura che si rende necessaria infatti successivamente ad ogni mano di "fondo", serve proprio a pareggiare ulteriormente ogni strato, in modo che esso sia sempre più regolare e possa quindi meglio accogliere gli strati successivi di vernice che vi verranno posti sopra. La preparazione preventiva di un'anta che deve essere laccata ha una tale importanza che la moderna industria del mobilio preferisce di recente spesso laccare ante precedentemente rivestite in un apposito melaminico piuttosto che provvedere ad una preparazione che risulta spesso lunga e difficoltosa. L'anta in melaminico ha inoltre l'innegabile vantaggio di poter essere supportata tranquillamente anche da un pannello in truciolare, visto il suo totale rivestimento liscio, dato dalla resina plastica.
Per la laccatura delle ante di una cucina si utilizzano solitamente vernici al Poliestere oppure poliuretaniche prive di emissioni tossiche, ma si stanno affacciando anche in questo tipo di trattamento le verniciature all'acqua di tipo ecologico, applicate specialmente nelle fasi di rifinitura. A differenza di quasi tutti gli altri materiali con cui si costruiscono o rivestono le ante da cucina, la "laccatura" ricopre tutta la superficie del manufatto, dalla parte anteriore a quella posteriore dell'anta, passando dai bordi perimetrici: questo garantisce un risultato estetico eccellente perché il metodo di applicazione della lacca impedisce che si possano notare bordi e giunture una volta terminato il processo di verniciatura; l'assenza di giunture superficiali protegge inoltre maggiormente l'anta dall'eventuale infiltrazione di umidità o sostanze oleose che può verificarsi in cucina.
Per una laccatura di ottima qualità, una volta preparato il supporto con le sue superfici lisce, perfettamente uniformi ed esenti da avvallamenti, pori o fessure, viene applicato un doppio strato di lacca. I due strati di vernice vengono di solito applicati, come si dice in gergo, “bagnato su bagnato” questo consente di ottenere una uniformità cromatica, dovuta al fatto che le due mani di vernice si "fondono", liquefacendosi una sull'altra e raggiungendo per questo uno spessore notevole. Dopo un determinato tempo di essiccazione, si applica un terzo strato di vernice con finitura opaca, che permette di espletare al massimo l’effetto uniforme della laccatura.
Nel caso si debbano ottenere delle ante laccate lucide, successivamente alla stesura della vernice colorata, si applicano due o tre strati di vernice trasparente lucida, facendola essiccare parzialmente tra uno strato e l’altro, allo scopo di ottenere un alto spessore di vernice trasparente. Al termine dell'intero processo di laccatura le ante vengono lasciate essiccare per 7/10 giorni, in modo da consentire il perfetto indurimento delle vernici. A questo punto, se si intende ottenere veramente il massimo della perfezione superficiale, si procede ad una ulteriore levigatura delle ante, ottenuta con carte abrasive finissime, e si effettua la cosiddetta "Spazzolatura", un importante procedimento in cui, tramite l’utilizzo di spazzole di cotone e cere lucidanti, le superfici vengono lucidate al massimo togliendo anche i più impercettibili difetti che potrebbero essere ad esempio causati dalla polvere giunta sul pezzo in fase di verniciatura. Il risultato finale che si ottiene è un’anta lucida, brillante ed uniforme con una discreta resistenza superficiale, ma con un costo notevole, dovuto soprattutto all'ultima fase. La spazzolatura necessita infatti di costosi macchinari industriali di grandi dimensioni, visto l'enorme tempo che sarebbe necessario per effettuare tale operazione a mano. Da qualche tempo a questa parte vengono però prodotte ante da cucina verniciate attraverso un procedimento detto Laccato lucido diretto, in cui le ante subiscono le ultime fasi di laccatura in camere speciali in cui la polvere viene tenuta lontana dal pezzo oggetto di trattamento. Questa procedura ha un costo notevolmente più basso rispetto al lucido spazzolato ma non raggiunge il livello di perfezione ottenibile con quest'ultimo metodo.
Ante da cucina in Laccato "UV"
Una delle più recenti innovazioni tecnologiche in fatto di materiali per la costruzione e il rivestimento dei frontali da cucina componibile, è senza dubbio quella conosciuta come "Laccatura UV" o Laccato ai raggi Ultravioletti.
Si tratta di un procedimento molto avanzato che necessita di costosi macchinari di grandi dimensioni, atti ad intraprendere procedure produttive talmente complesse ed elaborate da essere ad appannaggio solo di alcune grandi e selezionate aziende del comparto.
Senza entrare eccessivamente sul "tecnico" si può dire che la laccatura a velo con tecnologia UV, può essere banalmente ma efficacemente paragonata con quel trattamento che viene realizzato - fra l'altro, con la stessa base acrilica e lo stesso sistema di essiccazione - per la ricostruzione e la decorazione delle unghie. Le signore che conoscono tale procedimento sanno che esso è ritenuto molto efficiente, sia per la grandissima resistenza che queste resine raggiungono, che per la grande stabilità nel tempo che possono garantire alla superficie trattata e al suo colore. Grossolanamente, il laccato UV può essere considerato quindi come una sorta di via di mezzo fra una laccatura ed un rivestimento in laminato. Il laccato UV non è infatti una "normale" verniciatura, bensì una sorta di film (acrilico al 100%) che, tramite speciali attrezzature, viene applicato su superfici piane. Questa tecnologia non prevede quindi la verniciatura a spruzzo dei pannelli in Truciolare o MDF utilizzati come supporto, bensì l’applicazione per caduta di un unico velo di vernice sulla sola superficie piana dei pannelli che rimane "a vista". Ciò si ottiene tramite macchinari industriali chiamati appunto "Velatrici" che, lavorando orizzontalmente sui pannelli predisposti, permettono di applicare in un unico passaggio delle pellicole formate da grandi quantità di resina, consentendo nel contempo un recupero senza spreco del materiale applicato in eccesso. Il procedimento così effettuato è capace di assicurare elevate velocità di produzione, unite ad un eccellente risultato estetico e ad una resistenza al graffio introvabile in qualsiasi altro prodotto laccato. In questo caso i prodotti applicati sono induriti grazie all’irraggiamento effettuato da speciali "forni" in cui, lampade che emettono luce ad alta energia nel campo dell’ultravioletto, consentono un indurimento assai rapido ed efficace delle resine, grazie alla polimerizzazione ottenuta dall'esposizione ai raggi. La superficie così eccezionalmente irrobustita, oltre ad essere molto dura, ha una facilità di pulizia quasi pari a quella del laminato (inteso come rivestimento ottenuto con carte melaminiche impregnate), ha una eccellente luminosità dovuta alla semitrasparenza delle resine acriliche (tanto che a prima vista, nelle versioni lucide, sembra del tutto simile al vetro) e riduce di molto la possibilità che la superficie con esso trattata subisca l'ingiallimento nel tempo.
Come abbiamo avuto occasione di sottolineare all'inizio di questo paragrafo, il trattamento "a velo" viene applicato tramite la Velatrice ad una sola faccia del pannello in fibra di legno predisposto a questo scopo. Ciò comporta che il pannello in questione, oltre ad essere levigato e profilato opportunamente, deve essere in qualche modo rivestito lungo i suoi bordi e sulla sua intera facciata "posteriore". A questo scopo, i pannelli in truciolare spesso 20/22 mm, solitamente usati per la costruzione di questo tipo di anta da cucina, vengono precedentemente rivestiti sul loro lato posteriore, con una lamina costituita da fogli impregnati di resine melaminiche dello stesso colore con cui verrà decorato il fronte dello sportello. La fase di applicazione del velo acrilico può avvenire sia prima che dopo la sezionatura dei pannelli necessaria per portarli alle dimensioni di uno sportello. C'è però fra i due diversi metodi una differenza sostanziale: quando si procede infatti alla laccatura UV sui pannelli di grandi dimensioni, ancora da sezionare, si ha ovviamente un forte risparmio sui costi, ma si corre il rischio che durante il taglio delle ante, la loro bella superficie subisca dei piccoli danni; quando invece la sezionatura avviene prima della laccatura questo problema non sussiste, le ante avranno dunque la loro superficie pressoché perfetta, ma con un costo di produzione più alto. Nelle produzioni qualitativamente più avanzate quindi, una volta opportunamente sezionati con le dimensioni delle ante che si devono ottenere, i pannelli passano al procedimento di Laccatura UV e, appena concluso quest'ultimo, essi vengono bordati con un bordo in ABS, esattamente come avviene nelle ante in laminato. Il fatto di poter sezionare le ante precedentemente alla bordatura, consente di ottenere un aspetto qualitativamente migliore a quello ottenibile dopo la bordatura di un'anta in laminato, perché i minuscoli danni provocati inevitabilmente sul perimetro dal taglio dei pannelli, vengono adeguatamente coperti dal velo acrilico che viene applicato sulla faccia degli sportelli. La perfezione frontale di questi laccati, unita alla eccellente luminosità delle resine acriliche di cui sono composti, permettono addirittura di fornire le ante trattate con finitura Lucida UV, di uno speciale bordo in ABS realizzato con due differenti strisce di colore, che insieme simulano perfettamente il profilo che avrebbero delle vere ante da cucina in vetro. Il risultato finale è difatti a prima vista quello di un frontale che, pur avendo le stesse sembianze di un'anta in vetro da cucina, è ottenuto con un costo nettamente inferiore. Attualmente questo tipo di rivestimento sta soppiantando la versione lucida del laminato monocolore per la maggiore bellezza superficiale e la grande resistenza ad urti e graffi che esso può garantire. Bisogna comunque ricordare che le grandi dinamiche industriali che stanno dietro ad un prodotto tecnologicamente avanzato come questo, determinano anche inderogabilmente un suo basso costo di produzione.
Un altro esempio dunque, di come l'innovazione tecnologica è sempre protagonista nel mondo dell'arredo.
Ante da cucina laccate a "poro aperto" e le ante verniciate effetto "Decapè"
Esiste un tipo di laccatura che consente di verniciare un'anta in legno in modo che rimangano perfettamente visibili tutti i piccoli pori che formano la sua bella venatura.
L'effetto ottenuto risulta particolarmente interessante perché lascia intatto l'estetica naturale tipica del materiale, pur dando al manufatto un aspetto elegante ed una notevole resistenza. Per il laccato a poro aperto (solitamente è opaco, ma ne esistono anche versioni lucide) viene solitamente utilizzata la stessa procedura che si porta avanti nell'applicazione del laccato opaco descritta nel paragrafo precedente, quello che cambia è solitamente il tipo di supporto, il tipo di vernice ed il numero di strati applicati. Per ottenere un'anta ad effetto venato è necessario infatti partire da un'anta rivestita da un impiallacciatura di legno molto "venato" oppure da un'anta decorata da uno speciale strato melaminico o polimerico riproducente in modo accentuato i caratteristici rilievi e pori che presenta un'anta in vero legno. Su queste basi, debitamente preparate, viene applicata in uno o due strati la lacca opaca, formulata ultimamente su base acquosa per ridurre quanto più possibile l’impatto ambientale di questo processo di rifinitura. Al termine della laccatura le ante vengono lasciate essiccare completamente per diversi giorni, al fine di consentire l’indurimento completo delle vernici. L’applicazione in pochi strati della vernice opaca è necessaria, in questo specifico caso, per far si che avvenga il corretto affioramento delle minuscole asperità e dei piccoli avvallamenti tipicamente presenti su di una superficie venata, è per questo indispensabile che la lacca sia di un tipo adatto a non chiudere troppo i pori.
Le maggiori differenze esistenti fra un'anta laccata a poro aperto su supporto in legno impiallacciato e uno sportello realizzato invece laccando su di un rivestimento sintetico, stanno principalmente in tre fattori: il loro costo, il loro pregio e la loro resistenza. Un'anta in vero legno, laccata a poro aperto, è infatti sicuramente più costosa e più pregiata dell'altra, ma a livello di resistenza il fatto di poter contare su di una ulteriore pellicola di protezione sottostante alla laccatura, avente uno spessore ben maggiore rispetto a quello che possono garantire i pochi strati di vernice applicati superficialmente, rende le cucine laccate su melaminico o polimerico più resistenti agli urti.
Ciò non si può altrettanto dire a proposito di graffi e micro-graffi per i quali, essendo uguali i procedimenti di verniciatura utilizzati solitamente per i due tipi di ante, si hanno più o meno le stesse prestazioni. Ciò deve essere tenuto nella massima considerazione soprattutto quando si tratta di manutenzione e di pulizia. La pulitura di una cucina laccata (qualsiasi sia la sua finitura) deve essere infatti eseguita con un panno morbido (magari in microfibra) o una spugnetta inumidita e usando detersivi non abrasivi o corrosivi. In caso di macchie ostinate può essere utilizzato, specie per i laccati lucidi, l'alcool etilico o altri tipi di sgrassatori, ma sempre in una soluzione molto diluita in acqua. Sono da evitare assolutamente i solventi come acetone e trielina, l'ammoniaca e l'utilizzo di creme abrasive o pagliette dure che finirebbero certamente per danneggiare irrimediabilmente le ante, così come è da evitare il bagnare troppo le ante, specie durante l'operazione di risciacquo.
Assimilabili alle ante laccate a poro aperto sono anche le ante con il cosiddetto "effetto decapè" o decapato che dir si voglia. Si tratta di una finitura che deve la sua diffusione all'abitudine, per lo più provenzale, di riportare "a Legno" quei mobili che erano stati precedentemente laccati o smaltati con colori chiari al fine di attualizzarli alla moda dell'epoca. Questo procedimento avviene tramite un lavaggio effettuato con acqua e acido (da qui il nome decapè) che toglie la pellicola di spesso smalto esistente in superficie, al fine di riportare in evidenza la bellezza del legno naturale. Ai nostri tempi questo tipo di finitura si ottiene verniciando con vernice trasparente un legno
precedentemente "macchiato" o colorato col tono desiderato. Dopodiché si procede "sporcando" l'anta con un leggero strato di lacca speciale chiara che, una volta rimosso tramite un lavoro di abrasione e levigatura prettamente artigianale, raggiunge il tipo di rifinitura richiesta. Una volta finito, il trattamento subisce un'ulteriore mano di vernice trasparente al fine di sigillare e rendere duraturo il risultato ottenuto. La particolarità di questa finitura sta nel fatto che con la fase di rimozione della superficie laccata - appositamente applicata per ottenere l'effetto in questione - il manufatto si presenta trasparente e mostra completamente la naturale bellezza del legno con cui è costruito. Siccome però con il lavoro artigianale non si riesce a rimuovere perfettamente il sottile strato di lacca applicato, quest'ultima rimane leggermente incuneata nei pori del legno, nelle sue venature e soprattutto nelle cornici e nelle modanature di cui sono caratterizzati soprattutto gli arredi da cucina ed i mobili "classici". Tutto questo processo rende difatti l'aspetto delle ante trattate molto interessante e "romantico" e conferisce alla mobilia un valore estetico "di memoria" senza dubbio di qualità superiore.
In gergo si indicano per similitudine ad "effetto decapè" anche quegli sportelli da cucina che, pur non mostrando completamente la propria naturale superficie, vengono laccati "a poro" aperto quasi sempre al fine di mantenerne il colore fra i toni più chiari come il bianco ed il canapa. In questo caso la dicitura decapè è dovuta ad una sottile "patina" di trattamento superficiale che una volta applicata e poi rimossa quasi per intero - proprio come avviene con il vero effetto decapè - dona al manufatto rifinito un'elegante e ricercata foggia "anticata".
Ante da cucina in Vetro opaco e lucido, Ante in vetro materico, serigrafato oppure in Cristal-ceramica.
L'usanza di inserire vetrinette, o comunque singole ante in vetro all'interno dell'arredo di una cucina risale a molto tempo fa. Del resto ogni massaia possedeva e spesso possiede tuttora un "servito buono" o qualche altro tipo di suppellettile che ha piacere ad esporre in evidenza, tenendo magari invece ben nascoste le altre tipologie di stoviglie. La moda che esiste ormai da qualche decennio di rivestire delle intere cucine componibili (per lo più quelle dal design moderno) con ante completamente ricoperte in vetro, prende spunto probabilmente proprio da questa usanza.
Per ottenere questo particolare tipo di frontale da cucina si utilizza più o meno lo stesso sistema descritto a proposito delle ante in HDL compact, procedendo cioè alla costruzione di solidi telai in metallo predisposti per le cerniere, a cui vengono applicati - in questo caso- delle piccole lastre in vetro temperato della misura necessaria a costruire i frontali. Il telaio di sostegno è realizzato solitamente di solido alluminio anodizzato, materiale senza dubbio da preferirsi per la sua leggerezza, la sua robustezza e la sua perfetta resistenza all'umidità esistente in cucina.
A parte i tanti colori di questo tipo di metallo disponibili sul mercato, esistono diversi tipo di telai in alluminio dal profilo adatto a questo scopo: ve ne sono alcuni predisposti per i fori di montaggio delle maniglie o dei pomoli, altri che attraverso un incavo esistente nel loro bordo permettono una facile apertura delle ante e altri ancora che racchiudono il vetro all'interno di una vera e propria "cornice" (di larghezza differente a seconda del modello) che, perfettamente e volutamente visibile dall'esterno, contiene e imprigiona completamente il vetro, senza rendere necessario alcun altro tipo di fissaggio.
Il moderno design minimalista che caratterizza le cucine componibili di ultima generazione ha reso però indispensabile la creazione di una tipologia di anta in vetro che sia capace di dare alla bellezza di tale materiale in maggior risalto possibile. Ciò ha fatto sì che il tipo di anta in vetro sicuramente più desiderato e popolare in questo momento, sia proprio quello con telaio "a scomparsa" o "invisibile". Tale tipologia di telaio esiste in due versioni. Nella più diffusa la porta è formata da un telaio che, integrando nel suo profilo una sottilissima lamina laterale alta poco meno dello spessore del vetro, riesce a contenere quasi interamente il suo spessore, coprendo completamente il perimetro dell'anta (di solito spessa dai 2 ai 2,5 cm) e pur restando invisibile a chi vede la cucina di fronte. Nel secondo caso il vetro viene invece ancorato ad un telaio di spessore adeguato, il quale, non coprendo per niente con il suo spessore il profilo del vetro, rende l'effetto complessivo più pulito e accattivante, ma anche, ovviamente, più soggetto a subire danni dovuti agli eventuali urti accidentali. In entrambi i casi, i pannelli in vetro temperato destinati a decorare le ante, vengono applicati e fissati ai telai in alluminio tramite incastri e collanti appositi e sono quasi sempre trattati o verniciati in modo da non lasciar trasparire il proprio telaio e l'interno del mobile.
Quello della "resistenza" e della "praticità" sono temi molto discussi da chi si approccia all'acquisto di una cucina con ante in vetro. Ancora oggi si associa infatti all'idea di vetro, l'idea di un materiale fragile e poco pratico e si dimentica troppo spesso tutte le altre tantissime qualità che un prodotto del genere può dimostrare nel suo utilizzo in cucina. Quindi è bene rammentare che il vetro è forse il materiale più resistente e che richiede meno manutenzione che esista sul mercato. Esso è inattaccabile dall'umidità, quindi è facilmente pulibile e non si rompe se non urtato con estrema violenza. Il vetro utilizzato per gli sportelli da cucina è infatti al giorno d'oggi quasi esclusivamente del tipo detto "temprato", perché esso rispetto ad altre tipologie di vetro, risulta essere maggiormente resistente ai graffi ed ai piccoli urti e garantisce quindi una maggiore durata del prodotto finito. I vetri temprati sono anche i più affidabili in termini di sicurezza, perché si ottengono attraverso un processo di riscaldamento e raffreddamento successivi che li porta, in caso di rottura, ad uno sgretolamento in piccolissimi frantumi. Ciò rende ovviamente più sicuro il suo utilizzo perché in tal modo si evita la formazione di grosse schegge appuntite di vetro che possono causare anche gravissimi incidenti domestici.
Il vetro temprato utilizzabile per rivestire una cucina, oltretutto, non esiste però in una sola versione ... anzi!
Prima di approfondire questo argomento, ricordiamo innanzitutto che quando si parla di un vetro adatto a rivestire le ante di una intera cucina esso deve essere quasi sempre "coprente", cioè non deve far di solito trasparire ciò che contiene il mobile che lo ospita. Anche se questo non è sempre vero (perché esistono anche cucine con tutte, o comunque quasi tutte, le ante in vetro trasparente o traslucido), di solito i vetri vengono di conseguenza "trattati" in modo da impedirne la trasparenza. Il tipo più diffuso di vetro utilizzato a questo scopo è il vetro "laccato", il quale, come dice il nome stesso, viene trattato attraverso un apposito procedimento di laccatura tramite il quale vengono applicati al lato interno di un vetro spesso 4 0 5 mm uno o due sottili strati di vernice colorata specificatamente studiati per rimanere perfettamente applicati al vetro per sempre. Questo procedimento è effettuato sul lato interno dell'anta in modo che la sua superficie "a vista", quella cioè a diretto contatto con l'ambiente, rimanga liscia e facile da pulire, mentre quella interna rimanga più protetta da eventuali urti o graffi che ne pregiudicherebbero la bellezza. Quando il vetro temprato è semplicemente verniciato in questo modo viene detto "Vetro Lucido Laccato", per la lucentezza della sua superficie esterna; quando invece la superficie esterna presenta un aspetto satinato viene detto "Vetro Opaco laccato". Questo tipo di vetro, a differenza dell'altro, viene sottoposto sul lato esterno ad un trattamento di satinatura o sabbiatura, che rende la superficie del vetro opaca. Durante questa operazione, che avviene sempre antecedentemente al processo di laccatura, la facciata del vetro viene “trattata” con un acido che gli conferisce un aspetto un po' più ruvido. La superficie in questione verrà poi successivamente "lucidata" al fine di donargli un aspetto più uniforme. Come abbiamo già detto, il vetro resiste alle macchie, non assorbe acqua o umidità ed è altamente igienico. Nella versione opaca l'attenzione che richiede è però maggiore perché venendo a mancare la superficie eccezionalmente liscia tipica del vetro, esso risulta più suscettibile a sporcarsi, specie con i grassi ed i prodotti che contengono solventi e siliconi. Per rimuovere lo sporco da un'anta in vetro opaco inoltre, possono essere usati i normali prodotti specifici per la pulizia del vetro, ma non possono essere usati detersivi o spugnette abrasivi. Attenzione poi a non graffiarlo! Il vetro opaco infatti è molto più delicato per quanto riguarda graffi o micro-graffi che possono essere causati da metalli, ceramiche o altri vetri.
Le stesse identiche cose, a proposito di pulizia e manutenzione, possono essere dette anche in merito ad un altro tipo di vetro da cucina, quello detto "serigrafato". Questo tipo di vetro invece di una colorazione, così come avviene in un vetro laccato, viene sottoposto ad un processo di "serigrafia", al fine di riprodurre sulla sua facciata un disegno o un motivo decorativo. Tale serigrafia è quasi sempre applicata nel lato retrostante del vetro, ma esistono anche ante da cucina in vetro che, per motivi prettamente estetici (la resa di una serigrafia vista in superficie è infatti solitamente maggiore e comunque diversa da quella vista "dal retro"), vengono decorate sul lato frontale dello sportello. Questo fatto comporta ovviamente che, se si ha a che fare con delle porte in vetro serigrafate sul retro si possa pulire e manutenere il fronte come si farebbe con qualsiasi altro vetro, mentre se ci si trova a dove trattare un vetro serigrafato sul davanti, esso richiederà una cura ed un'attenzione maggiore.
Questo problema può tranquillamente dirsi non presente nel caso si decida di acquistare invece una cucina dotata di frontali in Vetro Materico o in Cristal Ceramica. Si tratta di due tipologie che dipendono d due processi di produzione ben diversi, ma che portano a risultati estetici abbastanza simili fra loro. Lo scopo per cui si produce questo tipo di sportello è quasi sempre quello di ottenere una finitura simile alla pietra, al marmo o al metallo, grazie alle sue innumerevoli possibilità di personalizzazione.
Si chiama Vetro Materico quella tipologia di vetro che si ottiene dalla verniciatura decorativa del retro di un vetro espressamente prodotto, la cui superficie frontale non è liscia come di solito, ma viene bensì prodotta con una lavorazione speciale che gli dona un aspetto interessante e particolare simile alla superficie grezza della pietra. Una volta formato questo vetro possiede ancora la sua caratteristica trasparenza e può essere quindi utilizzato per la produzione di vetrinette, ma non sarebbe adatto a rivestire un'intera cucina. Esso viene allora colorato sul retro, in modo da rendere invisibile il suo interno e più verosimile il suo aspetto, specie se intende riprodurre la pietra o il metallo. La verniciatura del retro infatti viene realizzata molto spesso non con vernici o lacche "unite", bensì con procedimenti quasi artigianali che, grazie all'estro dei designer riescono a dare alle lastre degli effetti cromatici variegati, davvero molto piacevoli e attraenti. Anche in questo caso la superficie in vetro, non essendo decorata direttamente, ma soltanto nella sua parte retrostante, non ha problemi di pulizia o manutenzione. L'unica attenzione che si deve fare è quella di evitare che lo sporco rimanga magari incastrato fra le asperità troppo accentuate di qualche superficie di vetro materico finta pietra, in cui si è voluto dare molto risalto alle rugosità tipiche della pietra grezza.
A proposito di vetro "materico" è interessante sottolineare che, anche se attualmente le sue finiture più in voga sono quelle che simulano il metallo e la pietra, questo materiale è realizzato per le ante delle cucine (sia industrialmente che artigianalmente, nelle sue versioni "soffiate a mano") ormai da molti decenni nelle forme più svariate e nei decori più diversi. Ciò fa presupporre con una certa sicurezza che esso rimarrà ancora a lungo fra quelli preferiti per decorare, magari in modo originale ed estroso le nostre cucine componibili.
Quello della resistenza superficiale del vetro, o più in generale di quei materiali che vengono utilizzati per rivestire le cucine componibili è di certo un tema molto sentito dai consumatori che spesso cercano presso i rivenditori o su internet notizie utili a proposito di questo o quel materiale, al fine di orientare meglio le proprie scelte. Proprio per soddisfare le crescenti esigenze esistenti in tema di arredi funzionali, si è affacciato da pochissimo tempo un altro materiale innovativo capace di rispondere davvero egregiamente alle richieste che i consumatori fanno a proposito di resistenza, durata e facile manutenzione dei frontali delle cucine componibili. Questo materiale si chiama Cristal-Ceramica e viene utilizzato già da qualche tempo anche nel settore cucina per la produzione di piani di lavoro e piani da tavolo. E' ottenuto tramite l'accoppiamento di un sottile strato di vetro temperato con uno, altrettanto sottile di ceramica dall'effetto "materico"; grazie a tale tale accoppiamento il materiale ottenuto viene rafforzato e reso resistentissimo. La Cristal-Cermica, anche detta in gergo vetroceramica o super-ceramica è caratterizzata da durezza, leggerezza, resistenza al calore ed igiene superficiale. Anch'essa come il vetro è idrorepellente, oleo-repellente, resistente agli acidi, atossico, e inattaccabile dai raggi UV. Come lo stesso vetro e la ceramica, è usanza attuale produrre la Cristal-Ceramica decorandola con la forma ed il colore di diversi materiali naturali come il marmo, la pietra, il Corten e altre finiture metalliche.
Ante da cucina in Gres, Lastra ceramica o Laminam
E' ormai già dal secondo dopoguerra che l'alta tecnologia può dirsi entrata a tutti gli effetti nel mondo degli arredamenti da cucina. E dopo un incessante susseguirsi di successi commerciali e scientifici che hanno riguardato il settore è stata ancora una delle più recenti innovazioni tecnologiche a raggiungere i consumatori permettendo la realizzazione di lastre in ceramica e gres porcellanato, dotate di spessori talmente sottili da essere paragonabili addirittura a quelli del vetro. Ciò consente di realizzare delle ante da cucina utilizzando lo stesso sistema produttivo che si usa per le ante in vetro: Un telaio in alluminio - anodizzato solitamente nei colori argento o brunito - prodotto in svariati profili appositamente studiati, nel quale, anziché del vetro, viene alloggiata e fissata una lastra in ceramica dallo spessore variabile dai 3 ai 5 mm. Questo tipo di ceramica possiede delle caratteristiche tecniche eccellenti paragonabili a ben pochi altri materiali. La Ceramica tecnica per utilizzata per le ante della cucina è un materiale prodotto con argille nobili, arricchite da sostanze come quarzi, feldspati e caolini sinterizzati. Se ne ottiene una superficie compatta, omogenea, resistentissima agli sbalzi di temperatura, non assorbente, quindi igienica, antibatterica e non soggetta a variazione cromatiche. Il Gres è però soprattutto leggero, robusto e la sua durezza lo rende capace di superare prove di compressione e abrasione davvero quasi "impossibili", che lo rendono perfettamente adatto anche alla realizzazione di piani da cucina, lavelli e top per tavoli. Le ante da cucina in ceramiche tecniche esprimono dunque la loro resistenza anche rispetto alla durata nel tempo e alle proprie specifiche proprietà antigraffio, che assicurano una cucina che si mantiene eccezionalmente più integra nel tempo.
La ceramica inoltre presenta una notevole ricchezza dal punto di vista decorativo, poiché è possibile trovarne in commercio una notevole varietà di combinazioni cromatiche e decori. Il suo aspetto più diffuso e popolare è attualmente quello che simula il marmo e la pietra, materiali con i quali condivide però solo i pregi estetici, senza possedere nessuna delle difficoltà di uso che di solito accompagnano tali supporti. Bisogna tener presente che con questo tipo e spessore di lastre, vengono infatti rivestite intere pareti e interi pavimenti - come avviene spesso attualmente nei più lussuosi bagni di tendenza - e questo la dice lunga circa le sue eccezionali prestazioni. Tant'è vero che fra i tanti materiali proposti per realizzare e rivestire ante da cucina, il Gres rappresenta di certo la soluzione più innovativa ed una fra le poche che hanno il vantaggio di essere 100% naturale, in quanto non rilascia sostanze nocive nell'ambiente e può essere facilmente smaltito e reimpiegato in altri processi produttivi.
La nota dolente di questo materiale è generalmente ritenuta il costo: la ceramica però, come abbiamo detto, ha come punto di forza l’eccezionale durezza e questa sua eccellente connotazione comporta che in fase di produzione, si debbano forzatamente adottare tecnologie e macchinari molto costosi in quanto capaci di tagliare e lavorare lastre dotate di quelle eccezionali caratteristiche tecniche. Il suo costo dunque non è eccessivo, ed è del tutto paragonabile a quello di un'anta da cucina in vetro materico; la sua resa estetica è però davvero insuperabile e si presta a realizzazioni eccellenti dal design originale e innovativo. Certo, una cucina con le ante in Gres o Laminam (uno dei suoi numerosi nomi commerciali) non può dirsi sicuramente per tutte le tasche, ma il suo rapporto fra qualità tecniche, caratteristiche estetiche e prezzo, ne fanno di sicuro uno dei materiali con il più alto indice di gradimento.
Un'altra interessante peculiarità di questo materiale: è fra i pochi, con il quale è possibile realizzare sia le ante, che i piani che i rivestimenti murali di un'intera cucina componibile. Una possibilità più unica che rara, la quale non mancherà di stimolare i palati più fini!
Ante da cucina in finitura Cemento, Malta o Ecomalta
Ed eccoci tornare - dopo aver esaminato numerosi tipi di ante caratterizzati dall'essere supportati da un telaio in allumino - ad un tipo di frontale da cucina componibile realizzato tramite il supporto di un pannello in truciolare o MDF, spesso di solito dai 18 ai 27 mm. Con i termini Cemento, Malta o EcoMalta si denomina un tipo di vernice innovativa che, grazie ad una meticolosa ricerca tecnologica, è stata formulata allo scopo di realizzare una superficie "tridimensionale" altamente decorativa, che fosse possibile applicare ai normali supporti per anta da cucina in fibra di legno, nel totale rispetto dell’ambiente. Il prodotto, una volta applicato, si presenta nello stesso modo mosso e variegato in cui fa bella mostra di sé una splendida parete decorata artigianalmente a "Marmorino". Non a caso la malta utilizzata solitamente per rivestire le ante da cucina, proprio come il Marmorino, è composta da materiali quasi totalmente naturali: impasti composti da inerti finissimi, miscelati con vernici colorate totalmente all’acqua, e resi però nel contempo adatti all'uso "da cucina" grazie alle più recenti tecnologie. Personalizzabile nei colori e negli effetti decorativi più originali, ignifuga, resistente, flessibile, riciclabile e totalmente priva di sostanze tossiche, la malta cementizia utilizzata a questo scopo è impermeabile, ma allo stesso tempo traspirante alle molecole del vapore, qualità che fa mantenere in tutto il suo spessore la naturale traspirabilità delle imbiancature realizzate "a calce". Il risultato finale è una superficie continua (spessa da 1 a 3 mm), pratica e facile da pulire, che il suo aspetto caldo, morbido e quasi "vellutato", rende particolarmente adatto a chi desidera realizzare una cucina che - nelle sue superfici orizzontali - esuli completamente dalle normali finiture lucide e opache che si possono trovare usualmente in commercio.
La sua applicazione prevede addirittura sei differenti passaggi di finitura, che devono necessariamente essere eseguiti "a mano" da personale altamente qualificato, al fine ottenere il risultato ottimale. E' dunque data da questa sua lavorazione prettamente artigianale l'eccezionale qualità estetica di questo prodotto. Le prime mani, in realtà, sono quelle che fungono da "fondo", con cui si prepara il pannello - in truciolare o MDF precedente rifinito e profilato - a ricevere i successivi strati di vernice. Le ultime quattro mani vengono applicate utilizzando dapprima un pennello, in maniera da stendere uniformemente il prodotto, e poi una spatola metallica piatta con la quale l'artigiano decora nella finitura decisa, la superficie dell'anta. Lo scopo è quello di ottenere un prodotto sicuro e resistente, realizzato però attraverso susseguenti lavorazioni che, sovrapponendosi, danno risultati sempre diversi. Il movimento manuale della spatola durante la stesura del prodotto infatti genera - ogni volta in maniera più o meno marcata- delle discontinuità superficiali che creano interessanti variazioni cromatiche tridimensionali che sono, esse stesse, sinonimo di originalità, naturalezza e qualità estetica del prodotto finito.
Le spatolature tipiche di questo tipo di finitura, hanno un sapore lievemente "retrò" che stimola fortemente la memoria di chi lo vede e lo tocca e suscita per questo in tutti coloro che lo apprezzano per la prima volta un certo stupore. A parte il suo straordinario aspetto però, la malta cementizia deve soprattutto essere resistente: una malta che veramente può dirsi "di qualità" è infatti refrattaria allo sporco e alle macchie perché è igienica e impermeabile, è antistatica e non muta il proprio colore nel corso del tempo. In tal caso per la sua pulizia può essere utilizzata della semplice acqua calda, miscelata con l'aceto di mele. In alternativa possono essere usati anche i normali detersivi e disinfettanti esistenti in commercio (sempre diluiti in acqua), facendo però attenzione che non siano troppo aggressivi, come quelli alcalini o quelli contenenti alcol o solventi. Di facile manutenzione dunque, specie quando è fatta utilizzando materiale altamente tecnologico, la malta possiede una dote che ben pochi altri materiali utilizzabili per rivestire le cucine possiedono, quella di essere facilmente ripristinabile, anche a distanza di molto tempo. La sua formulazione rende infatti possibile riparare senza grossi problemi qualsiasi piccolo danno possa aver subito un'anta da cucina trattata con questo prodotto, anche a molti anni di distanza. Qualora, ad esempio, delle gocce di vino rosso, the o caffè (forse le sostanze con cui è più facile macchiare qualsiasi superficie naturale) fossero state dimenticate sulla sua superficie troppo a lungo, senza che esse siano state prontamente rimosse, è possibile effettuare un piccolo ritocco applicando su di esse con una spatola, un altro sottilissimo strato di vernice. Le naturali asperità che il materiale presenta a causa delle successive lavorazioni che subisce, impediranno che questa piccola riparazione appaia successivamente visibile ad occhio nudo.
Per ultimo una piccola curiosità: tutte le nuove superfici materiche realizzate in laminato, ceramica e quant'altro, simulanti il cemento o la malta - dai più svariati colori e dalle più svariate finiture esistenti sul mercato - devono la loro diffusione a questo prodotto che ha iniziato ad interessare il mercato delle cucine componibili già una decina di anni fa. Senza che fosse stato allora possibile apprezzare la sua bellezza, nessuno dunque avrebbe mai avuto la possibilità di possedere cucine componibili, dotate di alcune delle più moderne finiture "di tendenza" esistenti attualmente in commercio.
Ante da cucina in acciaio inox, anticato o effetto Peltro.
Come abbiamo detto all'inizio di questo articolo, le prime cucine composte da elementi accostabili ad affacciarsi sul mercato italiano nel dopoguerra, erano realizzate spesso in metallo perché quasi sempre prodotte dalle stesse aziende che fabbricavano le stufe a legna e le cucine elettriche o a gas (le cosiddette cucine economiche) che pian piano si diffondevano nelle case della nostra Penisola.
Poi, per motivi sia industriali che commerciali, il comparto dei mobili da cucina è andato prendendo direzioni differenti, con produzioni che prediligevano soprattutto l'utilizzo del legno e della fibra di legno, al fine di ottenere mobili più leggeri, sempre sufficientemente resistenti, ma soprattutto dotati di un costo che fosse accessibile a tutte le tasche.
La produzione di mobili in metallo per cucina però non è cessata, tutt'altro... ha finito però per interessare quasi esclusivamente il mondo delle cucine professionali, quelle dei ristoranti e dei cuochi per intendersi, in cui per la mobilia da cucina non viene praticamente utilizzato nessun altro materiale che l'acciaio inox. Questo fatto, unito alla indiscutibile bellezza estetica del metallo e alla sua perfetta igienicità quando è opportunamente utilizzato in ambiti culinari, ha finito però per continuare ad affascinare i designer delle cucine componibili e i loro committenti "privati" più esigenti. Per questo motivo si è venuta a creare nel tempo una certa tendenza stilistica detta proprio "Professional" che predilige anche in ambito domestico l'uso del metallo nelle sue versioni inossidabili dell'acciaio e dell'alluminio.
In verità queste soluzioni sono tra quelle più indicate per ottenere un mixage stilistico che sia capace di donare alla "normale" cucina componibile, degli aspetti qualitativi che siano evidenti e percettibili a chiunque. Per questo motivo, un po da sempre, l'utilizzo dei metalli inossidabili in cucina è diventato molto diffuso e popolare quando si desidera in qualche modo "impreziosire" gli arredi con degli inserimenti “hi–tech”. Esistono perciò in commercio molte collezioni che prevedono l'utilizzo di questi materiali per la produzione di qualsiasi suppellettile o contenitore possa essere inserito in una cucina componibile, fino ad arrivare addirittura a quelle produzioni industriali che permettono la realizzazione dell'intero arredo di una cucina. Per rimanere perfettamente in tema con questo articolo, noi ci concentreremo però con l'esaminare solo quelle produzioni che interessano la realizzazione di ante in metallo, adatte all'inserimento nelle cucine componibili. Principalmente i sistemi produttivi che è possibile individuare sul mercato a proposito sono due: quelli concernenti la produzione di ante in lamiera di acciaio inossidabile e quelle riguardanti la produzione di ante in alluminio.
Nel primo caso si tratta quasi esclusivamente di ante ottenute dal taglio, dalla piegatura e dalla saldatura di lamiera di acciaio inossidabile, a cui viene data con le successive lavorazioni la forma di una scatola, chiusa ermeticamente o usata semplicemente come rivestimento frontale e laterale di altri materiali. Nelle ante da cucina realizzate in acciaio inox esistono dei piccoli ma fondamentali dettagli che determinano la qualità dello stesso manufatto. Innanzitutto, lo spessore e la qualità della materia prima, la quale dovrà avere uno spessore tale da resistere senza alcun problema alle sollecitazioni che riceve una cucina componibile ma anche tale da non aggravare, con il suo peso, le cerniere con cui lo sportello verrà ancorato alla scocca. Poi la qualità della lavorazione, che prevedendo passaggi di per sé già molto difficoltosi, come il taglio di una spessa lamiera, la sua piegatura, la saldatura dei giunti e, importantissima in una cucina, la sua accurata rifinitura, dovrà essere effettuata con attrezzatura e competenze tali, da non essere facilmente reperibili ovunque. Anche la "progettazione" di un'anta in acciaio ha senza dubbio una notevole importanza. Il perché è presto detto: i metodi costruttivi che possono portare alla realizzazione di un'anta in acciaio da cucina, possono essere molteplici e partono dal banale ed economico rivestimento in sottile lamiera di un pannello in compensato o fibra di legno, fino ad arrivare a complesse strutture che prevedono l'uso di rinforzi angolari, speciali sostegni per le cerniere, riempimenti in materiale isolante leggero, saldature "speciali" totalmente invisibili e così via... Solo un'anta ben realizzata rende infatti l’acciaio inox il materiale ideale per l’igiene negli ambienti domestici. Oltre a non arrugginire un'anta in acciaio da cucina deve essere infatti facilmente lavabile e disinfettabile (l'acciaio di per sé è del resto biologicamente puro), non deve avere un peso eccessivo, deve essere priva di spigoli o sporgenze taglienti e deve essere esteticamente perfetta e rifinita. Per questo tipo di anta il sistema di costruzione ovviamente più semplice e economico è quello che prevede il rivestimento di un pannello "tecnico" di legno, tramite una lamiera che opportunamente tagliata e piegata riveste i cinque lati "a vista" e viene rivestita sul lato posteriore con lastra di alluminio anodizzato. Quest'anta, per mantenere però un peso sopportabile dalle cerniere con cui verrà fissata alla sua scocca, dovrà essere necessariamente realizzata con una lamina di acciaio ben sottile e ciò può compromettere la sua resistenza a proposito di urti o ammaccature. Danni che sono molto più difficili da causare ad un'anta di acciaio, ad esempio dotata di uno spessore di 2 o 3 decimi, così come avviene nelle ante qualitativamente più robuste, realizzate costruendo delle vere e proprie scatole autoportanti in lamiera, in cui sia gli angoli che in punti di giunzione sono rinforzati, oltre a possedere delle piccole vere e proprie strutture interne in cui trovano posto gli alloggi ed i fissaggi per le cerniere. In quest'ultimo caso, si tratta ovviamente di produzioni ben più complesse e costose che prevedono addirittura l'utilizzo di materiali del tutto inusuali in cucina come i pannelli compatti in isolante leggero che vengono inseriti all'interno delle ante in acciaio "scatolate" in modo da fungere da "anti-rombo", cioè di impedire al materiale di produrre fastidiosi e cupi rumori durante il suo normale uso. Qualità dunque, davvero, da ogni punto di vista.
D'altronde il materiale presenta già da solo caratteristiche tecniche tali da renderlo particolarmente adatto all'impiego in cucina: l'acciaio è un prodotto riciclabile al 100% è un materiale durevole nel tempo, è resistentissimo, funzionale e capace di superare tranquillamente le insidie del tempo senza perdere nessuna delle sue caratteristiche peculiari.
Da un po' di tempo a questa parte l'acciaio inox utilizzato negli arredi delle cucine, non è solamente disponibile nelle sue normali versioni lucide, ma viene anche trattato con prodotti nanotecnologici che, una volta applicati alle superfici, impediscono a sostanze come olio, grasso, calcare, ecc. di rimanere attaccati alle superfici e favorendo quindi una più facile pulizia. Attraverso tecnologie superficiali "avanzate" come queste è ultimamente possibile ottenere anche finiture molto belle e particolari come l'Acciaio Vintage o anticato e l'acciaio effetto Peltro. Nel primo caso, con trattamento artigianale di "micro-graffiatura" superficiale si dona all’acciaio inox uno speciale effetto “anticato” che lo caratterizza per unicità ed eccellenza estetica. Nel secondo caso invece si procede ad una leggera ossidazione superficiale che, anziché far arrugginire il metallo, lo opacizza e scurisce fino ad ottenere una superficie molto simile al Peltro. In entrambi i casi si tratta di finiture attualmente molto in voga per il recente diffondersi dello stile "industriale" che è possibile da qualche anno riscontrare in numerosi originali progetti di cucine componibili.
Ante da cucina in alluminio
Abbiamo già parlato di alluminio in queste pagine a proposito di tutte quelle ante che, dovendo supportare un pannello costituito da materiali "sottili" come il vetro, l'HPL o la ceramica, necessitano di un telaio, robusto ma leggero, in cui possa essere alloggiato il loro esile spessore. In effetti l'uso di questo eccellente metallo in cucina può dirsi assolutamente opportuno, specie se si considerano tutte le doti che questo materiale possiede. Fra questi, forse prima fra tutti è la leggerezza, fattore che quando si parla di ante (è sempre bene ricordarlo) ha davvero la sua bella importanza. L'alluminio è infatti uno dei metalli di cui è possibile apprezzare meglio l'altissimo rapporto che c'è fra la sua resistenza, la sua elasticità ed il suo davvero limitato peso. Esso viene principalmente posto in commercio in elementi pressofusi, in profili estrusi ed in lamiere e ciò permette una infinità di utilizzi che nell'ambito delle cucine componibili trovano vastissima applicazione: in alluminio sono ad esempio moltissimi dei profili (gole e zoccoli) che rifiniscono le più moderne cucine di design; in alluminio sono numerosi elementi "a giorno" che abbelliscono alcuni progetti degli ambienti cucina; e in alluminio sono, come abbiamo detto, i telai che compongono le ante delle cucine componibili della migliore qualità. Questo materiale è disponibile in tanti colori e tanti tipi di finiture anodizzate lucide, opache, brunite, oppure verniciate a polveri, questo, insieme alla sua indiscussa versatilità, ha consentito di utilizzarlo anche per produrre cucine interamente realizzate in alluminio, in ogni loro più piccolo particolare. Il loro aspetto restituisce molto il concetto di "cucina professionale" di cui abbiamo parlato a proposito di Ante in Acciaio. L'ambito stilistico è dunque più o meno lo stesso - anche se sia l'aspetto che il colore sono abbastanza diversi - ed è in questo ambito che trovano posto tutti quegli inserimenti che rendono interessante e piacevole l'uso dell'alluminio in tutte le parti in cui è composta una cucina. Dovendo però in questo paragrafo parlare esclusivamente di ante, è bene concentrarsi su di queste, partendo innanzitutto dai metodi in cui vengono costruite. Come abbiamo detto più volte, a differenza di ciò che succede con l'utilizzo dell'acciaio inox, costruendo una porta da cucina componibile con l'alluminio, non si ottiene un liscio parallelepipedo dal corpo unico e dalla forma simile ad una semplice scatola chiusa. Nel caso dell'alluminio si lavora utilizzando uno qualsiasi dei centinaia di appositi profili esistenti in commercio per creare, grazie a degli speciali elementi di giunzione (anch'essi in lega di alluminio, oppure in zama) che servono per fissare quelle viti indispensabili a tenere saldamente uniti i quattro lati del telaio. Ormai questo sistema produttivo è ampiamente diffuso e ciò ha permesso ai produttori di arredi per ambienti cucina di avere a disposizione una infinità di possibili soluzioni in merito al profilo in alluminio da utilizzare a tale scopo. Ve ne sono di quelli il cui spessore rimane completamente "a vista", all'esterno cioè, in maniera tale da disegnare come una specie di cornice sul profilo dell'anta che si va costruendo. Ve ne sono tipi che rimangono, invece, completamente "a scomparsa" e di cui è possibile intravedere solo lo spessore laterale senza aprire l'anta. Ve ne sono di dritti e di stondati lateralmente, di verniciati e di anodizzati, di molto spessi e di finissimi, di larghi ed evidenti e di stretti e poco invasivi. Quelli attualmente più in voga sono ad esempio quelli che presentano ad uno dei loro lati, una sorta di "smussatura" che serve per infilare la punta delle dita fase di apertura degli sportelli. Questa infinita possibilità di personalizzazione, consente di dare ad ogni cucina realizzata con ante in alluminio un design sempre unico ed originale, che permette oltretutto di variare il materiale con cui sono rivestite le ante da cui è composta la cucina, come abbiamo visto nei paragrafi precedenti. Parlando però di "anta in alluminio " è bene precisare che con questo temine, in generale, si intendono tutte le cucine che hanno all'interno dei propri frontali dei telai in alluminio e sono rivestite in tutti quei materiali di cui abbiamo già parlato, ma più nello specifico con tale denominazione si intende espressamente definire quelle ante che possiedono, sia il loro telaio che il loro rivestimento, realizzati nello stesso materiale. Per ottenere questo sono possibili due strade: o utilizzare una sottile lamiera in alluminio, magari supportata da un pannello in laminato plastico di basso spessore se serve irrigidirla, altrimenti provvedere a realizzare direttamente il pannello in HPL, un materiale che già comprende fra le sue finiture superficiali quelle che prevedono l'utilizzo di piccole lamine metalliche. Il risultato che si ottiene può possedere sia il design di un'anta dotata di un profilo laterale perimetrico, sia di quelle completamente lisce e prive di modanature, come avviene ad esempio nelle ante di acciaio. Per ottenere questo effetto è sufficiente scegliere un profilo di quelli che lasciano intravedere il loro sottilissimo spessore solo lateralmente all'anta (ne abbiamo parlato a proposito delle ante in vetro) ed ivi inserirvi un pannello in HPL avente la stessa finitura e lo stesso colore del profilo. E' evidente che l'effetto non sarà esattamente lo stesso che si otterrebbe con un'anta in acciaio, a causa dell'impercettibile giunzione che sempre rimane visibile frontalmente fra telaio e pannello, del resto però sarebbe impossibile ottenere un'anta in lamiera di alluminio piegato così come si fa con l'acciaio! Il suo spessore sarebbe troppo ridotto, per poter essere lavorato agevolmente senza compromettere la sua resistenza agli urti. D'altronde l'alluminio pur essendo un materiale resistente è anche abbastanza duttile ed elastico e per questo poco incline ad utilizzi gravosi.
Ante in legno massello o in listellare di legno massello.
Ed eccoci a concludere questa ampia carrellata di prodotti per la costruzione di frontali da cucina, con quella che molti ritengono ancora essere il materiale più pregiato ed ambito per questo tipo di realizzazione: il vero legno massiccio. Per parlare esaustivamente di ante in legno da cucina però sarebbe necessario disporre di un spazio di cui questa rubrica davvero non dispone. Ci limiteremo allora ad affrontare questo tema concentrandoci soprattutto su quegli argomenti che possono interessare chi si sta accingendo ad acquistare una cucina componibile.
Per prima cosa è opportuno chiarire di che cosa stiamo parlando: sono definite ante in massello, tutti quei frontali costituiti da pezzi di vero legno massiccio, tenuti insieme e incollati al fine di ottenere superfici sufficientemente grandi e sottili da raggiungere le misure di una normale anta. Per ottenere questo risultato si opera in diverse maniere: il metodo "classico" universalmente più comune, è quello di ottenere le ante in legno costruendo dei singoli telai perimetri in massello, in cui sia possibile incastrare una parte centrale piana detta bozza o bugna, realizzata con lo stesso materiale del perimetro. Tale metodologia consente di creare disegni e modanature che da tempi immemorabili sono considerati la vera essenza estetica della mobilia. Molti infatti pensano addirittura che le cornici tipicamente presenti sulle ante dei mobili realizzati in legno da tempi immemorabili, siano dovute più al desiderio di decorare e abbellire gli arredi, piuttosto che ad una semplice esigenza costruttiva. Tale esigenza è dovuta principalmente ad una fattore: il legno è una materia "viva" e nonostante sia frutto della sezionatura di una pianta che a seguito del suo taglio potremmo definire come "morta", il materiale che se ne trae mantiene inalterate alcune sue specifiche caratteristiche anche a distanza di centinaia di anni. Fra queste c'è senza dubbio quella che viene definita come idroscopicità, ovvero è la capacità di una sostanza o di materiali di assorbire le molecole d'acqua presenti nell'ambiente in cui si trova. Tale caratteristica influisce nel legno, andando a modificare quelle che sono le tensioni interne che esistono fra le fibre (e le relative sostanze) che lo compongono, fino a riuscire a modificare addirittura la struttura fisica della materia. Tutto ciò comporta l'impossibilità di utilizzare il legno massicio per la produzione di pannelli di grandi dimensioni, ma di ridotti spessori (come sono appunto le ante da cucina), senza operare con opportune tecniche di contenimento, tese ad impedire la deformazione dei pannelli. La metodologia telaio-bugna, serve dunque appunto per far sì che le ante dei mobili non si torcano, non si imbarchino, non si pieghino e non modifichino le proprie dimensioni.
Nell'ambito del comparto della produzione di cucine componibili questa usanza metodologica è stata adottata in ampissima misura. Molti di noi hanno infatti avuto il piacere, prima o poi, di possedere una bella cucina classica in legno massello, magari realizzata in qualche essenza fra le più preziose come il rovere, il noce, il ciliegio e il castagno. Tant'è vero che ancora oggi il mercato delle cucine Classiche con anta in
massello, soprassiede e difende orgogliosamente una sua bella e solida fetta del mercato. Del resto rimane senza dubbio inalterata ancora oggi la qualità estetica di un prodotto che con il suo design e con la matericità della sostanza di cui è composto è capace di trasmettere sensazioni praticamente uniche.
Quest'ultima però rimaneva una soluzione stilistica più vicina al concetto di cucina classica, per questo essa è stata a lungo comunque coniugata con il concetto di "design moderno", grazie all'ottimo compromesso che permetteva e permette tutt'ora la produzione di ante a telaio completamente lisce (ma pur sempre in qualche modo modanate) che hanno interessato il settore per alcuni decenni. Solo di recente è stato possibile superare questo "impasse" e l'evoluzione delle più moderne tecnologie ha consentito la produzione industriale di ante da cucina in legno massello caratterizzate da un aspetto completamente liscio e minimale. In poco tempo si è passati dalla produzione di ante da cucina in massello di legno, mantenute dritte da solide "anime" in metallo, fino ad arrivare all'uso di stati di listelli di legno massiccio ricoperti da lastronature (uno spesso tipo di impiallacciatura) realizzate in legni nobili. E' stato solo di recente che, grazie ad una nuova tecnica di incollaggio e compressione, si è arrivati ad ottenere, proprio come avviene nel compensato, dei pannelli in massello composti da 3 strati di legno soprammessi "controverso" (cioè uno con venatura orizzontale e due con venatura verticale) perfettamente in grado di mantenere a lungo intatta la loro forma. In verità, a voler essere precisi, si tratta di una tecnica di produzione che attinge non solo alla tradizionale lavorazione da cui si ottiene il compensato, ma anche da quella più recente da cui si ottiene il listellare (altro materiale formato nel suo interno da listelli di legno povero). Nelle ante di questa tipologia infatti gli strati che vengono sovrapposti, incollati e compressi fra loro sono formati da tanti piccoli listelli di legno in modo che sia in tal modo ridotta la "forza" che sarebbe altrimenti sprigionata dalle sue fibre qualora fossero lasciate nella loro lunghezza naturale. Il processo in questione potrebbe a prima vista apparire anche piuttosto banale, specie all'occhio dei non esperti, ma sono stati in realtà necessari decenni di ricerche per far si che il sistema adottato desse effettive garanzie di funzionamento, e questo rende bene l'idea di quanto il tentativo di sfruttamento di un materiale senza dubbio "semplice", ampiamente diffuso e ormai più che conosciuto, continui a dare del filo da torcere all'estro umano. Con la sovrapposizione di tre piani in legno massello incollati tra loro, si è quindi finalmente trovata una soluzione che permette l’utilizzo di questo eccezionale materiale anche per i modelli cucina dal gusto minimale, tutto questo lascia però aperto il dibattito circa la "liceità ambientale" dell'utilizzo di un materiale naturale che, come il legno massello, dipende esclusivamente dall'abbattimento delle piante da cui deriva. Ciò ha portato le moderne industrie di produzione di mobilia in legno ad utilizzare esclusivamente legno proveniente da colture "a riforestazione controllata". Anche noi ecologisti fra i più attenti possiamo dunque dirci tranquilli: il legno utilizzato per costruire le cucine proverrà certamente da piantagioni appositamente create dai cui alberi il nostro pianeta potrà trarre il giovamento necessario a mantenerlo in buona salute, fino al momento in cui queste piante giungeranno al termine della loro vita e saranno sostituite da alberi nuovi, in buona salute e quindi sempre rigogliosi.
Concludendo...